Insieme al collega Alberto Alchieri abbiamo introdotto, all’interno dei laboratori per gli operatori, un percorso che prevedeva interventi di musicoterapia tradizionale. Gli incontri prevedevano l’ascolto di brani specifici, l’improvvisazione musicale di gruppo e la rappresentazione non verbale di sé con interventi sonori individuali.
L’esperienza, seppur istruttiva per il percorso formativo degli operatori, a mio parere non si coniugava ad alcuni aspetti del percorso laboratoriale, soprattutto il passaggio dal training all’uso di strumenti risultava poco fluido. Avevo l’impressione che le energie raccolte nel rilassamento e nel riscaldamento non venissero pienamente impiegate nell’improvvisazione sonoro-musicale.
Il mio scopo, quindi, era trovare un metodo che risultasse più diretto, semplice e dinamico per coniugare il training corporeo e l’esplorazione della propria espressione sonoro-musicale.

La curiosità mi ha spinto a leggere alcuni testi un po’ fuori dalla letteratura strettamente musicoterapica; ho scoperto allora diversi metodi di allenamento e cura della voce e del canto, specifici per gli attori ed estendibili a cantanti e oratori.
Cito per gratitudine La lingua degli Angeli di Giovanni Anselmi (Milano, Guerini e Associati, 2000) e La voce e il canto di Orlanda Cook (Roma, Dino Audino Editore, 2006).
Questi metodi aderiscono felicemente al laboratorio teatrale e ne ricalcano la struttura.
La parte iniziale si concentra sulla respirazione e il riscaldamento del corpo con esercizi specifici nel facilitare l’emissione del suono: si sviluppa con esercizi di gruppo dove ognuno, senza l’imbarazzo dell’espressione solista, può esplorare, giocare, scoprire la propria voce.
Ora il percorso mi sembrava congruo.
Ho plasmato alcune parti cogliendo le esigenze dei partecipanti.
Le tecniche introdotte sono abitualmente utilizzate come interventi di perfezionamento per persone che hanno l’abitudine all’uso della voce e del canto.
Nel nostro caso l’obiettivo non è far diventare intonato un gruppo di operatori del sociale, ma offrire strumenti per sensibilizzarli all’esplorazione e al controllo della voce, anche nell’intervento educativo.
Argomento molto interessante che fornisce spunti di riflessione sul rapporto con il “proprio suono” e la consapevolezza del suo utilizzo.

Attraverso un percorso di esplorazione del proprio corpo, inteso come cassa di risonanza della sonorità, si procede alla (ri)scoperta del primo mezzo di comunicazione non verbale a nostra disposizione, ancora prima dello sguardo e del gesto.
Questo percorso si apre con una fase fondamentale che coinvolge la respirazione e il riscaldamento. Ci si concentra sulla parte del corpo che coinvolge l’emissione sonora: la cassa toracica, il collo, le spalle, la testa.
Si propone una serie di esercizi che aprono i canali di emissione e scaldano le parti interessate a tale fuoruscita; lo scopo è ottenere due risultati allo stesso tempo: preparare il corpo alla migliore emissione possibile del proprio suono e mettere la persona in una condizione di rilassamento e di benessere che questi esercizi, se eseguiti correttamente, agevolano.
Si propongono poi esercizi per esplorare il proprio suono attraverso lo studio dei parametri fondamentali come il volume, l’intensità, la frequenza: ogni partecipante cerca il suono più alto e quello più basso, quello più acuto e quello più profondo. Si gioca con la cavità orale, (ri)scoprendo le possibilità fonetiche di questo apparato: sbadigli, borbottii, lamenti e quant’altro.
Il percorso, per quanto graduale, conduce i partecipanti verso un’esperienza che potrebbe risultare perlomeno bizzarra: affrontare esercizi di emissione vocale di fronte a terzi, per un gruppo di persone spesso alla prima esperienza, può causare imbarazzo. Quindi tutti gli esercizi vengono proposti al gruppo nel suo insieme mantenendo la dimensione ludica, leggera.
Nella fase conclusiva ogni partecipante scalda la voce e lo strumento che la contiene, esplora le proprie potenzialità fonetiche, condividendo questo percorso con il resto del gruppo.
La proposta finale è quindi un canto a canone: il gruppo ascolta una breve e semplicissima filastrocca registrata. La più famosa è Fra’ Martino, ma è meglio sceglierne una meno nota e altrettanto semplice.
Inizialmente la si canta tutti insieme per memorizzarla, poi ci si divide in due o tre gruppi, a seconda del canone, e il conduttore dirige i tempi di entrata.

Giovanni Anselmi spiega meglio di me:
“L’esperienza del canto corale, al giorno d’oggi accessibile a chiunque soltanto ne abbia il desiderio, è esperienza davvero emozionante. Gli accordi intonati di più voci ci mettono immediatamente in contatto con l’essenza stessa del suono nella sua profonda risonanza fisica e simbolica. Nel coro ci sentiamo nello stesso tempo creatori e fruitori di suono e nel coro quell’opposizione fra individuo e collettivo, nella vita pratica a volte lacerante, viene a scomparire”.

Continua a leggere:
Categorie: Monografia