Skip to main content

Progetto di vita – Il margine del campo che diventa fertile

Capezzaia è il margine inutilizzato e incolto dei campi. Capezzaia è anche il nome scelto per una pasta fresca distribuita dalla Coop Tirreno in trentotto punti vendita della regione Lazio. Il margine del campo e la freschezza di questo prodotto sono la sintesi di un progetto della Comunità Capodarco di Roma che da trent’anni si impegna in svariati progetti di integrazione sociale e lavorativa di persone disabili.
Il laboratorio Sociale Produttivo di pasta fresca concretizza proprio un percorso di riabilitazione che coinvolge settantacinque disabili mentali e psichici di età molto varie, comprese tra i venti e i cinquant’anni, che oggi diventa un vero e proprio progetto imprenditoriale. Un progetto che si inserisce in una dimensione di economia etico sociale capace di mettere al centro la persona come soggetto primo da privilegiare e poi il profitto e il guadagno: con questa idea fondamentale si è sviluppato il progetto che oggi ha portato la pasta di Capezzaia nei supermercati della grande distribuzione. Un prodotto che sembra dunque contraddistinguersi per il suo coniugare genuinità del prodotto e integrazione delle persone.
Non casuale il nome “pasta di Capezzaia”, teso a sottolineare l’accostamento del margine solitamente incolto e improduttivo del campo e quella parte di società che non si vede e che silenziosamente viene tenuta ai margini della collettività e, soprattutto, delle dinamiche dei processi produttivi. Un accostamento che genera un contrasto con la produttività: oggi infatti quel terreno e quella collettività tenuta ai margini ha dato frutto ed è divenuta terra fertile, feconda di buoni frutti e di risultati più che soddisfacenti. L’inserimento lavorativo delle persone impiegate nel Laboratorio della pasta è, di fatto, un inserimento a tutti gli effetti, all’interno di un vero e proprio stabilimento industriale nato a Pomezia e finanziato dall’Unicoop Tirreno che grazie alla raccolta dei punti spesa è riuscita a collaborare per un totale di centosessantamila euro. Di fatto, trattandosi di una raccolta punti spesa, non solo Coop è stata coinvolta in questo percorso di emancipazione socio-lavorativa, ma anche molti consumatori soci e clienti di Coop Tirreno che attraverso l’iniziativa “Basta un gesto” hanno contribuito a sostenere l’attività del laboratorio, devolvendo i punti non utilizzati per il ritiro dei vari premi o dei buoni sconto, sono andati a incentivare il finanziamento per la Comunità e il suo Laboratorio. Un percorso di emancipazione dunque che vede coinvolti molti personaggi: innanzitutto la Comunità di Capodarco di Roma che ne è promotrice, i settantacinque lavoratori, l’Unicoop Tirreno ma anche i consumatori che non solo si ritrovano a poter orientare sulla pasta di Capezzaia le proprie scelte di consumo, ma ne hanno anche promosso la realizzazione e la messa in vendita.
Tutto questo mostra quanto sia possibile coniugare una produzione di qualità capace di viaggiare sui circuiti tradizionali della grande distribuzione con l’impiego di quella che viene definita comunemente “manodopera residua”. Per certi versi, tutto ciò è a dir poco rivoluzionario. Un passo in avanti compiuto anche dalla Comunità all’interno della quale fino a oggi si sono messi in piedi laboratori artigianali di oggettini e piccoli manufatti che nulla hanno a che vedere con la produzione della pasta che invece ha proprio le caratteristiche del prodotto di largo consumo portato e distribuito nei supermercati. Realizzato inoltre, con tutti i controlli di qualità necessari per l’immissione in commercio. Questo progetto “pasta di Capezzaia” infatti, prendendo spunto dai Laboratori Sociali condotti dalla Comunità a partire dal 2004, viene a fissarsi come momento di passaggio importante nelle pratiche di inserimento lavorativo messe in atto.
Tutte le riflessioni circa i miglioramenti della qualità della vita delle persone impiegate in questi Laboratori hanno portato a osare nel progetto di Capezzaia. Una riflessione che va oltre e guarda a quanto i lati positivi riguardino anche i futuri consumatori del prodotto. Chi produce la pasta riesce a sentirsi realmente utile trovando un posto all’interno di un processo produttivo; per chi invece la acquista e la consuma significa rendersi conto della possibilità di coniugare insieme qualità e integrazione, tanto orientare in modo diverso le proprie scelte di consumo.
Ecco che i consumatori diventano consumatori critici e i produttori diventano soggetti attivi di un’economia etico-sociale. Un processo, anche questo, che attraverso una dinamica strettamente commerciale, va oltre le categorie e coinvolge tutti, in egual misura, in un processo di cambiamento.
Alla conferenza di presentazione del prodotto, tenutasi a Roma a inizio aprile, hanno partecipato il presidente della Comunità di Capodarco don Vinicio Albanesi, Marco Lami, Presidente di Unicoop Tirreno, Enrico Mentana, giornalista, e l’Assessore regionale alle Politiche Sociali, Anna Coppetelli. È il presidente di Unicoop ad allargare un po’ i significati di un’azione come questa che Coop ha deciso di sostenere, per guardare a quanto “la pasta di Capezzaia” smuova un “moderno concetto di mutualità”. Guarda alle richieste sempre diverse e sempre maggiori dei clienti consumatori Coop, che sembrano non accontentarsi più solo del prodotto buono, o discreto, acquistato a un prezzo basso. Anzi. Il consumatore vuole qualcosa in più che parte da una richiesta di qualità e di controllo su quella qualità, per arrivare a chiedere al supermercato di fornirgli la possibilità di orientare anche criticamente i propri acquisti. Ogni atto di acquisto sembra oggi riflettere bisogni molto diversi dei consumatori: l’acquisto assume sempre di più una scelta di valore, oltre che la soddisfazione a un bisogno della persona che acquista.
Probabilmente osare e allargare un’esperienza come questa significa farla diventare normale, e solo allargando questo concetto di “normalità” iniziamo a sentirci tutti parte di questo ciclo del prodotto: chi da consumatori, chi da produttori, chi da mediatori per la vendita. E più diventa una pratica normale e più incide anche sull’economia che assume sempre più i toni dell’economia eticamente sostenibile, guardando alle persone e non al soldo. Guardando al prodotto e a chi lo produce. Guardando ai suoi significati.

 




naviga: