L’importanza dell’improvvisazione
di Donatella Chiarabini, insegnante, Istituto turistico-alberghiero “Nino Bergese” Genova
La collaborazione con la dott.ssa Simona Garbarino e il suo metodo laboratoriale inizia nell’anno scolastico 2004-2005, con gli allievi del corso turistico, con lo spettacolo “Moti perpetui”.
Da lì, inizia anche la collaborazione con il Centro “Rosa Gattorno” che prenderà forma nel progetto inserito nel POF (Piano dell’Offerta Formativa) dell’Istituto Nino Bergese “Moto perpetuo 2” nel 2005-2006.
Al laboratorio hanno partecipato, in un primo tempo, alcuni ex allievi e la collega di sostegno Giulia Gabutti, con la quale realizzammo lo Spettacolo “Elementi”.
Grazie a questa performance, il progetto ha preso corpo all’interno dell’Istituto fino ad arrivare alla programmazione di un Laboratorio biennale 2006-2008.
Gli obiettivi del Progetto si basano sull’integrazione sociale tra persone diversamente abili e su un confronto culturale tra realtà organizzative differenti.
Da novembre 2006 a maggio 2007, attraverso un laboratorio teatrale settimanale, si è costituito il gruppo di lavoro composto da insegnanti e allievi. Nel secondo anno si è lavorato alla realizzazione della performance “Esquilibri”, portata poi in scena nel novembre 2008 al Teatro Verdi di Sestri Ponente e replicata al Teatro Modena di Sampierdarena nel maggio 2009.
Il lavoro è stato proposto ai ragazzi della quarta e della quinta (dai 16 anni in su) perché il centro “Rosa Gattorno” è frequentato da persone adulte.
Si sono presentati una decina di allievi in ordine sparso, che hanno seguito le prime lezioni orientative. Il percorso è stato poi seguito interamente “solo” da tre allieve, data la palese difficoltà ad aderire completamente a un progetto così coinvolgente che presuppone una maturità psicofisica non comune in quella fascia d’età.
Il mio contributo professionale si è basato sulla conoscenza dell’espressione corporea, di tecniche di danza e una più generale educazione al movimento, conseguenza diretta dell’Educazione Fisica, disciplina che insegno da più di vent’anni all’Istituto Nino Bergese.
Per la persona adulta che non è abituata a lavorare con il proprio corpo, l’approccio con un laboratorio motorio che comprenda anche esercizi di improvvisazione, può essere spiazzante: non c’è “giusto” o “sbagliato”; quando si improvvisa nessuno ti dice cosa fare o ti fa vedere l’esercizio.
Il mio ruolo ha quindi prevalentemente contribuito a mitigare nelle colleghe che insegnano discipline “serie” il senso di inadeguatezza che prevale nella fase iniziale.
Il fatto di avere a che fare con persone diversamente abili, che per loro natura non hanno atteggiamenti giudicanti in negativo, ha facilitato moltissimo l’inserimento di tutti gli elementi componenti il gruppo.
Simona e io, fiduciose che lavorando con l’improvvisazione le persone stesse con la loro diversità suggeriscono la coreografia, i testi e le situazioni, abbiamo convinto via via i colleghi educatori che montare lo spettacolo senza avere qualcosa di preconfezionato da seguire è una metodologia che appaga e dà i suoi frutti.
L’utilizzo delle riprese video durante i laboratori ci ha permesso di ricordare e poi fissare le azioni motorie che via via scaturivano per inserirle nello spettacolo, che comunque, rimane un’improvvisazione perché i “passi” non sono strettamente codificati o numerati.
Gli educatori arteterapeuti della Cooperativa Sociale Genova Integrazione hanno contribuito con le loro diverse professionalità a mantenere il clima positivo che si è sempre respirato dal primo momento: la calma e la tranquillità di Grazia; la vivacità motoria e il senso pratico di Stefania; le musiche “strane” di Riccardo; i colori, le luci e l’organizzazione di Tiziana con la vulcanica regia di Simona ci hanno portato a vivere un’esperienza significativa che è diventata un must del nostro Bergese.
Molti docenti si sono interessati al laboratorio, partecipando alla prima fase.
Le docenti Giulia Gabutti, Cristina Gasparini e Anna Forcheri hanno invece completato tutto il percorso, partecipando sia alla messa in scena dello spettacolo che, in qualità di attrici, alla sua rappresentazione.
Un’esperienza “rivoluzionaria”
di Giulia Gabutti, insegnante e figura strumentale per il sostegno, Istituto turistico-alberghiero “Nino Bergese” Genova
Mi chiamo Giulia e sono un’insegnante di Sostegno dell’Istituto Bergese.
La mia partecipazione al laboratorio teatrale è nata in maniera casuale: avevo già conosciuto la dott.ssa Simona Garbarino durante la frequenza del corso di Specializzazione per il Sostegno ed ero rimasta molto colpita dai suoi metodi di “approccio all’handicap”, metodologie nuove e affascinanti per me che ho una formazione culturale di tipo scientifico – poi, al Bergese, ho incontrato la prof.ssa Donatella Chiarabini che mi ha parlato del Progetto e mi ha convinta a provare a frequentare il Laboratorio.
I primi tempi non sono stati facili, caratterizzati da esperienze formative molto forti, totalmente nuove e, in un certo senso, per me “rivoluzionarie”.
Per una persona come me, con un’educazione e una formazione culturale piuttosto tradizionale non è tanto normale, infatti, mettersi a recitare improbabili sceneggiature, urlare il proprio nome e quello dei compagni di laboratorio con diverse intonazioni di voce, vagare, come una pazza, bendata per una palestra in ascolto delle sensazioni di rimando del proprio corpo, raccontare agli altri le proprie emozioni, partecipare con l’entusiasmo di un bambino a giochi di gruppo, diventare un mimo, insomma lasciarsi andare in un clima giocoso e liberatorio per capire sulla propria pelle quanto sia importante acquisire naturalezza e spontaneità per avvicinarsi alle persone con o senza handicap e raggiungere quel coinvolgimento emotivo fondamentale per instaurare un qualsiasi rapporto educativo che non sia solo formale.
Altrettanto forte e fondamentale è stato l’incontro con gli Educatori dell’Anffas, persone straordinarie e carissime e, soprattutto, con i “ragazzi” dell’Anffas, con le loro “diversità” che, unite alle mie, mi hanno dato la forza e l’entusiasmo per andare avanti in questa bellissima avventura.
Il primo anno, tuttavia, non ho trovato il coraggio di salire sul palcoscenico e recitare davanti al pubblico. Sono rimasta dietro le quinte a coordinare il lavoro degli altri.
Lo scorso anno, invece, il coraggio l’ho trovato anche perché al gruppo si sono unite altre due colleghe, Cristina e Anna… e ora mi sento anch’io un po’ un’attrice!
Al di là della performance, però, ciò che conta è l’esperienza di lavoro che ho fatto all’interno del gruppo: è stata la prima volta che ho provato un così forte senso di appartenenza a un gruppo e l’enorme diversità tra le sue componenti è stato ulteriore motivo di coesione totale tra le sue parti.
Lo spettacolo ha preso forma quasi per magia grazie all’apporto indispensabile di ciascuno di noi, e le nostre “diversità” si sono fuse in un unico corpo armonico all’interno del quale tutti hanno avuto bisogno di tutti e nessuno si è mai sentito escluso.
Spero che il Progetto possa continuare perché i “martedì in palestrina” sono diventati per me un momento formativo molto importante e spero anche che altre insegnanti possano unirsi al nostro gruppo per scoprire e vivere, come è capitato a me, questa esperienza indimenticabile.
Relazioni più genuine
di Anna Forcheri, insegnante, Istituto turistico-alberghiero “Nino Bergese” Genova
Per un’insegnante di materie teoriche, educata e abituata da sempre a usare più la testa che il corpo anche nelle relazioni interpersonali, partecipare a un laboratorio teatrale integrato è stata una bella occasione di crescita, personale e professionale.
Pensando alla percezione che ho sempre avuto del mio modo di essere e alla mia età (50 anni), ho aderito alla proposta convinta che il mio contributo sarebbe stato minimo e comunque limitato al ruolo di osservatrice/spettatrice.
L’atmosfera simpatica e rilassata che si è creata in tempi rapidi all’interno del gruppo, la serietà e la professionalità di Simona e di tutti i componenti dell’équipe di riferimento, la spontaneità e il calore umano dei ragazzi diversamente abili mi hanno talmente “catturata” e coinvolta che, senza particolari ansie negative o fatiche mentali, mi sono ritrovata anch’io, fisicamente molto poco abile, a dare un piccolo contributo concreto come “attrice”. E ciò è stato possibile perché in un contesto così armonioso, non competitivo e stressante, il mio corpo è riuscito a lasciarsi andare e, guidato dall’improvvisazione e dall’istinto ha provato a comunicare, a creare empatia con il prossimo, chiunque esso sia, senza usare la parola: così, con molta naturalezza, ha imparato a superare barriere mentali o altri pregiudizi pregressi.
Ed è proprio questo, secondo me, l’aspetto formativo del laboratorio.
I partecipanti come me, inesperti e digiuni di tecniche teatrali, quindi effettivamente “non abili”, senza binari già tracciati, con persone che per natura non indossano maschere e sanno manifestarsi per quello che sono, imparano che attraverso il corpo si possono instaurare relazioni interpersonali più genuine.
Chiaro che un percorso del genere presuppone la voglia di rimettersi in gioco, di provare a rompere equilibri interiori ormai consolidati, di confrontarsi su terreni sconosciuti. Se si superano le iniziali, inevitabili difficoltà il laboratorio restituisce conoscenze ed esperienze fondamentali per la propria crescita personale e, di conseguenza, professionale.
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