La disabilità può diventare uno spunto per parlare di difficoltà? E di comunicazione?
La paura del diverso, può essere affrontata in modo disarmato?
C’è un legame tra comunicazione e pace?
Queste domande e le conseguenti riflessioni scaturiscono dall’esperienza che io e Claudio Imprudente abbiamo vissuto, quest’estate, al Sermig di Torino (www.sermig.org) una realtà con la quale siamo entrati in contatto e abbiamo stretto amicizia un paio d’anni fa.
Gli “abitanti” del Sermig sono vari: chi ci vive per un giorno, una settimana, un mese oppure per tutta la vita. I volontari che prestano servizio per le più svariate attività (secondo l’idea che tra pulire un bagno, cucinare o gestire la distribuzione di aiuti internazionali non c’è differenza), le donne e gli uomini di strada, ai quali viene offerta accoglienza e la possibilità di riscattarsi, i giovani che a centinaia passano periodi più o meno lunghi per fare e ascoltare, imparare e insegnare, amare ed essere amati.
In questo contesto, siamo stati invitati per incontrare circa 500 ragazzi, provenienti da tutta Italia, con i quali affrontare il tema della comunicazione e della disabilità.
Nonostante la nostra lunga esperienza di incontri dentro e fuori la scuola, è stato molto emozionante passare una settimana intera in loro compagnia, sia durante gli incontri, sia passeggiando per i corridoi dell’Arsenale della Pace, a mensa come durante le varie attività di servizio. Scambiare due chiacchiere, fare una foto, prendere un gelato… un modo diverso e, come ama dire Claudio, molto interessante di stare insieme e conoscersi.
L’idea di questa serie di incontri è nata dopo la pubblicazione di Omino Macchino e la sfida della tavoletta (Ed. Erickson, 2009), ultimo libro di Claudio, al quale abbiamo collaborato anche io e Luca Giommi.
Partendo dalla comunicazione, tema trattato nel testo, e dal confronto diretto con la disabilità e le difficoltà, siamo arrivati a parlare di pace, tema tanto caro al Sermig.

La disabilità può diventare uno spunto per parlare di difficoltà? E di comunicazione?
A queste domande rispondo forse.
Mi spiego.
Partendo dalla differenza, ormai assodata, tra deficit e handicap, possiamo affermare che le difficoltà non sono insite nel deficit ma sono il frutto del rapporto tra la persona disabile e la realtà.
La disabilità, quindi, non rappresenta la difficoltà, bensì si confronta con essa nel momento in cui entra in relazione con il mondo esterno, sia quello fisico che quello delle relazioni umane. Fatta questa premessa, possiamo allora tranquillamente affermare che la disabilità può diventare uno spunto per parlare di difficoltà e, soprattutto, del modo in cui affrontarle. Infatti è proprio dal confronto con esse che nasce la necessità di individuare strategie utili per poterle superare: tecniche o intuizioni creative che diminuiscano la distanza tra quello che una persona con disabilità potenzialmente potrebbe fare e quello che invece riesce a realizzare effettivamente.
Questo discorso, però, ha senso solo se non prescindiamo dal contesto, il quale rappresenta il primo partner con il quale confrontarsi e con il quale creare alleanze. Se, infatti, è proprio dal rapporto con il contesto che nascono le difficoltà, è sempre nel contesto che possiamo individuare le modalità per superarle.
Lo stesso discorso può essere allargato alla comunicazione, intesa come elemento di relazione e di superamento delle difficoltà. Anche la comunicazione, in molti campi, spesso rappresenta il problema. È indubbio, però, che rappresenta anche l’unico strumento per risolverlo, per superare la distanza tra gli interlocutori. La difficoltà, in questo modo, diventa risorsa.

La paura del diverso, può essere affrontata in modo disarmato?
Una delle frasi celebri del Sermig è: la bontà è disarmante.
Idea molto chiara di uno stile di vita e di relazione, che intende porsi in modo disarmato, non solo di fronte ai conflitti più o meno gravi o più o meno personali, ma in ogni campo della vita: nella propria professione, nelle relazioni personali, a scuola come nello sport.
Disarmati, quindi, ma di fronte a che cosa?
Fondamentalmente di fronte al diverso, a ciò che non conosciamo e che, di conseguenza, produce il sentimento della paura.
Affrontarla in modo disarmato significa imparare a considerare la diversità, non tanto come ostacolo o limite, ma come luogo di incontro e ricchezza da condividere. Assumere una nuova logica che, oltre a costruire ponti per superare fiumi ed eliminare distanze, faccia scendere tutti con i piedi nell’acqua perché è il fiume stesso (cioè, ciò che separa) il luogo dell’incontro, dell’inclusione.
Fare tutto ciò in modo disarmato, significa farlo liberi da pregiudizi e preconcetti, aperti alla conoscenza vera e all’incontro con l’altro che, proprio perché diverso da noi, può aiutarci nel percorso di crescita e di evoluzione.
Negli incontri con i ragazzi, la paura e il pregiudizio nei confronti delle persone con disabilità vengono presi come esempio di tutte le paure derivanti dal confronto con la diversità e, a partire da questa provocazione, si arriva a scoprire che la paura è un atteggiamento innato, che si mette in atto come difesa da ciò che percepiamo come pericoloso, e che scompare nel momento in cui conosciamo chi abbiamo di fronte.
Conoscenza, però, che non si può fermare all’immagine esterna ma la deve rivalutare, proponendola in maniera vincente, sottolineando quelle che sono le abilità, le capacità, i desideri e i sogni e non solo ciò che non va. In questo modo si offre all’altro un’idea positiva con la quale confrontarsi alla pari, senza perbenismo o superiorità, permettendo che avvenga uno scambio e si sperimenti la ricchezza di ciò che è diverso.

C’è un legame tra comunicazione e pace?
Se, come abbiamo detto, la comunicazione è il primo strumento della relazione, ecco che viene facile rispondere sì a questa domanda.
Per raggiungere la pace è necessario comunicare.
Ed è necessario farlo in modo disarmato, limpido, schietto e valorizzando il contesto nel quale si vive. Non esiste pace senza comunicazione, perché non esiste pace senza relazione.

Ecco allora che, partendo dal tema della disabilità, siamo arrivati a parlare di pace.
Facile, perché in fondo la pace può essere definita anche come l’inclusione di tutte le diversità in un mondo fatto di diversità. Un controsenso, vero? Beh, il mondo, purtroppo, ne è pieno… Sta a noi cercare di eliminarne qualcuno.

Postilla (più o meno) infantile
C’è una canzone dello Zecchino d’Oro che mi è sempre piaciuta.
Melodia carina e un testo semplice ma creativo.
Scritta per bambini ma con un messaggio valido anche per gli adulti.
La canzone è Bianco con il giallo e dice:

Prendi una matita, gioca coi colori, non aver paura di metterli vicini,
di mischiarli tutti sotto un solo cielo come dei bambini all’uscita dall’asilo.
Prendi un foglio bianco e disegna il mondo con dei grandi prati e il mare sullo sfondo.
Non importa molto se non è rotondo, quello che è importante è la gente che ci sta.
Gente che sappia dare amore alla gente che amore non ne ha,
senza guardare mai il colore che la sua pelle ha.

Bianco con il giallo trova suo fratello, giallo con il nero ed è un amico vero,
verde con il viola vanno insieme a scuola, l’arancione e il blu che si danno già del tu.
Bianco contro il nero, il mondo resta a zero, azzurro contro il rosso cadono nel fosso,
blu senza marrone, il cuore è già in prigione e non c’è ragione che debba stare là.

I colori e la pace sono un binomio ormai consolidato, a partire dai cerchi olimpici, segno di unione dei cinque continenti, per finire con le bandiere della pace, apparse su tanti balconi qualche anno fa.
Tra le varie interpretazioni, a me piace sottolineare l’idea delle sfumature, come quel terreno di incontro tra i diversi colori, quel luogo dove il giallo e il blu, rimanendo loro stessi, producono il verde, nuovo colore nato dalla mescolanza tra i due.
Sfumature quindi come luogo indefinito, affascinante, stimolante che permette a ognuno di cambiare, pur rimanendo se stesso.
In questo luogo sono di casa tutte quelle realtà che pongono in modo esplicito la diversità come elemento di crescita culturale e sociale, come stimolo alla ricerca di senso e di vera inclusione. Anche le persone con disabilità, quindi, che attraverso l’esercizio dei propri diritti e il compimento dei doveri, si pongono come parte attiva della società, una sfumatura necessaria sulla tavolozza della vita.
 

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