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Accessibilità: parlarne si può.Piccoli consigli a uso dei colleghi giornalisti

1. Nel nostro mestiere non c’è di peggio che improvvisare. E invece, come è noto, l’emergenza è la parola più diffusa nelle redazioni, quando viene affidato un incarico rispetto al quale appare evidente che non è facile documentarsi in fretta. Dunque il primo consiglio che credo debba essere messo in valigia è quello di avvicinarsi al mondo delle persone con disabilità o comunque con mobilità ridotta, per problemi di varia natura e origine, utilizzando le risorse professionali ben note, ossia quelle della curiosità, umiltà, verifica delle fonti, buon senso, disponibilità ad approfondire.

2. Il tema dell’accessibilità turistica è davvero interessante per un giornalista, specie se specializzato proprio nel turismo. Questo aspetto dell’accoglienza, infatti, ha molto a che fare con lo stile e con la qualità complessiva della proposta turistica del luogo del quale siamo intenzionati di parlare.

3. Accessibilità, infatti, non ha a che fare con la normativa sulle barriere architettoniche e basta, come si potrebbe erroneamente pensare. Un giornalista turistico, infatti, difficilmente può essere incuriosito dai maniglioni di un bagno attrezzato, o dalla pendenza di una rampa all’ingresso di un albergo o di un museo. Ma sicuramente avrà memorizzato alcuni dettagli, specialmente in viaggi nelle capitali straniere, dai quali si desume sicuramente un’attenzione all’accessibilità per tutti. È un’attenzione che si concretizza in diversi modi.

4. Prima di tutto le guide: è opportuno informarsi subito se esistono pubblicazioni locali, non necessariamente aggiornatissime, che diano conto del livello di accessibilità delle strutture e dei servizi. Spesso nelle aziende di soggiorno questo materiale, magari dimenticato, esiste. È opera di qualche associazione di volontariato, con il patrocinio degli enti locali o di associazioni come Lions e Rotary. Dal 1981, Anno Internazionale delle persone handicappate, al 2003, Anno Europeo delle persone con disabilità, non sono cambiate solo le parole, ma c’è stato anche un fiorire di iniziative nel territorio, poco conosciute e a volte estemporanee, ma comunque in grado di fornire almeno qualche utile ragguaglio generale.

5. In secondo luogo i siti internet: quasi sempre, negli ultimissimi anni, alcune informazioni, anche se generiche e incomplete, sull’accessibilità delle strutture ricettive e delle località nel loro complesso (beni architettonici, luoghi pubblici e di spettacolo, parchi, ecc.) sono reperibili e spesso accompagnate dal riferimento telefonico e dall’indirizzo di chi ne sa di più.

6. In terzo luogo, dunque, è utile chiedere, nel visitare un parco, o una città d’arte, o un museo, o una località di villeggiatura, anche le informazioni disponibili in via veloce sul tema dell’accessibilità per tutti. Il giornalista turistico, infatti, non deve, a mio giudizio, sentirsi obbligato a certificare l’accessibilità, come se improvvisamente ne fosse un esperto imbattibile, ma deve – e soprattutto può – fornire ai propri lettori almeno alcune informazioni di massima circa il livello di accessibilità delle strutture delle quali parla.

7. Negli itinerari enogastronomici, o culturali, o ambientali, ad esempio, consiglierei di cominciare a prevedere, a corredo dei propri servizi, un box contenente le informazioni utili per chi vuole saperne di più. In mancanza di fonti all’origine è possibile rivolgersi quanto meno ai numeri verdi nazionali già esistenti (Vacanze serene o SuperAbile). Il salto culturale rappresentato dall’attenzione, anche grafica, a informazioni che fino a oggi non sono mai state prese nella dovuta considerazione, è di sicuro impatto, ma anche, se non soprattutto, di efficace effetto per la fidelizzazione di lettori vecchi e nuovi.

8. Occorre infatti tenere conto che in ogni famiglia, più o meno, il problema dell’accessibilità dei luoghi di vacanza o di soggiorno breve, di week-end o di viaggio esotico, è tutt’altro che casuale. Non si capisce, ad esempio, perché venga ritenuto più logico fornire notizie sull’accoglienza riservata agli animali domestici, rispetto a quella destinata a persone in sedia a rotelle, a bambini sul passeggino, ad anziani col bastone. Se è vero che almeno un milione di persone disabili italiane viaggiano regolarmente, è assai prevedibile che lo scoprire, nelle riviste di viaggio, nei quotidiani, nei servizi radiofonici e televisivi, anche questa attenzione inedita, non potrà che aumentare la schiera dei lettori, degli ascoltatori, degli spettatori.

9. È importante anche avere occhi, orecchie e naso aperti: dopo le giornate di formazione sicuramente un buon giornalista vedrà il mondo che lo circonda con un occhio leggermente diverso. Un parcheggio in pendenza e pieno di ghiaia, ad esempio, balzerà all’occhio con assoluta evidenza, e non c’è bisogno di conoscere l’intera legislazione sulle barriere architettoniche per comprendere che, fra le cose da segnalare nei propri servizi, potrebbe trovare una riga anche questa notazione di servizio, non solo per mettere sull’avviso chi andrà nella località segnalata, ma anche, auspicabilmente, per contribuire a migliorare la ricettività complessiva.

10. Non tutto è accessibile, e soprattutto non tutto è facile da risolvere, specialmente in un Paese storico come l’Italia. Ma alcune cose fondamentali vanno tenute presenti. Il viaggiare ad esempio è un diritto e non una concessione che riguarda solo alcuni, i più sani e i più forti. Descrivere le località, gli ambienti naturali, le strutture ricettive anche dando conto delle difficoltà che potrebbe incontrare chi è cardiopatico, oppure obeso, oppure con problemi di alimentazione, è ad esempio un modo per dimostrare una sensibilità maggiore e più completa.

11. Occhio ai buoni esempi: una volta divenuti leggermente meno inesperti, i miei colleghi della stampa turistica sapranno cogliere al volo quelli che possiamo considerare esempi di buone prassi, sempre più diffusi – fortunatamente – nel nostro Bel Paese. Sarebbe dunque auspicabile che nei prossimi mesi si ponga attenzione non casuale alla segnalazione privilegiata di proposte di viaggio che siano effettivamente alla portata dell’intera popolazione. L’accentuare, anche attraverso le immagini e la titolazione (a volte basta un’efficace didascalia) un accorgimento di buon gusto per superare un ostacolo, o per favorire la comprensione dell’ambiente a chi non vede, o a chi ha problemi di orientamento, sicuramente accresce e non diminuisce la qualità complessiva del pezzo.

12. Un ultimo consiglio: non si deve mai pensare che parlare e scrivere di accessibilità significhi intristire gli articoli o i servizi. Occorre infatti mantenere intatto il proprio stile professionale e il proprio taglio informativo, riuscendo a inserire questa nuova, doverosa, attenzione accanto alle altre cose che fanno parte del bagaglio professionale ordinario. Per esempio, chi è esperto di gastronomia, spesso descrive con cura anche l’arredamento di un ristorante, notando lo stile dei tavoli, la ricchezza del tovagliato, la scelta dei cristalli: nulla vieta, in tale contesto, di fare cenno all’ampiezza dello spazio fra un tavolo e l’altro, alla comodità del luogo, alla cortesia del personale che sa risolvere anche problemi leggermente più complessi.

13. L’attenzione all’accessibilità, in conclusione, deve e può diventare una buona abitudine professionale, un marchio di qualità e di accuratezza del proprio lavoro, e non semplicemente un’occasionale curiosità legata alla circostanza della celebrazione europea.




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