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autore: Autore: Paolo Guiducci

A come Amore

Trovare un filo conduttore nel magma sentimentale dei “diversamente abili” eroi di carta è impresa ardua. C’è chi soffre, non ricambiato, e chi si sposa. Chi ricorda con sofferenza la perdita dell’amata e chi svolazza con la fantasia per compensare un’affettività mancata. Impresa ardua perché il fumetto non fa altro che ricalcare vizi e virtù degli “affari di cuore” della vita reale, magari esagerandoli un poco. Nel mondo di cellulosa è facile cambiare le regole del gioco ed esasperare i toni1.
Prendete Steve Dallas. Non ne vuole sapere di rinunciarvi. La bella “moracciona” che fa coppia fissa con John Cutter è davvero splendida, specie quando lega i suoi nerissimi capelli nella trecciona che le scende la schiena. Potrebbe rivolgersi altrove e invece no, si è intestardito: le vuole provare tutte per conquistarla e così continua imperterrito dai di lei rifiuti a farle la corte. Serrata, spietata e psicologica. Steve Dallas è convinto di poter conquistare la ragazza se comincerà a comportarsi come lui, come John Cutter, il reduce dal Vietnam immobilizzato in carrozzella protagonista della striscia Bloom County2. Comportarsi come lui per Steve Dallas ha un significato alquanto particolare: nell’ultima vignetta lo vediamo infatti impegnato a trafficare in modo del tutto maldestro con una sedia a rotelle, come se il fascino del paraplegico John fosse dovuto a “quel paio di arti inutili” come li ha definiti una volta il protagonista. Per fortuna l’amore, almeno nel caso della striscia di Berke Breathed, non necessita di tali stratagemmi, e il fascino di Cutter è semmai dovuto all’atteggiamento positivo e ironico del reduce nei confronti della vita. Risultato: nella sua donna non c’è traccia di pietismo nei confronti della menomazione, ma un sentimento che mira dritto dritto al cuore.
Come l’amore materno della mamma del paraplegico Guido3, che rischia di diventare fin tropo protettivo quando vuole tarpare le ali al figlio tutto intento a misurarsi con gli altri ragazzini. O quello familiare che attornia Basimbo, il “bambino davvero speciale”4 colpito da una malformazione cerebrale che lo costringe in carrozzella senza l’uso delle mani e della parola. “Signora… come mai?” le domandano all’uscita del supermercato. “Perché a volte nascono bambini così…” risponde Daniela, la madre, che lungo la via crucis dei consulti medici e delle barriere sociali da superare ogni giorno, imparerà aiutata dal marito e dal figlio maggiore Checco ad amare il piccolo Tommaso così com’è.
Anche sulle nuvole però non sono tutte rose e fiori. Andatelo a chiedere ad Alan Ford5, “titolare di testata e fotografia perfetta dell’uomo a zero dimensioni che questa società ricerca” come lo ha dipinto Davide Barzi. L’allampanato protagonista del grottesco fumetto di Magnus&Bunker, diverso perché ingenuo, “un buono letteralmente catapultato in un contesto dove la deformazione fisica è semplicemente specchio di una mostruosità interiore che spinge chiunque a sopraffare chiunque”6, negli affari di cuore è un perdente nato. Il suo curriculum è “esemplare”: va in bianco con Violet Asar, che lo rifiuta e anzi lo detesterà quando “lui la renderà involontariamente calva, deturpandone la bellezza che la rendeva unica”7. Non ha miglior sorte con Linda che pure inizialmente sembrava ricambiare l’amore sincero di Alan. E quando è lui stesso a ricevere avances, beh non possiamo scandalizzarci troppo se rifiuta con cortesia: la bruttezza di Bessie è da Guinnes dei Primati.
Dall’innocenza alanfordiana alla “perversione” del fumetto porno il passo non è poi così lungo: ci accompagna sempre la sconfitta. Là dei buoni sentimenti, qua del rispetto. Se dell’amore viene esaltato solo l’aspetto erotico, è la brutalizzazione della sessualità ad essere stigmatizzata. L’handicap, infatti, è utilizzato prevalentemente per accentuare i toni e i contrasti come potente-debole, bello-mostruoso, sano-malato. “In queste storie non è raro che vari soggetti erotici vengano ad incontrarsi in modi assurdi e morbosi con il minorato fisico e mentale. – ha rilevato Angela Orsi presentando una carrellata di situazioni8 – Il diverso qui è elemento di forte esasperazione e contribuisce a rendere ancora più assurda e psicopatologica la vicenda narrata”. Dai seviziatori di adolescenti agli scienziati pazzi, da Attualità nera a Zora9, per rintracciare un vasto campionario del genere c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Quando l’amore finisce che succede? Può capitare che una donna zoppa e maltrattata dal marito, benché non più giovane, decide di prendere la fuga. Il tentativo di storia quasi “femminista” porta la firma di Ferruccio Giromini e i disegni di Sergio Toppi, qui in una delle prime uscite “libere”. "Un’altra alba”10 in quattordici tavole raccontava sinteticamente la fine “tragica” della coppia, in una di quelle ambientazioni fantabarbariche che poi sarebbero diventate un marchio di fabbrica di Toppi. Il quale aveva confessato qualche difficoltà a disegnare una donna senza una gamba (anche se si trattava di un’amputazione chiaramente metaforica), perché diceva che gli sembrava una situazione “troppo forte”. Altri tempi, decisamente; quasi preistoria.
Tinte tragiche e sessualità sono gli ingredienti de “Il telescopio”11, una storia breve che ha per protagonista un ragazzo che ha perduto in un solo colpo la gamba destra, la sessualità e il lavoro. Passa così le sue giornate sulla terrazza dei grandi magazzini, fino a quando con un binocolo incomincia a sbirciare gli incontri in camera da letto tra un signore di mezza età ed una prostituta. Quando lo stesso protagonista degli incontri amorosi a pagamento lo pagherà per essere spiato durante quelle prestazioni sessuali, il ragazzo sente crescere dentro di sé la vergogna che lo spingerà a suicidarsi gettandosi dalla terrazza. Da un epilogo tragico ed esageratamente fosco ad un amore altrettanto eccessivo. E’ quello che Yves nutre per la sorella Eva, un’affettività morbosa che lo ha spinto a perpetrare la sua presenza in un automa per giunta relegato in carrozzella. Dodici anni dopo la morte, sarà la bella Neve a scoprire non senza stupore il macabro segreto. In “Eva”12 come in altre storie, il belga Didier Comès tratta il tema delle diversità e dell’handicap circondandolo di “atmosfera magica, narrativamente accattivante, che però mal si concilia con un’accurata descrizione clinica dell’handicap – fa notare Giulio C. Cuccolini13 – Tuttavia, questa carenza è in parte compensata dal messaggio che promana da tutte e tre le vicende: l’importanza dell’amore nei rapporti interpersonali”. Soprattutto quando debbono superare le ruote di una carrozzella o gli stereotipi della società.

1. Per una trattazione più ampia del tema amoroso nel fumetto si veda P. Guiducci/F. Cevoli (a cura di), Amori di carta, Cartoon Club, Rimini 1997.
2. Bloom County, striscia umoristica di Berke Breathed, è stato pubblicato in Italia su Linus.
3. F. Corteggiani – G. Cavazzano, “Le Giovani Marmotte e un ragazzo come tutti” in GM – Giovani Marmotte n. 9, ottobre 1995, Disney Italia.
4. S. Sandri – M. Bertolotti, “Un bambino davvero speciale”, in il Giornalino, Ed. San Paolo, marzo-aprile 2001.
5. Alan Ford, creato nel 1969 da Max Bunker (Luciano Secchi) e Magnus (Roberto Raviola). Esce a cadenza mensile per i tipi della Max Bunker Press.
6. D. Barzi, “Alan Ford: diverso da chi? Tnt e deflagrazioni di canoni estetici e stereotipi sociali” in DiversAbili (a cura di P. Guiducci – S. Gorla), Cartoon Club, Rimini 2001, pp. 62-63.
7. Pg. 63.
8. A. Orsi, “Essere o apparire: l’immagine del fumetto affidata al medium fumetto”, testi di laurea, corso di Pedagogia, Università di Bologna, 1988-1989.
9. Titoli di pocket “per adulti”.
10. Giromini – Toppi, "Un’altra alba”, Sgt. Kirk. n.55, maggio-giugno 1977.
11. Y. Tatsumi “Il telescopio”, in Eureka, marzo 1980.
12. D. Comès, “Eva” in Alter Alter, 1982.
13. G.C. Cuccolini, “Handicap e fumetto”, in DiversAbili (a cura di P. Guiducci – S. Gorla), Cartoon Club, Rimini 2001, pg. 33.

G come Genitori

Apprensivi, distanti e angosciati. Ma in qualche caso in grado di accompagnare il figlio passo dopo passo nel dramma senza che il loro amore ne risenta. Sono i genitori sulle nuvole, quelli rappresentati dal fumetto spesso all’indice per il disimpegno congenito quando non diseducativo, quei padri e madri che di fronte all’handicap reagiscono in maniera differente, in questo del tutto uguali ai loro simili di carne. I comics hanno però il merito di farci entrare laddove, a volte, la vita di tutti i giorni ci tiene fuori, permettendo così di osservare anche con occhio cinico e magari un po’ guardone il “dietro le quinte” anche quando questo si rivela drammatico e carico di sofferenza.
Carlo e Daniela sono una bella coppia. Checco, il primogenito, è un bel bambino, felice dell’arrivo di un nuovo fratellino. Per il piccolo Tommaso la storia inizia in salita. Afflitto da una malformazione cerebrale non parla, cammina e non può usare le mani. E a detta dei medici “probabilmente non vede né sente bene”. Per la società è già condannato, e con lui la famiglia, “vittima” di una situazione pesante della quale la grave malformazione di Basimbo (come lo chiama il fratello Checco) è solo uno degli elementi. “Un bambino davvero speciale”1 si sofferma sui passaggi del riconoscimento della situazione e sulla sua accettazione, affronta senza reticenze le situazioni che si creano in una famiglia con un bambino handicappato. E quando Carlo e Daniela, Checco e Tommaso recuperano dopo tante sofferenze ed angosce l’equilibrio familiare, c’è da fare i conti con la realtà che li circonda. Stefano Gorla propone un elenco esemplare: “gli scherzi dei compagni di scuola di Checco, gli incontri ai giardinetti, la fatica di raccontare per l’ennesima volta i problemi di Tommaso, le finzioni con il datore di lavoro. Una serie di situazioni che mettono in luce la quotidianità del disabile e della sua famiglia con semplicità e senza pietismo”2. Compresi quei risvolti psicologici e quelle debolezze del tutto umane che conferiscono spessore (si perdoni il paragone e l’invasione di campo) al bel romanzo di Giuseppe Pontiggia, Nati due volte.
L’altra faccia della medaglia però è sempre in agguato. Chi ha descritto in maniera realistica e senza fronzoli l’incapacità di accettare l’handicap è la coppia Stefano Ricci e Davide Catenacci, autori di un breve racconto realizzato appositamente per Accaparlante, la “rivista per chi opera nel sociale” come recita il sottotitolo. Protagonista de “Il piccolo K”3 (il cui spunto è un tragico fatto di cronaca), è la madre di un bambino, K appunto, la quale costringe il piccolo sin dalla nascita (e per ben tredici anni) a vivere “sepolto vivo” dentro un baule. Un rapporto reso ancor più drammatico dal confronto dei primi piani, quello austero della madre e quello percorso da un sorriso del figlio. “L’ho allattato e lui mai un grazie” è la giustificazione adotta dalla madre per il terribile gesto, continuato nel tempo.
Chi al contrario non fa mancare attenzioni al proprio bimbo è la madre di Guido, affetto da paralisi e costretto per questo a vivere su di una sedia a rotelle. L’amicizia con Qui, Quo e Qua lo porta a conoscere l’esperienza delle Giovani Marmotte, compagnia alla quale vorrebbe accedere “proprio come tutti”4. Per questo Guido si impegnerà a superare tutte le prove necessarie all’ammissione, superando la ritrosia della madre troppo apprensiva, costretta alla fine a rivedere le proprie teorie educative. “io ti volevo proteggere perché avevo paura per te, – ammette osservando la felicità del figlio attorniato dagli altrettanto festosi compagni di reparto – ma poi ho capito che vivere da bambino è molto più importante”. Un finale troppo moraleggiante? Completamente differente è il the end al quale assiste il lettore del capolavoro di David B., autore tra i più apprezzati della new wave europea. In Cronache del grande male5, toccante racconto sull’epilessia del fratello che affonda le radici nell’autobiografia dell’autore, David B. rappresenta una coppia di genitori impegnati ad evitare che il dramma del figlio si propaghi. La classica famiglia piccola-borghese alle prese con la difficile gestione di una malattia ripugnante. Nessuna concessione al politically correct è impartita nelle strisce di Cico & Pippo6. Grazie al rapporto tra padre (cieco) e figlio, Altan riesce a prendere in giro tutti i luoghi comuni sull’handicap, fino a imprimere sulla tavola alcune rappresentazioni della menomazione che paiono fin troppo crudeli. Un’impressione dietro la quale si nasconde un’accettazione totale della diversità fino al riso. “Trattando i disabili senza atteggiamenti farisaici e compassionevoli, gli autori finiscono per equipararli ad esseri ‘cosiddetti’ normali dei quali si può sorridere” è la saggia opinione di Giulio Cesare Cuccolini. “Pippo, deve essere triste condurre un papà cieco”. “Sì” risponde con cinico candore il figlio. E quando questi lo accompagna al bowling per una partita e il padre mette a segno uno strike, Cico bara senza pudore: “Purtroppo non ne hai preso neanche uno. Ma è già molto per un cieco”. Semplici, affettuosi e tranquilli, insomma fin troppo normali i genitori (e il fratello “sano” Matteo) di Garbino, il simpaticissimo ragazzo affetto da una leggera sindrome di Down, protagonista di una serie di strisce comparse sulla rivista A.I.A.S.8
L’incapacità di dialogare e sostenere un discorso che non si limiti al “ciao, come stai? Bel tempo oggi”, in attesa che siano altre le agenzie educative ad occuparsene, è illustrato in maniera egregia dal cartoonist argentino Quino (pseudonimo di Joaquìn Salvador Lavado) nelle strisce della sua creatura più riuscita, la bambina contestatrice più feroce e famosa del mondo, Mafalda9. Nata per propagandare una industria di elettrodomestici, la piccola riccioluta che urla e aggredisce verbalmente, è sempre a caccia di risposte che soddisfino la sua sete curiosa e sincera. Una “battaglia” che non poteva non contemplare il mondo della diversità. Per questo rivolta verso il padre che sta leggendo, Mafalda domanda: “papà, che vuol dire handicappato?”. La risposta è tanto lapidaria quanto evasiva: “Va’, va’ a giocare, Mafalda, non sono cose per la tua età”. Obbedendo al padre, nell’ultima vignetta osserviamo Mafaldita che se ne va rassegnata brontolando: “Ho capito, si tratta di sesso”. Un “equivoco” che si ripete anche quando i protagonisti non sono i genitori della urlatrice argentina ma quelli di un’amichetta. “Mia mamma è talmente sensibile ai problemi sociali che la sola parola handicappato le fa saltare subito frrrssht! L’impianto emotivo. E, sai, tutte quelle fibre intime bruciate le bloccano l’altruismo”. “Eggià… I troppo buoni subiscono spesso questi disguidi tecnici” è il sarcastico commento di Mafalda.
E se i genitori non ci sono più, a chi tocca prendersi cura del fratello disabile? Orion è affetto da sindrome di down, e il west non è tenero con chi non sa difendersi, nemmeno se la scena si svolge alle Niagara Falls. Così in “Dove muoiono i titani”, Alex nasconde la sua femminilità pur di garantire al fratello una possibilità: di lavoro, di sopravvivenza, di “normalità”. E’ mamma, babbo e fratello nello stesso tempo. Non è una bocciatura per la famiglia, ma l’affermazione dell’amore oltre ogni incomprensione che può svilupparsi anche tra le mura di casa.

Note
1. S. Sandri – M. Bertolotti, “Un bambino davvero speciale”, in il Giornalino, Ed. San Paolo, marzo-aprile 2001.
2. S. Gorla, “Il Giornalino: qualcosa di speciale”, in DiversAbili. Figli di una nuvola minore? ( a cura di P. Guiducci – S. Gorla), Cartoon Club, Rimini 2001, pp. 91-92.
3. D. Catenacci – S. Ricci, “Il piccolo K”, in HP-Accaparlante, aprile 1988.
4. F. Corteggiani – G. Cavazzano, “Le Giovani Marmotte e un ragazzo come tutti”, in GM – Giovani Marmotte n. 9, Disney Italia, ottobre 1995.
5. David B., Cronache dal grande male, Rasputin!, 1999.
6. Altan, Cico & Pippo, la crudeltà fatta in casa, Edizioni Glenat, Milano 1986.
7. E. Fucecchi – G. Galassi, “Anche un ‘fumetto’ può aiutare a vincere le barriere del pregiudizio”, in A.I.A.S. nn. 5-6, 1991.
8. Mafalda.
9. G. Berardi – I. Milazzo, “Quando muoiono i titani”, pg. 152, in Ken Parker numero speciale, Parker Editore, 1992.

E come Esclusi

Debbono celare la vera identità (se mai ne posseggono ancora una, ma non è questo il luogo per dibattere il pur interessante tema della maschera1) sotto sfavillanti costumi d’ordinanza, con i quali combattono i mutanti attratti dal “Lato Oscuro”. Ciononostante, l’atteggiamento altruistico e la protezione continua che offrono alla terra, non sono sufficienti a garantire al professor Charles Xavier e alla sua schiera di X-Men2 (mutanti “nati con il cromosoma X alla base dei poteri preclusi agli homo sapiens”3) un normale trattamento da parte degli esseri umani. Ciclope, Ororo, Wolwerine e il resto della compagnia saranno costretti a vivere i loro giorni – tra una battaglia e l’altra – “reclusi” nella scuola fondata dal loro professore, unica barriera per schivare i pregiudizi razziali degli esseri umani che si sentono minacciati ed instaurare una parvenza di vita.
Il pregiudizio e la condanna a priori non sono una prerogativa degli X-Men e più in generale di supereroi (dall’Uomo Ragno a Hulk): il comicdoom è zeppo di situazioni di esclusione a causa della diversità, manifesta o latente. A Concrete4 è sufficiente guardarsi attorno per sentirsi tagliato fuori. Là nel mondo normale gli impedimenti legati ad un corpo diverso, fatto di grosse e sassose dita con le quali anche il più semplice esercizio quotidiano come lo scrivere, fare biglietti di auguri o spedire lettere d’amore, diventa una barriera insormontabile, si sprecano. A questi handicap fisici vanno sommate tutte le barriere architettoniche che gli si stagliano davanti, e che fanno del personaggio creato da Paul Chadwick un diverso a tutti gli effetti, allontanato dalla società normale. Se Concrete affida la risposta ad una tale situazione all’ironia e alla differenti abilità che il nuraghe che si porta appresso gli consentono, diversa è la posizione di Alcibiade5. Con il volto coperto da una vistosa maschera da alce, Alcibiade è un opinionista sferzante e applaudito dal pubblico: nessuno sa che il suo umorismo crudele è frutto di una terribile deformazione al viso. E’ un uomo tormentato, insomma, che per sentirsi a proprio agio ed affrontare la realtà non trova altro rimedio che nascondere la propria deformità.
Le barriere però non sono solo di natura fisica, come c’insegna anche la stretta attualità. Herbert Lahace dirige una multinazionale alimentare prima di “trasformarsi” in disadattato e rinchiudersi volontariamente in una gabbia dello zoo senza più proferire parola con alcuno. E’ uno dei tanti esclusi sociali dipinti dalla coppia Pennac/Tardi nel loro Gli esuberati6. Un amaro e grottesco affresco sociale nel quale non avrebbe stonato più di tanto neppure Ezechiele Bluff, l’operatore ecologico bevitore incallito che con il nome di Superciuck ha caratterizzato tanti episodi della saga di Alan Ford7. Ezechiele si sente così estraneo che “per frustrazione non lotta per riabilitare la propria categoria”8, bensì “fa di tutto per affossarla”. Diventerà così un acido Robin Hood alla rovescia, che ruba ai poveri per dare ai ricchi, errata trasposizione a vignette dell’evangelico “a chi ha sarà dato”. Esclusa è Marny Bannister, l’eroina nera di Magnus&Bunker, che dovrà ricorrere al siero magico per recuperare la perduta bellezza ricavandone in cambio una forza criminale senza scrupoli e il nome di battaglia di Satanik9. Esclusi sono gli uomini deformi che popolano le favelas di Manaus. “Tematiche sociali e raccapriccianti atmosfere da incubo”10 sono rese dalla matita di Bignotti che traduce in immagini semplici ma efficaci la psicologia dei freak protagonisti de “L’orrenda invenzione”11, una interessante storia della lunga saga di Mister No nella quale Tiziano Scalvi fa le prove generali per le tematiche che poi svilupperà compiutamente in Dylan Dog. Reietti dal mondo “normale”, i mostri di Manaus vivono in una sorte di corte dei miracoli fino a quando il malvagio Hel non li illude di poterli guarire e li soggioga alla sua cattiva volontà. “Non ho più saputo niente di loro fino ad una settimana fa – spiega a Mister No con un filo di voce il padre adottivo della banda Kluge – quando lessi, per caso, su un giornale brasiliano che Elsa (in confronto alla quale la donna cannone cantata da De Gregori fa la figura di una modella, ndr) si esibiva a Manaus in occasione del carnevale”. Da qui la conclusione: “A questo si era ridotta… della dignità che avevo cercato di dar loro non ve n’era più traccia… per questo dico che ho fallito…” termina sconsolato l’anziano signore. Sclavi va più in là, intenzionato com’è a smascherare i pregiudizi “borghesi”, regala a piene mani discriminazioni di ogni natura. Basta il colore della pelle, per esempio, per essere persone sgradite: “Ehi! Qui dentro non serviamo quei tipi lì” dirà il barman a Mister No indicando l’indio Taiku. Una scena che potremmo aver letto cento volte sulle colone di Zagor o nell’immarcescibile Tex, come si evince dal dialogo seguente: “Ma che ti prende Paulo? Che vi prende a tutti – sono parole del pard Kruger – Quell’indio dice ‘Ugh’ come cavallo pazzo… Tu ti comporti come il barman di un saloon dell’Arizona…”. “Mi ha sentito, tedesco: – è la piccata replica che arriva da dietro il bancone – non voglio selvaggi nel mio locale”.
Tra una nuvola e l’altra, insomma, il fumetto si mobilita per ottenere rispetto per chi merita dignità. Chi utilizza le nuvole parlanti per mettere alla berlina raffigurazioni fortemente discriminanti e sprezzanti è Giancarlo Berardi. In Ken Parker12, lo sceneggiatore genovese ci ha regalato alcune pagine esemplari a questo proposito. Parlando di Orion, il protagonista affetto da leggera sindrome di Down di “Quando muoiono i titani”13, il sapientone di turno lo addita snocciola la sua versione. Li chiamano mongoloidi, la loro età resta ferma all’età di cinque-sei anni, e non campano a lungo”.
Ken Parker non si tira indietra e propone la sua morale. “La gente se ne vergogna e li rifiuta solo perché sono diversi dagli altri. Ho letto di famiglie che li tengono nascosti, al buio…”. “Ja, chiaro! Stessa esperienza ti emigrante!…” rincara la dose nel suo “americano” zoppicante il tedesco emigrato, prima del gran finale. Ancora Martin: “Gli antichi greci erano più pietosi. Li gettavano da una rupe…”. Lungo Fucile ha però un’altra versione dei fatti. “Oggi si usano mezzi più civili. Basta ingnorarli, far finta che non esistano… anche questa è una specie di morte…”. Esclusi non si nasce, insomma, si diventa. Capito?

1. Per una trattazione più articolata del tema, si veda S. Gorla (a cura di) La maschera: le radici e le ali, e il mio “L’altra faccia della maschera. Una lettura a fumetti”, in Su la maschera, catalogo del XVII Mystfest, a cura di Paolo Fabbri e Mario Guaraldi, Milano 1996, Mondadori.
2. X-Men, popolarissimo gruppo di super eroi creato da Stan Lee e Jack Kirby nel settembre 1963. La versione cinematografica dei mutanti, uscita nelle sale nel 2001, ha ottenuto un gran consenso di critica e di pubblico.
3. L. Cantarelli, “Supereroi e superproblemi”, in DiversAbili. Figli di una nuvola minore?, a cura di P. Guiducci e Stefano Gorla, Cartoon Club, Rimini 2002, pg. 47.
4. “Concrete, l’eroe della nuova era”, è la trasformazione sassosa (opera di alieni) di Ron Litgow, scrittore di discorsi per il senatore americano Mark Douglas. Inizialmente pubblicato in Italia dalla Phoenix, oggi è edito dalla Magic Press.
5. “Una nuova vita”, Concrete n. 4, gennaio 1997, Phoenix.
6. D. Pennac-J. Tardi, Gli esuberati, settembre 2000, Feltrinelli,
7. Alan Ford è il concentrato di umorismo grottesco creato dalla premiata ditta Magnus&Bunker. Narra le avventure di una sgangherata banda di improbabili investigatori del controspionaggio (gruppo Tnt), della quale il biondo Alan è il bello ma imbranato agente di spicco. Nato nel 1969, prosegue ancora le pubblicazioni in edicola.
8. D. Barzi, “Alan Ford: diverso da chi?”, in DiversAbili. Figli di una nuvola minore?, a cura di P. Guiducci e Stefano Gorla, Cartoon Club, Rimini 2002, pg. 65.
9. Detta anche la “rossa del diavolo”, Satanik è la risposta al femminile all’invasione nera del fumetto italiano anni Sessanta inaugurata da Diabolik e proseguita da Kriminal. La sua crudeltà appare determinata soprattutto dal proprio triste passato.
10. A. Palumbo, “Mister No”, in AA. VV., “Dossier Sclavi”, Dime Press n. 22, Glamour International Production, Firenze, giugno 1999.
11. “A sangue freddo” e “L’orrenda invenzione”, Mister No nn. 138-139, novembre-dicembre 1986, Sergio Bonelli Editore.
12. Ken Parker, creato nel 1977 in coppia con il disegnatore Ivo Milazzo, è un western psicologico il cui protagonista “è un vero uomo, ben diverso dai soliti eroi tutti d’un pezzo della maggior parte dei fumetti avventurosi”, secondo la definizione di Franco Fossati.
13. G. Berardi – I. Milazzo, “Quando muoiono i titani”, in Ken Parker numero speciale, Parker Editore, 1992.

B Come Bambini

Non si muove, non parla, non ha l’uso delle mani e probabilmente non vede e non sente bene. Come è possibile allora che sia “Un bambino davvero speciale”? Se lo è chiesto il Giornalino che regalato ai suoi giovani lettori l’omonimo fumetto-verità (sulla scia di quanto fatto in passato dallo stesso settimanale paolino ma anche da Corriere dei Piccoli e Corriere dei Ragazzi), una storia che affronta senza reticenze la vicenda del piccolo Tommaso. Vittima di una malformazione cerebrale, Tommaso (o Basimbo, come lo chiama il fratello maggiore Checco) mostra sin dalla nascita i segni della diversità. Non cresce come dovrebbe, non risponde normalmente agli stimoli, piange continuamente ed è subito costretto in ospedale per un mese intero. Ma ha “diritto a tutto l’amore” dicono i medici.
Tratta dal libro di Daniela Nardini, la rilettura a fumetti di Sandro Sandri (testi) e Massimo Bertolotti (disegni) ha il pregio di mostrare con lucidità una storia vera senza indulgere nel pietismo anzi mettendo a tema alcune situazioni tipiche dell’inserimento del portatore di handicap in famiglia, a scuola, nella società. E i disagi, perlomeno iniziali, che la condizione di Tommaso crea nei familiari, dall’imbarazzo del fratello Checco di fronte agli amici, all’angoscia dei genitori di fronte alla crudezza del responso medico (“Accettare questo handicap dipende da lei e dalla concezione della vita che ha” dice la neuropsichiatra alla madre) fino ai problemi di natura sociale affrontati quotidianamente, siano le barriere architettoniche o gli sguardi pietistici dei vicini di casa. Arrivando così all’incontro con altri bambini disabili, bambini molto speciali come sottolinea il testo, riempiendo di significati nuovi il termine. Prendono così vita sulla carta Leonardo dalla voce d’angelo e il corpo che non risponde al controllo; oppure la bella Eleonora che parla un linguaggio tutto suo e aggredisce chi non è in grado di capirla.
Quando il fumetto coinvolge senza puntare sulla spettacolarità, garantisce perlomeno uno spazio per riflettere e per acquisire strumenti per affrontare la realtà. E’ il caso di un’altra storia dal sapore didattico, anche un retorica ma comunque apprezzabile anche per la professionalità messa in campo dagli autori (François Corteggiani e Giorgio Cavazzano sono due delle firme più prestigiose dell’attuale panorama Disney). Il protagonista, Guido, è un bambino costretto in carrozzella da una paralisi, eppure deciso a diventare una Giovane Marmotta “proprio come tutti”. Spinto da una notevole forza di volontà e assecondato dalla comprensione spontanea tipica dei bambini, Guido supererà le prove attitudinali meritandosi l’ingresso nel corpo ambientalista per eccellenza. Nessun lieto fine ma anzi una cruda e tragica realtà attende invece il mostruoso protagonista di “Bedlan”, ventesima episodio del serial horror-western Magico Vento. Rinchiuso nelle segrete del dottor Foster, la creatura vive dell’amore della madre, capace di vincere ogni pregiudizio e barriera e per contro, mostra (grazie all’abile sceneggiatura di Manfredi) come per il comune sentire il diverso sia fonte di paura.
Per certi versi più simile all’handicappato enfatizzato, quello che troppo spesso fa notizia in quanto protagonista di un fatto clamoroso, il piccolo Efrem compensa il suo handicap con incredibili doti di chiaroveggenza. Grazie alla facilità con cui entra in contatto con le persone, materializzando le proprie “visioni” sul foglio di carta, il deforme con l’aspetto e il cervello di un bambino di 10 anni sale suo malgrado alla ribalta di un giallo a fumetti come Nick Raider. Claudio Nizzi dà un calcio alle convenzioni sociali quando tratteggia con abilità i giochi erotici che Efrem vorrebbe fare con l’amica prostituta, la vittima del racconto, che lo rifiuta sdegnosamente. Il finale crudo e poetico, ci mostra il piccolo Efrem con la pistola in pugno intento a salvare il poliziotto Raider dall’orco cattivo. Efrem colpirà a morte Raoul ma l’agente della Squadra Omicidi si addosserà l’uccisione per proteggere il piccolo sensitivo dalla galera evitando così che diventi un fenomeno da baraccone.
Lontana dalla retorica, giocata nel segno dell’uguaglianza e rappresentata in maniera giocosa è la diversità di Anna, la ragazza vivace e sbarazzina protagonista del serial animato Anna et ses histories, ventisei episodi della durata di 13 minuti ciascuno firmati dal cartoonist italiano Pierluigi De Mas. Costretta su di una sedia a rotelle, Anna non esita a creare con i suoi amici fantasiose e divertenti storie a ritmo di rap che non risentono della condizione alla quale è costretta. Anzi, la sedia a rotelle sembra quasi il motivo scatenante che permette alla lentigginosa ragazzina di fantasticare ed avvincere così i propri amici.
Immagini forti e crude com’è nella tradizione del porno italiano, che vive spesso di contrasti, il cui accostamento ripetuto induce alla brutalizzazione, accompagnano una vicenda apparsa su “Attualità nera”, che si potrebbe anche far risalire a fatti di cronaca. E’ la vicenda di un gruppo di bambini provenienti dalla ex Yugoslavia, rapiti, seviziati, e costretti a mendicare una volta introdotti in Italia. L’handicap fisico di Silvana è provocato così da far commuovere maggiormente i possibili elargitori.
I bambini nel fumetto non sono rappresentati solo come portatori di handicap, bensì anche come interlocutori del diversabile, che nella loro spontaneità e assenza di pregiudizi riescono a considerare mettendo in crisi il giudizio comune verso l’incomprensibile. Un esempio d’autore è la bambina di Big Man (intenso racconto giocato sul binario del bicromismo da David Mazzucchelli), in grado di stabilire senza sforzo alcuno un rapporto negato al resto della comunità. Per nulla intimorita dal gigantismo del “Gigaa” (come amichevolmente lo chiama), Rebecca anzi si trova a suo agio con quell’essere venuto non si dove, mentre tutto il resto della comunità rurale è in preda a pulsioni nascoste e paure ancestrali. Il risultato è una violenta quanto ingiustificata caccia all’uomo che si alimenta della diffidenza e della paura della diversità.

D. Mazzucchelli, Big man, Coconino Press, Bologna 2000.

P come Politically Correct

Gli animatori dei cartoni animati dimenticavano sempre quale fosse la gamba di legno, che rischiava di passare a destra o a sinistra a seconda dell’autore in questione. Per semplificarsi la vita, quelli di Burbanks decisero di abolirla. Troppo complicato star dietro alla menomazione d’un figlio, seppur di celluloide. La drastica decisione si riflettè anche sulle strisce quotidiane e sui comic books (prima degli anni 50), contestualmente il nome di Gambadilgno (Peg-leg-Pete) si trasforma nell’anonimo “Pietro il Nero” (Black Pete). Bisognerà attendere Floyd Gottfredson e la sua vena d’autore per avere una benché minima spiegazione della “novità”. Sarà lo stesso Gambadilegno ad illustrare a Topolino di aver sostituito la vecchia gamba di legno con una modernissima protesi indistinguibile dall’originale. Magari involontariamente, frutto più di esigenze pratiche che di vera e propria censura, la storia di Gambadilegno è comunque un siparietto che la dice lunga sulla sensibilità di trattare certi temi. Anche nei Disney italiani; “La proibizione di toccare certi temi ha una lunga gestazione – spiega l’esperto Marco Barlotti1 – I primi vincoli nascono nel 1962, con l’adozione da parte dell’editore Mondadori del ‘Codice di garanzia morale’ tendenze ad assicurare ‘i genitori e gli insegnanti’ che i ragazzi possono leggere il fumetto’ senza che tale lettura sia nociva alla loro formazione morale”. Una posizione diventata addirittura più rigida nel corso degli anni, con l’aggiunta di ulteriori vincoli a disegni e dialoghi. Il fatto è che l’handicap non sembra generalmente agli autori (e forse soprattutto all’editore) un buon argomento per le storie (per defizione non impegnative) di un giornale a fumetti” conclude Barlotti.
Chi invece accetta il “dialogo” fedele al proprio motto “educare divertendo” è il settimanale paolino il Giornalino. Per esempio, pubblicando la storia di un pilota costretto a confrontarsi con la disabilità fisica. Alan infatti è un giovane campione automobilistico rimasto ferito ad una gamba in seguito ad un incidente. Secondo i medici l’unica soluzione possibile è l’amputazione. La notizia provoca una sbandata nel pilota, che non dà il consenso per l’operazione. “Preferisco morire”, ripete. La voglia di vivere e di affrontare la realtà gli tornerà solo grazie all’incontro con John, un ragazzo affetto da paresi agli arti inferiori, una vita in ospedale che non gli ha scalfito la voglia di sorridere e di affrontare la vita a testa alta. “Sono venuto per restituirti il tuo autografo! – lo affronta – L’altro giorno mi sono sbagliato credendoti un campione”. Così facendo gli sbatte in faccia la realtà non certo contrassegnata dal coraggio. La frustata ridesterà il pilota il quale – miracolo atteso durante tutto il racconto – in seguito all’operazione perfettamente riuscita, guarisce. “Il campione”2 è un esempio emblematico di un atteggiamento nei confronti della diversità talmente positivo da sembrare inevitabilmente idealizzato. Per contro, si respira pagina dopo pagina l’aria da “lieto fine”. Certo, la sofferenza non è bandita dalle pieghe del racconto ma in primo piano è sempre mostrato il lato positivo, l’atteggiamento forte e vincente nei confronti della malattia – e quindi della vita – del John di turno, una raffigurazione in fondo stereotipata e tutto sommato tranquillizzante tipica di un certo fumetto avventuroso-realistico, più incline “a prospettare guarigioni o soluzioni miracolistiche per casi irreversibili” che a scandagliare “la conflittualità interiore del disabile”, come ha ben mostrato in più d’una occasione Giulio Cesare Cuccolini3.
Non di rado, inoltre, i comics avventurosi hanno rafforzato i radicati e diffusi ma infondati luoghi comuni sull’handicap come il binomio deformazione fisica-abiezione morale. Esempio autorevole è il classico Dick Tracy4, il poliziotto dal mento quadrato creato da Chester Gould, un archetipo del giallo e non solo a fumetti, che ha proposto ai suoi lettori una galleria di cattivi che avrebbero fatto felice Lombroso. Prima ancora di essere giudicati per averli visti in azione, i cattivi secondo Chester Gould, cioè i vari Pruneface, Flattop e Sharkey che ostacolano il cammino di Dick Tracy e della giustizia, si riconoscono per le deformità del volto. Lo stesso Tex Willer, il longevo ranger nato dall’italica fantasia del duo G.L. Bonelli/A. Galeppini, in qualche maniera è un seguace di questa teoria, basti pensare al deforme El Muerto5 ma anche ai tratti luciferini che caratterizzano l’arcinemico Mefisto e l’altrettanto mefistofelico di lui figlio Yama. Incamminatosi su questa strada, Aquila della Notte arriverà a riconoscere i cattivi dall’odore: che sia lo zolfo ad orientare il sesto senso del ranger di Bonelli? Battute a parte, si tratta di un cliché che fa parte del dna del fumetto e rintracciabile anche nei più recenti serial. Non fa eccezione Magico Vento, peraltro è impegnato a smontare tanti dei pregiudizi verso i diversi di ogni razza e colore. Come giudicare altrimenti il Groddek di “Blizzard”7, un rapinatore ed assassino intento a semina il terrore in mezzo west eppure mosso da tanta pietà verso i suoi simili da nascondergli la vista del suo vero volto deforme e mostruoso sotto un comodo saio.
Certo, pensare al fumetto, ovvero una rappresentazione deformata e deformante della realtà, come ad un’isola felice in cui la trattazione della diversità avviene senza cadere in stereotipi più o meno politicamente corretti, non è pensabile. Per contro non mancano episodi, anche ben riusciti, in cui vignette e ballon riescono ad abbattere le barriere del conformismo. Le strisce di Bloom County8, a questo propisito, sono significative. Il protagonista, un reduce dal Vietnam costretto sulla sedia a rotelle, grazie al suo sense of humor riesce a sovvertire il comune modo di pensare e di comportarsi, fino a mettere a disagio gli interlocutori di ogni sesso e ceto sociale. E che dire di “Pasqua”9, il fumetto di Andrea Pazienza in cui il geniale autore abruzzese non ha difficoltà a mettere in striscia anche l’handicappato cinico, o quello depresso e il nevrotico, insomma l’handicappato senza qualità, in realtà “caratteri che la letteratura e il teatro europei avevano approfondito fin dagli Venti” ci fa notare argutamente Cesare Padovani10. Insomma è possibile raccontare la diversità senza far apparire nient’altra qualità se non quella irrinunciabile di essere umano. Lontano dal manicheismo handicappato buono/handicappato cattivo si è incamminato anche Filippo Scozzari. Più interessato all’handicap morale che a quello fisico, Scozzari ha preso spunto dalla vicenda, realissima, di Rosanna Benzi e della sua esistenza nel polmone d’acciaio dell’ospedale San Martino di Genova, per un fumetto con un handicappato di stampo “classico”. “Lorna”11 è l’omonima infermiera che assiste Arturo, ventisei anni, da ventisei anni in un polmone d’acciao. “Praticamente non ho mai smesso d’essere un feto” dichiara cinicamente. Arturo però ha Lorna, la sua amante onirica capace di entusiasmarlo con i suoi racconti di fanta-erotismo. Quando smette il camice, però, ai gesti dolci e alle premure per il paziente, l’infermiera sostituisce pensieri di morte. Il politically correct si è fermato nella sala anestetizzata dell’ospedale. La vita è sempre un’altra cosa.

1. M. Barlotti, “Prima e dopo il pc. Disabili Disney italiani”, in S. Gorla – P. Guiducci, DiversAbili, Cartoon Club, Rimini, 2001.
2. Montanari-Chiarolla, “Il campione”, in il Giornalino, luglio 1988.
3. G. C. Cucolini, “Handicap e fumetto”, in DiversAbili, op. cit.
4. Dick Tracy è il capostipite del fumetto poliziesco creato dall’americano Chester Gould nel 1931.
5. G.L. Bonelli – A. Galeppini, “El Muerto”, Tex n. 190, Daim Press, agosto 1976.
6. M. Manfredi-Barbati e Ramella, “Blizzard”, Magico Vento n.15, Sergio Bonelli Editore, settembre 1998.
7. B. Breathed, Bloom County, in Linus, Miano Libri Edizioni, aprile/maggio/giugno 1984.
8. A. Pazienza, “Pasqua”, in Tormenta.
9. C. Padovani, “Fumetti con handicap: quando la figura è in sequenza”, HP n. 72, 1999.
10. F. Scozzari, “Lorna”, in Frigidaire, Primo Carnera Editore, Roma, settembre 1988.

O come Obiettivo

Diciamo la verità: il fumetto il più delle volte (nella maggior parte dei casi) non lo è. Preferisce girarci alla larga, dalla fredda oggettività dei referti medici senza pietà e infarciti di paroloni, per imbucare la strada dell’omissione quando non incappa in veri e proprio errori che non fanno bene né alla letteratura disegnata né ai lettori, investiti di informazioni tutt’altro che raccomandabili.
Di Efrem non si accenna neppure alla sua malformazione. Il piccolo protagonista di una bella storia di Nick Raider1 per ammissione della madre “non è un bambino normale”, tanto “bambino” da aver compiuto 25 anni e possedere sviluppati poteri sensitivi che gli permettono di entrare in contatto con qualcuno al semplice tatto e vedere squarci del suo futuro. Nonostante abbia una prostituta come amica, venga coinvolto nel suo omicidio e rischi lui stesso la vita prima di condurre l’agente del Distretto sulle tracce del misterioso assassino, la diversità di Efrem non è per nulla indagata. Non è funzionale alla storia, per il cui “normale” svolgimento sono già stati seminati indizi sufficienti.
A volte sono gli stessi protagonisti dei comics ad offrire di se stessi indicazioni imprecise e fuorvianti. “Scrittore lievemente handicappato” scriverà in una richiesta di aiuto (è alla ricerca di un assistente) Ron Litgow. Quell’avverbio è già un’ammissione di diversità, anche se camuffata e poco rispondente alla realtà, nel caso di Ron, dura, durissima da accettare, imprigionato com’è in un corpo sassoso da far invidia alla Cosa dei Fantastici Quattro. Per questo è diventato Concrete2, ovvero “un disabile – è la tesi di Daniele Brolli, il suo primo editore italiano – una creatura che vive in un mondo di normali e deve tutti i giorni fare i conti con barriere architettoniche e impedimenti legati ad un corpo diverso, gigantesco, pesantissimo e goffo”. Solo con il tempo accetterà la propria condizione, e questo non gli impedirà di giocare con la diversità altrui, quando – per farsi largo tra la folla ed evitare folli gesti di un umano invidioso e instabile – additerà quest’ultimo come ammalato di Adis3, seminando il panico tra la folla, del tutto ignara delle modalità di contagio e delle conseguenze che il virus dell’Hiv porta con sé. In seguito Concrete si pentirà dello stratagemma utilizzato, ma nel frattempo la sua cinica azione ha messo in luce l’ignoranza della gente anche nei confronti di una malattia così “famosa” come l’Aids.
D’altra parte perché meravigliarsi di tali atteggiamenti, quando è stato proprio lo stesso fumetto realistico-avventuroso a “delineare in termini vaghi e imprecisi le tipologie dell’handicap, ripiegando volentieri sul cliché della carrozzella e della sindrome di Down”? Più indirizzato ai bambini, Remì offre il fianco a questa raffigurazione. Remì4 e il piccolo Arthur, il ricco e sfortunato signorino, sembrano riproporre al maschile le situazioni che hanno per protagonista la celeberrima Heidi5 e l’amica del cuore Clara. Se dall’incontro con i rispettivi personaggi, eroi dei fumetti ma soprattutto divenuti famosi grazie ai cartoni animati, entrambi i bambini in carrozzella traggono giovamento, l’inesattezza medico-scientifica con la quale si tenta di spiegare la paresi (causata nientemeno che da una artrite acuta!) non fa altro che rimandare al’ipotetica guarigione. Così Clara vincerà il suo problema di natura psicosomatica e Arthur rinascerà in “un bel giovanottone pieno di salute”. Il “vissero felici e contenti” aspetta i giovani lettori poco più in là nella pagina. Peccato che la realtà qualche volta sia diversa, fatta di bambini colpiti inesorabilmente da malformazioni gravi e senza via di scampo se non quella dell’accettazione totale da parte dei propri genitori. Ispirato ad una storia vera, “Un bambino davvero speciale” pubblicato a puntate su il Giornalino6 è un bel esempio di fumetto-verità che non lesina spiegazioni mediche senza cadere nella pedanteria, anzi aiutando il lettore ad immedesimarsi nella psicologia degli adulti e del fratello del piccolo Tommaso.
Una rondine non fa primavera, recita l’antico adagio, mai così veritiero come nel nostro caso. A classificare con puntualità le raffigurazione offerte dal fumetto di stampo realistico-avventuroso è Giulio Cesare Cuccolini7. E il quadro offerto dal critico mantovano è tutt’altro che rassicurante. Questo genere tende infatti a: “drammatizzare la situazione dell’handicap e a fornire del disabile un’immagine di disperazione e, a volte, di indigenza a causa dell’abbandono in cui si sarebbe lasciato; a circondare l’handicappato e chi si relaziona con lui di un’atmosfera pietistica; a prospettare guarigioni o soluzioni miracolistiche per casi irreversibili; e far scarsissimi riferimenti alla conflittualità interiore del disabile; a ignorare i quotidiani problemi materiali dell’assistenza e quelli psicologici di chi assiste il disabile; a rafforzare, a volte, radicati e diffusi, ma infondati, luoghi comuni sull’handicap, come: il binomio deformazione fisica-abiezione morale, l’attribuzione al diverso di poteri paranormali, la tendenza a ‘spiegare’ certi casi di diversità in chiave magico-folcloristica, cioè come conseguenza di una colpa atavica da scontare”.
Didier Comes è magistrale nel descrivere atteggiamenti di questa natura. In Silenzio7, per esempio, l’omonimo servo muto è costretto a subire la dura repressione del padrone solo perché lo stregone chiamato a tenere lontane improvvise disgrazie, ha decretato di diffidare di quell’idiota pericoloso del servo, financo trattato senza troppi problemi da Abele Mauvy.
Gli “scivoloni” non mancano anche in chi dovrebbe far ridere o perlomeno divertire. La Disney, per esempio. Paperino pronuncia una falsità medica sulla meningite (“è quella malattia che fa diventar scemi, se non si muore”) inaccettabile nel 1955 ma ancora meno comprensibile quando è stata ristampata tale e quale nel 1978 ricevendo tacita conferma dal dotto Archimede e dai nipotini, ai quali – evidendetemente – la partecipazione alle Giovani Marmotte ancora non aveva sortito effetto8.
Chi utilizza le nuvole parlanti per mettere alla berlina raffigurazioni errate e fortemente discriminanti è Giancarlo Berardi. In Ken Parker, fumetto per nulla scontato e capace di assommare tecniche espressive straordinarie e tematiche adulte, ci ha regalato alcune pagine esemplari a questo proposito. Parlando di Orion, il protagonista affetto da leggera sindrome di Down di “Quando muoiono i titani”9, il sapientone di turno lo addita snocciola la sua versione. Li chiamano mongoloidi, la loro età resta ferma all’età di cinque-sei anni, e non campano a lungo. Siamo alla fine dell’Ottocento nei pressi delle cascate del Niagara, ma discorsi così poco rispondenti al vero sono in voga anche oggi più di quanto non si pensi. E allora ben venga un fumetto come Colla10, “il primo fumetto che racconta la sindrome di Down ai bambini” come recita la pubblicità. L’utilizzo del medium non sarà troppo professionale, ma il risultato è una metafora a vignette realizzata appositamente dal Centro Emiliano Problemi Sociali di Bologna per diffondere con simpatia e cognizione di causa una maggiore cultura circa la trisomia 21. Con la complicità di Colla, il pupazzo con il numero 47 stampato sulla maglietta, e attraverso la vicenda di Piero, è fatta giustizia di alcuni, inutili, stereotipi sul down.

1. C. Colombo e C. Nizzi – B. Ramella, “Immagini di morte”, Nick Raider n. 45, Sergio Bonelli Editore, febbraio 1992. Nick Raider è una serie gialla creata da Claudio Nizzi.
2. Concrete, l’eroe della nuova era, moderno e maturo personaggio creato dallo statunitense Paul Chadwich.
3. “Una poltrona imbottita di dinamite”, Concrete n. 5, Phoenix, febbraio 1997.
4. Classico/feuilleton tratto dal romanzo di Hector Malot (Senza famiglia) Remì narra le alterne fortune di un bambino lungo le strade della Francia. Della vicenda è stato tratto un cartone animato di successo nel 1977-78.
5. L’orfanella Heidi è un personaggio tratto dal libro di Joanna Spiri, successivamente diventato famoso come cartone animato realizzato nel 1974.
6. S. Sandri – M. Bertolotti, “Un bambino davvero speciale”, in il Giornalino, Ed. San Paolo, marzo-aprile 2001.
7. D. Comes, “Silenzio”, in Alter Alter, febbraio 1981.
8. G. Martina, “Paperino e il misterioso mister Moster”, ristampata in “I Classici di Walt Disney”, n. 13, pg. 64, gennaio 1978.
9. G. Berardi – I. Milazzo, “Quando muoiono i titani”, pg. 152, in Ken Parker numero speciale, Parker Editore, 1992.
10. Colla: un incontro straordinario, disegni Marco Materazzo, a cura del C.E.P.S. Bologna, 1998.

N come Non vedenti

In un’epoca di revisioni linguistiche politicamente corrette, che elimina ciechi e zoppi dal dizionario, il fumetto è tra i pochi media a non cadere nel tranello della leziosità e del pietismo immotivato. L’ispettore Saboum, Mister Charade, Matt Murdock nei panni di Devil, la deliziosa fidanzata della mostruosa Cosa dei Fantastici Quattro, il guercio Sergente degli Angeli del West, non sono affatto patetici “non vedenti”, ma “ciechi” capaci però di sviluppare abilità proprie con le quali sopperiscono al loro handicap.
L’ispettore Saboum creato da Chakir ne è un buon esempio. Accompagnato dal classico bastone, è cieco e non si vergogna di esserlo. Anzi spesso la sua menomazione è un’arma per combattere (e vincere) malviventi poco sensibili e ancora meno furbi. Ne “Il bastone bianco”, pubblicato in Italia sul mensile per ragazzi Mondo Erre1, l’ispettore si imbatte in un truffatore di piccolo cabotaggio che si finge cieco per guadagnare qualche soldo come corriere per la droga. Gli spacciatori sfruttano degli ignari non vedenti nascondendo i traffici illeciti dietro lo sfruttamento criminale della cecità (il corriere era richiesto senza vista, affinché non vedesse il vero contenuto dei libri che consegnava). Finiranno però per sbattere contro l’abilità di Saboum, capace di smascherarli fino a farli letteralmente cadere dalla padella alla brace.
Da una rivista per ragazzi ad un’altra sempre nel segno dell’educare divertendo, una formula tanto cara al settimanale il Giornalino, il quale non teme di confrontarsi con la realtà mostrandola con un linguaggio in grado di colpire un pubblico compreso tra i 6 e i 14 anni, con qualche puntata, per tematiche e proposte, per gli over 14. E’ il caso di Mister Charade2, l’ex ispettore di Scotland Yard che ha perduto la vista in seguito ad un attentato della malavita. Creato nel 1975 da Alfredo Castelli e Renato Polese (al quale si affiancherà Alessandro Chiarolla), il protagonista di questa serie tiene la scena grazie alla sua sagacia e ad un buon impasto di logica ed enigmistica. Fedele al proprio nome, Charade si mantiene in forma ideando cruciverba per diverse riviste, svela enigmi e risolve casi per privati cittadini e per la polizia che spesso ne invoca l’aiuto. Un limite trasformato in potenzialità, quello di Mister Charade, limite che coinvolge totalmente i lettori. Infatti nel corso delle indagini l’ex ispettore si fa descrivere minuziosamente ogni particolare: dagli ambienti alla disposizione degli oggetti, in modo tale che lo stesso lettore ne acquisisca la conoscenza vignetta dopo vignetta. Così il lettore “stimolato da opportune didascalie, è invitato a svelare l’enigma e a svelare il colpevole di turno. – come ha messo bene in evidenza Stefano Gorla3 – Una sorta di partecipazione cooperativa al fumetto sapientemente guidata dagli autori: un doppio gioco, un gradimento elevato per il lettore continuamente stimolato e accompagnato nella sua fantasia e tutto questo, paradossalmente, attraverso la guida di un cieco”. Un po’ come accadeva, se è consentito l’accostamento, al poeta Eugenio Montale e alla amata moglie, quando lei avanti nell’età e pressoché cieca, “scendeva dandomi mille volte il braccio” eppure più “illuminata” del marito vedente4.
Per molti resta da chiarire se i problemi acquisiti siano in realtà un aiuto o un handicap, resta il fatto che il banale incidente che ha reso cieco il giovanissimo Matt Murdock (investito da un camion trasportante materiale radioattivo) ha consegnato ai lettori di più?????????[/COLOR][/SIZE]
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8. The Fantastic Four nasce nell’aprile 1961 ad opera di S. Lee e J. Kirby.
9. Per una trattazione più articolata si veda G. Guidi – R. Vinci, 30 anni di Marvel, Alessandro Distribuzioni, Bologna.
10. Ivi, pp. 10-11.

Z come Zagor

Odioso, crudele e malvagio, è riuscito persino a corrompere chi malvagio non era. Lo scienziato Prometeus, per esempio, cercava il bene dell’umanità ed è diventato un pazzo operatore di male che trasforma alcuni sventurati indiani in volatili sanguinari; Ultar era una creatura angelica prima di essere trasformato in un mostro sanguinario; mentre la gigantesca aquila Ayala ha volato sulle ali dell’odio. Il merito di queste terribili (maligne) conversioni è tutto di Ben Stevens, un cercatore d’oro scalpato vivo da una banda di indiani Munsee “con il volto deturpato da orribili ferite e la mente offuscata dalla rabbia” come insegna Graziano Frediani1. Per raggiungere il suo unico obiettivo, Stevens “alleva e istruisce una torma di rapaci affidando ai loro artigli il compito di realizzare la vendetta”2.
Gli evidenti debiti con i temibili Uomini Falco incontrati dal mitico Flash Gordon3 in una delle sue prime avventure sul pianeta Mongo, non impediscono a Ben Stevens di rimanere scolpito nella mente dei lettori di Zagor4 e con l’altisonante nome di Re delle Aquile prendere un posto in prima fila nella galleria degli avversari più temibili dello Spirito con la Scure.
Il fortunato personaggio creato da Sergio Bonelli5 con il nome de plume di Guido Nolitta quarant’anni fa, veste una casacca rossa sulla quale campeggia un’aquila stilizzata che rappresenta il leggendario uccello di Tuono, porta una pistola alla fondina ma maneggia preferibilmente una scure. Una sorta di giustiziere in costume che difende la pace della foresta di Darkwood e in ogni luogo in cui è minacciata dalle forze del male, siano che si incarnino in scaltri banditi, in indiani ribelli o in creature mostruose. Le sue sono avventure a 360 gradi, nelle quali il western tende la mano al fantasy mentre l’orrore si colora di thriller per sfociare, non di rado, nella fantascienza. Un affascinante mix di generi dal quale più d’una volta emergono villain un po’ stereotipati, caratterizzati secondo il cliché che tende ad accomunare, in un’ottica lombrosiana e nel solco della tradizione di tanta letteratura feuilletonistica, deformazione fisica e abiezione morale o vocazione criminale. Il volto deturpato di Ben Stevens è niente in confronto al diabolico ghigno del professor Hellingen6. Il più formidabile avversario dello Spirito con la Scure potrebbe benissimo recitare la sua parte in una galleria di “mostri” oppure andare ad infoltire la schiera di lombrosiani delinquenti che popolano la serie di Dick Tracy7. Esemplare caso di mad doctor, chiaro omaggio al primo scienziato pazzo del fumetto italiano, quel Virus (opera della premiata coppia Pedrocchi-Molino8) in grado di risvegliare contemporaneamente le mummie di tutto il mondo, Hellingen è tanto disgustoso da osservare quanto geniale nelle sue invenzioni, purtroppo totalmente votate al Male di cui è in qualche modo l’archetipo, la quintessenza con la fissa di conquistare il mondo e – ovviamente – sopprimere il coraggioso e leale Zagor.
Non è finita. Shonta Quassan9 è segnato dallo stesso handicap fisico di Ben Stevens ma i punti di contatto con il terribile Re delle Aquile si fermano qui. Perché il pellerossa mancante della gamba sinistra non ha proprio nulla di sanguinario, anzi è “una sorta di paria, emarginato a causa del suo handicap” hanno scritto di lui Giampiero Belardinelli e Giuseppe Pollicelli10. Il riscatto per Shonta Quassan è tutto racchiuso nelle parole proferite da Zagor, il quale ne caldeggia l’elezione a capo della sua tribù, quegli Onondaga vittime della cattiva influenza dell’acqua di fuoco. Con questo finale Marcello Toninelli (l’autore) “esce dai cliché di genere – cito ancora la coppia di esperti bonelliani – per i quali l’uomo guida di una comunità dovrebbe avere un aspetto fisico rassicurante, nel senso più ampio del termine”11. Il parallelismo con il più famoso Charles Xavier, il telepate capo degli X-Men12 recentemente portati con successo sul grande schermo, viene spontaneo ed è tutt’altro che banale. Che Toninelli abbia nella corde di narratore una sensibilità nei confronti di certe tematiche è testimoniato da un’altra storia zagoriana che tratta di handicap. Ne “Il grande buio”13 (Zenith Gigante 306-307), il Re di Darkwod prova i tormenti della perdita della vista, seppur momentanea. Sono così offerte al lettore vignette cariche di introspezione e scandagliamento psicologico. “Se rimarrò cieco per sempre (Zagor è persuaso di dover rinunciare alla vista per tutta la vita, ndr) come potrò proseguire la mia opera pacificatrice? E che ne sarà di Darkwood, quando si saprà che lo Spirito con la Scure non è più in grado di far rispettare le leggi?”. Il profondo interrogativo rimanda ai tormenti interiori di un altro giustiziere in calzamaglia, il cieco Devil14.
Parlare della diversità non è dunque un tabù sulle pagine di un campione del fumetto popolare italiano qual è Zagor, che anzi assomma agli esempi mutuati dal genere avventuroso alcune tipologie tipiche del fumetto umoristico. Su tutte si staglia Cico, il panciuto pard messicano dello Spirito con la Scure che incarna “l’ingenuità ai limiti della dabbenaggine”15 tipica di molti eroi umoristici (dai disneyani Pippo e Paperino alla goffa Olivia), grazie alla quale non di rado si fanno scudo nei confronti di “un mondo di esseri scaltri, arroganti, malvagi e crudeli”. In realtà, con il passare degli albi Cico ha perduta molta della primordiale ingenuità per trasformarsi da fifone bravo soltanto a cacciarsi nei guai o spettatore inerme a più valente scudiero alla Sancho Panza, in questo spronato da Zagor. Caricaturato fino all’eccesso, “il Piccolo Uomo dal Grande ventre” (come lo chiamano gli indiani) soffre di un’auxopatia (altrimenti detta obesità) che ne fa un essere di buon umore, sempre pronto alla battuta e perennemente affamato. Insomma, un pancione simpatico e per nulla preoccupato del rotondo deficit che si porta appresso. In due parole, politicamente corretto.

1. G. Frediani (a cura di), I mille mondi di Zagor. Quarant’anni di avventure di un eroe senza confini, Sergio Bonelli Editore, Milano, giugno 2001, pg. 55.
2. Ivi.
3. Character creato nel 1934 da quel grandissimo autore che risponde al nome di Alex Raymond, Flash Gordon è un capostipite del fumetto di fantascienza e avventuroso in genere.
4. Nome completo Zagor-Te-Nay, ovvero Spirito con la Scure, è un eore coraggioso e scanzonato nato nel 1961 dalla penna di Guido Nolitta e Gallieno Ferri.
5. Figlio d’arte (il padre Gian Luigi Bonelli è tra l’altro il creatore di Tex), Sergio Bonelli ha a sua volta inventato personaggi e scritto storie a fumetti, diventando editore di uno dei più grandi imperi di comics d’Europa. Con il nome di battaglia di Guiod Nolitta ha pure partorito vari personaggi, tra i quali va segnalato – oltre a Zagor, naturalmente – Mister No.
6. Il professor Hellingen è il più pericoloso nemico mai affrontato da Zagor nella sua pluriquarantennale carriera.
7. Capostipite del fumetto poliziesco, il personaggio dal mento a punta ideato nel 1931 da Chester Gould è stato pubblicato in Italia su Il Mago e Linus.
8. Virus, il mago della foresta morta è uscito a puntate su L’Audace. Era il 1939.
9. Cfr. Zagor Gigante 255-258.
10. G. Belardinelli – G. Pollicelli, Quando l’avventura è cieca. L’handicap nel fumetto bonelliano, in P. Guiducci – S. Gorla (a cura di), DiversAbili. Figli d’una nuvola minore?, Cartoon Club, Rimini 2001, pg. 53.
11. Ivi, pg. 54.
12. X-Men, popolare gruppo di supereroi creati da tandem Stan Lee / Jack Kirby.

V come Vecchiaia

All’apparenza sembra più un ripostiglio che un negozio di fiori. E’ l’insegna “Flowers” a “tradirlo”. Dimesso e melanconico, il locale cela alla perfezione la sua vera natura. E’ qui che il Gruppo T.N.T., il gruppo più esplosivo che la storia ricordi se tenesse davvero fede ai tre elementi che ne compongono la sigla, ha posto il suo covo. Guardando i due agenti di piantone, camuffati da improbabili commessi, l’impressione che se ne ricava è ben diversa. Cariatide un tempo era il braccio destro del Numero Uno, poi si è impigrito e ingrassato ed ora l’unica vera occupazione che cerca di assolvere con ogni situazione meteorologica è dormire, pardon riposare nell’impossibile attesa di clienti nel negozio di fiori. In questo è ben assecondato, quando non superato, da Geremia, l’aiutante afflitto da tutti i mali esistenti sulla terra e col quale fa coppia fissa da tempo.
Tedesco di Germania, vero nome Grunt, l’americanizzato Grunf è pronto a raggiungere i compari di sventura indossando la solita, improponibile, camicia scura sulla quale campeggiano motti inneggianti all’ardimento. Uno slancio che Grunf riserva al suo passatempo preferito, quelle invenzioni che funzionano poco quando non del tutto. I tre formano un asse di inutilità incomparabile, estendendo l’arguta definizione di Davide Barzi1. Decisamente fuori dal tempo, Grunf è ancorato agli ideali del tempo che fu, Geremia Lettiga è un tipico caso di nomen omen vivente mentre Cariatide è semplicemente un peso da portare. Tre storie, tre età venerabili, tre dimostrazioni sulla carta che la vecchiaia è una disabilità bella e buona. Soprattutto quando i casi presi in questione non prevedono alcun tipo di riscatto sociale. “E allora cosa salva questi emarginati perdenti dalla nera depressione per la loro ghettizzazione da parte di una società mostruosa?” 2 si chiede ancora Barzi. La risposta arriva direttamente dalla penna del loro creatore, quel Max Bunker che non perde occasione per fustigare l’opinione comune e il costume corrente grazie ai propri personaggi. I quali “non sono infelici, non sono angustiati, non hanno bisogno di uno psicanalista, si divertono con poco, mangiano poco o niente”3. L’ultima considerazione, i tre in questione la rivedrebbero volentieri, per il resto si tratta di un terzetto di esclusi tutto sommato felice.
Con l’arrivo, un anno dopo dalla sua nascita, del Numero Uno, Alan Ford rischia di diventare il primo ospizio mai ospitato sulle nuvole ancorché parlanti. Il capo della banda è un vegliardo dalla barba bianchissima e dall’età indefinibile che conosce tutto di tutti. E pare abbia vissuto di persona i fatti storici che racconta ai suoi sgangherati agenti. Eppure il suo arrivo era stato salutato sulle pagine del mensile da una sprezzante battuta fuori campo: “Un vecchio rincitrullito in carrozzella”4. E’ stata sufficiente una manciata di numeri per comprendere come Stravecchio De Vecchionis non solo non accusa il peso degli anni ma è pure capace di iperattività, dispotismo anche violento e indisponente cinismo. Diverso sarà lei, caro giovanotto stressato è la conclusione a cui è giunto Barzi, che sottoscriviamo volentieri. I matusa celebrati da Bunker (e resi graficamente Magnus e dagli altri disegnatori della serie), sono uno smacco tanto grottesco quanto riuscito ai canoni e non solo estetici ai quali cerca di abituarci il mondo in cui viviamo.
In questa società costruita su misura per uomini giovani, scattanti, alti, belli, non emigranti e con una gran voglia di fare, chi vede all’orizzonte il capolinea solitamente è tagliato fuori. Si salvano gli arzilli nonnetti della pubblicità ma, appunto, si tratta di pubblicità che potrebbe scorrere in tv con l’ausilio delle canzoni sul tema di Renato Zero e Claudio Baglioni. Gli anziani sono perlomeno dei disadattati. E invece questa gente che in gamba non è sulle pagine di Alan Ford ci fa un figurone da oltre vent’anni. Perché gli stereotipi sociali qui non attaccano.
Ma il magico mondo delle nuvolette non abita tutto nel negozio di fiori, e i vecchi in carrozzina non sono tutti così falsamente rincitrulliti come l’alanfordiano Numero Uno. Chiedete al signor Bartlett, per esempio, e vi racconterà una storia tutt’altro che umoristica. La storia di un anziano signore che vive – sordomuto – su una sedia a rotelle. E per giunta viene “abbandonato” dalla moglie che lo lascia alle cure di una giovane baby-sitter mentre la signora esce con ogni probabilità a far festa con le amiche. E’ la sua storia, quella de “Il confinato” dal titolo del racconto apparso sulle pagine della rivista Frigidaire nel 19845. La bella infermierina vista la situazione pensa di sfruttarla al meglio, magari studiando un po’. A cambiare le carte in tavola ci pensa l’amico Kenny, soprattutto quando si accomoda nella camera da letto dei Bartlett. Un affronto che il padrone non lascia impunito. Affiderà al sogno la sua vendetta, un “riscatto” tutto onirico che prevede solo squartamenti e sangue per i ragazzi e una sorta non meno violenta per la moglie al rientro in casa.
Popolato da capelli grigi politicamente più corretti, il fumetto avventuroso quando è di stampo western come Tex6 mette in campo un Kit Carson che sfiderebbe a duello la vecchiaia pur di poterla sconfiggere. Non a caso l’orgoglioso pard di Aquila della Notte teme più l’invecchiamento di un attacco indiano e le battute sul tema sono sempre un piatto forte delle conversazioni a cavallo tra i due, prontamente fatte correre a gambe levate dalle prodezze di cui il buon Carson è ancora capace. Meno aitanti fisicamente ma pur sempre saggi e dispensatori di verità inoppugnabili sono i vecchi indiani che spesso fanno da contorno alla coppia di infernali satanassi. Se però il rispetto con cui Tex si rivolge al medicine man Nuvola Rossa potesse uscire dall’angusta gabbia formato quadretto in cui è confinato…
In realtà anche Capelli d’Argento ha temuto un invecchiamento precoce e il conseguente pensionamento forzato. E un eroe in pensione è l’ombra di se stesso. Se nelle sue prime apparizioni Carson ha baffi e capelli neri, giusto contorno per un giovanotto sulla trentina quale poteva essere, le cose cambiano nel giro di pochi albi, tanto che nel n. 12 si è già meritato l’appellativo “Capelli d’argento”. Cinque numeri più tardi il maggiore dei Ranger ha toccato quota 45 anni e le successive vicende dovrebbero portargli sul groppone un’altra bella manciata di stagioni. “Probabilmente Bonelli si è accorto che i suoi personaggi stavano invecchiando troppo rapidamente e ha quindi svincolato Tex (e dunque anche Kit Carson, maggiore di una decina d’anni) dall’età effettiva” è la soluzione da Veneni Gutta7. Lo scorrere incessante degli anni è un bel problema per il fumetto in generale, che non può permettersi il lusso di imbastire storie ambientate in case di riposo o indugiare su Tex alle prese con la dentiera… La soluzione, di norma, è sempre quella: svincolare i personaggi dalle pastoie cronologiche8. L’avventura, insomma, è un affare da giovanotti. Se non è discriminazione questa…

1. D. Barzi, “Alan Ford: diverso da chi? Tnt e deflagrazione di canoni estetici e stereotipi sociali”, in DiversAbili. Figli di una nuvola minore? (a cura di P. Guiducci – S. Gorla), Cartoon Club, Rimini 2001, pg. 62.
2. Ivi, pg. 62.
3. Da un’intervista contenuta nel volume Alan Ford – I primi 20 anni, di L. Bernardi e P. Feriani, Paolo Ferriani Editore.
4. Magnus & Bunker, “Il Numero Uno”, Alan Ford n. 11, Editoriale Corno, febbraio 1970.
5. B. Jones – T. Liberatore, “Il confinato”, in Frigidaire, 1984.
6. Il ranger Tex, creato nel 1948 da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galeppini, è ancora in attività, straordinario esempio di longevità di carta.
7. V. Gutta, “L’età” in “40 anni di Tex”, Fumo di China 5/32, Alessandro Distribuzioni, luglio-dicembre 1988, pg. 23.
8. Il tema dell’età dei personaggi nei fumetti meriterebbe una trattazione più ampia e dettagliata. In questa sede ci limitiamo a notare come laddove la continuity è più serrata, il problema dell’invecchiamento, una volta comparso, ha causato non pochi problemi. Si pensi a Blueberry, classico western francese, oppure all’icona Batman. Per risolvere l’empasse, sono state così inventate serie parallele che ripercorrono le vicende dell’eroe in epoche diverse.