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autore: Autore: Stefania Baiesi

Gioco libera tutti


Di Stefania Baiesi

Il progetto “Gioco libera tutti” è un nuovo laboratorio del Progetto Calamaio.
L’obiettivo è quello di far scoprire una modalità competitiva sana, divertente, giocosa e non violenta che favorisca le relazioni tra le persone e permetta l’inclusione nel gioco anche di chi ha abilità diverse, perché l’elemento fondamentale diviene non più la lotta per primeggiare ma la sfida creativa che consiste nel creare un gioco capace di far divertire insieme ognuno, con i propri limiti e le proprie abilità. In questo approccio diventa prioritario il rapporto con ogni singolo bambino che viene aiutato a trovare il proprio specifico modo di giocare con il gruppo e con le regole del gioco. Il laboratorio è stato realizzato in due classi quinte della scuola primaria “Elia Vannini” di Medicina (BO), con il contributo della cooperativa sociale “Il girasole” della medesima cittadina.
Hanno condotto il progetto l’educatore Luca Cenci e l’animatrice disabile Stefania Baiesi.

Perché un progetto sull’educazione motoria come questo? Quali sono gli obiettivi?
Gli obiettivi sono gli stessi del Progetto Calamaio, il Progetto “Gioco libera tutti” è un percorso nuovo, sperimentale, con nuove regole, che mira all’inclusione sociale attraverso il gioco e lo sport delle persone all’interno di una classe, di una squadra, di un gruppo parrocchiale o dei campi estivi. Le attività svolte tengono conto delle varie dinamiche d’inclusione sociale, non solo per quelle persone che hanno un deficit specifico, ma per tutti.
Tutti, appunto, devono avere un ruolo attivo nelle attività che proponiamo. Io con la mia carrozzina avrò dei ruoli specifici, così come il bambino che per timidezza fatica a esprimersi o quello sovrappeso con problemi di accettazione, anche a livello emotivo.
Difficoltà che si ripercuotono anche nelle relazioni con gli altri compagni.
Un passo centrale, dunque, è mantenere un occhio di riguardo alle differenze che alle volte possono essere più o meno visibili. Il gioco diventa strumento per l’integrazione, e utilizzando la creatività abbiamo inventato nuove regole condivise da tutti e abbiamo mostrato come tutti noi, nonostante le nostre diversità, possiamo ricoprire un ruolo attivo.
Il Progetto “Gioco libera tutti” è un progetto tutto nuovo. Variano metodologie e strumenti (il gioco in questo caso, con le sue regole e il contesto sportivo), gli obiettivi però rimangono i soliti: costruire e rafforzare le relazioni per una reale integrazione. Per questa volta si è deciso di sperimentarlo in una scuola Elementare di Medicina.
Dopo tanto tempo mi sono ritrovata come animatrice, ho riscoperto me stessa e il mio ruolo con i bambini. Mentre li osservavo giocare e divertirsi mi sono riposta delle domande, che spesso con il nostro lavoro spesso diamo per scontate… Che cosa stiamo facendo? Perché lo facciamo? Domande che sembrano scontate, ma in realtà non lo sono…
Da qui sono partita per una lunga riflessione, sono entrata in una dimensione diversa, una dimensione nuova e ho riscoperto il senso del mio lavoro, ho ripreso il gusto del mio lavoro, mi sono divertita molto anch’io.

Qual è stata la molla, come sono arrivata a capire?

Attraverso il sorriso di un bambino. È cominciato tutto da quel sorriso, una conferma per me che il nostro lavoro stava funzionando, che le nostre nuove regole divertivano molto, dopo di che, ci siamo sciolti sempre di più, sia io sia i ragazzini, poi pian piano siamo arrivati al dialogo, facilitato dal contesto del gioco.
È stato tutto un crescendo, verifica finale compresa: un’esplosione di biglietti scritti, le loro emozioni a non finire sul percorso fatto insieme, condite da disegni e cuoricini.
Come è stato il mio lavoro? Una difficoltà che ho sentito inizialmente è stata il non aver mai partecipato a certi giochi, perché non erano ancora stati adattati alle mie caratteristiche fisiche, tranne quelli che negli anni avevo imparato attraverso l’esperienza del Progetto Calamaio (l’uomo nero, il basket, il paracadute, ecc.), quindi, ho dovuto anche io mettermi di nuovo in gioco, imparando tutte le regole da zero.

Il ruolo di Luca? Luca mi ha dato una direzione rispetto a ciò che dovevo fare, l’ho visto lavorare negli incontri per la prima volta e, a mio modesto parere, francamente è stato molto bravo, l’ho visto molto preparato.
Come ho visto i bambini? Dall’inizio alla fine degli incontri è cambiato molto il clima, i ragazzini si sono divertiti molto, li ho visti sempre meglio, sempre più attivi e dinamici, come immaginavo, non ho mai avuto dubbi su questo, visti i nostri strumenti come il gioco e il divertimento, usati come tramite essenziale, nel nostro nuovo Progetto. Si è partiti dal silenzio, sintomo del disagio iniziale, per poi arrivare a stabilire un dialogo, costruire una relazione, un rapporto. Ad esempio nel primo incontro i bambini erano in imbarazzo di fronte al mio handicap e tendevano a evitare il contatto con me. Negli ultimi incontri invece, litigavano quasi per spingere la mia carrozzina e giocare con me!
Carmela, l’insegnante di classe, è stata molto partecipe, si è messa in gioco fin dall’inizio anche fisicamente, spingendo la mia carrozzina. Un ringraziamento va anche all’insegnante di sostegno e di educazione motoria che in completo accordo con l’insegnante di classe, ha permesso lo svolgimento delle attività nelle sue ore.

Ringraziamo la cooperativa “Il Girasole” per la loro disponibilità e la loro gentile collaborazione.                      

Per chi rompe la campana

L’esperienza di lavoro di una educatrice disabile all’interno del Progetto Calamaio. “ Lavorare mi ha permesso di crescere personalmente e professionalmente, mi ha aiutato (e mi aiuta tuttora) ad ampliare le vedute, eliminare i pregiudizi che mi possono essere rimasti…”Ho cominciato ad avere un ruolo sempre più importante nel Progetto Calamaio soprattutto da quando alcuni miei colleghi, per varie ragioni, non vi hanno lavorato più, se non attraverso saltuarie collaborazioni. Da allora sono cambiate molte cose, è cambiato in parte l’organico e, in conseguenza di questo, anche i compiti. Nella nuova fiaba intitolata “Cane e gatto, scacco matto,” sono entrata al posto di Floriana nel ruolo di Pepito, il cane. Ho cominciato lavorando con Alberto. Ogni tanto mi capitava di sostituirlo, anche prima della sua recente scomparsa, recitando la parte dell’orsone nella fiaba dell’ “Orso”. Impersonando tale ruolo, ho capito di essere in grado di interpretarlo, guardando le sue mosse. E’ un onore fare quello che faceva lui, sarebbe ancora maggiore riuscire a far le cose come lui le avrebbe fatte. Ogni volta che scrivo o che lavoro in progetti per i quali lui ha lavorato, io ne sento la presenza, come se mi dettasse parola per parola.
In conseguenza di questo, mi sono stati affidati dei compiti di responsabilità, anche sotto mia esplicita richiesta, che riguardano soprattutto la scuola secondaria superiore. Sono stati messi a punto nuovi programmi su nuovi argomenti che ho voluto proporre: il capitalismo, l’egocentrismo, la sessualità, i valori della persona e tanti altri. Non può che farmi bene riflettere su questi problemi che meritano un approfondimento.

Andiamo a incominciare

Partendo dalla mia esperienza personale, di pregiudizi, in quanto disabile, ne avevo già subiti molti per cui quando Claudio Imprudente mi ha parlato del Progetto Calamaio mi è venuta la curiosità di saperne di più: ho chiesto all’USL se potevo lavorare a questo Progetto e, fortunatamente, mi hanno dato una risposta affermativa. Ritengo che il Calamaio sia un modo nuovo per affrontare i pregiudizi. E’ come se mi si fosse risvegliata la rabbia tenuta dentro per tanto tempo. Il pregiudizio è spesso soltanto una questione di ignoranza, nel senso vero del termine. Sul momento si può lasciar perdere, ci si passa sopra, ma dopo, se si vuole costruire qualcosa è importante mettersi in gioco attraverso il Calamaio.
Possiamo dire che il clima all’interno del Centro Documentazione, in particolare del Progetto Calamaio, è gioviale, ludico, molto familiare; inizialmente c’era un rapporto di scambio a due tra me e la mia operatrice, Floriana. Dopo si è trattato di mettersi nell’ordine d’idee di lavorare in gruppo. Sono emerse difficoltà, fatiche, in quanto non ci eravamo abituati.
Sono partita da una formazione aziendale. Secondo la mia qualifica professionale avrei dovuto fare tutt’altro tipo di lavoro in ufficio-magazzino o in ufficio di produzione: gestione scorte, materie prime, gestione di documenti ecc. Come la vivo adesso? Mi sento come tanti altri: alle volte studiano per fare un tipo di lavoro e magari ne faranno uno completamente opposto: si accontentano di quel che c’è.
Durante i primi incontri nelle scuole, avevo un’impressione sconcertante, mi sentivo male, mi sembrava di essere lì per caso, un pesce fuor d’acqua, a disagio: “Che cosa vado a dire? Come dirlo? C’è modo e modo di dire le cose; il mio modo sarà adatto?”
Mi veniva da pensare: “Ma guarda, io che non ho fatto il Liceo Classico o l’Istituto Magistrale, vado nelle scuole e mi sento un po’ una maestra. Da molto tempo oramai non ho più quella sensazione sconcertante un po’ per merito dell’esperienza pratica fatta all’interno del Progetto Calamaio,
un po’ per l’attenzione che i nostri colleghi “normodotati” hanno avuto nei nostri confronti. Ora so che la mia fatica e quella dei miei colleghi, rientra nella normalità della vita quotidiana, anche se a volte è maggiore, l’affronto in maniera diversa, la prendo meglio psicologicamente.
Si sa che se si vuole continuare a svolgere il Progetto Calamaio, una certa dose di fatica fisica è da mettere in conto, è insita nel Progetto stesso. E’ una fatica che porta i suoi frutti, per questo viene accettata. In questi ultimi anni, sono aumentate le richieste, soprattutto da parte delle scuole materne. E’ aumentato il mio senso di responsabilità e ho potuto trovare un mio spazio sempre più ampio dove potermi esprimere.
In quanto al futuro del Progetto Calamaio, mi piace pensare che possa continuare, perché è un lavoro utile e penso che abbia ancora molto da dire, indipendentemente dalle questioni economiche, che pur ci sono. Io lo faccio perché ci credo anche se è difficile capire come. Ci siamo resi conto che nel sociale ci sarà sempre qualcosa da fare, per quanto riguarda i rapporti umani che sono e rimangono molto complessi.

Nelle scuole

Durante l’esperienza alle elementari a Mogliano Veneto, un bambino di nome Stefano, si è riconosciuto in me essendo anche lui portatore di deficit: mi ha vista come un suo simile, tanto che mi è letteralmente saltato al collo, sedendosi sulle mie gambe fin dalla prima volta che mi ha visto. Ditemi voi se questo non è gratificante, incoraggiante, sia per le insegnanti, sia per i bambini, sia per noi.
I bambini di Crespellano ci accompagnavano per il corridoio in giardino. Si è creata una atmosfera particolare, gioviale nella quale si sono rivelati intellettivamente vivaci ma calmi fisicamente. E’ stato uno dei percorsi meglio riusciti. Sono questi i momenti che lasciano il segno e i singoli componenti del Progetto stesso ne costituiscono la storia. Il Progetto Calamaio alla scuola materna nel quartiere Borgo Panigale, a Bologna, ha avuto inizio nel 1992. Erano presenti: Roberto, Floriana, Cinzia, Alberto, ed io. Per l’occasione abbiamo fatto un percorso utilizzando una versione ridotta del film “ l’Orso “ di Annaud. Questo per questione di tempi sia nostri che dei bambini. E’ stata un’esperienza memorabile: insegnanti, bambini e noi tutti coinvolti. Sono stati realizzati dei costumi per la drammatizzazione della fiaba, con la collaborazione di insegnanti, bambini, bidelli e genitori.
I bambini sceglievano a loro piacimento l’animale da impersonare, poi si dividevano in gruppetti. Ed ora tutti a giocare! Sdraiati per terra, saltare, cantare, mimare e travestirsi. Nell’esperienza del pesce nella fiaba dell’orso, c’è un momento nel quale l’orso dà da mangiare all’amico orsetto. Una bambina mi si è avvicinata e mi ha chiesto: “Che cosa stai mangiando?”. “Hai visto, sto mangiando un pesce”.
Durante un altro momento, quando il cacciatore cattura l’orsetto impersonato da me, i bambini tutti attorno cercavano di aiutare l’orsetto a liberarsi dalla corda al collo. In un incontro successivo un bambino mi si è seduto sulla schiena senza la paura di farmi male, in modo talmente naturale che da lì è nata l’idea di mimare la tartaruga con l’aiuto dei bambini. Per me era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere, mi ha lasciato stupita. Io fin da piccola sono stata trattata come dentro una campana di vetro. Quel bambino con naturalezza ha rotto la campana e io ho provato una grande emozione.
Alla fine del percorso i bambini si sono messi a giocare liberamente con dei teli di stoffa. Durante il quinto incontro sono state fatte delle sagome di gomma piuma che possono rappresentare l’équipe del Progetto. Queste servono per comunicare ai bambini la differenza tra sé e l’altro; lo stesso vale per il gioco dello specchio.

Esserci o non esserci?

Il Progetto Calamaio mi ha permesso di crescere personalmente e professionalmente, mi ha aiutato (e mi aiuta tuttora) ad ampliare le vedute, eliminare i pregiudizi che mi possono essere rimasti, nei confronti di alcuni ambiti che esulano dalla mia esperienza diretta. Mi aiuta ad acquisire nuove competenze lavorative, a rimettere in discussione le mie motivazioni iniziali: dopo più di dieci anni di lavoro al Centro Documentazione Handicap ci è sembrato sia venuto il momento di farlo.
Ho scoperto di essere un po’ demotivata, ho dovuto prendere una decisione rispetto al futuro. Mi sono chiesta: ”Ci sto ancora al Progetto Calamaio o mi sono stancata? …Ho deciso di rimanere e trattare temi interessanti sia per me, che per gli studenti. Ho scoperto una peculiarità molto importante, fondamentale, alla quale non avevo mai fatto molto caso: la versatilità, la flessibilità del Calamaio, cioè il poterlo trasformare a seconda dei miei interessi, è più bello di quanto si pensi; è una peculiarità molto preziosa, senza la quale questo luogo di lavoro non potrebbe esistere. E’ senza dubbio un preludio alla creatività.