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autore: Autore: Riccardo De Ferrari

13. L’approccio sonoro-musicale nella formazione degli operatori

Insieme al collega Alberto Alchieri abbiamo introdotto, all’interno dei laboratori per gli operatori, un percorso che prevedeva interventi di musicoterapia tradizionale. Gli incontri prevedevano l’ascolto di brani specifici, l’improvvisazione musicale di gruppo e la rappresentazione non verbale di sé con interventi sonori individuali.
L’esperienza, seppur istruttiva per il percorso formativo degli operatori, a mio parere non si coniugava ad alcuni aspetti del percorso laboratoriale, soprattutto il passaggio dal training all’uso di strumenti risultava poco fluido. Avevo l’impressione che le energie raccolte nel rilassamento e nel riscaldamento non venissero pienamente impiegate nell’improvvisazione sonoro-musicale.
Il mio scopo, quindi, era trovare un metodo che risultasse più diretto, semplice e dinamico per coniugare il training corporeo e l’esplorazione della propria espressione sonoro-musicale.
La curiosità mi ha spinto a leggere alcuni testi un po’ fuori dalla letteratura strettamente musicoterapica; ho scoperto allora diversi metodi di allenamento e cura della voce e del canto, specifici per gli attori ed estendibili a cantanti e oratori.
Cito per gratitudine La lingua degli Angeli di Giovanni Anselmi (Milano, Guerini e Associati, 2000) e La voce e il canto di Orlanda Cook (Roma, Dino Audino Editore, 2006).
Questi metodi aderiscono felicemente al laboratorio teatrale e ne ricalcano la struttura.
La parte iniziale si concentra sulla respirazione e il riscaldamento del corpo con esercizi specifici nel facilitare l’emissione del suono: si sviluppa con esercizi di gruppo dove ognuno, senza l’imbarazzo dell’espressione solista, può esplorare, giocare, scoprire la propria voce.
Ora il percorso mi sembrava congruo.
Ho plasmato alcune parti cogliendo le esigenze dei partecipanti.
Le tecniche introdotte sono abitualmente utilizzate come interventi di perfezionamento per persone che hanno l’abitudine all’uso della voce e del canto.
Nel nostro caso l’obiettivo non è far diventare intonato un gruppo di operatori del sociale, ma offrire strumenti per sensibilizzarli all’esplorazione e al controllo della voce, anche nell’intervento educativo.
Argomento molto interessante che fornisce spunti di riflessione sul rapporto con il “proprio suono” e la consapevolezza del suo utilizzo.
Attraverso un percorso di esplorazione del proprio corpo, inteso come cassa di risonanza della sonorità, si procede alla (ri)scoperta del primo mezzo di comunicazione non verbale a nostra disposizione, ancora prima dello sguardo e del gesto.
Questo percorso si apre con una fase fondamentale che coinvolge la respirazione e il riscaldamento. Ci si concentra sulla parte del corpo che coinvolge l’emissione sonora: la cassa toracica, il collo, le spalle, la testa.
Si propone una serie di esercizi che aprono i canali di emissione e scaldano le parti interessate a tale fuoruscita; lo scopo è ottenere due risultati allo stesso tempo: preparare il corpo alla migliore emissione possibile del proprio suono e mettere la persona in una condizione di rilassamento e di benessere che questi esercizi, se eseguiti correttamente, agevolano.
Si propongono poi esercizi per esplorare il proprio suono attraverso lo studio dei parametri fondamentali come il volume, l’intensità, la frequenza: ogni partecipante cerca il suono più alto e quello più basso, quello più acuto e quello più profondo. Si gioca con la cavità orale, (ri)scoprendo le possibilità fonetiche di questo apparato: sbadigli, borbottii, lamenti e quant’altro.
Il percorso, per quanto graduale, conduce i partecipanti verso un’esperienza che potrebbe risultare perlomeno bizzarra: affrontare esercizi di emissione vocale di fronte a terzi, per un gruppo di persone spesso alla prima esperienza, può causare imbarazzo. Quindi tutti gli esercizi vengono proposti al gruppo nel suo insieme mantenendo la dimensione ludica, leggera.
Nella fase conclusiva ogni partecipante scalda la voce e lo strumento che la contiene, esplora le proprie potenzialità fonetiche, condividendo questo percorso con il resto del gruppo.
La proposta finale è quindi un canto a canone: il gruppo ascolta una breve e semplicissima filastrocca registrata. La più famosa è Fra’ Martino, ma è meglio sceglierne una meno nota e altrettanto semplice.
Inizialmente la si canta tutti insieme per memorizzarla, poi ci si divide in due o tre gruppi, a seconda del canone, e il conduttore dirige i tempi di entrata.
Giovanni Anselmi spiega meglio di me:
“L’esperienza del canto corale, al giorno d’oggi accessibile a chiunque soltanto ne abbia il desiderio, è esperienza davvero emozionante. Gli accordi intonati di più voci ci mettono immediatamente in contatto con l’essenza stessa del suono nella sua profonda risonanza fisica e simbolica. Nel coro ci sentiamo nello stesso tempo creatori e fruitori di suono e nel coro quell’opposizione fra individuo e collettivo, nella vita pratica a volte lacerante, viene a scomparire”.

6. Il corpo sonoro: interazione tra corpo e suono

L’intervento sonoro e musicale all’interno del nostro laboratorio teatrale si sviluppa in due momenti distinti: il primo riguarda sostanzialmente la cura del complemento musicale nelle varie fasi del percorso laboratoriale, dall’accoglienza del gruppo ai saluti finali.
Il secondo intervento è un percorso di ricerca del proprio suono-voce, attraverso l’esplorazione delle capacità del corpo-strumento.
Il contributo della musica nel laboratorio teatrale, inizialmente, nella mia esperienza si limitava al primo dei due momenti.
Dopo aver frequentato il corso di musicoterapia e aver fatto esperienza di interventi musicoterapici individuali e di gruppo, ho avuto la possibilità di iniziare a collaborare con un gruppo di persone dalle competenze diverse accomunate dal desiderio di condividere un progetto.
Il laboratorio teatrale è la cornice ideale.
Abbiamo quindi iniziato a collaborare alla conduzione di un laboratorio multidisciplinare.
In questo contesto mi sono dedicato alla scelta dei suggerimenti musicali più indicati ad accompagnare le varie fasi dell’attività, mettendo a disposizione competenze più musicali che musicoterapiche.
L’impianto nel nostro laboratorio prevede quasi sempre una colonna sonora.
Nelle fasi dedicate al rilassamento e al riscaldamento non c’è musica, ma un lieve tappeto di suoni distensivi e armonici con il minor apporto possibile di melodia e ritmo che potrebbero deviare l’attenzione, che deve essere concentrata sulla guida del conduttore.
Negozi specializzati, internet, supermercati hanno una ricca offerta di musica per rilassamento, in un qualsiasi di questi contesti si può trovare il suono più adatto alla nostra sensibilità.
La parte centrale dell’attività è dedicata all’esplorazione delle proprie possibilità espressive attraverso l’utilizzo di un linguaggio intermodale.
Per quanto riguarda l’arteterapia la musica ha una funzione di accompagnamento, talvolta non viene utilizzata per lasciare che l’espressione creativa si raccolga intorno al segno. Lo stesso vale per la videoarteterapia.
Un maggiore impiego della musica avviene all’interno dell’intervento di pedagogia teatrale, dove la musica “condiziona” il movimento; nel caso specifico deve accompagnarlo, facilitarlo, fare in modo che ispiri il gesto.
L’attenzione nella scelta è determinata dal fatto che il brano non accompagna una danza, ma dà luce a una rappresentazione: non deve seguire un ritmo, non deve evocare una particolare atmosfera, ma al tempo stesso può avere una sua struttura riconoscibile.
Non esiste la musica “giusta”: la scelta è condizionata dalle sensibilità e dai gusti dei singoli, sta di fatto che certa musica “funziona”.
La mia esperienza mi induce a consigliarvi l’ascolto di un gruppo newyorkese, i Clogs, e del loro disco Lantern: un esempio per farvi capire di che cosa sto parlando.
Il secondo intervento, di natura musicale, si sviluppa attraverso l’ascolto del proprio suono interiore e della sua espressione.
Il percorso che mi ha portato a questo tipo di proposta è passato attraverso vari stadi.
Per diversi anni il mio intervento all’interno del laboratorio si limitava all’azione di accompagnamento, a volte a un’animazione musicale di gruppo.
L’obiettivo era quello di creare un gruppo in grado di esprimere le proprie emozioni, desideri e bisogni, per trasformarle poi, con l’aiuto dei conduttori, in un plot narrativo.
I partecipanti, stimolati da proposte ludiche, si lasciavano andare e si esprimevano liberamente.
Quando abbiamo iniziato a fare percorsi formativi con operatori la proposta musicoterapica tradizionale non mi sembrava congrua.
Ma questo appartiene al resto della storia…