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autore: Autore: di Nicola Rabbi

7. L’uso della rete da parte dei disabili

Non è certamente facile dare una risposta di tipo generale alla domanda che sta dietro al titolo di questo articolo, ma lo abbiamo fatto ugualmente dando la parola a tre persone disabili che usano la rete in un modo approfondito già da tempo e che svolgono lavori di tipo intellettuale. Un punto di visto privilegiato quindi, che non può essere la voce della maggioranza delle persone disabili, ma che indica sicuramente un uso preciso della rete che si proietta nel futuro.

“Un circolo virtuoso che mi dà lavoro a ciclo continuo”
Claudio Imprudente, autore di numerosi libri sul tema della cultura e i diritti dei disabili.
Ho un ricordo ben preciso di quando ho utilizzato la posta elettronica per la prima volta; perché prima facevo un centinaio di telefonate al giorno, poi tutto è cambiato; nel 2001 ho spedito le mie prime e-mail e probabilmente la persona che mi ha fatto vedere come farlo è stato Ivan, l’informatico della nostra associazione.
In effetti la mia vita ha avuto una accelerazione non indifferente, è stato un passaggio molto importante e se penso alla mia storia personale è stato importante tanto quanto passare dalla tavola orizzontale a questa verticale: mi spiego meglio, prima per comunicare, dato che non parlo, usavo le mani che toccavano delle lettere su una tavola posta su un piano, poi ho visto che indicare le lettere con gli occhi utilizzando una tavola trasparente era un modo molto più efficace per comunicare. Così è stato anche per l’utilizzo del web. Avevo capito che era uno strumento molto valido per raggiungere le altre persone, superava i miei problemi di mobilità in senso fisico e mi permetteva anche di avere più relazioni. Anche le mie attività lavorative sono aumentate.
Mi ricordo che all’epoca avevo un pallino in testa, quello di andare in televisione ma credo che ho intuito che internet avrebbe sostituito la televisione. Questo mi ha diminuito l’ansia di trovare un programma televisivo che mi accogliesse.
Dal principio ho usato Google per fare delle ricerche, soprattutto quando ho incominciato la collaborazione con Superabile (www.superabile.it); per questo sito dell’Inail che tratta di informazione sulla disabilità, dovevo curare una rubrica settimanale di rassegna stampa; dovevo trovare tre articoli che mi colpissero e fare un commento con uno stile ironico. Ho incominciato a chiedere alle varie agenzie di stampa di inviarmi gli aggiornamenti, tramite e-mail. Ovviamente altri suggerimenti mi provenivano anche da e-mail provenienti da fonti diverse.
Ho iniziato a usare le mailing list praticamente da subito per diffondere quello che scrivevo; davo un certo tipo di informazione, non quella privata, ma di interesse generale. Ho questo stile da sempre, non uso questi strumenti per tenere una sorta di diario personale ma come informazione pubblica e commento. Invece il 90 per cento delle persone che conosco e che utilizzano la rete, mi dicono i loro fatti privati.
L’esperienza del blog è sta più difficile; la mia idea era quella di sostituire la mailing list con il blog ma il gruppo di lavoro, la mia associazione, mi ha chiesto di creare e animare un blog a più voci e questa esperienza stenta ancora adesso a decollare pienamente.
Facebook invece, che utilizzo da due anni, è stato lo strumento ideale per fare una cosa più personale; anche in questo caso ho voluto usare il mezzo non privatamente, come uno “sfogatoio”, ma ho cercato di farlo diventare un mezzo per la diffusione delle mie attività lavorative; in Facebook infatti metto i miei articoli e aspetto i commenti degli “amici” che sono quasi 3 mila. Ho creato un circolo virtuoso che mi dà lavoro a ciclo continuo, cioè scrivo un articolo e aspetto i commenti, poi dai commenti scrivo un altro articolo oppure un libro.
Oramai sto collegato diverse ore al giorno su internet, sia a casa che al lavoro.
Come uso privato internet non ha molto significato per me; a parte alcuni compagni di scuola che ho ritrovato tramite Facebook.
In futuro vorrei che internet diventasse uno strumento che ti permette una sempre maggiore visibilità; faccio un esempio: organizzo un incontro a Brescia e tutte le scuole di quella provincia hanno la possibilità di collegarsi in tempo reale a quell’evento.

“Come staccare la spina dal mondo”
Fabrizio Galavotti, critico cinematografico per conto del sito di informazione sociale BandieraGialla (www.bandieragialla.it) e giocatore nella squadra Rangers Bologna di hockey su carrozzina elettrica.
Per me la rete internet è diventata fondamentale, ci passo molto tempo, ho incominciato a usarla alla fine degli anni ’90 a scuola, dato che ho fatto un indirizzo per perito informatico.
Agli inizi la connessione era lenta e non ho avvertito subito i vantaggi; da quando ho avuto l’adsl a casa e in seguito altre connessioni veloci, è diventata più importante.
Dati i miei interessi, guardavo i siti sportivi e cercavo informazioni su Google.
Come programmi, ricordo, usavo le chat, come Msn Messenger e Skype, per riprendere contatto con persone che già conoscevo o anche per conoscerne di nuove.
In chat non ho mai conosciuto persone che poi sono diventate mie amiche. Ho consolidato vecchie amicizie ma gli incontri sulla rete non si sono mai tradotti in incontri reali.
Uso normalmente anche la community di Libero dove chatto e carico fotografie. Per i miei hobby seguo i siti che trattano di sport, l’hockey e basket.
Adesso lo uso soprattutto per lavoro e quindi ho tutta una serie di link di siti che trattano di cinema e li uso per documentarmi e approfondire i film o anche ascoltare interviste; prima usavo i giornali di carta ma naturalmente mi assicuravano fonti di informazione minori e poi si dovevano comprare.
Attraverso Facebook, che uso dal 2008, ho conosciuto uno sceneggiatore che si occupa di temi sociali con cui ho allacciato anche rapporti di lavoro. Non uso Facebook a fini ludici ma soprattutto per chattare.
Tramite internet faccio anche altre cose più pratiche come ricaricare il telefono, scaricare la musica comprandola, a volte faccio degli acquisti mediante la carta di credito postale ricaricabile. Scarico anche parecchi film.
Certo è che adesso senza internet la mia vita sarebbe diversa, internet mi permette molte cose, mi sentirei perso se non ci fosse, sarebbe come staccare la spina dal mondo.
Mi serve per passare il tempo; al giorno passo diverse ore di fronte al computer collegato a internet. Penso che in futuro sarà sempre più semplice usare la rete.

I quattro tipi di network sociali
Francesco Levantini, lavora in Ibm dal 1985 e si occupa principalmente di divulgare le nuove tecnologie nel mondo delle aziende.
Ho incontrato internet nel 1985 quando era limitata alle grandi aziende e alle Università; il primo incontro è stato con l’e-mail che è uno strumento altamente produttivo e che mi ha permesso come non vedente di avere già a disposizione documenti leggibili dalla sintesi vocale.
Poi sono apparsi i libri digitalizzati che i non vedenti si scambiavano e i giornali pubblicati sul web.
Poi ho cominciato a utilizzare le chat, i forum…
Nel mondo relazionale preferisco il mondo degli atomi, quello fisico insomma; dal punto di vista relazionale non è cambiato molto, dato che io preferisco incontrare le persone realmente e non in rete. Io uso i social network come strumento per portare la mia scrivania di lavoro all’esterno ma poi le relazioni si fanno nei pub, nei locali in una cena assieme.
Internet è uno strumento importante per un disabile perché regala parecchio tempo operativo.
Per il futuro io penso a un internet “for thing”, l’internet delle cose ovvero la domotica; vedo anche sparire il computer che si diffonderà nei vari oggetti, mi immagino che anche il televisore e gli altri elettrodomestici si uniranno alla rete.
Oggi quando il computer non si connette a internet ho quasi la sensazione che si sia rotto visto che quello che faccio è quasi tutto on line.
Se a un tratto non avessi più internet sarebbe una seccatura non avere le informazioni digitalizzate, mentre per le conoscenze in senso lato come relazioni, rapporti di lavoro, opportunità, date dalla rete, dai social network, difficilmente potrei fare a meno.
Io suddivido i social network in 4 tipi a secondo dell’uso che ne faccio: 1) Facebook è simile al cortile di casa, uso questo strumento come una sorta di e-mail permanente, ho a che fare con amici che mi conoscono che sanno che sono non vedente, è un rapporto che porta nel mondo digitale gli stessi meccanismi del mondo reale; 2) in Linkedin invece non ti proponi come persona fisica ma per la capacità che hai di proporti per le tue conoscenze; qui le persone con cui lavoro non sanno della mia disabilità. Linkedin in questo modo amplia la partecipazione; 3) Second Life è interessante come laboratorio per provare a costruire nuove personalità (e nuove persone) e per vedere l’impatto che ha sulla gente. Qui una persona disabile può provare diverse cose; 4) Twitter, infine è il social network che permette di creare i gruppi di osservazione su determinati temi e per la disabilità non è uno strumento interessante, è solo uno strumento di informazione.

6. Maneggiare con cura: l’informazione medico-scientifica

Intervista a Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di Informatica Medica dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”. Autore del volume Web 2.0 e Medicina: come social network, podcast, wiki e blog trasformano la comunicazione, l’assistenza e la formazione in sanità (Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2009.)

Che tipo di informazione medico-scientifica è rintracciabile su internet?
Su internet si possono trovare numerose informazioni: da quelle relative al trattamento di una patologia ai consigli su come prevenirla o su come gestirla e affrontarla; dalle informazioni riguardanti i centri dove è possibile curarsi o richiedere assistenza, a quelle che illustrano le possibili interazioni tra terapie farmacologiche e i loro possibili effetti collaterali; dalle informazioni sulle sperimentazioni cliniche in corso in una data area medica a quelle che permettono di venire a conoscenza dei progressi scientifici più recenti.
Spesso poi, chi naviga in internet non trova solo informazioni, ma anche servizi di “teleconsulto” nei quali l’utente, dopo aver esposto i suoi problemi sanitari, riceve un parere medico. È un genere di servizio che non deve essere confuso con la “telediagnosi” (pratica peraltro osteggiata dallo stesso Ordine dei Medici), ma piuttosto inteso come possibile strumento di “monitoraggio” della propria salute, da completare con un incontro con il proprio medico.

Quali sono gli strumenti più idonei per ricercare questo tipo di informazione in un panorama web come quello attuale?
Nel cercare una informazione di tipo medico partirei dai siti web delle società scientifiche. Queste hanno infatti ormai da tempo previsto sui propri siti web delle sezioni appositamente pensate per il cittadino, dove, in un contesto scientificamente attendibile, si può trovare la maggior parte delle informazioni di cui si ha bisogno. Anche i siti web delle associazioni di pazienti fanno ormai concorrenza, in termini di completezza, aggiornamento e utilità delle informazioni presentate,  a quelli professionali usati dai medici. Non bisogna infine dimenticare i siti istituzionali (come per esempio quelli sviluppati dal Ministero della Salute o dall’Istituto Superiore di Sanità) o i portali scientifici che, sebbene siano frutto di iniziative commerciali “for profit”, spesso offrono (gratuitamente) servizi e informazioni di indubbia utilità. Un altro strumento per consentire ai cittadini di muoversi tra i siti web medici affidabili sono i siti web appartenenti alla famiglia X.CARE che abbiamo sviluppato presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” nel corso di questi anni in varie aree mediche tra le quali la cardiologia, l’oncologia, la terapia del dolore, la gastroenterologia e la pneumologia. Si tratta di una sorta di “pagine gialle” dei migliori siti web selezionati e commentati dal personale del nostro istituto attraverso rigidi criteri di selezione adottati a livello internazionale e che prendono in esame la loro affidabilità e la continuità del loro aggiornamento.
Tuttavia non si può ignorare il fatto che lo strumento più frequentemente impiegato per cercare informazioni mediche in internet sia Google. Se da un lato è possibile che tra primi i risultati offerti da Google compaiano le pagine web provenienti dai siti web con caratteristiche simili a quelle appena enunciate, dall’altra non è da escludere che i link rimandino verso fonti di informazioni non certificate. Lo stesso discorso vale per Wikipedia, la nota enciclopedia collaborativa che, anche in italiano, ospita numerose voci di tipo medico. I suoi contenuti, frutto della collaborazione tra più persone, non necessariamente esperte del settore, potrebbero infatti essere incompleti o addirittura contenere delle imprecisioni. È per questo motivo che gli stessi responsabili del progetto Wikipedia suggeriscono agli utenti (con un apposito “disclaimer”) di non impiegare l’enciclopedia come fonte primaria e di confrontarne i contenuti con altre fonti.

Che precauzioni bisogna prendere prima di affidarsi a notizie reperite in rete e quali criteri adottare per verificare la loro attendibilità?
È importante che il cittadino impari a sviluppare il suo spirito critico quando legge una notizia o accede a una fonte di informazione in internet, anziché subirla in modo passivo. Sul portale di un nostro progetto chiamato Partecipasalute, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri, l’agenzia di giornalismo Zadig e il Centro Cochrane Italiano, forniamo una serie di strumenti che suggeriscono cosa bisogna chiedersi quando si legge una notizia sulla salute, come interpretare notizie, numeri, dati, implicazioni cliniche e conflitti d’interesse, e come si fa a riconoscere se una fonte è affidabile. In riferimento a quest’ultimo punto, suggeriamo di verificare che i siti Internet dedicati alla salute che il cittadino si ritrova a visitare contengano alcune fondamentali informazioni tra cui il nome dell’autore del contributo, la data della sua creazione e le fonti di informazioni alle quali l’autore si è ispirato, oltre alle indicazioni sulla eventuale fonte di finanziamento del sito web che ospita tale contributo e sul suo proprietario.

Qual è il contributo che la gente può dare a questa informazione? Stiamo parlando degli stessi malati o dei loro famigliari, oltre ai medici e agli scienziati?
I cittadini e i pazienti che oggi navigano in internet non vogliono solo sentire la voce dell’esperto, ma desiderano fortemente un confronto con altre persone che si trovano nelle stesse condizioni, che soffrono delle stesse patologie, che hanno affrontato esperienze simili a quelle che loro (o i propri famigliari) sono costretti ad affrontare. È la cosiddetta “saggezza della folla” (una delle teorie alla base del fenomeno del web 2.0) di cui parlo nel mio volume, che offre ai pazienti maggiori possibilità di acquisire conoscenze, fare scelte consapevoli che riguardano la propria salute, e, per usare una espressone oggi di moda, accrescere il proprio “empowerment”.
Il confronto avviene attraverso l’impiego dei blog, dei social network, dei wiki, dei forum, e di tutte quelle applicazioni “socializzanti” che hanno il pregio di aggregare persone in base ai loro specifici interessi. D’altra parte ricerche condotte negli Stati Uniti indicano che ormai tali strumenti sono tra i preferiti dai cittadini quando si tratta di cercare in rete informazioni sanitarie, superati solo dai motori di ricerca generalisti come Google e dai portali sanitari.

Nel caso di una persona disabile, quale dovrebbe essere il suo atteggiamento verso le informazioni medico-scientifiche raccolte on line?

Valgono tutte le precauzioni che si dovrebbero prendere quando si accede a qualunque materiale medico scientifico e che ho precedentemente esposto. A quelle aggiungerei il suggerimento di verificarle ogni volta con un operatore sanitario specializzato (il medico, lo specialista, il fisioterapista, ecc.) per evitare di incorrere in possibili “bufale”.

Potrebbe raccontarci il caso di clamorose bufale di notizie pseudoscientifiche prese dalla rete e viceversa di informazioni preziose sparse in rete?

Per quanto riguarda le bufale, è sufficiente pensare a tutti quei siti che promuovono l’uso e la vendita di pseudo farmaci  presentati come “il rimedio” alla cura di numerose malattie, comprese quelle particolarmente invalidanti come il tumore allo stadio avanzato.
Tra quelle sparse in rete, si annidano comunque preziose informazioni che difficilmente si potrebbero reperire attraverso le vie tradizionali. Penso per esempio alle informazioni su sperimentazioni cliniche in corso alle quali un paziente, magari con patologie rare, potrebbe prendere parte, oppure a quei servizi on line che informano i cittadini sulla disponibilità in una data struttura sanitaria degli strumenti per eseguire specifiche indagini diagnostiche o analisi mediche.

Ci può citare una serie di siti web che offrono dei servizi di informazione medico-scientifica di qualità?
Numerosi sono gli esempi nel mondo anglosassone. Dal portale Medlineplus (www.medlineplus.gov), il sito web istituzionale americano per il cittadino che offre informazioni sulla prevenzione, diagnosi e cura delle principali malattie, all’omologo portale inglese realizzato dal National Health Service (il Ministero della Salute inglese) e chiamato NHS Choices (www.nhs.uk).
Per quanto riguarda l’Italia, oltre ai siti web del Ministero della Salute (www.ministerosalute.it) e dell’Istituto Superiodi Sanità (www.iss.it), si possono citare portali come Dica33 (www.dica33.it),
Yahoo! Salute (http://it.health.yahoo.net), Partecipasalute  e quelli delle principali società scientifiche italiane.
Per quanto riguarda l’area riguardante la disabilità segnalerei il portale Disabili.com (www.disabili.com) e quelli delle principali associazioni di volontariato che operano in questa area, che possono essere raggiunti attraverso il link www.asphi.it/Link/LinksAss.htm.

E in futuro che cosa ci si può aspettare dalla rete? Quali sviluppi per l’informazione medico-scientifica e come ne potranno beneficiare le persone disabili?
Per il futuro penso a un uso, anche in Italia, più frequente e ragionato di blog, social network e social media che porteranno, a mio avviso, un duplice beneficio ai malati e, in particolare, alle persone disabili. Da una parte la possibilità da parte di queste persone di aggregarsi in reti sociali per esprimere il proprio parere e fare sentire in modo più deciso la loro posizione. Penso, per esempio, all’esperienza del portale PatientsLikeMe (www.patientslikeme.com) attraverso cui pazienti americani che soffrono di malattie neurologiche particolarmente invalidanti (come la Sclerosi Laterale Amiotrofica oppure la Sclerosi Multipla) possono scambiarsi esperienze, dati e suggerimenti per combatterle o per conviverci. Dall’altra, la possibilità da parte dei malati di poter ricevere più velocemente aggiornamenti grazie all’adozione da parte dei principali produttori di informazione medico-scientifica (organizzazioni istituzionali, società scientifiche, associazioni di pazienti) dei cosiddetti “social media” (tra cui YouTube, Twitter e Facebook), capaci di diffondere sulla rete e sui social network i propri contenuti.
Grazie all’uso di questi strumenti il ruolo dei malati sarà sempre più decisivo anche nella valutazione delle prestazioni sanitarie e delle strutture ove queste vengono fornite. E’ quanto, per esempio, già oggi possono fare i cittadini inglesi attraverso il portale NHS Choices (www.nhs.uk), sul quale, oltre a trovare gli “indicatori di performance” di una struttura sanitaria sul territorio inglese, possono consultare i giudizi che, su quella stessa struttura, sono stati forniti dai cittadini attraverso il medesimo portale.

5. L’informazione sulla disabilità al tempo di internet

Carlo Gubitosa è un giornalista e attivista per i diritti umani e la libera informazione, che dagli inizi degli anni ’90 si occupa di informazione on line; ha pubblicato vari libri tra cui Italian Crackdown – BBS amatoriali, volontari telematici, censure e sequestri nell’Italia degli anni ’90 (Milano, Apogeonline, 1999) e Hacker, scienziati e pionieri. Storia sociale del ciberspazio e della comunicazione elettronica (Viterbo, Stampa Alternativa, 2007).
Franco Bomprezzi è un giornalista e disabile; attualmente lavora come free lance a Milano ed è un esperto di comunicazione sociale. Ha scritto i romanzi La contea dei ruotanti (Padova, Il Prato, 1999), Io sono così (Padova, Il Prato, 2003) e Handicap power (Lucca, LibertàEdizioni, 2008).
Abbiamo rivolto ai due giornalisti alcune domande su come i disabili usano internet e in particolare su come è cambiata l’informazione a proposito di disabilità con l’avvento delle nuove tecnologie del comunicare.

In qualità di giornalista e di disabile che usa in modo costante la rete, che cosa ha significato per te l’uso di internet?
Bombrezzi: Moltissimo, direi tutto. Oggi non riesco neppure a immaginare il mio lavoro senza internet. Innanzitutto, banalmente, l’uso sempre più soddisfacente dei grandi motori di ricerca consente di trovare notizie, fonti, confrontare opinioni, rintracciare documenti utili. Da persona con disabilità la rete aggiunge la comodità del telelavoro, quando possibile.

La rete permettendo la moltiplicazione dei canali rende possibile anche un’informazione individualizzata, di nicchia e per temi specifici: questa evoluzione ha portato a dei reali cambiamenti positivi per quanto riguarda l’informazione sulla disabilità?
Gubitosa: Direi di più: ha portato a cambiamenti positivi per quanto riguarda l’informazione DEI disabili, che grazie alle nuove tecnologie hanno l’occasione di produrre e condividere informazioni come mai prima d’ora. Nel 2000 ho effettuato un lavoro di inchiesta e di approfondimento su questi temi che ha dato vita a un progetto multimediale ancora on line all’indirizzo. Sono rimasto sorpreso scoprendo che per usare un computer basta anche solo la lingua, il soffio o la possibilità di premere un singolo pedale o interruttore. Anche in questo ambito vale un discorso generale: la migliore informazione è quella prodotta da chi ha esperienza diretta dei temi trattati. E quindi l’informazione migliore sulla disabilità è quella che proviene dai disabili. Basti guardare al lavoro immenso di giornalisti come Franco Bomprezzi, o al premio “Ilaria Alpi” vinto dal disabile Franco Civelli nella sezione “telestreet”, con un video di inchiesta/denuncia in cui descriveva le barriere architettoniche della sua città.
Bombrezzi: Certamente. Ha portato una maggiore consapevolezza degli strumenti a disposizione, dagli ausili tecnologici alle opportunità di viaggio, dalla rete delle associazioni alla documentazione legislativa; non c’è campo nel quale i canali del web non abbiano offerto strumenti nuovi e in larga misura validi.

E i disabili stanno usando questo strumento per informare l’opinione pubblica e per veder riconosciuti i propri diritti?
Gubitosa: Prima ancora che come strumenti di attivismo, credo che la produzione di contenuti da parte dei disabili sia un indispensabile strumento di espressione, una forma per esercitare quel diritto alla comunicazione spesso rivendicato nella sua sola forma passiva (ricevere informazioni corrette) ma sempre più praticato nella sua forma attiva e riflessiva (informaRE e informarSI). A partire da questo, è indubbio che oggi in rete è molto più facile denunciare le situazioni in cui la disabilità si trasforma in handicap per negligenza altrui, come insegna il caso di Fabio Pavone, il giovane abruzzese affetto da distrofia che ha denunciato in rete la mancata copertura mutualistica di un costoso mouse pilotato con le labbra che gli permette di comunicare [abbiamo trattato di questo caso anche in una rubrica di Bandieragialla.it, che trovate pubblicata a questo indirizzo, www.bandieragialla.it/node/6370 n.d.r.]. In altri tempi il caso di Fabio sarebbe passato inosservato, ma il suo utilizzo intelligente della rete come cassa di risonanza gli ha permesso di ottenere visibilità su un dato cruciale per molte persone nelle sue stesse condizioni, e il tutto agendo come singolo cittadino, senza dover passare per l’intermediazione di gruppi o associazioni.
Bombrezzi: In parte sì, in parte no. Sicuramente alcune realtà organizzate sono state in grado di utilizzare la rete per informare e formare l’opinione pubblica. Ma il limite è rappresentato dalla nicchia, ossia dalla difficoltà di arrivare, anche sul web, ai media generalisti di larga diffusione, dove sarebbe indispensabile incidere efficacemente e tempestivamente.

I disabili in Italia hanno una buona formazione sul tema dell’uso delle nuove tecnologie?
Gubitosa: Sarebbe corretto dire che hanno una buona AUTOformazione, visto che né i percorsi scolastici ufficiali, né le strutture di assistenza, né tantomeno le istituzioni o il ministero del welfare hanno dimostrato in questi anni una particolare attenzione per l’accessibilità delle tecnologie. In Italia siamo riusciti a produrre la legge Stanca che ha portato solo confusione nel settore, mentre sarebbe bastata una legge di una riga che richiedesse il rispetto degli standard internazionali di accessibilità già ottimamente definiti e codificati.
Bombrezzi: Credo che ci sia una formazione a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Bene al Nord, e in parte al Centro, i problemi nascono al Sud anche per le difficoltà nell’estendere le linee a banda larga in territori non sorretti adeguatamente dal punto di vista economico e infrastrutturale.

Quali sono in rete alcuni esempi validi per te di buona comunicazione on line?
Gubitosa:
Tra i più recenti potrei citare “Crisi TV” http://crisitv.wordpress.com/ dove una community di precari mette insieme testi, approfondimenti e materiali multimediali per affrontare la crisi in modo informato e consapevole, e sostenere le battaglie per il diritto al lavoro. C’è poi la rivista antimafia catanese Ucuntu, lo storico portale pacifista www.peacelink.it e l’esperimento di giornalismo satirico che stiamo realizzando su dove una satira che non fa solo ridere incontra un’informazione che fa anche sorridere.
Bombrezzi: Vi sono parecchie esperienze in rete di buona comunicazione come il portale disabili.com (www.disabili.com), il portale interattivo di Vita (www.vita.it) ma adesso anche molti blog, e la trasformazione in atto con il social network sta ulteriormente fornendo strumenti validi, interessanti, creativi.

Che cosa manca invece ancora in rete, cosa vorresti realizzare sul tema della comunicazione e la disabilità sul web se ne avessi la possibilità?
Gubitosa:
Mancano dei servizi che permettano di vivere meglio il proprio territorio, un motore di ricerca finalizzato al vivere quotidiano dove si possa cercare la struttura senza barriere architettoniche ma anche il gruppo d’acquisto solidale per organizzare la propria spesa con intelligenza e sobrietà (anche i disabili devono mangiare, e anche loro storcono spesso il naso davanti a OGM e pesticidi), l’officina onesta per riparare carrozzine elettriche, la libreria di quartiere che vende testi braille e tutti quei piccoli servizi che messi insieme determinano la qualità della vita.
Bombrezzi: Vorrei aumentare l’interattività. Perciò mi piacerebbe una web tv efficiente gestita direttamente dal mondo delle persone con disabilità, con una specie di YouTube specifico, per testimoniare in tempo reale barriere, difficoltà, ma anche buoni esempi, attività artistiche, sport, letture, insomma tutto ciò che fa normalità di vita.

E se questo desiderio fosse libero e non legato alla disabilità cosa vorresti vedere o fare in rete?
Gubitosa: Vorrei vedere che cosa accadrebbe se venisse legalizzata la copia privata senza scopo di lucro, che ha come unico obiettivo la condivisione della conoscenza e la trasformazione di internet nella più grande biblioteca della storia umana.
Bombrezzi: Fare libera informazione, competente e attendibile. A volte il web è autoreferenziale ed esagerato, come una volta erano le prime televisioni locali. Mi piacerebbe lavorare a un progetto serio di informazione di qualità, non ideologico, non legato a vecchie testate.

Per contattare gli autori:
Carlo Gubitosa: c.gubitosa@peacelink.it
Franco Bomprezzi: franco.bomprezzi@gmail.com

4. Se gli utenti disabili reclamano il diritto all’accessibilità

Intervista a Carlo Filippo Follis, che dal luglio del 2006 al 2009 ha tenuto un interessante blog sul tema dell’accessibilità delle nuove tecnologie e disabili, con un occhio particolare al web e ai cellulari. Il blog è ancora visibile ma non più aggiornato a causa delle difficoltà che ha avuto l’autore nel coinvolgere le stesse persone disabili sul tema.

Che cos’è Norisberghen.it e quali sono le idee fondamentali che ti hanno mosso?
Norisberghen.it è nata come area di sperimentazione per portali realizzati tramite il celebre software WordPress. Doveva essere un’area prototipale dalla quale generare cloni tematici destinati a blog dove si sarebbe veramente discusso di temi specifici. Sebbene ciò sia accaduto per DisabileDoc.it – Libera Community di Disabili Protagonisti – Norisberghen.it ha iniziato da subito a esaminare la tecnologia nelle sue differenti espressioni tanto da dar vita a un progetto specifico: l’Apple D-User. D-User è un termine che ho voluto coniare per estrarre dal mazzo il Disabile ed evidenziare così un mondo che ha bisogno di attenzioni anche per poter essere di utilità a chi disabile lo può diventare per quello che io chiamo “evento storico”: un incidente, la manifestazione di una patologia di carattere genetico o, semplicemente, un invecchiamento che mina le capacità residue abbassandone il livello.

Che cosa significa per te accessibilità a un dispositivo tecnologico?
Una forma di utopia da commutare in realtà. Mi spiego meglio. A nessuno sostanzialmente interessa realmente impegnarsi nella realizzazione di dispositivi accessibili. Di fondo ci sono essenzialmente alcune spiegazioni: oggi vengono prodotti molti hardware che si vendono perché stupiscono la massa dell’utenza, una sorta di prodotto non sempre utile, ma che piace a tal punto da rimpiazzare ciò che già abbiamo. I killer product servono per continuare a vendere generando un’evoluzione che, quasi sempre, non è innovativa bensì un esercizio di stile che fa marketing. I prodotti poi sono progettati da ingegneri che non essendo disabili non possono conoscere le nostre necessità. In quei pochi casi in cui il genio prevede, il marketing sovente obbliga a rivedere in funzione a canoni estetici globali. Non dimentichiamoci poi del paradosso accettato dai disabili, almeno dai più, che negando i propri limiti ed esigenze in espressioni false e abominevoli come “diversamente abili” soffocano quella consapevolezza che invece li dovrebbe portare a urlare le innumerevoli necessità.
L’utopia dell’accessibilità deve essere resa reale proprio da coloro che amano meno esporsi sottolineando un essere palese, ma che non va detto per non sentirsi disabili. E come se i neri d’America o i gay avessero condotto le loro battaglie dichiarandosi chi “diversamente bianco” e chi “diversamente etero”.
Se accessibilità è sinonimo di raggiungimento, beh, allora ci vuole il giusto coraggio per percorrere una strada che sarà di vantaggio a tutti: disabili e normaloidi.

Internet, attraverso i dispositivi hardware e software, è accessibile ai disabili? Dove si riscontrano le maggiori mancanze?
Non basterebbe un trattato di quattrocento pagine per rispondere, quindi giungiamo al verdetto: no. No, non è accessibile, o meglio, non lo è per tutti in egual misura. I disabili sono talmente variegati nelle loro caratterizzazioni che non vi è una copertura tecnologica per realizzare un’accessibilità per tutti. Mancano ancora le tecnologie e quelle che ci sono non vengono spesso applicate. Siamo costantemente in una fase di concertazione globale dove un soggetto promuove la filosofia e traccia le linee di base, ma poi arriva l’interlocutore forte e impone canoni fuori regole. Il futuro HTM 5, ad esempio, è già oggi in fase di reinterpretazioni che lo indeboliranno proprio sui fronti usabilità e accessibilità.
La maggiore mancanza è sempre espressa in una lacuna culturale e sarà così sino a quando non si comprenderà che l’impegno su questa materia è una polizza sul futuro di tutti. E ancora che l’espressione di forza non viene manifestata attraversa la discussione di regole che devono essere di tutti, bensì sulla bontà di prodotti e servizi di maggiore eccellenza.

Internet sempre più sarà consultabile tramite reti mobili, attraverso cioè cellulari, palmari… Quali sono i principali problemi di accessibilità in questo caso?
Il disabile che non ha problemi motori agli arti superiori o problemi di grave ipovedenza potrà beneficiare di dispositivi convergenti sempre più evoluti e meno costosi. Per tutti gli altri sarà una strada in salita o impraticabile. I dispositivi mobili esasperano una miniaturizzazione che rende l’apparecchio sempre più ingestibile anche da chi non ha problemi.
Poniamoci poi anche una domanda mettendo da parte le attuali tendenze o mode tecnologiche: il cellulare, che sia smartphone oppure no, è proprio il mezzo a cui guardare per navigare in Internet?

Oltre alle disabilità sensoriali e motorie (di solito quelle prese più in considerazione quando si parla di barriere) anche i disabili psichici possono avere difficoltà nell’uso dei dispositivi tecnologici per accedere alla rete, ad esempio se sono troppo complessi. Cosa si fa per loro?
Non vorrei apparire banale o peggio, ma da dire c’è ben poco. Mi spiego. Se sono un disabile con deficit psichici avrò le stesse possibilità di rapportarmi alla rete, o alla tecnologia, che ho nello sfogliare una rivista, un mensile. Il prodotto se ben fatto offrirà a tutti il beneficio della chiarezza che andrà incontro anche, ma non solo, al disabile psichico.
Il punto è proprio sempre quello: non abbiamo ancora imparato a realizzare format evoluti che esaltino accessibilità e usabilità per tutti. È ancora una volta una carenza culturale oltre che professionale.

I disabili possono rappresentare una fetta di mercato appetibile per i produttori di dispositivi software e hardware; il mercato è consapevole di questo? E questa fetta di mercato si sta organizzando, sta facendo pressione sui costruttori per richiedere dispositivi già accessibili?
I disabili che andrebbero sempre scritti con la D maiuscola sono certamente un mercato vastissimo come anche ignorato, quindi non noto nei fatti. I disabili non solo non sono organizzati, ma non partecipano neppure laddove esistono dei progetti mirati. In poco più di un anno di vita del progetto Apple D-User non ho ricevuto un solo input, idea o richiesta da parte di un disabile. Di contro sono stato accusato di mercificare l’immagine di una categoria a tutto vantaggio di un’industria. Sinceramente non ho ancora compreso di chi è la follia… Poi vi è il paradosso delle imprese che non ascoltano i consigli specifici per non palesare carenze per altro ovvie che delegittimerebbero i propri uffici tecnici, non considerando invece il suggerimento come complementare a uno staff di ingegneri che, se non disabili, non possono prevedere necessità che non vivono.

Cosa intendi con il concetto di D-mercato e di D-users?
Il D-Mercato è un bacino di potenziali clienti che conta nel mondo 650 milioni di unità. I D-Users sono le unità del D-Mercato.
Il D-Mercato è anche miliardi di euro l’anno, ma molti vengono persi dalle imprese che ignorano una realtà che non spende solo per piacere, ma soprattutto per necessità e che per questo ha (raggiunge) anche budget più alti…

Si sa che costruire fin da subito case senza barriere architettoniche è molto più economico che adattare quelle che ne hanno: questo principio vale anche per i dispositivi tecnologici?
Il principio vale in linea teorica e deve valere come principio ispiratore anche se non esiste l’adattamento di un computer o di un cellulare. Non sarei invece così sicuro della certezza espressa. Se così fosse saremmo di fronte a una marea di deficienti mefistofelici e insensibili per pura cecità e pigrizia.
Beh, a pensarci bene…

Qual è la tua sensazione rispetto a questo tema, tu pensi che in futuro si realizzeranno prodotti tecnologici fin da subito attenti alle esigenze di persone “diverse”?
Il futuro è un tempo presente nel momento in cui si manifesta e, paradossalmente, propone prodotti realizzati su idee vecchie. Questo è un dato di fatto e non un esercizio filosofico. I prodotti dei prossimi anni sono già stati immaginati e in parte progettati. Oggi stiamo vivendo in un medioevo tecnologico che non credo sappia bene il perché produca questo o quel prodotto o soluzione. È un momento di alambicchi che distillano oggetti da comprare, elementi sempre più complementari a una illusoria vita digitale castrata anche dalle carenze di strutture e reti potenziate rispetto alle origini.
Il futuro, quello dei film, è molto lontano. Il prossimo futuro sarà peggiore del presente e i disabili avranno sempre più difficoltà a utilizzare quegli strumenti che invece dovrebbero essere di Vita Indipendente.
Come sempre sarà un problema figlio di una lacuna culturale…

Se tu potessi creare un dispositivo per accedere alla rete, senza badare ai limiti tecnologici di oggi e pensando a qualcosa che appartiene al futuro, come te lo immagineresti?
Sottintendendo la mia natura disabile mi vien solo da pensare a una cosa che, se fantascienza oggi, un domani non certo vicino potrebbe trovare riscontro nella più spinta ricerca. Se un disabile si deve rapportare a innumerevoli hardware e quindi software, è egli stesso il fattore comune di una realtà che dovrà evolvere con lui e non solo per lui.
Ecco che entrano in gioco le potenzialità cerebrali che canalizzate e rese decodificabili potrebbero offrirci un potere mentale che è noto come telecinesi. Tasti, manopole, touch screen e qualsiasi altro elemento fisico potrebbero essere “toccati” con la mente e non con il corpo.
Troveremmo l’autonomia diventando Jedi, ma senza per questo dover recitare in Guerre Stellari… Consideriamo che questa utopia, oggi, un domani potrebbe essere una soluzione super tecnologica. Io, affetto da tetra paresi spastica, avrei le stesse potenzialità di un distrofico, atassico o altro disabile con pari capacità intellettive. Addirittura un cieco potrebbe vedere, percepire e avere l’ambiente circostante definito. Sarebbe possibile per la bidirezionalità del segnale: input e output.
La folle soluzione che ho descritto trova già applicazione in alcuni confortanti “tentativi tematici” come l’occhio bionico che ora punta al riconoscimento del colore oltre che ai già conquistati toni di grigio.
Sino a quel tempo la risposta trova riscontro nei ragionamenti precedenti che alla base hanno prodotti che dovrebbero essere pensati in collaborazione/consulenza con noi disabili. Purtroppo questa è un’utopia più forte e amara della precedente proprio perché attuabile mentre invece non la si considera neppure…

Per contattare l’autore: cffollis@gmail.com

3. Il sociale e il sanitario vanno sul web

CUP 2000 è la principale azienda italiana che gestisce i sistemi CUP (Centri Unificati di Prenotazione) di dimensione metropolitana e regionale di accesso alla sanità. Molti di questi servizi vengono erogati attraverso il web; ne parliamo con Gianluigi Amadei, progettista, che si occupa dell’area servizi sociali all’interno dell’azienda.

Che tipo di servizi socio-sanitari offre CUP 2000 e verso chi sono rivolti?
CUP 2000 non si muove solo nell’area del sanitario fornendo servizi per l’accesso alla sanità ma da qualche anno a questa parte fornisce servizi nell’area propriamente sociale; non siamo specificatamente indirizzati verso la disabilità, l’area del sociale è più indirizzata all’anziano, ma il confine tra le due aree è molto labile; ad esempio quando si parla di occasione di socializzazione o di agevolazione dell’accesso ai servizi, cambia l’offerta ma le modalità spesso sono simili.
Nell’area dei servizi informativi abbiamo sviluppato nel corso del 2009 un punto di accesso per tutto il mondo della sanità e del socio-sanitario; il cittadino ma anche il disabile può trovare tutte le informazioni sul sociale e il socio-sanitario (sul medico di medicina generale, sul pronto soccorso con liste d’attesa in tempi reali, sugli sportelli sociali…) con la possibilità di avere, una volta individuato il servizio che si sta cercando, anche i percorsi per raggiungerlo, scelti in base alle proprie modalità di mobilità. Stiamo raccogliendo anche informazioni sull’accessibilità.
Il pagamento avviene tramite carta di credito o bancomat, un’operazione molto sicura che si sta estendendo in ambito regionale e non ci sono commissioni aggiuntive da parte nostra.
In questo modo è possibile accedere a un servizio sanitario senza dover fare delle code, ma direttamente da casa.

Ma a quali servizi una persona disabile o un anziano può accedere? Vi sono delle limitazioni?
Lo sportello on line eroga quasi tutte le prestazioni, rimane la difficoltà per quelle che presentano delle impegnative difficili da interpretare, ma attraverso il Progetto Sole stiamo riducendo il numero di queste prestazioni “difficili”, in quanto tutte le impegnative saranno inserite direttamente dal medico di medicina generale nel suo studio e in questo modo non ci potrà essere margine di errore in quanto ci sarà sempre un codice preciso e il sistema recupererà i dati inseriti.
In Emilia-Romagna stiamo completando il collegamento al CUP con ogni medico di medicina generale e dei pediatri che sono circa 4mila complessivamente. Questo consentirà a tutti i medici di generare le impegnative per l’accesso dei sistemi di prenotazione ma anche direttamente negli stessi ospedali; per ogni medico sarà possibile anche ricevere i referti e altre segnalazioni come il ricovero, variazioni anagrafiche e certe certificazioni come quella di invalidità; in Emilia-Romagna infatti esiste il Progetto Rurer che centralizza la gestione delle certificazioni dell’invalidità mettendo in collegamento la struttura sanitaria, l’Inps, l’anagrafe regionale e i sistemi informativi del lavoro. Stiamo sempre parlando di ambienti web di qualcosa che consente al disabile nel momento in cui gli viene riconosciuta la sua situazione, di essere registrato presso gli sportelli del servizio lavoro come disabile e inserito nelle liste di collocamento: in questo modo si passa dal CUP metropolitano al CUP web.
Il web, attraverso il già citato Progetto Sole, dà la possibilità ai medici di base di rendere subito disponibili le loro richieste di accertamenti diagnostici. Tutto quello che è prenotabile dallo sportello entro breve sarà prenotabile dal web direttamente; non sarà così per tutti i servizi, ad esempio, le terapie fisiche si continueranno a prenotare presso le strutture erogatrici, ma la tendenza è inglobare tutte le prestazioni che saranno direttamente prenotabili via web. Avere in tempo reale questi dati permetterà anche una migliore programmazione dei reparti ospedalieri, dell’uso delle macchine, come quelle radiologiche.

CUP 2000 è un’esperienza solo di Bologna e dell’Emilia-Romagna?
È un modello già esportato in altre regioni e in alcune grandi città come Genova, Milano, Napoli.
Abbiamo realizzato questo sportello in Inghilterra nella contea di Birmingham, a Pechino in Cina, ma le dimensioni del CUP di Bologna sono una realtà unica nel mondo sia come numero di prestazioni offerte che come numero di utenti.

Avete dei dati riguardo l’utenza disabile ed esistono dei servizi indirizzati a loro via web?
Non abbiamo dati sull’utenza disabile; ma ci stiamo muovendo molto verso l’area del sociale secondo due linee di intervento; con la prima stiamo cercando di creare il CUP del sociale cioè stiamo cercando di rendere più semplice l’accesso a tutta una gamma di servizi socio-sanitari o socio-assistenziali che sono ancora sparpagliati sul territorio; vogliamo fare una rete integrata del socio-sanitario e assistenziale, anche con lo scopo di creare una cartella socio-sanitaria sul modello di quella sanitaria disponibile sempre on line. Una cartella di questo tipo contiene i trattamenti che mi sono stati erogati, che cosa mi sta succedendo, se ho una assistenza familiare, se sono inserito in particolari programmi, se mi vengono erogati determinati ausili o servizi di supporto (accompagnamento, bagno a domicilio…). Qui il nostro pubblico di riferimento sono gli anziani ma anche i disabili e le persone “fragili”. Vogliamo disegnare intorno all’anziano e al disabile quella che è la sua rete di riferimento e di supporto e di rendere visibile questa rete facilitando gli interventi aggiuntivi. Bisogna uscire dalla logica sanitaria per entrare in quella socio-sanitaria che prende in considerazione non solo la salute della persona ma il suo benessere in generale.
Stiamo realizzando un portale che si chiama Bolognasolidale (www.bolognasolidale.it) che raccoglie tutto che si sta muovendo sul territorio disegnando la rete di chi assiste. In questo modo la persona che si registra sul portale può conoscere questa rete fatta di volontariato, di parrocchie, di minigruppi di supporto familiare; con il progetto Icare lo stiamo già facendo, seguendo circa 3mila anziani. Se un anziano ha problemi di mobilità, vediamo se vicino a lui vi sono dei gruppi che possono aiutarlo. La nostra mediazione è gratuita e non ha costi per l’utenza.

Internet offre non solo dei testi ma anche la possibilità di usare degli strumenti multimediali: ne fate uso all’interno di questo discorso?
Per quanto riguarda la multimedialità abbiamo il Progetto Oldes, che utilizza un computer multimediale collegato a un televisore, ovvero uno strumento facilmente accessibile anche da chi non ha particolari conoscenza tecnologiche. Si offrono dei contenuti informativi, contenuti di intrattenimento mirati sui gusti e sulle caratteristiche dell’utente che tendono alla socializzazione; ad esempio non trasmettiamo un documentario su Bologna ma su dei particolari percorsi che si possono fare in città e che possono essere effettivamente fatti grazie a gruppi di volontariato che organizzano le uscite. Tramite questo sistema è possibile anche telefonare e dall’altra parte si comunica con un moderatore/sollecitatore di dibattito e la rete di persone con cui l’anziano ha scelto di stare connesso; in questo modo ha la possibilità di comunicare direttamente con un gruppo di persone. Viene creato una sorta di centro sociale virtuale per anziani, senza doversi spostare fisicamente per incontrare gli amici.
Il sistema comprende anche una piattaforma di tipo tele-medico che dà la possibilità di tenere controllati una serie di parametri clinici (pressione, peso della glicemia, pulsazioni…).

Ma questo non comporta un rischio di ulteriore isolamento per la persona anziana o disabile?
Questo spostamento della vita di relazione su una piattaforma virtuale rischia di aumentare la situazione di isolamento anziché diminuirla. Per contrastare questo rischio noi organizziamo delle feste, feste vere; sono delle occasioni di contatto fisico, dove gli anziani si incontrano tra loro e con gli operatori telefonici con cui queste persone sono in contatto.

Che progetti avete per il futuro?
Penso soprattutto al fascicolo sanitario elettronico che sarà presto una realtà per chi vive in Emilia-Romagna; avrà una valenza clinica non amministrativa e sarà disponibile on line. Il fascicolo sanitario proposto da Google Health (un servizio sanitario simile) è su base volontaria, il nostro non sarà così. Stiamo digitalizzando, con un’operazione molto impegnativa per l’Asl di Bologna, tutte le cartelle cliniche in modo che sia reperibile on line lo storico cartaceo per il singolo paziente. Anche cambiando residenza una persona potrà immediatamente ritrovare on line la sua cartella clinica completa.
Per finalità diverse abbiamo anche digitalizzato dei registri clinici scritti in folio a mano di fine Ottocento che hanno un valore per la storia della medicina e della scienza.

2. La parte abitata della rete

Abbiamo intervistato Sergio Maistrello, giornalista freelance, divulgatore di nuove tecnologie a misura d’uomo, che dirige dal 2006 Apogeonline, rivista on line di tecnologia e culture digitali della casa editrice Apogeo. Ha scritto due libri: La parte abitata della Rete (Tecniche Nuove, 2007), una guida turistica nel mondo dei blog e dei social software; e Come si fa un blog (Tecniche Nuove, 2004), libro pratico per fare i primi passi nel mondo dei siti personali di nuova generazione. Con lui parleremo delle opportunità che questo “nuovo modo di vivere la rete” offre alle persone disabili (ma non solo) in termini di relazioni sociali, rispetto dei diritti e libera espressione.

Che cos’è il web 2.0 e cosa sono le reti sociali?
Web 2.0 non è altro che il nome che abbiamo dato alla nostra nuova consapevolezza nell’uso di internet. Una consapevolezza che è stata favorita, a partire dal 2000, dal diffondersi dei blog (diari per le idee, il modo più semplice ed economico che abbiamo oggi per pubblicare contenuti su internet), dei wiki (siti collaborativi come Wikipedia), dei podcast (serie di brani audio, una sorta di trasmissione radiofonica o televisiva personale) e dei social network (applicazioni web basate su reti sociali). Il web in realtà è sempre lo stesso, non c’è stata alcuna evoluzione tecnologica in senso stretto: quel 2.0 è solo un vezzo divulgativo, che io nemmeno amo troppo. È cambiato invece il modo in cui percepiamo il nostro ruolo di nodi all’interno di questa rete sociale. Come dire: abbiamo cercato di fare del web una televisione giusto un po’ più complicata, lasciando spesso l’iniziativa alle grandi aziende, mentre ora stiamo finalmente comprendendo che abbiamo di fronte un mezzo di comunicazione nuovo, che lascia spazio a tutti e dentro il quale tutti abbiamo l’opportunità di rappresentare noi stessi e le nostre idee su una scala potenzialmente planetaria.
I social network, in particolare, sono ambienti che abbinano una dimensione sociale ai classici servizi online (comunità virtuali, servizi di pubblicazione e archiviazione di contenuti, punti di incontro fra domanda e offerta di lavoro). Gli automatismi dei social network valorizzano i contenuti messi a disposizione dal singolo iscritto, ma soprattutto permettono di far emergere spontaneamente i contenuti ritenuti più interessanti dalla comunità nel suo complesso. Chi si iscrive condivide i suoi contenuti e traccia le relazioni che lo uniscono ai propri amici o colleghi. L’insieme delle interazioni tra questi individui e tra questi gruppi sociali aggiunge alle funzionalità di base effetti su vasta scala, che generano valore in modo del tutto spontaneo e automatico.
Un esempio. Condividere fotografie su un social network come Flickr, invece che su un servizio di pubblicazione chiuso al suo interno, permette di far circolare le immagini con molta facilità dentro la propria rete sociale di amici e conoscenti iscritti allo stesso servizio. Se la fotografia riscuote consenso, attraverso le segnalazioni dei propri contatti e attraverso le loro reti sociali, questa può incontrare nuovi ammiratori. La condivisione di parole chiave consente di mettere in relazione tra loro fotografie simili per soggetto o tecnica, anche se i rispettivi autori non si conoscono o abitano dall’altra parte del mondo. Il filtro spontaneo e distribuito continuamente sollecitato dalle attività dei singoli iscritti premia le immagini più interessanti, facendole emergere e proponendole all’attenzione generale.

Per una persona disabile che opportunità può presentare questa evoluzione della rete?
Finora ci siamo dovuti accontentare di un racconto del mondo secondo filtri di massa, applicati per noi da chi aveva capitali, spirito imprenditoriale e potere sufficienti a controllare i canali di emissione. Internet ha avviato uno straordinario spostamento di potere (mediatico, politico, culturale) da quest’oligopolio di fonti alle persone. Su internet le nicchie che il mercato di massa giudicava antieconomiche, e dunque ignorabili, diventano una ricchezza, come dimostrano alcuni nuovi modelli economici. Un esempio banale: una libreria on line, superando i limiti fisici del punto vendita e commercializzando un catalogo potenzialmente pari alla totalità dei libri stampati, vende pochissime copie ma di tantissimi libri, e la somma di tutte queste nicchie vale più del giro d’affari delle librerie tradizionali arroccate intorno a pochi bestseller. È l’idea della “coda lunga”: c’è spazio per tutto e per tutti, non c’è filtro in entrata, ogni nicchia di interessi ha la sua possibilità di trovare un suo “mercato””.
Come può riguardare i disabili questa novità? Beh, innanzitutto oggi i disabili hanno la possibilità di vedere rappresentato il proprio racconto del mondo al pari di quello di chiunque altro. Non sarebbe una notizia in sé, se nel racconto di massa di cui abbiamo appena parlato i disabili avessero effettivamente avuto pari dignità, cosa che non mi pare sia stata. Il resto non riguarda le opportunità in quanto disabili, ma le opportunità in quanto persone. La Rete esalta le differenze, aiuta a far incontrare chi ha idee, interessi e caratteristiche simili, favorisce il confronto tra i diversi sguardi sul mondo. Una volta raggiunta la Rete – e so bene che questo passaggio apparentemente banale può nascondere difficoltà enormi, che pure oggi vengono ridotte con soluzioni hardware o software sempre più a portata di mano – un disabile prende il pieno possesso della propria socialità digitale così come chiunque altro.

Questo che effetti può avere sul rispetto dei diritti delle persone svantaggiate?
Se il racconto del mondo è più vario e si arricchisce di percezioni e punti di vista, anche le soluzioni alla crescente complessità contemporanea possono essere più rispettose dei diritti e delle necessità di tutti. È un diritto che assume connotazioni attive: io divento il primo garante del rispetto dei miei diritti, il primo ad agire perché siano riconosciuti e salvaguardati. Non mi posso più nascondere dietro l’inefficacia di un’istituzione miope o insensibile.

In particolare quali strumenti del web possono essere utili per un disabile? (particolari reti sociali, strumenti del web 2.0…)
Non riconosco la categoria “disabile” su internet. Anche perché so bene l’enorme varietà di situazioni che questa parola rappresenta. Di nuovo: parliamo di persone. Non credo avrebbe senso un social network di disabili, per esempio. Sarebbe un modo per rifugiarsi in un recinto rassicurante, ma poco efficace per fare qualcosa che già non facciano gli ottimi siti monografici che esistevano anche prima di questo benedetto web 2.0. I disabili sono persone e ogni persona ha caratteristiche, interessi, professionalità, scopi differenti. Il bello dei blog e dei social network è che ognuno può fare il suo percorso, secondo le predisposizioni individuali.
Qualche idea? Beh, innanzitutto aprire un blog su una delle tante piattaforme gratuite disponibili (Splinder, Blogger, Typepad, IlCannocchiale, ecc.): serve a raccontare, a raccontarsi, a mettere in circolo la propria voce, a sperimentare la bidirezionalità della comunicazione, a stimolare il confronto pubblico nei commenti, a scoprire le analogie spontanee che si creano tra i propri contenuti e quelli altrui, a espandere la propria rete sociale. Il blog è il modo più rapido per popolare il nostro punto di presenza sulla grande rete sociale di Internet. Dopodiché credo che nessuno che ami la fotografia possa fare a meno di provare Flickr (www.flickr.com), chiunque si diletti di riprese video amerà YouTube (www.youtube.com), chi ama la musica scoprirà nuove frontiere grazie alla condivisione dei gusti di milioni di persone su Last.fm (www.last.fm), via via fino a servizi specializzati come quelli per condividere curriculum e professionalità (LinkedIn, www.linkedin.com, o Neurona, www.neurona.com).

Hai delle storie che ti sono capitate in rete o ti ricordi episodi specifici che riguardano il nostro tema?
La tua domanda mi dà l’occasione di ricordare Francesco Grossi, noto in Rete col suo nick ZoneX, che ci ha lasciati proprio alla fine dell’anno scorso. Era ipovedente, aveva grosse limitazioni nell’accesso al pc e a Internet, e su questi temi ha condotto la sua personale campagna di sensibilizzazione. Ma poco importa qui la disabilità specifica: Francesco era una persona che aveva molto da dire, aveva capito che poteva dirlo senza attendere che gli venisse dato un microfono e intorno ai temi che gli stavano a cuore era stato capace di creare una fitta rete sociale.

Quali sono i limiti o le tendenze preoccupanti che può avere il web 2.0 per un disabile (se ve ne sono)?
Spesso in Rete si finisce per mettere in gioco molto di se stessi, senza rete – se mi concedi il gioco di parole. La percezione di ciò che è pubblico e di ciò che è privato, oppure della responsabilità che comporta ogni nostra azione on line, sono spesso sottovalutate. Ecco, ancora una volta la disabilità in sé non c’entra, ma a maggior ragione è bene essere sempre padroni della situazione e non lanciarsi in esplorazioni che non si è in grado di sostenere senza stress.

Se tu dovessi lanciare in rete un’iniziativa riguardante la disabilità e che sfruttasse la “parte abitata della rete” che cosa ti verrebbe in mente?
Semplicemente inviterei tutti i disabili a entrare, nei tempi e nei modi che sono loro possibili, nella parte abitata della Rete. Ne può esistere una sola, secondo me, pur con tutte le sue innumerevoli declinazioni. E così come non conosce confini geografici, non conosce di certo preferenze per le diverse abilità individuali, se non per quelle che – condivise – arricchiscono tutti.

Per contattare l’autore: www.sergiomaistrello.it

YouTube: video per la diversità?

YouTube è uno dei più popolari siti della rete per un semplice motivo: permette di vedere e pubblicare dei video in modo semplice e gratuito. Fra i siti appartenenti al web 2.0, ovvero quei siti che permettono un’ampia partecipazione degli utenti, riscuote un particolare successo perché gestisce lo strumento per comunicare più amato dalla popolazione mondiale, il filmato. Soprattutto per noi italiani, che abbiamo un rapporto così stretto con la televisione, il poter vedere e trattare immagini sul web non può che essere un motivo di grande attrazione.
A queste considerazioni ne segue anche un’altra, ovvero la grande pubblicità che molti media hanno fatto a YouTube soprattutto parlandone in termini negativi, come il luogo dove bande di giovani “bulli” pubblicavano le loro bravate o venivano documentati fatti di tematica sessuale.
Sulla rete non esiste solamente questa esperienza, ne esistono molte con caratteristiche diverse, ma noi oggi ci occuperemo solo di YouTube raccontando, oltre a come funziona, come può essere usato per parlare di disabilità.

Come funziona
Per poter utilizzare YouTube in modo completo occorre iscriversi al sito (procedura semplice e gratuita), una volta compiuta questa operazione possiamo non solo vedere le centinaia di migliaia di video pubblicati ma anche caricarne di nostri, di segnalare quelli che preferiamo, di realizzare addirittura un nostro canale televisivo privato. Ma andiamo con ordine.
Guardando il sito da registrati notiamo in alto a destra uno spazio per la ricerca: inserendo qui una o più parole chiave possiamo cercare i video che a noi interessano; una volta fatta la prima ricerca, si può raffinare la stessa cliccando sul pulsante a destra (Opzioni avanzate) dove possiamo scegliere la lingua, la durata, la definizione…
Il sito automaticamente propone dei video che “potrebbero” piacere all’utente registrato basandosi sui suoi gusti (che sono dedotti dalle sue ricerche precedenti). Così come consiglia utenti dai gusti simili ai nostri con cui venire in contatto.
Sempre in alto a destra appare il nome con cui siamo registrati, cliccando sul quale possiamo gestire il nostro profilo, vedere i nostri video preferiti e tanto altro ancora.
Ma il pulsante più importante è quello giallo a destra un po’ più in basso (Carica video). Da qui possiamo caricare i video già realizzati in precedenza o in tempo reale ripresi con la webcam del proprio computer; non si possono caricare video di dimensioni maggiori di 1 giga e non più di 10 alla volta, ma per tutte queste informazioni tecniche, sul sito è presente anche un piccolo manuale.

“Broadcast yourself”
Questa rapida descrizione serve a far capire tutte le potenzialità che offre YouTube; possiamo in questo modo creare un vero e proprio canale televisivo personale dove segnaliamo i video che ci piacciono, carichiamo i nostri e mettiamo in relazione con altri utenti la nostra televisione personale. È come se fossimo dei dj (anzi dei vj) che producono le proprie compilation. Potendo ogni persona creare un canale televisivo diverso (inoltre a quelli che preferiamo possiamo anche “abbonarci” gratuitamente) è possibile la loro moltiplicazione all’infinito, portando a un’offerta di video veramente sterminata.
Sui mezzi televisivi normali la disabilità ha sempre avuto uno spazio ristretto e, quando lo ha avuto, molto spesso è stato relegato in rubriche o in luoghi dove i toni spettacolari o, più raramente, i toni patetici prendono il sopravvento. In spazi come YouTube invece è possibile informarsi e fare informazione sulla disabilità in un modo diverso, saltando certe imposizioni esterne e basandosi solo sulle proprie capacità personali e sui propri desideri di conoscenza.
È chiaro che questo sistema incontra alcuni limiti: innanzitutto la platea a cui si rivolge un filmato su YouTube è solo potenzialmente planetaria ma di fatto viene visualizzato da un numero di persone sicuramente minore rispetto a quelle che lo potrebbero vedere su un canale televisivo come la Rai o Mediaset. Poi sulla qualità di ciò che vediamo, sulla sua correttezza, dobbiamo fidarci della persona o del gruppo che lo propone; questa fiducia la si può costruire in rete solo attraverso delle ricerche e dei confronti con altri utenti (oltre che basarsi sulla propria capacità critica).

Una tivù solo sulla disabilità
Proviamo adesso a costruire un canale televisivo solamente con del materiale video riguardante la disabilità, ed escludiamo per questa volta una produzione nostra; mettiamoci nei panni di produttore televisivo che vuole creare un canale tematico ad hoc, senza doverci preoccupare delle spese per il copyright, visto che i video sono presenti in rete e noi li segnaliamo semplicemente creando una compilation che un nostro “telespettatore” può seguire a piacimento.
Cominciamo fin da subito con una ricerca avanzata mettendo come parola chiave “disabilità” e come requisito la lingua italiana.
Il risultato ci dà ben 2.590 video pubblicati su YouTube: solo come numero, anche facendone una selezione accurata guardando la congruità dei filmati e la loro qualità, ce ne sarebbero a sufficienza per fare una programmazione tutta diversa per alcune settimane di visione continua.
Il primo risultato ci racconta in un modo diretto e non enfatico le difficoltà che una donna romana in carrozzina incontra negli spostamenti quotidiani con propri mezzi per la città. I filmati successivi trattano ancora di barriere architettoniche, domotica, diritti dei disabili, sport, fatti di cronaca, politica… Si deve tenere presente che la ricerca iniziale può essere modificata e possono essere usate parole chiave come “disabili”, “handicap”, “diversabilità”… ; queste ricerche generano risultati simili ma sicuramente troveremo anche dei nuovi filmati.
A questo punto decidiamo di organizzare il materiale per tema; costruiamo un canale tematico solo sulle barriere architettoniche e cominciamo a segnalare tra i preferiti all’interno del nostro profilo i video che ci sembrano migliori. Questi video li possiamo organizzare dandogli un rilievo diverso (in cima a una lista o più sotto). Per adesso non è possibile con YouTube creare delle sottocartelle o organizzare meglio i propri video, ma in futuro le cose possono cambiare.
Adesso ripetiamo la ricerca, però selezionando non i video ma i canali (channels, ovvero utenti con un profilo come il nostro). Facendo così arriviamo a conoscere delle raccolte di video già organizzati a cui possiamo iscriverci e che appariranno visibili anche sul nostro canale.
Con un po’ di pazienza potremmo offrire un servizio informativo di un certo livello a cui i nostri “telespettatori” potranno accedere quando vogliono; infatti sul web non vale più la programmazione oraria ma è come se si avesse una videoteca sempre presente (basta essere on line) a cui attingere liberamente e nel momento in cui possiamo farlo.
Per completare il nostro lavoro basta solo una buona promozione del nostro canale, affinché possa essere ritrovato non solo attraverso una ricerca libera; questo risultato può essere ottenuto in modi diversi, ad esempio con la spedizione di un comunicato ai media e ai siti che si occupano del tema, oppure intervenendo nelle mailing list e nei forum specializzati, o creando delle pagine apposite sulle reti sociali come Facebook o Myspace.