Apprensivi, distanti e angosciati. Ma in qualche caso in grado di accompagnare il figlio passo dopo passo nel dramma senza che il loro amore ne risenta. Sono i genitori sulle nuvole, quelli rappresentati dal fumetto spesso all’indice per il disimpegno congenito quando non diseducativo, quei padri e madri che di fronte all’handicap reagiscono in maniera differente, in questo del tutto uguali ai loro simili di carne. I comics hanno però il merito di farci entrare laddove, a volte, la vita di tutti i giorni ci tiene fuori, permettendo così di osservare anche con occhio cinico e magari un po’ guardone il “dietro le quinte” anche quando questo si rivela drammatico e carico di sofferenza.
Carlo e Daniela sono una bella coppia. Checco, il primogenito, è un bel bambino, felice dell’arrivo di un nuovo fratellino. Per il piccolo Tommaso la storia inizia in salita. Afflitto da una malformazione cerebrale non parla, cammina e non può usare le mani. E a detta dei medici “probabilmente non vede né sente bene”. Per la società è già condannato, e con lui la famiglia, “vittima” di una situazione pesante della quale la grave malformazione di Basimbo (come lo chiama il fratello Checco) è solo uno degli elementi. “Un bambino davvero speciale”1 si sofferma sui passaggi del riconoscimento della situazione e sulla sua accettazione, affronta senza reticenze le situazioni che si creano in una famiglia con un bambino handicappato. E quando Carlo e Daniela, Checco e Tommaso recuperano dopo tante sofferenze ed angosce l’equilibrio familiare, c’è da fare i conti con la realtà che li circonda. Stefano Gorla propone un elenco esemplare: “gli scherzi dei compagni di scuola di Checco, gli incontri ai giardinetti, la fatica di raccontare per l’ennesima volta i problemi di Tommaso, le finzioni con il datore di lavoro. Una serie di situazioni che mettono in luce la quotidianità del disabile e della sua famiglia con semplicità e senza pietismo”2. Compresi quei risvolti psicologici e quelle debolezze del tutto umane che conferiscono spessore (si perdoni il paragone e l’invasione di campo) al bel romanzo di Giuseppe Pontiggia, Nati due volte.
L’altra faccia della medaglia però è sempre in agguato. Chi ha descritto in maniera realistica e senza fronzoli l’incapacità di accettare l’handicap è la coppia Stefano Ricci e Davide Catenacci, autori di un breve racconto realizzato appositamente per Accaparlante, la “rivista per chi opera nel sociale” come recita il sottotitolo. Protagonista de “Il piccolo K”3 (il cui spunto è un tragico fatto di cronaca), è la madre di un bambino, K appunto, la quale costringe il piccolo sin dalla nascita (e per ben tredici anni) a vivere “sepolto vivo” dentro un baule. Un rapporto reso ancor più drammatico dal confronto dei primi piani, quello austero della madre e quello percorso da un sorriso del figlio. “L’ho allattato e lui mai un grazie” è la giustificazione adotta dalla madre per il terribile gesto, continuato nel tempo.
Chi al contrario non fa mancare attenzioni al proprio bimbo è la madre di Guido, affetto da paralisi e costretto per questo a vivere su di una sedia a rotelle. L’amicizia con Qui, Quo e Qua lo porta a conoscere l’esperienza delle Giovani Marmotte, compagnia alla quale vorrebbe accedere “proprio come tutti”4. Per questo Guido si impegnerà a superare tutte le prove necessarie all’ammissione, superando la ritrosia della madre troppo apprensiva, costretta alla fine a rivedere le proprie teorie educative. “io ti volevo proteggere perché avevo paura per te, – ammette osservando la felicità del figlio attorniato dagli altrettanto festosi compagni di reparto – ma poi ho capito che vivere da bambino è molto più importante”. Un finale troppo moraleggiante? Completamente differente è il the end al quale assiste il lettore del capolavoro di David B., autore tra i più apprezzati della new wave europea. In Cronache del grande male5, toccante racconto sull’epilessia del fratello che affonda le radici nell’autobiografia dell’autore, David B. rappresenta una coppia di genitori impegnati ad evitare che il dramma del figlio si propaghi. La classica famiglia piccola-borghese alle prese con la difficile gestione di una malattia ripugnante. Nessuna concessione al politically correct è impartita nelle strisce di Cico & Pippo6. Grazie al rapporto tra padre (cieco) e figlio, Altan riesce a prendere in giro tutti i luoghi comuni sull’handicap, fino a imprimere sulla tavola alcune rappresentazioni della menomazione che paiono fin troppo crudeli. Un’impressione dietro la quale si nasconde un’accettazione totale della diversità fino al riso. “Trattando i disabili senza atteggiamenti farisaici e compassionevoli, gli autori finiscono per equipararli ad esseri ‘cosiddetti’ normali dei quali si può sorridere” è la saggia opinione di Giulio Cesare Cuccolini. “Pippo, deve essere triste condurre un papà cieco”. “Sì” risponde con cinico candore il figlio. E quando questi lo accompagna al bowling per una partita e il padre mette a segno uno strike, Cico bara senza pudore: “Purtroppo non ne hai preso neanche uno. Ma è già molto per un cieco”. Semplici, affettuosi e tranquilli, insomma fin troppo normali i genitori (e il fratello “sano” Matteo) di Garbino, il simpaticissimo ragazzo affetto da una leggera sindrome di Down, protagonista di una serie di strisce comparse sulla rivista A.I.A.S.8
L’incapacità di dialogare e sostenere un discorso che non si limiti al “ciao, come stai? Bel tempo oggi”, in attesa che siano altre le agenzie educative ad occuparsene, è illustrato in maniera egregia dal cartoonist argentino Quino (pseudonimo di Joaquìn Salvador Lavado) nelle strisce della sua creatura più riuscita, la bambina contestatrice più feroce e famosa del mondo, Mafalda9. Nata per propagandare una industria di elettrodomestici, la piccola riccioluta che urla e aggredisce verbalmente, è sempre a caccia di risposte che soddisfino la sua sete curiosa e sincera. Una “battaglia” che non poteva non contemplare il mondo della diversità. Per questo rivolta verso il padre che sta leggendo, Mafalda domanda: “papà, che vuol dire handicappato?”. La risposta è tanto lapidaria quanto evasiva: “Va’, va’ a giocare, Mafalda, non sono cose per la tua età”. Obbedendo al padre, nell’ultima vignetta osserviamo Mafaldita che se ne va rassegnata brontolando: “Ho capito, si tratta di sesso”. Un “equivoco” che si ripete anche quando i protagonisti non sono i genitori della urlatrice argentina ma quelli di un’amichetta. “Mia mamma è talmente sensibile ai problemi sociali che la sola parola handicappato le fa saltare subito frrrssht! L’impianto emotivo. E, sai, tutte quelle fibre intime bruciate le bloccano l’altruismo”. “Eggià… I troppo buoni subiscono spesso questi disguidi tecnici” è il sarcastico commento di Mafalda.
E se i genitori non ci sono più, a chi tocca prendersi cura del fratello disabile? Orion è affetto da sindrome di down, e il west non è tenero con chi non sa difendersi, nemmeno se la scena si svolge alle Niagara Falls. Così in “Dove muoiono i titani”, Alex nasconde la sua femminilità pur di garantire al fratello una possibilità: di lavoro, di sopravvivenza, di “normalità”. E’ mamma, babbo e fratello nello stesso tempo. Non è una bocciatura per la famiglia, ma l’affermazione dell’amore oltre ogni incomprensione che può svilupparsi anche tra le mura di casa.
Note
1. S. Sandri – M. Bertolotti, “Un bambino davvero speciale”, in il Giornalino, Ed. San Paolo, marzo-aprile 2001.
2. S. Gorla, “Il Giornalino: qualcosa di speciale”, in DiversAbili. Figli di una nuvola minore? ( a cura di P. Guiducci – S. Gorla), Cartoon Club, Rimini 2001, pp. 91-92.
3. D. Catenacci – S. Ricci, “Il piccolo K”, in HP-Accaparlante, aprile 1988.
4. F. Corteggiani – G. Cavazzano, “Le Giovani Marmotte e un ragazzo come tutti”, in GM – Giovani Marmotte n. 9, Disney Italia, ottobre 1995.
5. David B., Cronache dal grande male, Rasputin!, 1999.
6. Altan, Cico & Pippo, la crudeltà fatta in casa, Edizioni Glenat, Milano 1986.
7. E. Fucecchi – G. Galassi, “Anche un ‘fumetto’ può aiutare a vincere le barriere del pregiudizio”, in A.I.A.S. nn. 5-6, 1991.
8. Mafalda.
9. G. Berardi – I. Milazzo, “Quando muoiono i titani”, pg. 152, in Ken Parker numero speciale, Parker Editore, 1992.
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