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autore: Autore: Simona Lancioni

11. Il bisogno di essere considerate come le altre, anche nei casi di violenza

Intervista a Laura Raffaeli a cura di Simona Lancioni 

Laura Raffaeli quando aveva 42 anni, in seguito a un incidente stradale, ha riportato due disabilità sensoriali: è divenuta completamente cieca e ha perso metà dell’udito. Questa nuova condizione l’ha indotta a impegnarsi su molti fronti: è attiva sui temi della sicurezza e della prevenzione degli incidenti stradali. Ma soprattutto ha fondato la Onlus Blindsight Project (http://blindsight.eu) con la quale porta avanti molte rivendicazioni (dall’abbattimento delle barriere sensoriali, a diverse campagne informative: sul cane guida, per i passaggi pedonali liberi, per l’audiodescrizione delle opere cinematografiche e teatrali, ecc.), gestisce con altre donne Pink Blindsight (www.pinkblindsight.net/), scrive libri. Dai suoi scritti, nel 2011, è stato tratto uno spettacolo teatrale, Laura per tutti, nel quale, tra le altre cose, con grande coraggio, racconta dello stupro subito dopo essere diventata cieca e ipoudente. Laura c’era al workshop di Milano, portando soprattutto l’attenzione sul tema della prevenzione, dell’educazione e della formazione. 

Riportiamo una sua intervista rilasciata recentemente al Gruppo Donne UILDM.

Il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità è poco noto anche a coloro che sarebbero chiamati a dare risposte a questo fenomeno (pronto soccorso, centri antiviolenza, forze dell’ordine, consultori, ecc.). Attraverso quali iniziative pensi che si potrebbe aumentare la conoscenza e l’attenzione a questo tema? Non solo tra gli operatori, ma in generale?
Certo che si può aumentare la conoscenza e l’attenzione su questo tema, basta decidere di farlo, ma sul serio, e una volta per tutte! Non serve più il seminario, il convegno, l’articolo, ecc., perché ormai lo sappiamo tutti che è in atto un vero massacro di donne, sia dentro, che fuori casa, e quasi sempre per i più futili motivi, perché in realtà non esiste un motivo per violentare, abusare o stuprare qualcuno. Bisogna che tutti coloro che hai citato diventino consapevoli del fatto che tra le donne che si rivolgono a loro (almeno quando lo fanno) esistono anche le donne disabili. Che tra queste donne ci sono anche quelle che camminano, capiscono tutto, muovono tutto ma non vedono o non sentono nulla, o davvero poco per potersi difendere e, soprattutto, farsi comprendere. Quindi la mia proposta è mettere un punto, investire tutto il denaro destinato in spot e altre iniziative, direi inutili (visti i risultati), in formazione. Una formazione che anche la Blindsight Project potrebbe offrire (considerando che già svolge tale attività gratuitamente, dal 2006). Mi preme dire che da anni Blindsight Project in collaborazione con CulturAbile ha presentato un progetto di questo tipo al Ministero degli Interni, proponendo corsi di LIS, di comportamento con le persone disabili sensoriali, dell’uso di sottotitoli e audiodescrizioni per ogni video pubblicato da loro (in genere si tratta di video su temi importanti come, ad esempio, l’antifrode, la sicurezza stradale, e anche la violenza), ma, per cominciare, stiamo spettando la loro autorizzazione, che ancora non è arrivata nonostante l’interesse dimostrato e la voglia di realizzare quanto da noi proposto fosse davvero importante. Ecco, basterebbe cominciare dalle forze dell’ordine. Infatti, una volta informate queste, dovrebbe essere facile diffondere il messaggio a tutti gli altri servizi, o almeno spero. Al momento solo uno su un milione sa cosa fare di fronte a una donna sorda o cieca in difficoltà. Lo stesso vale per tutti gli altri disabili sensoriali.

Pensi che le donne con disabilità sensoriale siano sufficientemente informate e sensibilizzate a questo tema?
Penso proprio di sì, ciò che manca a noi donne disabili sensoriali non è la consapevolezza del pericolo o del cosa fare in caso di violenza. Ciò di cui avremmo bisogno è, come dicevo prima, essere considerate come le altre anche quando andiamo a denunciare, o ci rivolgiamo a un centro antiviolenza, spesso inadeguato ad esempio ad accogliere una donna sorda, o impreparato sul comportamento da tenere con una persona cieca. Vorrei che non fossimo come tutte le altre solo per ricevere le violenze, che nel nostro caso difficilmente vengono denunciate soprattutto per i motivi a cui ho accennato. A volte per noi è già difficile affrontare una giornata normale in mezzo a tanti vedenti ignari, figurati quante volte è necessario pensarci prima di decidere di sottoporsi alla polizia o a un pronto soccorso.


A tuo giudizio, quali sono le maggiori difficoltà che incontra una donna con disabilità sensoriale nel momento in cui decide di chiedere aiuto a qualcuno? 

L’inaccessibilità e l’ignoranza, intesa come ignorare completamente le esigenze di chi non vede o non sente. Uno dei tanti esempi che posso portarti riguardo a chi è sorda è il problema della lingua. La LIS in questa nazione, come a Malta, non è ancora riconosciuta quale lingua ufficiale per le persone sorde, ne consegue che questa donna, se volesse rivolgersi a qualcuno, dovrebbe pagarsi pure l’interprete, e sai quante volte bisogna ripetere la stessa cosa, a vari personaggi, quando si decide di denunciare! Per chi è cieca c’è il problema dell’identificazione nel caso di uno sconosciuto, e dicendola tutta, con chi non vede o vede quasi niente, anche se l’aggressore non è sconosciuto spesso non si dichiara, e rimane comunque una testimonianza basata su percezioni tattili e olfattive (a volte più importanti di quelle visive, ma non tutti lo sanno, o lo capiscono). Soprattutto una donna cieca che ha subito violenza è più disorientata di una donna che vede, andrebbero quindi usati modi e maniere tali da poterla riportare, per quanto possibile, in un luogo diverso, quindi bisognerebbe dirle subito dove si trova, cosa c’è e chi ha intorno, chi sono le persone lì presenti e quale sia il loro ruolo, insomma con calma lei dovrebbe per prima cosa localizzarsi in un altro posto, diverso da quello impresso nella mente, e che non dimenticherà più. Le cose da fare sono varie, basta saperle, basta informarsi, non è giusto che le donne italiane con disabilità sensoriali del terzo millennio debbano ricordare che esistono e chi sono!

A cosa è necessario prestare attenzione quando si vuole progettare un ambiente o un servizio (ad esempio i centri antiviolenza, i pronto soccorso, i consultori, le stazioni di polizia, ecc.) per persone con disabilità sensoriali? 

Credo basti attenersi alle regole della Convenzione Onu per le Persone con Disabilità, ratificata da un bel po’ d’anni [con la Legge 18/2009, N.d.R.] ormai anche dall’Italia (perché credo sia inutile ratificare la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica [del 2011, N.d.R.], se ci si scorda di quella che include tutte le donne disabili), e aggiungo che non sono documenti privati, sono testi che chi opera in questi settori dovrebbe conoscere, in modo scontato, dovrebbero far parte del loro bagaglio di conoscenza, del loro curriculum, altrimenti sarebbe come dover ricordare alla Polizia Stradale che esiste il Codice della Strada. Quindi è necessario procedere con l’abbattimento delle barriere sensoriali e con brevi corsi di formazione mirati sulle disabilità sensoriali al personale addetto, rivolti a tutti, dalle forze dell’ordine ai medici, dagli assistenti sociali agli psicologi. Una barriera sensoriale sconosciuta, ad esempio, è rappresentata dai vetri degli sportelli: infatti se non sono chiari e ampi impediscono la lettura del labiale a una persona sorda (che anche se segnante comunque legge se si scandiscono bene le parole, pure sottovoce). Un’altra barriera sensoriale sono i numeri verdi o di soccorso che non consentono di chattare. Rimane comunque il problema che chi non ha uno smartphone ed è sorda dovrebbe poter chattare da un computer. In un ambiente è sempre meglio mettere delle guide in terra (o loges), ma mi rendo conto che sono troppi i centri antiviolenza che hanno subito tagli e non ricevono i fondi necessari al loro importante compito, quindi, in questo caso, riguardo le disabilità visive, basterà avere il comportamento giusto, ma anche un sito web realmente accessibile, la stessa cosa vale per una eventuale applicazione. Ne approfitto per ricordare a tutti che le persone cieche o ipovedenti possono firmare, una cosa questa che, solo per ignoranza della legge, crea imbarazzi, disagi, panico tra chi richiede una firma, e rabbia da parte di chi dovrebbe metterla [Legge 18/1975, N.d.R.]. Vorrei concludere con un altro degli innumerevoli esempi che potrei portare: i documenti devono essere accessibili per legge, intendo moduli da compilare, da leggere, da firmare, ed è anacronistico l’uso del fax e del cartaceo, quando non è strettamente necessario o espressamente richiesto.

Pensi che le associazioni che si occupano di disabilità possano avere un ruolo nella prevenzione e nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità? Se sì, di che tipo? 

Penso che tutti abbiamo la possibilità di avere questo ruolo, anzi dovremmo quasi imporcelo, ma tra le associazioni di categoria ovviamente quello che si può fare è unire le forze per avere ciò che dovrebbe già esistere, molto è quanto già detto qui. Naturalmente il tema della violenza è un tema che non colpisce solo la nostra nazione, va detto però che qui da noi siamo così indietro con le azioni utili, che ancora dobbiamo ricordare che non tutte le donne sono uguali, già questo non è un bel segno, anche se la voglia di cambiare e di fare ce l’abbiamo in tante (e sottolineo il femminile, visto che finora non siamo mai state presidenti della Repubblica o del Consiglio). Andrebbe quindi dimenticato questo strano modo di fare volontariato del tutto italiano. Riferendomi alle associazioni, vorrei dire loro che non esiste il più bravo, forse esiste solo chi prende più soldi di altri, ma questo non importa, ciò che importa è che si sia uniti davvero per risolvere almeno il problema dell’inaccessibilità, oltre a quello dell’ignoranza nei confronti delle disabilità sensoriali

Manifesti, volantini, filmati, spot, iniziative via web e nei social… Se decidessimo di realizzare una campagna per sensibilizzare al tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità, e volessimo che questa fosse accessibile anche alle donne con disabilità sensoriali, quali sarebbero i formati e i supporti più adatti a veicolare il nostro messaggio? 

Documenti accessibili (soprattutto i pdf) come vuole la Legge Stanca, e pertanto fruibili anche da chi usa screen reader. Audiovisivi di qualsiasi formato, ma necessariamente con sottotitoli, audiodescrizione e trascrizione in testo accessibile, come vuole la Convenzione Onu. Eventuali siti web costruiti anch’essi in conformità alla Legge Stanca, lo stesso vale per le applicazioni e tutto ciò che riguarda l’informatica, lo spettacolo e il web.

Nella tua esperienza di blogger e scrittrice, là dove hai affrontato il tema della violenza, hai avuto dei contatti, sostegno, interesse da parte delle associazioni o gruppi femministi e femminili? Se sì, quale relazione si è instaurata, ha portato a qualche risultato concreto? Se no, sempre che ti sembri interessante e importante, su cosa e come attivarla per avere un comune terreno di lavoro e una condivisione d’intenti? 

No, nessun contatto da nessuna associazione o gruppi; infatti ho dato vita a Pink Blindsight, proprio perché avevo capito che, anche se è assurdo, bisogna ricordare che esistiamo anche noi donne cieche o sorde tra le donne che subiscono gli stupri, e che forse tra noi sono addirittura più frequenti, sebbene non siano quasi mai denunciati. La cosa che proprio non capisco è che dobbiamo ricordarlo anche alle altre donne. Con Pink Blindsight ho cercato di fare una rete, qualcuna ha cominciato a parlarne, e a quel punto tutte si sono mostrate interessate e contente di sapere, eppure fino a quel momento non era emerso niente. Del resto ho rotto un silenzio, non ti nascondo che l’ho fatto con grande dolore, ma forse per istinto materno ho pensato a quante adolescenti, a quante giovani donne come me passano gli stessi momenti, spesso dentro casa, e mi sono sentita una stupida a non aver detto prima a tutti… quante volte si può morire.

Hai qualche considerazione da aggiungere su questi temi? 

Sì, vorrei che si prendesse in considerazione la differenza tra chi è nata disabile e chi lo è diventata, anche se da bambina, perché sono mondi simili ma molto diversi. Poi vorrei che tutti gli addetti al soccorso e al recupero contattino Blindsight Project, o me stessa direttamente, prima di spendere soldi in un locale, o per qualche attrezzatura che qualcuno spaccia per abbattimento di barriere, ma soprattutto per sapere come comportarsi e cosa fare in caso di sordità o cecità. Infine mi piacerebbe che le donne si conoscessero tutte tra loro, una volta per tutte e senza tanti raduni o convegni. Nel web ci siamo tutte, basta fare rete.

(Fonte: www.uildm.org/wp-content/uploads/2010/03/ViolenzaIntervistaRaffaeli.pdf) 

3. Persone e modalità della violenza

di Simona Lancioni
responsabile del centro Informare un’h (www.informareunh.it) di Peccioli (PI) e componente del Coordinamento del Gruppo donne UILDM (www.uildm.org/gruppodonne) 

Per riconoscere la violenza nei confronti delle donne con disabilità è necessario prima di tutto contemplare mentalmente che anche le donne con disabilità possono essere vittime di violenza. Se a livello mentale non viene nemmeno presa in considerazione questa ipotesi, possiamo escludere che la violenza, anche quando presente, verrà rilevata, a meno che non si manifesti in forme particolarmente eclatanti (ad esempio con percosse). Fanno da filtro alcuni pregiudizi: che la violenza possa riguardare solo donne rispondenti a certi canoni estetici (ad esempio: la donna non disabile e fisicamente attraente, escludendo anche, in modo del tutto arbitrario, che anche una donna con disabilità possa risultare attraente), e che essa sia una forma di espressione della sessualità. In realtà la violenza è un comportamento finalizzato alla sopraffazione, e la sopraffazione si esercita più facilmente nei confronti di chi è più debole, questo particolare rende le persone disabili particolarmente esposte al rischio di subire violenza. Inoltre non tutte le violenze sono di tipo sessuale, ma anche quando investono la sfera sessuale, sarebbe erroneo considerarle come espressione della sessualità: l’espressione della sessualità infatti implica un mettersi in relazione all’altro, nella violenza invece non si cerca la relazione, ma c’è un’imposizione unilaterale dell’atto sessuale attraverso la forza.
Le donne con disabilità sono esposte a due tipi di violenze: uno legato al genere, l’altro alla disabilità.
La violenza legata al genere si sviluppa con gli stessi meccanismi riscontrati nei casi di violenza verso qualsiasi donna, con in più l’aggravante che, per i casi in cui la donna abbia dei limiti di autonomia e il comportamento oppressivo sia posto in essere da chi le presta assistenza, il percorso di fuoriuscita dalla violenza risulta notevolmente più complesso.
La violenza legata alla disabilità assume connotazioni molto specifiche. Uno degli strumenti che è stato messo a punto per descriverla è un adattamento della “Ruota del potere e del controllo” (la Power and control wheel: people with disability and their caregivers) che esamina la violenza all’interno del rapporto tra la persona con disabilità e il suo (o la sua) caregiver (la persona che presta assistenza). Questo tipo di violenza può essere agito anche da donne (essendo esse, almeno in Italia, le figure maggiormente impegnate nei lavori di cura), e può essere rivolta anche nei confronti degli uomini. Si pensi, ad esempio, alla minaccia espressa dal caregiver di non prestare più assistenza alla persona con disabilità se questa non soggiace al suo volere, oppure alla gestione dei beni della persona disabile come se fossero proprietà del caregiver, o, ancora, al ricorso alla sedazione della persona disabile, non per motivi di salute, ma per alleviare il lavoro di cura.
Sempre in relazione alla violenza legata alla disabilità va segnalata la particolare fragilità delle persone disabili (in maggioranza donne) ricoverate in strutture residenziali. In questi contesti l’esposizione alla violenza è favorita dall’esorbitante asimmetria di potere/controllo tra chi gestisce le strutture e chi vi è ospitato/a. Purtroppo la cronaca ci regala un triste campionario degli orrori che possono verificarsi nelle istituzioni totali.
La violenza sulle donne e quella nei confronti delle persone con disabilità andrebbero prevenute attraverso interventi educativi volti a superare gli stereotipi di genere e a educare al rispetto delle differenze. Tuttavia, qui in Italia, diversi progetti di prevenzione della violenza promossi nelle scuole sono stati osteggiati da molti genitori e da alcuni movimenti prevalentemente, ma non solo, di ispirazione cattolica, che hanno inteso l’educazione al rispetto dei generi, e dei diversi orientamenti sessuali, come “promozione dell’omosessualità”.

Misure di contrasto e di risposta
Una volta preso atto dell’esistenza del fenomeno della violenza nei confronti delle donne con disabilità è necessario pensare a delle misure di contrasto e di risposta. A questo punto si pone il problema dell’accessibilità e dei diversi modi in cui essa andrebbe declinata: in relazione ai diversi tipi di disabilità (motoria, sensoriale, intellettiva), in relazione ai luoghi (ad esempio: accessibilità delle strutture di primo soccorso e delle strutture di accoglienza), e in relazione ai servizi (per la comunicazione, per l’assistenza fisica, per il supporto a chi ha una disabilità intellettiva).
Per inventare percorsi di uscita dalla violenza occorre mettere in campo competenze relative sia alla violenza (e ai suoi meccanismi), sia alla disabilità. Però occorre anche uscire da certe rigidità: non è detto che la risposta più adatta a una donna con disabilità vittima di violenza sia una comune casa rifugio pensata per le donne che hanno subito violenza, potrebbe essere, ad esempio, una struttura pensata per le persone disabili. Non è detto che chi agisce violenza sia sempre un uomo, né che la vittima di violenza sia sempre e necessariamente la persona disabile e non, sempre ad esempio, la caregiver schiavizzata dalla persona con disabilità di cui si prende cura. Per le donne impegnate nella lotta alla violenza sulle donne ipotizzare che anche le donne possano essere autrici di violenza nei confronti delle persone con disabilità non è un’acquisizione semplice da elaborare. Ma l’onestà intellettuale impone di tenere aperta la mente a tutte le possibilità, anche quelle più scomode e dolorose per noi.

Molta documentazione d’interesse è raccolta nella pagina dedicata al tema della violenza contro le donne curata dal Gruppo donne UILDM: www.uildm.org/gruppodonne/contro-la-violenza-sulle-donne/