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autore: Autore: di Tristano Redeghieri

SPORT AGEVOLI/Emozioni e sensazioni di “giovane” integrazione, attraverso lo sport a scuola

Con il gruppo Calamaio RE-MO (Reggio Emilia e Modena) ho concluso nel 2011 un ciclo di tre percorsi con tema lo sport a Correggio (RE) presso le scuole medie “Andreoli. Marconi”. Ogni percorso è formato da cinque incontri: due con gli insegnanti (programmazione e verifica) e tre con tutto il gruppo classe. Sto scrivendo con una forte emozione nel cuore perché questi percorsi sono stati possibili grazie al contributo economico, donato alla scuola, dal “Trocia Beach”. Molti di voi si chiederanno cos’è il “Trocia Beach”. Per saperlo accendete il vostro computer e digitate sul vostro motore di ricerca “Trocia Beach” e vi si aprirà la home page, cliccate su “storia” e vi comparirà una foto. La foto di Trocia, ovvero Marco Ferrari, uno dei miei migliori amici, che a soli 32 anni, dopo aver giocato con il cancro è morto. Nulla di più azzeccato era quello di organizzare un torneo di beach volley per ricordare e raccontare chi era Marco. Strano associare il gioco e lo sport alla morte, ma Marco si è sempre divertito, sia in salute che in malattia, come c’è scritto da qualche parte. E anche nella sofferenza e nel dolore ci metteva quel pizzico di autoironia per far superare a chi gli era di fianco, in quei momenti, la difficoltà nel relazionarsi con lui. Una difficoltà, la paura di perdere un caro amico, ti poteva allontanare da lui, ma grazie al suo divertimento Marco ti includeva nella sua vita. Ora non voglio stare qua a descrivere la storia di Marco, perché l’obiettivo dei percorsi sullo sport non era questo, ma quello di far capire che un handicap, o chiamiamola difficoltà, se conosciuta può diventare anche divertente ed è più facile affrontarla e quindi superarla. Lo sport è pieno di difficoltà, difficoltà che a volte escludono. Ecco, noi del gruppo Calamaio di RE-MO abbiamo cercato di far capire, “macchiando” questi ragazzi, che le difficoltà sportive –
cambiando alcune regole – possono diventare divertenti e quindi includere tutti. Invece di descrivere le tappe di questo percorso voglio dar voce ai veri protagonisti di questa esperienza per far sì che le loro emozioni e la loro esperienza di integrazione “macchino” un po’ anche voi lettori.
Buona lettura.

Una studentessa, dopo il primo incontro
“Sono venuti in palestra nella nostra scuola un trio di ragazzi (di cui una sulla sedia a rotelle) che si chiamano Denny, Stefania e Tristano. I professori ci avevano detto che avremmo svolto un progetto di nome Calamaio con tema lo sport, ma noi non avevamo idea di che cosa si trattasse e sono sicura che nessuno avrebbe mai pensato di fare ciò che in realtà abbiamo fatto. Appena arrivati ci siamo riuniti tutti insieme in una parte della palestra (anche i professori della nostra classe si sono seduti in cerchio in mezzo a noi!) e ci hanno distribuito un foglietto e una biro. Dovevamo scrivere il nostro nome, il tipo di sport praticato, il nostro idolo sportivo (se ne avevamo), il perché è importante svolgere sport e i lati positivi e negativi di quest’ultimo. Dopo pochi minuti abbiamo letto le nostre risposte e sono uscite delle cose molto interessanti. Questo gioco ce lo hanno fatto fare per farci conoscere meglio, facendoci notare che anche il più diverso da noi ha delle cose in comune con gli altri. Dopo questa attività di conoscenza, tutti pensavamo che ci avrebbero fatto giocare a basket, calcio o qualunque altro sport, ma ci sbagliavamo. Uno dei ragazzi si è alzato in piedi e si è avvicinato a una parete della palestra dove erano stato attaccati quattro fogli grandi e ci disse che avremmo giocato al gioco delle “Associazioni di Idee”. Su ogni foglio ha scritto, una alla volta quattro parole: Idolo Sportivo, Pallone, Atleta e Handicappato. Con ognuna di queste quattro parole dovevamo associare e dire tutto quello che ci veniva in mente pensando ad esse, senza aver paura di offendere e senza nessuna censura. Dopo un po’ avendo esaurito le idee, abbiamo riflettuto sulla positività o negatività e abbiamo notato che nella parola Handicappato c’erano più parole negative che positive rispetto alle altre tre parole proposte dal trio del Calamaio. Riflettendo siamo arrivati a parlare dell’uguaglianza o diversità delle persone e abbiamo scoperto che siamo tutti uguali e diversi e non uguali o diversi come sostenevano alcuni miei compagni. A quel punto è arrivata la parte più divertente. Per farci capire come una difficoltà può essere divertente ci hanno diviso in due squadre che si sarebbero sfidate nella velocità, ma con un piccolo dettaglio: dovevamo muoverci sulla carrozzina, come la ragazza del gruppo Calamaio appena conosciuta. È stato divertentissimo! Abbiamo capito, grazie a queste prove di velocità, che se uno si diverte la difficoltà può essere superata e così nessuno viene escluso! Eravamo così impacciati nel muoverci con la sedia a rotelle. Poco dopo è giunta l’ora di salutarci. Ci hanno detto che il loro compito era di lasciare una piccola “macchia” dentro di noi (da questo il nome Calamaio) e di farci divertire. Li abbiamo salutati calorosamente con la speranza che anche gli altri due incontri sarebbero stati così divertenti e significativi. Mi è piaciuta l’esperienza e mi ha fatto riflettere molto. Quel trio ci ha proprio stupito, per così dire. Come dicevo prima nessuno di noi si sarebbe mai immaginato di gareggiare su carrozzine e divertirsi!”.

Uno studente, dopo il secondo incontro
“Appena siamo arrivati, gli animatori del gruppo Calamaio ci hanno chiesto di leggere le consegne che ci avevano detto di fare. Che emozione leggere le proprie impressioni davanti a tutti!
Tra l’altro è stato molto interessante sapere cosa avevano scritto gli altri e ci siamo accorti che ognuno di noi aggiungeva un pezzo come se fosse un puzzle che si andava completando man mano che i miei compagni leggevano. Finito di leggere tutti ci hanno spiegato la differenza tra deficit (mancanza) e handicap. Abbiamo scoperto che handicap non vuole dire altro che difficoltà. Quindi abbiamo ripreso un po’ i concetti del primo incontro. Dopo ci hanno divisi in tre squadre e fatti mettere in cerchio e fatti giocare a Palla Cerchio. Il gioco consisteva nel portare la palla da un lato all’altro della palestra senza farla uscire del cerchio formato da noi. Facendo questo gioco ci siamo accorti che tra di noi non comunicavamo, che ognuno faceva quello che voleva senza condividerlo e che non sempre velocità è sinonimo di vittoria. Infatti la prima prova è stata vinta dal gruppo dove c’era Stefania, l’animatrice in carrozzina perché il pallone è uscito meno volte”.

Gli studenti, dopo il terzo incontro
Il terzo incontro si è aperto con una domanda: “Quando lo sport integra davvero?”. Ecco le impressioni degli studenti, dopo aver provato a mettersi in gioco.
“Abbiamo partecipato all’ultimo incontro del Progetto Calamaio, credo che in generale sia stato il più emozionante perché abbiamo giocato a Basket, cambiando molte regole e facendo in modo che tutti avessimo un ruolo ben preciso, e che nessuno venisse escluso. Questa serie di incontri mi sono molto piaciuti perché hanno un aspetto molto originale rispetto ad altri progetti”.
“Io mi sono sentita coinvolta nel gioco, a differenza delle altre volte, in cui spesso venivo isolata”.
“Questo Progetto mi è piaciuto molto, ed è stato divertente e utile per capire che anche se non sei molto brava in uno sport, non vuol dire che tu non possa giocarci. Molte volte quando si gioca, anche tra amici, se non sei brava vieni esclusa. Con questo Progetto ho capito che le regole di un gioco si possono anche adattare a te e alle tue esigenze”.
“Ho trovato difficoltà ma poi con l’aiuto dei miei compagni sono riuscita persino a giocare a palla. Infine abbiamo cambiato le regole al Basket, e per la prima volta mi sono divertita in una partita di Basket. Ognuno aveva il proprio compito già stabilito in precedenza, anche Stefania ha giocato e io sono riuscita persino a fare tre canestri! Quindi come ci hanno detto loro all’inizio: sono davvero riusciti a lasciarci una macchia dentro!”.
“L’ultima lezione del Progetto Calamaio mi è molto piaciuta, perché siamo stati noi i veri protagonisti della lezione, giocando nel vero senso della parola. Cambiando le regole ogni volta che ci stavamo annoiando. L’ho trovato molto bello e interessante”.
“Per me è stato molto eccitante e interessante, perché ci siamo messi in gioco e abbiamo esposto le nostre opinioni, su vari argomenti. Mi dispiace che questo Progetto lo abbiamo fatto solo quest’anno”.

SPORT AGEVOLI/ “Mi piace un gioco quando mi diverto”

Come ho scritto in un articolo precedente su “HP-Accaparlante”, lavoro per una società sportiva “Anni Magici” di Cavriago (RE). “Anni Magici” si rivolge soprattutto ai bambini da 1 a 10 anni perché questo periodo rappresenta un’occasione unica per acquisire un’ampia base motoria. Gli obiettivi che propone questa società sportiva sono tanti ma quello che condivido maggiormente è quello di operare in modo privilegiato con i bambini, per fare in modo che il loro approccio con l’attività motoria sia un momento prevalentemente ludico, che miri al consolidamento degli schemi motori di base e allo sviluppo di un’immagine di sé positiva. Ecco le parole magiche: dare un’immagine positiva di sé. A proposito di questo vi voglio rendere partecipi di cosa significa per me lavorare coi bambini sull’identità positiva del sé attraverso l’attività motoria. Recentemente ho proposto un percorso di dieci lezioni con due terze della scuola primaria “Bruno Munari” di S. Ilario d’Enza (RE). Tutte le lezioni iniziavano con una presentazione. I bambini disposti in cerchio si presentavano e rispondevano a una domanda del tipo: “Cosa hai mangiato stamattina? Cosa ti piacerebbe fare da grande? Qual è la tua materia preferita? Cosa farai nel pomeriggio?”. Questi quesiti avevano l’intento di creare un’atmosfera piacevole, amicale ma soprattutto accogliente. Ma la domanda chiave cui tenevo particolarmente, che ho posto per una conoscenza approfondita dei miei piccoli atleti, era: “Quando ti piace giocare?”. Le risposte che ho ricevuto sono state molto varie: “Mi piacciono i giochi di movimento, preferisco giocare in gruppo”… Una risposta mi è sembrata interessante: “Mi piace un gioco quando mi diverto”. Di rimbalzo ho subito domandato ai bambini quando si divertivano a giocare. Alcuni hanno sottolineato che un gioco è divertente se tutti partecipano, senza nessuna esclusione. È bello anche se gioca il bambino lento, poco coordinato e anche quello che fa fatica a rispettare la regola del gioco. Solitamente questi bambini hanno un’immagine negativa su di sé, ne soffrono, faticano a trovare uno spunto al cambiamento. Riflettendo su questa realtà dei fatti ho proposto ai bambini di S. Ilario di inventare e/o modificare dei giochi per permettere a tutti di divertirsi, sperimentarsi, esultare. Desideravo che tutti i bambini avessero un ruolo attivo e si sentissero protagonisti senza il timore di essere giudicati. Volevo che anche gli alunni meno abili, più timidi, più scalmanati, i meno e più rispettosi delle regole, proponessero liberamente le loro idee e potessero avere la possibilità di sperimentarle modificando le regole del gioco. Unica condizione: tutti dovevano giocare senza nessuna esclusione. In questo modo si sarebbero sentiti anche responsabili della buona riuscita del gioco. Tutti i bambini hanno accettato con entusiasmo questa proposta. Le idee emerse sono state sorprendenti. Tutti, seppure con modalità diverse, hanno cercato di partecipare alla realizzazione di un gioco adatto a tutti. Ne sono stati inventati sette, che adesso vi elenco: “Le renne di Babbo Natale”, “Mi guardo allo specchio”, “Palla aria”, “Il leone e la tigre”, “Prendili tutti”, “Palla treno”, “Canestro riga”. I giochi sono stati poi sperimentati dai bambini stessi. Ovviamente è stato un sucessone e ancora una volta ho avuto la conferma che il gioco è per sua natura educante; è infatti attraverso di esso che il soggetto impara a conoscere il mondo, a sperimentare il valore delle regole, a stare con gli altri, a gestire le proprie emozioni, a scoprire nuovi percorsi di autonomia e a sperimentare per tentativi e errori le convinzioni sulle cose e sugli altri. Ma se il bambino sta sempre fermo perché viene eliminato per primo e sta 30 minuti senza giocare o si rifiuta di farlo perché non riesce a eseguire l’esercizio, cosa succede? Succede che il bambino verrà sempre scartato dagli altri e verrà visto come un perdente. I suoi compagni percepiranno solo un’immagine negativa e probabilmente verrà percepito così anche dagli adulti. Ringrazio quindi di cuore gli alunni della terza A e terza B della scuola elementare “Bruno Munari” di S. Ilario che hanno provato, divertendosi, a modificare i giochi per coinvolgere tutti in modo attivo. In questo modo si sono autotrasformati, senza esserne consapevoli, da alunni a “istruttori di cambio di immagine”. Grazie ancora, esteso ovviamente anche alla maestra Laura.

Le renne di Babbo Natale
Regole: in base al numero di giocatori si formano diverse squadre da almeno 4 bambini e si dispongono in fila indiana, separate ciascuna da alcuni metri. Quando la maestra dà il via, parte il primo bimbo di ogni fila, cioè la prima renna, che deve correre in avanti e girare intorno a un cono posizionato in precedenza ad almeno 5 metri di distanza. La renna, terminato il percorso, torna indietro dalla squadra e prende per mano la seconda renna e, sempre per mano, ripercorrono il percorso e così via. La squadra che per prima termina il percorso vince. Si possono cambiare le squadre e il percorso.
Scopo: riuscire a finire il percorso prima della squadra avversaria. Modifiche: i bambini si attaccano in fila indiana. Si prende un cerchio e i bambini devono fare il percorso dentro al cerchio.

Mi guardo allo specchio
Ambiente: qualsiasi.
Numero di giocatori: da 2 bambini in su.
Regole: si dividono i bambini in coppia.
In ogni coppia i bambini si posizionano uno di fronte all’altro per circa 30 secondi, il bambino B deve modificare qualcosa del suo aspetto; ad esempio cambierà la posizione del braccio, si slaccerà la scarpa. Dopo 30 secondi il bambino dovrà guardare di nuovo il bimbo B e indovinare tutto ciò che ha modificato del suo aspetto.
In seguito la coppia si scambierà i ruoli e, chi tra i 2 avrà indovinato più cose nell’aspetto dell’altro, vincerà la gara.
Per rendere la gara più appassionante è possibile fare un vero e proprio torneo con un vincitore finale.
Modifiche: 1 o più bambini escono dalla classe e gli altri dovranno spostare gli oggetti posizionati all’interno della palestra. Dopo un tempo stabilito chi è fuori rientra in palestra e dovrà indovinare che cosa è stato cambiato.
Questo gioco si può fare anche in classe.

Palla aria
Materiale: palla
Ambiente: palestra o spazio all’aperto.
Ci sono due squadre (A-B), l’arbitro lancia la palla e dice: A (o B). La squadra nominata deve passarsi la palla e l’altra squadra che difende deve cercare di prenderla.
Vince chi riesce a fare più passaggi possibili in un tempo prestabilito.
Modifiche: per difendere, le mani si mettono dietro la schiena. Tutti devono toccare la palla.
Chi ha già ricevuto e passato la palla si deve fermare con le braccia in alto per far capire che l’ha già ricevuta ( in questo caso vince la squadra che in minor tempo possibile riesce a far toccare a tutti la palla).

Il leone e la tigre
Ambiente: palestra.
Si scelgono 4 bambini, 2 faranno i cacciatori, uno la tigre e l’altro il leone.
I cacciatori devono prendere le gazzelle e portarle in gabbia.
Il leone e la tigre hanno il compito di liberare quelli in gabbia (materassone). Il gioco dura 15 minuti: se alla fine del tempo, la tigre e il leone sono ancora liberi vincono loro. Se invece vengono catturati tutti e due vincono i cacciatori.
Modifiche: se qualcuno viene toccato deve decidere se dire gabbia o foresta, se dice gabbia viene portato sul materassone, se invece dice foresta deve stare fermo con le gambe aperte finché non arrivano due persone che hanno il compito di liberarlo. Quando arrivano davanti deve dire alto o basso e se dice alto deve passare sotto le braccia dei due e poi è libero; invece se dice basso, deve passare sopra. Le due persone che liberano non possono essere catturate dai cacciatori.

Prendili tutti
Ambiente: palestra.
Ci sono due squadre (A-B), la squadra A è in fila dietro la linea gialla e l’altra squadra è sparsa per la palestra oltre la linea gialla. Quelli della squadra A devono prendere quelli della squadra B, se uno viene preso è eliminato e se uno esce dal campo delimitato viene eliminato.
Modifiche: se uno viene preso da un avversario, non viene eliminato ma resta fermo con le gambe aperte e con le braccia fuori e viene liberato da un amico che gli passa sotto le gambe o che gli batte le mani.

Palla treno
Ambiente: palestra.
Materiale: 1 pallone.
Regole: ci sono due squadre, si mettono a fondo campo disposte su due file. I giocatori, uno dietro l’altro, si mettono a gambe divaricate.
L’ultimo deve passare la palla sotto le gambe dei compagni e farla arrivare al primo della fila.
Il primo della fila la prende e la lancia in alto una volta, poi la fa rotolare fino a metà campo, la prende, si gira, lancia la palla in alto e torna in fila dietro a tutti i compagni.
Vince chi rispetta tutte le regole e finisce prima la fila. Fare lo stesso percorso bendati.
Modifiche: l’ultimo della fila passa la palla sotto le gambe e anche chi ha lanciato la palla passa sotto le gambe, preleva la palla del primo della fila e fa il percorso stabilito. Fare lo stesso percorso bendati. Chi è bendato viene guidato dal compagno.

Canestro riga
Ambiente: palestra.
Materiale: palloni.
Si dividono i bambini in 2 squadre e si posizionano in fila davanti al canestro. Il primo lancia la palla e deve fare canestro. Chi ha tirato a canestro deve recuperare la palla e poi consegnarla al secondo della fila e così via.
Vince la squadra che fa più punti.
Modifiche: si tracciano tre righe, una a 2 metri, una a 3 e una a 4 metri dal canestro. Ogni bambino decide da dove tirare. I punti vengono dati in base ai metri dai quali si fa canestro: se si fa canestro da due metri vale 2, da tre vale 3 e da quattro vale 4 punti.
Si mette un cerchio sotto al canestro legato da una funicella. Chi centra il cerchio porta un punto alla propria squadra.
Si possono cambiare palloni: non solo quelli da basket ma anche da pallavolo, morbidi, palline da tennis…
Non c’è nessun vincitore ma i punti delle due squadre vengono sommati. Il punteggio totale sarà il record della classe che dovrà essere migliorato.

Sport agevoli – Oggi gioco anch’io!

Per dieci anni sono stato responsabile di un progetto, denominato “L’Ottavo Giorno”, che aveva come scopo primario quello di integrare nella società soggetti disabili giovani e adulti attraverso il divertimento. Il mio compito era quello di organizzare il tempo libero di una trentina di soggetti in situazione di handicap proponendo loro attività ludiche di vario tipo.

Tra le tante attività c’erano anche quelle sportive. Collaborando con altri operatori di progetti simili della provincia di Reggio Emilia, è nato “Sportissimo”: un weekend di gare sportive che comprendevano discipline che spaziavano dal calcetto all’atletica.
Nella giornata dell’atletica gareggiavano solo gli atleti disabili dove i volontari normodotati fungevano da giudici. Nel torneo di calcetto invece le squadre erano miste, cioè composte sia da disabili che da normodotati. Si giocava con le regole standard: se la palla va fuori è rimessa laterale, se va in rete è goal. Però ce n’era una non scritta che stava sempre lì e che ogni anno vedevo aleggiare nell’aria: l’importante è che i disabili si divertano e che facciano bella figura. Cosa voleva dire questo? Voleva dire che i volontari si facevano scartare apposta o si facevano fare goal facendosi passare la palla sotto alle gambe? Se un volontario faceva goal veniva fischiato o deriso. Tutti atteggiamenti che facevo molta fatica a digerire e accettare e puntualmente rientravo a casa sconsolato senza essermi divertito, cercando di dare un senso ai miei pensieri che non trovavano una soluzione. Poi alla fine mi dicevo: “Ma sì dai, l’importante è che i ragazzi disabili si siano divertiti”.
Non avevo la forza per cambiare, dentro di me, questo stato di fatto. Forse perché mancava qualcosa a cui non riuscivo dare un nome.
Tutto questo succedeva finché non ho incontrato Andrea Margini (collega e allenatore della squadra giovanile di basket in carrozzina di Reggio Emilia) che ho conosciuto in occasione di un convegno organizzato dal Centro Documentazione Handicap di Bologna. Sul suo camper abbiamo preparato l’intervento che dovevamo tenere assieme al convegno dal titolo “La disabilità non va in fuori gioco” (titolo preso in prestito dal mio collega e amico Luca Baldassarre).
Dopo un paio di ore trascorse insieme, ascoltando le sue parole e visionando i suoi filmati di baskin, piano piano si fecero largo nella mia mente due parole che andavo ricercando da tanto tempo: regole e ruolo.
Le regole precise in base alle capacità motorie che permettono a ogni giocatore di avere un ruolo ben preciso che si carica di un significato ben preciso ma anche di emozioni e responsabilità.
Regole e ruoli adeguati consentono di dare responsabilità a tutti i partecipanti al gioco, sia disabili che normodotati, e di cancellare quell’atteggiamento assistenziale che i volontari tenevano nei confronti dei giocatori disabili durante il torneo di calcetto descritto sopra.
Uscito dal quel camper un’altra domanda mi assediava: ma il gioco-sport è veramente integrazione? E quando uno sport è veramente integrazione? Esemplificando: se io, che sono normodotato, mi trovo in un campetto da basket e ci sono solo ragazzi in carrozzina che stanno giocando a pallacanestro, io per poter giocare insieme a loro devo sedermi in carrozzina? E se non mi metto seduto non gioco?
Un giorno di primavera, osservando i miei tre figli che giocavano con i loro amici ho trovato anche questa risposta amletica. Mi ero accorto che ogni tanto qualche bambino era escluso perché le regole del gioco non erano adatte al suo essere e alle sue capacità motorie e si fermava a guardare gli altri o, peggio, delle volte tornava a casa arrabbiato. Vedendo queste scene la mia idea si confermava sempre di più: il gioco e lo sport non integrano… anzi! Le difficoltà dei bambini e adulti, sia motorie che emozionali (tensione, stress, frustrazione nel non riuscire) sono veicolo di esclusione.
Non me ne facevo una ragione, dovevo provare a cambiare questa idea che si era instillata dentro di me.
Giacché ho la fortuna, oltre che lavorare al Centro Documentazione Handicap, di insegnare motoria ai bambini dagli 0 ai 5 anni, per la società sportiva “Anni Magici” di Cavriago (RE), ho preso subito la palla al balzo. All’interno di una lezione avevo previsto l’attraversamento del ponte tibetano, costruito con due funi legate a un albero, una sopra all’altra, a una altezza di un metro la prima e un metro e mezzo la seconda. Dopo aver fatto sedere i bambini, ho detto loro che potevano attraversarlo come volevano, senza obbligarli ad attraversarlo in un modo standard, ma come si sentivano più sicuri. Ho visto di tutto: attraversamento in piedi, in ginocchio, appesi con gambe e mani, a testa in giù. Potrei citare tante altre lezioni dove giochi e percorsi motori erano continuamente modificati per permettere e tutti di esprimersi al meglio. Anche gli stessi materiali usati per la lezione venivano spesso utilizzati in modo diverso, in base alle abilità morie, ma soprattutto alla creatività che ogni bambino e che ognuno di noi ha. La mia lezione veniva spesso completamente stravolta e i bambini si divertivano tantissimo. Questo ha fatto sì che i bambini si portassero a casa un’esperienza positiva delle attività svolte e non negativa.
Parlando con le maestre e i genitori degli alunni, mi rendevo conto di quanto i bambini erano entusiasti del loro saper fare.
Queste esperienze ho cercato piano piano di portarle dentro le attività morie per disabili che faccio assieme ad altri colleghi (attività moria di base, atletica, calcetto all’interno delle attività de L’Ottavo Giorno-Progetto Tempo Libero Disabili) cercando di adattare gli esercizi e i giochi in base alle potenzialità dei nostri atleti. A volte invitiamo altre società che praticano altre discipline sportive (ad esempio tiro con l’arco): questo è molto utile perché alleniamo sia gli atleti sia gli istruttori ad allenare la creatività, che permette di ricercare regole, tecniche tattiche che infondono una nuova linfa all’attività. Tutto ciò permette di dare una nuova dinamicità e competitività alle attività ludiche proposte, coinvolgendo pienamente, attraverso il divertimento, sia gli atleti sia gli allenatori. Anche ai nostri atleti cerchiamo, appunto, di aumentare il loro bagaglio del “saper fare”. A volte, parlando con i miei colleghi, mi viene spontaneo, e mi piace dire, che siamo un laboratorio sportivo sperimentale dove ogni partecipante si sperimenta mettendo in gioco se stesso sia con le capacità motorie ma soprattutto con quelle emozionali, favorendo così lo sviluppo dell’autostima, cercando di accettare i propri limiti e apprezzare le proprie capacità, condividendo e rispettando le regole per permettere l’espressione di tutti.
Finalmente mi sono disintossicato da quelle idee di “assistenza” per far fare bella figura ai disabili, magari ricevendo la classica pacca sulla spalla accompagnata dalla classica frase: “Che bravi che siete, voi sì che li fate divertire!”.
Quando conduco, assieme ai miei colleghi del Centro Documentazione Handicap, i corsi di formazione per gli insegnanti, educatori, allenatori e per gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado sul tema dello sport, parto proprio da quella domanda provocatoria: “Ma lo sport integra davvero?”.
Nei nostri percorsi di formazione mettiamo gli adulti e gli studenti subito a contatto con la disabilità (poiché uno dei miei colleghi è disabile), con le sue difficoltà motorie, ma soprattutto con le difficoltà di relazione e di comunicazione che questa porta, dettate dalla non conoscenza e dal pregiudizio, visto che lo sport è sinonimo di bellezza, prestanza fisica, fama, forza e risultati.
La disabilità è tutto il contrario di questo.
Grazie alla creatività unita alla conoscenza, al divertimento, alla passione per quello che si fa, a un modo diverso di comunicare e di relazionarsi, si trovano soluzioni nuove, dove non c’è confine tra formatori e formandi perché è un continuo mettersi in gioco per entrambi; si trovano soluzioni nuove per permettere a tutti di giocare e – perché no – di fare sport integrati, dove atleti disabili e normodotati disputino un campionato insieme, dove ognuno abbia un ruolo e che questo ruolo dia delle responsabilità a chiunque per far sì che la parola assistenza non venga nemmeno pensata, ma venga cacciata e chiusa in quella parte del cervello delle parole dimenticate.
E magari grazie a questo, se mi troverò in quel campo da basket assieme ai ragazzi in carrozzina che stanno giocando, magari qualcuno griderà: “Oh dai Tristano, vieni a giocare con noi!”. Oggi gioco anch’io!