Lettere al direttore
- Autore: Claudio Imprudente
- Anno e numero: 2009/4 (monografia sull’assistenza domiciliare ai disabili)
Caro Claudio,
prima di tutto grazie per avermi risposto così rapidamente (considerate le tue difficoltà… sei fantastico!), sono curiosa di leggere il tuo libro Una vita imprudente nel quale se ho ben capito tratti anche il tema del ritardo psichico, problema che mi sta particolarmente a cuore!
Come ti ho scritto la mia bimba, Maddalena, è nata con la sindrome di Down, “pacchetto vita” che comprende oltre alla cardiopatia, a una certa goffaggine fisica e una notevole somiglianza a Gengis Khan, anche appunto il ritardo psichico.
Penso che avere una testa che funziona sia uno strumento fondamentale per costruirsi una vita che si realizzi nel percorso che tu chiami “dalla sfiga alla sfida”! Probabilmente (mai dire mai!) la mia bambina questo strumento non lo avrà e questo mi fa temere (magari erroneamente) che sarà più emarginata di qualunque tetraplegico con un cervello tale da consentirgli di tessere relazioni interpersonali di un certo tipo e di battersi per i propri diritti in virtù di quell’intelligenza che contempla la consapevolezza!
Non sono sicura di essere riuscita a spiegare bene quello che intendo, come ti ho scritto Maddalena è la mia quinta figlia (cosa vuoi sono una persona profondamente ottimista e con una grande fiducia nella vita!) perciò la mia esperienza di mamma è quanto meno plurima, ho potuto constatare che, se con i figli normali (quelli con un patrimonio cromosomico standard!) il problema è COSA gli insegniamo!? con Maddalena la cosa si ribalta, COSA IMPARIAMO!? È lei che ogni giorno ci insegna qualcosa: a non dare niente per scontato, a non essere prevenuti in nessun contesto, a misurare tutte le cose con un altro metro molto più attendibile e vero, capace di mettere al riparo da pericolosi abbagli!
La mia BGM (come noi la chiamiamo – Bambina Geneticamente Modificata!) ha solo due anni e mezzo, eppure ha già cambiato la vita di molte persone, se solo potessi trovare il modo di far capire alla società il valore del suo esserci!!!!
Se mi potessi aiutare in questa ricerca ti sarei infinitamente grata ed eternamente riconoscente!
Con affetto e stima
Valeria
Caro Claudio,
leggendoti mi sovviene una strana, strana riflessione sul mio rapporto con i regali…
Quando ricevo un regalo inaspettato, vivo con imbarazzo l’idea di scartarlo, di svelarne il contenuto di fronte al donatore.
La cosa che desidero di più è poter appartarmi, sola con quell’ignoto tra le mie mani, e iniziare il rito di scoperta. Lo sguardo del donatore mi mette fretta, mentre per me l’apertura del regalo è un rituale lento.
E poi vorrei intimità per le mie espressioni! Anche perché il donatore ha un’aspettativa sull’espressione della persona alla quale fa dono, e chissà se la mia sarà quella che lo gratificherà?
E poi quali sono le parole? Ogni formula di ringraziamento mi appare banale…
Credo di avere lo stesso approccio con le persone. Vorrei poter concedermi con ogni persona incontrata sul mio cammino, una scoperta lenta. Non sempre è possibile: i tempi del vivere spesso sono fatti di istanti “mordi e fuggi”… Ma vorrei scartare le persone pian pianino, un lembo alla volta.
Vorrei arrivare al contenuto dopo un viaggio di sensazioni.
Nella vita ho ricevuto regali meravigliosi già solo per l’intenzione della persona che li faceva. Magari semplici, piccole delizie create con le proprie mani con cose povere, ma preziose.
Questo vuol dire che molto del “valore” del dono è fatto di emozione.
Il regalo che per qualcuno potrebbe essere un clamoroso “pacco”, per un’altra persona ha un significato diverso.
Devi sapere che nella mia seconda o terza adolescenza (credo ora di essere alla quarta), ho avuto anche un trascorso di (come si dirà?)… chatter?
Per come sono fatta, puoi immaginarlo, è stata una modalità di comunicazione a me molto congeniale. Aggiungi il fatto che credo di essere abbastanza avveduta e in possesso di buona capacità di giudizio ed ecco spiegato come possa essere stata un’esperienza meravigliosa.
Mi sono trovata nella possibilità di avere di fronte, nell’intimità della mia stanza virtuale, varie “scatole”; non sapevo se sarebbero stati regali-dono o regali-pacco ma mi sono posta nella possibilità di svelare lentamente il contenuto.
Non ho mai avuto interesse per l’età, il sesso o l’aspetto delle persone con cui entravo in contatto. Mi interessavano solo le emozioni.
Mi è capitato di incontrare poi realmente persone con cui avevo costruito un percorso di emozione… e a quel punto qualunque fossero l’aspetto o le caratteristiche di quella persona, non avevano valore perché l’unico valore era l’emozione costruita insieme.
Un bambino disabile, vissuto nel mio immaginario di non-mamma, porta con sé un percorso di emozione che ti permetterà di avere in ogni caso le lenti della meraviglia. Non penso che non sia difficile, che non porti paure… ma credo che se si ha la capacità di scartare e riscartare ci si abbandoni all’accoglienza del dono.
Se capitasse a me di essere mamma di un bimbo disabile, non so che mamma sarei. Però credo di avere quelle lenti della meraviglia.
E continuando in questa riflessione – che è un viaggio – domando a me stessa: bastano queste lenti a nobilitare un regalo-pacco come una malattia?
Bastano queste lenti per vedere un significato diverso nella perdita delle persone amate?
È possibile, tramite la nostra volontà di spostare il nostro punto di vista, cogliere i doni nei pacchi che ogni tanto la vita ti tira in testa?
Ho la fortuna di aver incontrato persone che mi hanno fatto intravedere queste possibilità; persone che portano il peso della sofferenza con la grazia di una piuma e che hanno saputo trasformare un pacco in un dono.
Io non so se saprei.
Questa estate ho dovuto fare un lavoro nella mia casetta di origine, in Sardegna; mio papà vorrebbe venderla e ho cominciato a svuotare le credenze del salotto, alle prese con gli oggetti acquistati o regalati, accumulati negli anni e di cui necessariamente liberarsi. Su alcuni io e mia mamma, quando ancora era in vita, abbiamo fatto grosse risate perché erano veramente dei regali-pacco in Capodimonte e profili dorati e riccioli e capitelli. Il dono, in quei regali, era sicuramente l’humor che ispiravano a mia madre, che partiva con delle gag insuperabili.
A distanza di dieci anni ho riguardato con nostalgia riccioli dorati, pastorelle scolorite e cigni porta fiori che mi hanno fatto dono di quella traccia di passato… e poi, ciò che non era proprio possibile tenere, l’ho destinato alla locale pesca di beneficenza.
Pure sempre “pacchi” che in qualche modo diventano doni.
Un abbraccio!
Alessia
Il prima e il dopo… Non mi resta che raccontarvi cosa è successo in mezzo. Niente di più semplice, cari lettori, un’operazione che pratico spesso e che quasi sempre produce ottimi risultati. Ricevuta la prima di queste due lettere, avevo scritto un articolo che cercava di approfondire – (pro)seguire forse è più appropriato – la lettera era già piuttosto profonda – gli stimoli che da essa venivano. Una lettrice del mio contributo pubblicato su www.superabile.it ha a sua volta aggiunto un anello alla catena, un tassello al mosaico, arricchendo e vivacizzando ancor di più il tema. Mi trovo di nuovo a fare da tramite tra i precedenti lettori-corrispondenti e quelli potenziali futuri. Di nuovo in mezzo, tra un prima e un dopo, per realizzare il quale attendo le vostre parole. Scrivete come sempre a claudio@accaparlante.it o cercate il mio profilo su Facebook. E credetemi: il riferimento ai pacchi e ai regali nella rubrica dicembrina è davvero involontario…
Claudio Imprudente
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