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Le interviste, i risultati

Uno dei risultati ottenuti riguarda addirittura la fase precedente alle interviste vere e proprie: infatti, la maggior parte delle persone che hanno contattato l’indirizzo e-mail o il numero telefonico della ricerca chiedeva, tra le prime informazioni, se altre persone con le loro stesse problematiche avessero già dichiarato la disponibilità a farsi intervistare. Un modo per chiedere, in sostanza, se esistevano altre persone disabili omosessuali e se il progetto aveva già trovato un riscontro. Costoro, infatti, fino a quel momento, non avevano avuto riscontro di altre persone “come loro”, e si erano sentiti soli e invisibili. Il sapere invece che il progetto stava raccogliendo adesioni, a parte la sorpresa iniziale anche da parte degli intervistati, ha nel tempo portato a ripetute richieste di poter incontrare tutti coloro che stavano partecipando al progetto, in modo da avere la consapevolezza di non essere soli.
Per tutte le altre tematiche emerse, ci baseremo sulle parole degli stessi intervistati.

Essere omosessuale e disabile
Partiamo subito con l’analizzare l’unione delle due tematiche, anche se ci torneremo sopra, soprattutto per quanto riguarda le strategie attuate dagli intervistati: se infatti spesso è uno dei due aspetti che prevale sull’altro, creando più difficoltà in base a uno dei due, spesso è anche vero che una delle due componenti ha favorito l’accettazione dell’altra. In generale, però, si può dire che la compresenza di omosessualità e disabilità è raccontata da quasi tutti gli intervistati come un evento che comporta più difficoltà nella vita quotidiana, privata, lavorativa e sociale, sia di tipo pratico sia di tipo relazionale.

Essere omosessuale e disabile è un doppio svantaggio? Sicuramente sì. Io non la vedo proprio tanto così, ma dall’esterno si percepisce come una doppia disabilità. Come l’ha vista mia cugina quando mi ha detto: “Avrai una vita difficile”. Forse intendeva questo: già sei disabile, e per questo avrai una vita difficile, in più sei più gay, avrai la vita ancora più difficile.

Vuol dire appartenere a due categorie che normalmente sono soggette al pregiudizio.

Se fossi eterosessuale penso che vivrei la vita in maniera più leggera, con meno tabù. Poi penso che sarei vissuto diversamente dal tessuto sociale, che ha una forma di non accettazione delle due cose legate insieme.

Il disabile senza l’omosessualità ha un problema in meno […] Sicuramente sono due problemi che si sovrappongono, perché la disabilità è un grosso problema e l’omosessualità, per quanto se ne voglia dire o parlare, rimane sempre un problema da risolvere o almeno da portare a un livello di equilibrio.

Fino a che non ho finito l’università è stato un disastro… Forse per il mio handicap, forse perché c’era questa omosessualità che non era venuta fuori… Mi sentivo un pesce fuor d’acqua, mi sentivo a disagio con me stesso, quindi difficilmente ci si può trovare bene con gli altri.

Mi piacerebbe un giorno svegliarmi la mattina e potermi presentare per quello che sono senza dovermi difendere, presentarmi come L., non come L. persona disabile, non come L. omosessuale, vorrei che la gente mi accettasse per quello che sono senza dovermi in qualche modo giustificare […] Io vivo nel Grande Fratello da 29 anni. Vorrei un giorno della mia vita senza sguardi.

Usualmente quando si pensa a una persona con deficit si pensa a una persona al centro di attenzioni ma che in pratica rimane con infiniti micro ostacoli giornalieri. Micro perché sono invisibili agli occhi dei più. Non bisogna pensare solo ai grandi centri urbani, ma anche alle piccole città a volte incuranti del rispetto per diversi orientamenti sessuali. Stati d’essere per nulla incorporati nella vita quotidiana e se questi due fattori poi si sommano in un unico individuo, rispettare se stesso diventa essenziale.

Già la disabilità è difficoltosa, nel mio caso dal punto di vista fisico: non poter alzare un braccio per grattarsi, non poter abbracciare un amico… però non mi pesa più di tanto. Sarebbe un discorso ipocrita dire che sono contento di essere così, perché non sono contento di non poter camminare però vivo serenamente, accettare no. Per quanto riguarda l’omosessualità credo di viverla ancora meglio. Non è stato facile, perché ci sono stati dei momenti che mi sono sentito escluso, intanto perché omosessuale, ma soprattutto perché omosessuale disabile.

È una doppia disabilità.

È essere un gay un po’ più sfortunato degli altri.

Essere tutte e due le cose complica senz’altro più la vita, direi che si è disabile due volte o gay due volte: il gay disabile è emarginato perché disabile da molti normodotati ed emarginato dai disabili perché gay… complicatuccia la vita!

Si può essere discretamente felici essendo disabili e omosessuali.

Io vivo la disabilità come una sfortuna, perché non mi consente di fare ciò che voglio. Invece l’essere gay è una parte di me. Non c’è una sorta di aggravio nell’essere sia gay che disabile. Credo che un disabile eterosessuale non potrebbe fare di più ciò che vuole rispetto a me.

Famiglia e disabilità
Il rapporto con la propria disabilità sembra essere significativamente influenzato dal modo in cui
essa viene vissuta in famiglia.
Spesso le famiglie si mostrano impreparate di fronte alla disabilità. Se da un lato ci sono
famiglie che hanno fatto della disabilità un argomento tabù negandone quasi l’esistenza,
dall’altro ci sono famiglie che hanno offerto trattamenti iper-protettivi: gli intervistati
appartenenti a queste famiglie, a parità di altri fattori, sembrano vivere con maggior disagio la
problematica fisica e/o sensoriale e/o godere di minore indipendenza personale, fino, talora, a
vissuti di quasi totale isolamento. La sofferenza è comunque raccontata in entrambi i casi. Il
distacco dalla famiglia e l’acquisizione di maggiore autonomia, in questi casi, richiede forte
auto-determinazione e può comportare grandi sforzi e ad alti prezzi. Ci sono famiglie, altresì, nelle quali il tema della disabilità è dibattuto e sdrammatizzato e vengono forniti gli strumenti per elaborare la propria condizione, raggiungere buoni risultati lavorativi e rendersi autonomi. Le persone che hanno vissuto in contesti familiari “di fiducia” sono quelle che accettano e riconoscono meglio la propria disabilità.

L’handicap è sempre stato un argomento tabù, assolutamente non ne abbiamo mai parlato in famiglia. Esattamente come se non ci fosse. Quando ho preso la decisione di fare la protesi l’ho pagata di tasca mia. I miei non si sono preoccupati di niente, di come stavo io, di come vivevo, dei problemi che avevo in relazione all’handicap.

Mia mamma ha superato il trauma qualche anno fa, io ho 32 anni quindi ci ha messo 25 anni… Secondo me mi ha guardato, mi ha visto che ero tranquillo […] Non è che non mi accettava, ma era iper-protettiva, e più che non accettare me, non accettava se stessa, nel senso: “È colpa mia se mio figlio è così” […] Mio padre non ha avuto, almeno apparentemente, grossi traumi. Lui non mi ha fatto mai pesare la cosa. Non dico che non ci fosse. L’ha vissuta non come un problema, ma come una parte di me che c’era e che bisognava guardare. Non ne abbiamo nemmeno mai
parlato. […] Con mia mamma parecchio, però ultimamente, perché prima era argomento
tabù anche se adesso l’abbiamo risolto.

Loro non mi permettevano di avere una mia indipendenza. In questi anni io ho fatto una vita casa-lavoro, lavoro-casa, non avevo avuto modo di inserirmi all’esterno, c’era una barriera. […] Forse per “amore di mamma”, non riuscivano a comprendere che la vita delle persone non si può ghettizzare solo nella famiglia. Posso capire tutta la prudenza, ma la vita è fatta di tentativi e tutti portano a qualcosa.

Io per oltre vent’anni non conoscevo il mondo, solo scuola e casa. Vivevo in questa bolla protettiva. Verso i 24 anni, ho avuto una crisi e ho avuto 5 anni di depressione, non uscivo di casa, non vedevo nessuno, non frequentavo nessuno, perché non mi accettavo come disabile, come omosessuale e come credente.

Credo che tutto parta dalla famiglia. Se la stessa famiglia non accetta, la persona disabile non prenderà tanta coscienza di sé. Nel momento in cui la famiglia accetta, espone il proprio figlio alla società, dandolo è vero in “pasto ai lupi”, ma permettendogli anche di fare esperienze, di formarsi. E se la persona disabile non fa esperienze, non riuscirà ad accettarsi, perché non avrà mai un riscontro con la controparte.

Una piccola cosa però c’era: che quando passavo molti si giravano a guardare… Poi però ho avuto una famiglia molto brava, perché quando avevo un capriccio mia madre mi sgridava, sono arrivati pure degli scappellotti… Non avevano certo del pietismo.

Io ho parlato di questa diagnosi a mia sorella, che è più giovane, e a mio fratello. Quest’estate l’ho detto a mio padre che almeno con me è stato molto fermo, si è preoccupato degli aspetti pratici dell’eventuale problema, mi ha dato dei consigli pratici da papà evitando di affrontare il pensiero della impraticità della disabilità. È scattato in lui quello che è scattato in me: tenere lontano il pensiero. Con mia sorella invece all’inizio c’è stata la tragedia, è venuta a trovarmi, poi anche lei ha iniziato a informarsi per trovare quanto più possibile degli aspetti tranquillizzanti… Il sogno di tenere la situazione sotto controllo perché è l’unico scoglio a cui aggrapparsi. Come è successo anche al mio compagno: l’istinto di sopravvivenza al problema è quello di conoscere l’handicap.

La mia famiglia è stata molto d’aiuto, mi hanno sempre incoraggiato ad affrontare le cose da solo. Mi hanno sempre aiutato e continuano tuttora a farlo, però in certe cose mi hanno sempre aiutato ad arrangiarmi da solo. Ad esempio il tagliare la mela: io da solo non c’è la facevo, ma mia madre mi ha sempre detto: “Vuoi la mela?Tagliatela”, e siccome a me con la buccia non piaceva, mi sono messo lì e piano piano ho imparato a tagliare la mela, una conquista piccola ma…

Non hanno mai avuto problemi, mi hanno sempre invogliato a essere me stesso e non diverso dalle altre persone perché ho questo handicap. Hanno sempre voluto che io frequentassi persone normali, che non fossi ai margini. Io ho frequentato un liceo pubblico classico, ho fatto l’università. Loro volevano che mi laureassi perché diciamo che è una garanzia in più per quando in un futuro dovrò cavarmela da solo. […] I miei genitori hanno cercato di spronarmi a essere più indipendente possibile sia economicamente che mentalmente. Certo, l’indipendenza si prende a prezzi alti, con lunghe lotte. La prima volta, ad esempio, che ho voluto provare a prendere il treno da solo è stata una lotta in casa, per convincerli che ce la potevo fare.

Io penso di essere stato un ragazzo fortunato perché mi sento apprezzato per quello che sono, ho avuto stimoli, ho scelto, sbagliato, in un ambiente naturale. Devo solo ringraziarli per avermi spinto ad andare avanti.

Penso di aver avuto un percorso felice. Sono il quinto di cinque fratelli e il rapporto con loro mi ha aiutato molto, mi sono sentito parte di un insieme – che era quello dei fratelli, poi quello dei compagni di scuola. Anche lì sono stato fortunato, perché sono nato in un piccolo paese, quindi non ti senti mai in pericolo perché tutti ti conoscono. Altra cosa è che i miei genitori, non avendo studiato, hanno preso di petto in modo semplice il problema e non hanno mai accettato che io
frequentassi una scuola speciale, ma si sono battuti perché io frequentassi la scuola normale, ed è stato vincente. Se guardo a me stesso, la disabilità a me ha dato più vantaggi che svantaggi.

Mondo omosessuale e mondo disabile: come si percepiscono
Interessante è risultata la percezione, da parte degli intervistati, del mondo omosessuale nei
confronti della loro disabilità. Viceversa, anche il mondo dei disabili ha una propria percezione dell’ambiente omosessuale.

Mi sembra che le persone omosessuali discriminino un po’ meno le persone con disabilità rispetto ad altri… Sono, mi sembra, un po’ più aperte mentalmente.

Riguardo al sesso no, non mi sono sentito discriminato dagli omosessuali. Anzi, quando le persone sanno tutta la storia diventano più umane. Riguardo le storie d’amicizia o le persone con cui poi posso aver avuto qualche relazione, mi sono trovato sempre molto bene, non ho mai avuto storie brutte, non c’è stato nessuno che si è comportato male.

L’enfasi sul fisico perfetto penso che sia un problema generale.

L’enfasi sul fisico perfetto penso che sia trasversale. Penso che sia più diffuso tra i giovani questo modo di pensare, sia eterosessuali che omosessuali.

La mia disabilità non ha mai fatto indietreggiare nessuno. Non ho avuto la sensazione di essere isolato.

Non tutti i gay sono discriminatori, solo una minoranza, come tra gli eterosessuali del resto. Forse tra i gay è più accentuato il problema visto che si cerca la perfezione fisica, la bellezza… E il solo fatto che un gay esibisca certe anomalie fisiche può essere un problema per gli altri.

Nel mondo gay la parola disabile fa paura.

L’enfasi che oggi si mette sul fisico perfetto dei gay è un problema trasversale, ma è molto sentito all’interno del mondo gay. […] Ho iniziato a frequentare locali, ambienti, ed effettivamente la smania dell’estetica e dell’apparire è molto ampia. Il fatto è che si vede solo la punta dell’iceberg, perché non credo che tutte le persone che frequentano i locali siano le uniche a essere gay, anzi ce ne sono moltissime fuori.

Girando di più nel mondo omosessuale, pub, discoteche… posso dire che i gay in generale sono molto, molto selettivi. Il mondo gay è più selettivo, bello o brutto, estetica, estetica, estetica. E quindi…

L’omosessuale non disabile è come quell’associazione di cui parlavo prima che non conosceva l’omosessuale disabile. Per l’omosessuale normale l’omosessuale disabile non esiste.

Nel mondo omosessuale, se non si è fisicamente perfetti si è “fuori”. Se non si risponde a determinati canoni, non si viene considerati. Questo atteggiamento è comunque figlio della società. Comunque da chi lotta per non essere discriminato mi aspetterei un atteggiamento non dico più tollerante ma più umano, dove le relazioni interpersonali non si basano solo sul corpo.

Nelle chat i gay sono molto discriminanti specie quando uno dice apertamente di essere disabile.

Frequento il forum di Disabili.com. Conosco tramite Internet diverse persone. Ma anche lì il gay non è ben accetto. Vengono fuori le classiche parole offensive. Ho provato a spiegare la mia omosessualità: tre risposte di complimenti e altri che si lamentano che ci sono “ricchioni”.

Ho contattato un’associazione sportiva per persone che avevano dei deficit […] Sentivo molta omofobia e la cosa mi faceva molto ridere. C’erano dei disabili che facevano delle battutacce sui gay, sembrava una guerra fra poveri, una tristezza.

Il coming out
Solo una piccola parte degli intervistati, al pari di quanto osservabile nella popolazione
omosessuale in generale, è visibile come omosessuale in tutti gli ambiti della propria vita:
famiglia, amicizie, lavoro, relazioni in genere. Da questo punto di vista, vi sono molti aspetti in
comune con la vita delle persone omosessuali più in generale, e non ci soffermeremo. Tuttavia merita alcune considerazioni la situazione familiare: il coming out, cioè il fatto di dichiarare il proprio diverso orientamento sessuale, all’interno della famiglia è il momento più difficile. Sono molte le persone intervistate che danno per scontato che la famiglia sappia o abbia intuito, nonostante non se ne sia mai parlato esplicitamente. Per la maggior parte degli intervistati il coming out è avvenuto solo molto tardi o mai. Ciò non implica sempre e necessariamente un atteggiamento svalutante da parte della famiglia riguardo al tema dell’orientamento omosessuale. Spesso il silenzio coincide solo con una mancanza di dialogo sul tema della sessualità in genere. Tuttavia, il non voler dichiarare la propria omosessualità è spesso legato al fattore di vivere già una disabilità e di non volere dei “pesi” in più o di non essere dei “pesi” in più per i familiari. A volte, si tace sull’omosessualità perché la famiglia è già troppo protettiva e ansiosa nei confronti della disabilità, per cui si ha il timore di vedere ridotte le proprie possibilità di vita indipendente.

Nella mia famiglia non ne ho parlato. A casa mia non si è mai parlato di sesso, anche le mestruazioni di mia sorella sono state scoperte dopo due anni, quindi… Con i miei fratelli non ne ho mai parlato […] Vengo da una famiglia piena di tabù, ho genitori di altri tempi, anche politicamente schierati in una certa maniera, anziani, cardiopatie… All’inizio sì, c’era una forte voglia di avere benedizioni, non sentirmi in colpa. Poi si è attenuata. Mi devo gestire la mia vita senza per forza la presenza della mamma e del papà.

Ho scelto di non espormi tanto perché non volevo in famiglia creare ulteriori ansie, timori, perché l’omosessualità era vista come una perversione, solo sesso. Non si è capito che l’omosessuale è una persona che ama.

Penso che le loro reazioni potrebbero non essere favorevoli. Col tempo forse ci sarà accettazione per rassegnazione. Potrebbero anche essere intimoriti dai pareri della gente.

Sono invisibile […] per non complicarmi ulteriormente la vita, perché il mio obiettivo primario era: quando trovo il compagno di vita, parlo di questa cosa. Siccome “non è passato questo treno”, non ne ho mai parlato con i miei o con amici, né intendo farlo per una forma di autotutela, perché a causa della mia disabilità io sono dipendente da altre persone che poi magari non la digerirebbero bene.

Non lo sanno, non ancora, ma ne parlerò. Non avrò problemi nell’affrontare il discorso e lo farò se entrerà nella mia vita una persona importante.

Nonostante io abbia quasi la certezza che i miei genitori conoscano perfettamente le mie preferenze sessuali, preferisco non portare mai alla luce in maniera totale questa parte della mia vita, perché noto che a loro così dà meno fastidio e causa meno dolore.

Sì, io vivo bene la mia omosessualità, però ho fatto delle scelte come non dirlo ai genitori perché non hanno gli strumenti necessari per capirlo, sarebbe una sofferenza gratuita. Hanno già sofferto tanto per la mia disabilità.

Mia madre continua a ritenere che l’omosessualità è una malattia. […] Mio padre non ha avuto grossi problemi perché non se ne parla. Mi ha semplicemente detto una volta: “Fai quello che vuoi ma non farlo qui, perché la gente non deve sapere”. L’ho vissuta in maniera abbastanza drammatica perché mi facevano sentire in colpa per una cosa che nemmeno avevo scelto.

Intorno ai 24 anni sono entrato proprio in questa stanza qua, mi ricordo che c’era mio padre vicino al camino e gli ho detto: “Papà, c’è una novità: sono omosessuale”, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mio padre è stato zitto, mia madre si è incolpata del fatto e ha detto: “È colpa mia, è colpa mia” e ha minacciato di cacciarmi fuori di casa, ma credo che accada a tutte le persone, disabili o non disabili.

Secondo me mia madre ha avvertito sempre questa situazione di diversità nella mia vita. Il discorso l’affrontai con mia madre quando ho avuto la prima storia importante con un ragazzo. In quel momento ho trovato comprensione anche se secondo lei la storia sarebbe finita. Quando poi abbiamo parlato che per me non era così, che io avrei cominciato ad avere una mia vita, sono successe le prime discussioni molto forti.

Non voglio complicarmi la vita. Se lo vado a dire a mia madre, avrei dei freni in più da parte sua. Avrebbe dei timori in più a farmi uscire, direbbe “Se esci chissà cosa vai a fare…”, e quindi sarei molto meno indipendente. Ora mi lascia uscire con gli amici, anche se è iper-protettiva, perché ritiene che frequentiamo posti “normali”.

Il coming out della disabilità
Può sembrare paradossale la necessità di dichiarare la propria disabilità, ma per le persone che hanno un deficit non immediatamente evidente, l’esplicitazione della propria patologia può porre altrettante difficoltà quanto il coming out dell’omosessualità.
Frequente è il timore di essere rifiutati, che in alcuni casi si scontra realmente con reazioni di
allontanamento o atteggiamenti pietistici.

Ho iniziato la protesizzazione all’età di 18 anni utilizzando protesi interne, poi col tempo ho cambiato protesi iniziando a utilizzare quelle esterne che attualmente ho. Per cui sono passato da una disabilità invisibile a una disabilità dichiarata perché la protesi ora si vede. È stata una scelta maturata nel tempo, e anche sofferta, ho preferito per tanto tempo tenere nascosta la mia disabilità, perché mi è costato dimostrarmi disabile all’ambiente circostante, a scuola, sul lavoro, coi vicini di casa… Diciamo che non c’è una mentalità così aperta da considerare la disabilità come una forma di normalità.

Mi sono ricordato una cosa: fino a 16 anni non mi consideravo disabile, essendo nato così era la persona normodotata per me a essere strana, avevo questa percezione. Poi il mondo esterno mi ha fatto sentire diverso e dichiarare come diverso. Fino ad allora io vivevo benissimo.

Molti anni fa prima di fare la protesi riuscivo a nascondere questa cosa. Può sembrare assurdo ma mi sono ingegnato delle volte in modo da far sesso ancora vestiti. Poi arrivava il punto in cui
non potevo più mentire sul mio deficit, mi sentivo disonesto, allora quando veniva fuori facevano marcia indietro con delle scuse classiche.

L’essere rifiutati
Il primo incontro con potenziali partner non disabili è frequentemente fonte di frustrazione e
delusione: netti sono i rifiuti ricevuti a causa della disabilità, soprattutto se fisica.
Alla disabilità alcuni, inoltre, imputano il fatto di non essere mai stati parte di una coppia e di non
essere cercati come partner affettivi e/o sessuali. Grande sofferenza è raccontata a causa di
questo atteggiamento.

In tutti questi anni di utilizzo della chat non ho mai finto di essere qualcun altro e ho cercato, sin dall’inizio dei contatti con gente nuova, di far presente il mio stato fisico. Naturalmente ho dovuto anche accettare le conseguenze di una così bruciante e istantanea rivelazione, che nella maggior parte dei casi causava la fuga immediata dell’interlocutore, e nei restanti casi di temerari “chattatori” provocava iniziale imbarazzo e inevitabile curiosità a sfondo sessuale che ho subito imparato a metabolizzare rispondendo con naturalezza.

Non vengo tenuto in considerazione per quanto riguarda l’aspetto sessuale.

A volte è successo che ho conosciuto delle persone, di averle frequentate per 2-3 mesi. Ci troviamo bene ma appena conosciuta la mia disabilità… Dileguate!

A volte, se ero seduto, non si notava la disabilità, e piacevo. Il problema subentrava quando facevi vedere la tua disabilità, vedevi lo sguardo smarrito…

Quando dico che ho questo problema qua, che non riesco a fare le scale, vedi le facce, e poi basta, si allontanano, spariscono… Non sempre, però; ci sono persone che non si sono fatte alcun problema… Ma può far paura. Di solito la gente sceglie persone che non hanno problemi.

Io a volte ho risposto ad annunci, dicendo nella lettera che mandavo com’ero. Poi ho visto che alcuni non mi hanno risposto allora ho deciso di dirlo solo a chi mi contatta. Allora tantissime volte c’è stato un attimo di silenzio e mi hanno buttato il telefono in faccia. Altre volte hanno cercato di svicolare dicendo: “Oh, poi ci risentiamo”. Altre volte si arrivava al punto di fissare un incontro e io lo dicevo e ridicevo che sono disabile perché non fosse una sorpresa, perché magari arrivavo e vedevo le facce stralunate, deluse… Con questo non voglio dire che io non abbia avuto le mie esperienze, non solo sessuali ma anche emotive, ma sono state molto poche […] Quando si tratta di gruppi, di associazioni, io vengo accettato bene. È la ricerca di un compagno che è più difficile. Non è facile per nessuno, ma nel mio caso entra in gioco la disabilità.

La prima fase, cioè la conoscenza delle persone attraverso chat, annunci, ecc. è il momento
peggiore, perché più spesso sento che la mia disabilità è un ostacolo e perché la situazione virtuale fa in modo che la persona non possa rapportarsi con me come persona completa, e nel momento in cui le dico che sono non-vedente si trova ad affrontare questo particolare astratto da tutto il resto. Nelle relazioni che ho avuto, superato questo momento, la disabilità comincia a non contare quasi più. Anche qui possiamo ritornare al concetto della conoscenza come momento più problematico, e la disabilità si supera con le persone con cui si può superare, mentre altri chiudono le porte e basta.

Essere in carrozzina, anche se per me non è un grosso problema, per altri può esserlo perché si
pensa alla persona in carrozzina fragile, arrabbiata con il mondo.

Questa barriera io la comprendo, perché la difficoltà maggiore sta nel sentirsi forse incapaci a relazionarsi con me. C’è sempre la paura di ferire l’altra persona… Invece io amo quando le persone sono indiscrete nei miei confronti, perché vuol dire che c’è un dialogo nei miei confronti e attraverso il dialogo si superano le barriere.

Viviamo in un mondo un po’ di edonismo, di esteriorità, però io sono sempre portato a giustificarlo perché la scelta omosessuale è difficile, comporta un certo stress, uno stress in più che l’omosessuale ha da portare avanti rispetto all’eterosessuale. E gli stress lasciano il segno.

Penso che possa spaventare di più il fatto di essere coinvolto in un rapporto, quindi di accettare i limiti dell’altro, aver scarsa capacità di mettersi in gioco, di accettare la sfida di conoscere l’altro per i limiti ma anche per i suoi pregi.

Le persone non sanno che cosa veramente sia una persona con deficit. Può voler bene come chiunque altro, amare una persona, anzi, per me può trasmettere di più. Temono, invece, che una persona con deficit non possa trasmettere le stesse cose degli altri. Sono timorosi, anche se in parte li giustifico perché se non si hanno avuto delle esperienze e non si conoscono certe realtà…

Uscire e conoscere persone
La chat è lo strumento più utilizzato tra gli intervistati, per chiacchierare e venire in contatto con altre persone, e conoscere eventuali partner. Soprattutto tra coloro che hanno difficoltà motorie.
Spesso, inoltre, l’accesso ai locali, anche quelli delle associazioni GLB, è precluso perché irto di barriere architettoniche o malagevole, o l’ambiente è inospitale per chi ha deficit sensoriali o patologie particolari.

La mia malattia prevede tra le regole di non espormi al calore, quindi in una sauna non potrei entrare perché accentuerebbe lo stato della patologia.

Penso che ci sia una difficoltà di tipo oggettivo, perché quando frequento una sauna e sono costretto a togliermi gli apparecchi acustici questo crea parecchi disagi perché riduce la capacità sensoriale di capire gli altri e ovviamente riduce la capacità di socializzazione, perché a volte mi sfuggono le parole, delle parti del discorso.

I maggiori locali gay della mia città sono inaccessibili. Sono locali progettati per gay “normodotati” perché non esiste l’idea di disabili gay.

C’è una spiaggia gay per raggiungere la quale c’è da fare un lungo percorso piuttosto insidioso. C’è stato un tempo in cui avrei voluto andarci, ero sicuro che il percorso fosse fattibilissimo per me, ma non ho trovato gay disposti a portarmici. […] Penso che dovrebbero munirsi di tutte le attrezzature necessarie e cercare di predisporre qualche aiuto per chi ha problemi di autonomia.

Ho faticato a trovare delle persone pagate da me che mi portassero nei locali gay. Ho messo un annuncio per trovare un autista e molte persone quando sentivano la parola gay mi insultavano. Purtroppo la società è questa.

Oltretutto il circolo Arcigay non era molto a norma per i disabili, perché era al terzo piano, e le rampe di scale erano molte… Il problema non sono solo le scale, può essere anche il posto per sedersi: se è troppo basso non va bene perché non riesco poi ad alzarmi.

Non frequento le associazioni e i locali, perché in genere sono in seminterrati, con scale. Se c’è qualcuno mi sento più sicuro. Però se ci sono 10 scalini io non ce la faccio, mi sento osservato, gioca la psicologia. Se i locali fossero accessibili non si risolverebbero tutti i problemi dei disabili omosessuali, ma almeno ci sarebbe maggiore possibilità di incontri, di farsi conoscere, dal vivo si noterebbero tante altre cose e non solo la disabilità.

Vita affettiva e relazionale
Gli intervistati con deficit fisici più invalidanti, o che provocano una quasi totale immobilità, hanno maggiori difficoltà, oggettive e soggettive, nello sperimentare la propria vita affettiva e sentimentale. Ci sono persone invece che, nonostante notino i già citati comportamenti respingenti, sono riuscite a costruire, nel loro presente o nel loro passato, una vita di coppia, affettiva e sessuale soddisfacente e duratura (anche più di venti anni). Queste persone imputano all’atteggiamento personale positivo e propositivo, alla loro piena accettazione dell’omosessualità e della disabilità, e alla maturità e sensibilità dell’altro i loro incontri fortunati. Essere diversamente abili, se da un lato penalizza nell’instaurare rapporti, dall’altro è ritenuto irrilevante o arricchente nella relazione quando essa è duratura.

Non si tratta di sesso, è bisogno di puro contatto fisico. Tante volte a me manca il contatto fisico in sé. Raramente le persone mi toccano, forse per una forma di riservatezza, e non per cattiveria, però mi manca una persona che mi mette anche semplicemente una mano sulla spalla. Mi manca.

Il mio corpo non avrebbe potuto darsi completamente, penso… Non ho mai avuto l’opportunità di sperimentarlo […] Io non mi vedo al fianco di una persona. Non mi vedo in quanto disabile gay, ma soprattutto in quanto disabile. Perché io penso che non potrei chiedere a una persona comune il sacrificio di starmi vicino, di subire le mie limitazioni, il fatto di non poter andare in discoteca, di poter viaggiare poco… Non gli chiederei mai un sacrificio così grande.

Il sesso è una scoperta e sicuramente questo non avviene se nell’altro non c’è l’accettazione, la maturità di affrontare questo discorso. È “particolare”, ma non impossibile.

Siamo una coppia rara. Lo dico con presunzione. Per accettare una relazione con una persona disabile devi essere davvero innamorato, perché alcune cose sono difficili da digerire. In termini affettivi non c’è nulla da invidiare. Dal punto di vista sessuale la questione è legata ai limiti fisici, e pesa più a me che a lui. Non avere la forza di stringerlo forte mi pesa, però se io non riesco ad alzare il mio braccio, lui lo alza per me.

Quello ad avere più preoccupazioni dell’impatto della mia disabilità nel nostro rapporto di coppia, sono stato proprio io! Avevo paura che le mie limitazioni fisiche nei rapporti sessuali avrebbero prima o poi inevitabilmente compromesso anche i sentimenti instauratisi tra di noi. Ma era solo una mia limitazione mentale.

Io ho un gruppo di amici normodotati omosessuali che hanno difficoltà ad avere un compagno, io che sono omosessuale disabile ho un compagno. È una cosa che mi fa riflettere, che mi fa chiedere dov’è e cos’è il limite.

Le associazioni
Un particolare che emerge da tutte le interviste è che, complessivamente, le associazioni sono poco frequentate, sia quelle GLB sia quelle che si occupano di disabilità. La maggior parte degli intervistati, infatti, riferisce di non aver avuto mai contatti con associazioni, o di avere avuto brevi contatti rimanendo però delusi e insoddisfatti. Una frase colpisce più di tutte le altre e riassume la scarsa frequenza all’associazionismo: C’è una strana tendenza in entrambi i tipi di associazioni a ignorare la presenza dell’Altro.
Spesso il sentimento che impedisce a queste persone di contattare o frequentare le associazioni è il timore di entrare a far parte di un circolo chiuso con limitati contatti con il resto della società. Inoltre, per quanto riguarda nello specifico le associazioni che si occupano di disabilità, si può riscontrare che molti degli intervistati provengono da percorsi di istituzionalizzazione ospedaliera e riabilitativa molto lunghi e faticosi: per cui, probabilmente, non si ha più tanta voglia di ritrovarsi ancora una volta in mezzo a molte persone con disabilità.
Tuttavia, gli intervistati non hanno posto solo critiche, ma hanno anche promosso suggerimenti e
richieste chiare e concrete a entrambe le categorie.

Le associazioni GLB
Nel dettaglio, per quanto riguarda la realtà GLB, i motivi principali della mancata adesione a
una associazione o del suo abbandono sono in buona parte legati alla presenza di barriere architettoniche (scale, bagni non adattati…) di cui si diceva prima in riferimento alla possibilità di uscire e frequentare luoghi di incontro. Ma in generale si avverte l’associazionismo GLB come ghettizzante, o scarsamente efficace. Inoltre, non dimentichiamo la poca presenza di associazioni GLB al Sud rispetto al Nord Italia, e in provincia rispetto ai grandi centri. In più viene lamentata la presenza di barriere culturali, e la mancanza di spazio mentale per le persone disabili. Inoltre si avverte la mancanza di una persona disposta ad accompagnare chi è disabile in un’associazione GLB, e anche la mancanza di una persona all’interno dello stesso associazionismo, disposta a fare una prima accoglienza, ad andare incontro in caso di necessità. Del resto, va detto che chi frequenta regolarmente associazioni GLB dichiara di essersi sentito ben accolto e compreso sin dall’inizio, di aver trovato sostegno e sensibilità e di aver superato molti complessi proprio grazie all’inserimento in un gruppo di persone con cui condividere difficoltà, lotte ed entusiasmo.

Sono ghettizzanti, non sono aperte alla società. […] Per far passare un messaggio di normalità bisogna comportarsi normalmente. Quando organizzano un Gay Pride mi sembra ridicolo, anche se in quel caso sono i media a dare per lo più un’immagine sbagliata, del gay vestito da donna, perché ci sono anche gli omosessuali in giacca e cravatta che lavorano in banca.

Trovo sia ghettizzante.

Abito in provincia, non conosco simili attività organizzate in zona.

Non è facile avere relazioni senza frequentare ambienti gay, se poi come me si abita in provincia è praticamente impossibile. Non ci sono associazioni GLB nella mia città.

Se io andavo lì mi piaceva poter parlare con altre persone, sentire i pensieri di tutti gli altri. Andava bene lo scherzo, prendersi in giro e giocare… Però avrei voluto anche che ci si fermasse un attimo a pensare a una soluzione per qualcosa, fare qualcosa di più che stare chiusi a leggere dei libri o a ridere.

In generale alla mia disabilità hanno reagito con un po’ di freddezza. Non era un ambiente sciolto, avvertivo un certo distacco. Poi c’è stata qualche eccezione.

Di fronte alla mia disabilità, in associazione, c’è stato uno sgomento generale.

Non erano molto interessati al problema della disabilità.

Nell’associazionismo non ho avuto mai problemi. Non mi sono mai sentito né inferiore né usato, sono stato ben accolto.

L’Arcigay in questo caso è la più disponibile. Poi con la mia entrata c’è stata l’idea di costruire un’associazione per disabili. C’è stata una manifestazione, sono salito su un palco grazie a loro e ho fatto un appello alle persone e ho detto che esistiamo anche noi, noi disabili omosessuali. L’Arcigay si è sempre dimostrata un’associazione sensibile.

Ho molta collaborazione da parte dell’Arcigay, perché mi danno molta attenzione. Quando dobbiamo metterci d’accordo, io so di poter fare affidamento su di loro, cerchiamo di collaborare e questo mi dà soddisfazione. Io sono dell’avviso che l’ostacolo te lo crei tu, anche nelle associazioni. Se uno si fa volere bene ti aiuta a frequentare anche le persone al di fuori, perché io queste persone non le vedo solo all’Arcigay, ma ci sono andato a teatro, a mangiare…

Intorno ai 22 anni ho frequentato il circolo nella mia città. È stato un incontro un po’ casuale e un po’ ricercato, perché sentivo il bisogno di parlare di questo mio problema, di superare questa menomazione fisica dal punto di vista esistenziale e di accettare la mia omosessualità. Grazie al circolo ho conosciuto gente che mi ha apprezzato, che è stata attratta da me e ho visto che la mia menomazione non era una cosa che poteva impedire un rapporto omosessuale, umano e di coppia.

Il potermi inserire in questo gruppo mi ha aiutato, in minima parte. Ho avuto l’opportunità di avere il confronto diretto con chi aveva il mio stesso problema. Prima mi sentivo come un “carciofo”. E poi ogni problema posso comunicarlo con loro, e loro se possono mi vengono incontro, anche in piccole cose, come per esempio venirmi a prendere per una riunione… Sono un appoggio in più insomma.

Le associazioni per disabili
Molto spesso si accusano le associazioni che si occupano di disabilità di essere lontane dal mondo reale, di essere un circolo chiuso senza inserimento all’esterno. Inoltre si riscontra la mancanza di confronto non tanto sul tema dell’omosessualità, quanto sul tema della sessualità in generale: sono le associazioni per prime, insieme spesso alle famiglie, a mantenere la persona disabile come a-sessuata. A volte si riscontra la sensazione di essere strumentalizzati, e la scarsa collaborazione ed empatia anche tra gli stessi associati, il non sentirsi integrati nel gruppo a causa di disabilità diverse. Emerge anche uno dei temi più controversi riguardanti il terzo settore: le associazioni spesso si fanno la guerra tra loro per ottenere la fetta di torta più consistente. Pertanto, le associazioni che si occupano di disabilità sono spesso utilizzate solo come fonte di informazioni sulla propria patologia o sulle leggi correnti, o per il disbrigo di formalità burocratiche. Va detto, tuttavia, che alcuni intervistati hanno un’esperienza positiva delle associazioni per disabili, ma, nonostante le frequentino, nessuno si dichiara in esse come omosessuale.

Non c’è un inserimento esterno. Ti ritrovi cinquanta, cento persone tutte con la tua esperienza, non ti porta all’esterno. Blocca molto.

Sono iscritto all’associazione italiana cieche però non partecipo, perché è un mondo troppo chiuso, e questo fatto non mi aiuta. Ovviamente il discorso sulla sessualità è tabù: queste associazioni sono capeggiate da persone anziane che hanno un ruolo forte quindi si farebbe molta fatica a parlare. Le iniziative nascono fuori dai contesti associativi.

Non abbiamo mai affrontato tematiche di sessualità. Nell’ambiente dei disabili non esiste sessualità, i disabili sono considerati a-sessuati. Anche nei genitori non si pone questa problematica – come vivi tu, il fatto di avere un handicap e di avere delle esigenze, dei bisogni…

La sessualità non credo sia un tabù, solo che non è argomento di discussione, magari ci si concentra su argomenti più pratici.

Le associazioni che si occupano di disabilità dovrebbero affrontare di più il tema sessualità, come la persona disabile la vive, se la vive, se la desidera. È un problema che viene messo sotto la sabbia come uno struzzo.

Poi a un certo punto mi è venuto questo dubbio, ovvero: “ Sarò l’unica persona che è omosessuale e disabile?”. Quindi ho iniziato a chiamare tutte le varie associazioni, e molti operatori non si erano mai impattati con questa cosa. L’omosessuale disabile non veniva neanche preso in considerazione.

Io sono iscritto a questa associazione di invalidi, però vedo che l’argomento sessuale, non dico omosessuale, è un po’ trascurato.

Ci vogliono le associazioni, è bene che ci siano, ma non troppo selettive. Inoltre ci vorrebbe più pubblicizzazione delle tematiche sulla sessualità. Le associazioni parlano di teatro, di cultura, di cose che fanno i giornali ma di sesso e amore nulla. Io ho pile e pile di riviste sulla disabilità a casa, ma non hanno mai parlato di omosessualità, nemmeno lontanamente, anche se è una diversità. Se non ne parlano loro chi dovrebbe parlarne?

Ne ho fatto parte, ma il discorso era che il disabile era uno strumento, non era al centro. Il disabile va bene finché fruisce del servizio, poi se deve offrire partecipazione attiva ci sono dei problemi.

Ho chiesto aiuto a delle associazioni in passato e non l’ho avuto. Avevo chiesto un accompagnamento solo per andare fuori casa.

Una volta frequentavo le associazioni per disabili, ma ora non più. Fino adesso le associazioni hanno ragionato in questo modo: “Se ho una fetta di torta in più, invece che dividerla me la prendo io”. Per questo sono stato distante.

Mi sentivo inadeguato in tutti e due i casi. I ragazzi disabili erano per la maggior parte ragazzi in carrozzina o con problemi grossi, quindi non mi sentivo abbastanza disabile per poter stare a godere della loro comprensione e amicizia. E anche con quelli normali, che erano gli allenatori, mi sentivo diverso.

Mi sono sentito molto supportato dall’ANMIC nel momento del pensionamento.

Hanno un solo scopo buono secondo me: aiutano nelle pratiche burocratiche e qualche volta aiutano i più bisognosi.

Per quanto riguarda la disabilità, sono stato fino a qualche giorno fa coordinatore della Consulta cittadina comunale sull’handicap. Non sono stato iscritto personalmente ad associazioni di disabili, ma mi sono sempre battuto per migliorare la vita degli altri in qualche modo. Adesso che in Arcigay c’è la sezione di Handigay sto collaborando, prima no.

Un aiuto dalle associazioni?La parola precede sempre i fatti, bisogna iniziare a parlare.

L’associazione ideale
Anche se il mondo dell’associazionismo non sembra soddisfare pienamente le esigenze delle persone intervistate, è anche vero che, provando a immaginare un’associazione di persone
omosessuali con disabilità, gli intervistati rifiutano questa ulteriore etichetta differenziante, e
temono l’ulteriore marginalizzazione e chiusura eventualmente derivanti dal trovarsi in un
gruppo con caratteristiche eccessivamente selezionate e interessi ristretti.

Ci vogliono le associazioni, è bene che ci siano, ma non troppo selettive. Io voglio che tutto sia uguale per tutti. Se io frequento solo quelle persone lì poi mi recludo, mi chiudo in un campo. Quindi non voglio frequentare soltanto i disabili o soltanto una comunità di gay. Voglio che tutto sia intrecciato. Creare un gruppo chiuso in sé non va tanto bene […] Dobbiamo imparare insieme se non vogliamo essere discriminati. Solo allora si potrà accettare benissimo di stare con un gay abile e quest’ultimo potrà benissimo passare la serata con un disabile, adeguarsi alla disabilità e il disabile adeguarsi alle scelte, ai locali di un gay abile.

Secondo me è indispensabile innanzitutto che i disabili gay si conoscano tra di loro. È indispensabile che ci sia un qualcosa, un qualcuno che li metta in contatto tra di loro. E se poi vorranno, le persone creeranno un gruppo, ma non deve essere un’idea calata dall’alto. Non creare prima un gruppo e poi cercare di riempirlo, ma creare una rete che poi diventa un gruppo […] Fondamentale è scambiarsi notizie, informazioni, parlare a ruota libera.

Incontri di persone gay disabili che semplicemente s’incontrassero per capire, per vedere come vive l’uno, come vive l’altro, se hanno trovato delle soluzioni, dei modi di vivere differenti. A me piacerebbe tantissimo confrontarmi sulla mia condizione. Ma mi piacerebbe anche che ci fosse un confronto di integrazione con altri omosessuali non disabili.

Io credo nella comunicazione sociale, bisognerebbe comunicare una normalità, non isolarsi. Pensare a una forma di comunicazione nuova.

Le strategie
Anche di fronte a esperienze di vita drammatiche e a ostacoli quotidiani, tutti gli intervistati
mostrano di aver maturato strategie per superare le difficoltà e migliorare la propria condizione:
uno dei mezzi più utilizzati per uscire dalla solitudine, per conoscere persone e instaurare
relazioni è, come anticipato, l’utilizzo delle chat. Piuttosto ampio è anche l’utilizzo dei mezzi di comunicazione (trasmissioni televisive, pubblicazione di articoli, partecipazione a forum telematici) per lanciare messaggi di sensibilizzazione o protesta al mondo. Alcuni intervistati scelgono di impegnarsi in prima persona col proprio operato per far valere i diritti e le richieste di persone nella loro stessa situazione.

Da quando ho comprato il computer mi sono avvicinato al mondo omosessuale, faccio conoscenza con qualcuno via chat, ho dei contatti, anche se tutto molto virtuale.

Internet è stato un modo per dire: va bene, non sono solo.

Attraverso la chat ho scoperto un mondo nuovo. Esprime davvero le potenzialità di Internet. Si può cercare qualunque cosa si voglia e la si trova, non necessariamente sotto casa. Internet apre nuovi spazi importanti per i disabili.

Sono stato a Gay TV per sensibilizzare sul problema dei disabili omosessuali. Ho mandato una e- mail arrabbiatissima perché nel loro forum non si parlava di disabilità e omosessualità. Mi hanno chiamato subito.

Quando c’è un’iniziativa io mi fiondo perché mi metto sempre nei panni di chi non ha voce e non può gridare. Io posso farlo, ho i mezzi, ho un cervello, ho una voce, due braccia mi bastano.

Le risorse
Le risorse individuali, di creatività, a volte derivanti da specifiche esperienze di vita, sono un ulteriore strumento di fronte alla diffidenza e al rifiuto percepiti nella società e nelle persone in generale.

Quando vedo della diffidenza cerco di farmi conoscere a livello personale.

Penso però che la disabilità possa portare un arricchimento… Vedi i problemi come sono veramente… Magari, invece, le persone per un minimo problema fanno venire giù il mondo.

Non mi pongo limiti. Vado fin dove posso e ho imparato a chiedere aiuto quando serve. Non lo ritengo una cosa brutta, lo ritengo una cosa normale.

Probabilmente è molto più facile scrivere che parlare. Però se uscissimo fuori, se parlassimo, se capissimo e ci facessimo capire, sarebbe molto più facile… Io voglio lanciare questo messaggio a tutte le persone che sono sempre attaccate al computer: “Uscite fuori, bisogna muoversi!”.

Io ho usato la mia disabilità per suscitare curiosità, basta porsi bene e così c’è voglia di conoscere.
Io ho usato molto l’autoironia per far capire che per me questo non è un tabù. Se penso agli strumenti usati a scuola, che per me erano diversi, erano fonte di curiosità per gli altri. Di conseguenza si instauravano delle relazioni, e devo dire che ho un sacco di amici che mi vogliono bene. Non ho mai avuto problemi. L’esperienza vince.

Ho capito che io non sono tutto il mio handicap, quindi ho fatto quel salto di qualità che mi ha aiutato a superare le barriere.

Sono soddisfatto di come mi va ultimamente, visto che la mia giovinezza è stata un disastro mentre ora sto scoprendo me stesso e gli altri in un’ottica che prima non avrei mai immaginato. E poi ho capito che agli altri non importa se sono disabile, omosessuale, marziano. Chi mi apprezza mi apprezza perché sono S., al di là e al di sopra di ogni particolarismo, mi apprezzano per tutto il mio essere.

Io la disabilità l’ho superata così: sono riuscito a capire che la disabilità spesso è un nostro fattore mentale, sono dei blocchi che noi creiamo nella mente. Per cui la disabilità oggettiva esiste, però poi ne facciamo delle tragedie più grosse di quelle che in realtà sono.

Io ho cercato sempre di essere realista. Questo non vuol dire che non sogno, però non voglio violentarmi alla ricerca di ciò che avrei potuto avere e che non ho. Non voglio vivere di rimpianti, di ricordi.

Accettare la propria disabilità vuol dire accettare anche il fatto che ci sia gente che non l’accetta.

Quando omosessualità e disabilità si incontrano
Significativo è quanto riferito da alcuni intervistati in merito allo stretto rapporto tra
omosessualità e disabilità come componenti che consentono l’accettazione l’una dell’altra. Un altro elemento degno di attenzione, notato in un paio di casi, è l’impressione che l’omosessualità serva a rendere la disabilità meno sgradita: l’omosessualità diventa una sorta stravaganza utile a cancellare agli occhi degli altri la disabilità.

È stato accettato meglio il deficit perché è arrivato prima […] L’accettazione dell’altro mondo [quello omosessuale] pensavo che potesse sgretolare il resto […] Il mio rapporto con gli altri per me è essenziale e l’idea che questi legami potessero saltare per una non accettazione mi terrorizzava. Però la vita è una sola, uno non può farsi delle colpe. Soprattutto la sensazione bella che ho provato è che accettando la mia identità sessuale ho accettato anche a pieno la disabilità. Accettata la sessualità è come se la mia armonia profonda si fosse ricomposta e mi sono ritrovato con questi due aspetti che mi hanno dato dei benefici enormi […] Penso che la disabilità non mi ha complicato l’esistenza ma mi ha dato la possibilità di apprezzare la diversità. Unendo le due cose sono “un privilegiato”.

Il fatto di essere disabile mi ha aiutato a capire l’omosessualità. Mi ha aiutato a capire che come ero disabile e non potevo farci niente così ero omosessuale e non potevo farci niente. Ero così e dovevo accettarlo, e non solo sopportarlo.

Io penso che il mio complesso della disabilità l’ho superato attraverso l’omosessualità.

Se fossi un gay senza disabilità penso che i problemi sarebbero inferiori, anche se non so che tipo di persona sarei stato senza disabilità – forse sarei un cretino o forse molto meno sensibile di quello che sono.

Senza la disabilità, essere omosessuali è considerato “anomalo”, dopo, con la disabilità una “stravaganza”. Vale a dire che un disabile non deve pensare al sesso, figuriamoci poi omosessuale! […] Vivo la disabilità come una sfortuna, invece il fatto di essere gay è una parte di me […] perché la disabilità non mi consente di fare ciò che voglio.

Omosessualità e disabilità sono cose appariscenti che si equivalgono. Alcuni amici mi sembra che vedano solo una parte di me: l’omosessualità. Ma se copre la disabilità, va bene così.

Essere gay è un pregio, un uscire dagli schemi e mi piace esserlo, l’essere disabile è un sacrificio che ho accettato.

Le incursioni di entrambi gli aspetti sommati si compensano. Essere disabile rende più complicata la vita, l’aspetto delle relazioni soprattutto nella ricerca del partner. Nello specifico, sul discorso della ricerca della persone dello stesso sesso non si ha l’autonomia di andare in un locale e non ti senti di chiedere a un amico di accompagnarti. Quindi l’essere disabile complica dal punto di vista pratico, però per la mia esperienza i rapporti omosessuali rendono meno incisivo il peso della disabilità nello stabilire delle relazioni, cioè la mia disabilità spaventava di più le ragazze che i ragazzi.

Essere in contemporanea gay e disabile è stato una bella sfida, in parte mi ha aiutato: a causa del mio deficit, io sono sempre stato diverso, quindi ho imparato a convivere con gli occhi della gente, con le battutine, con gli sguardi… Di conseguenza essere omosessuale non mi ha pesato più di tanto, era una mia distinzione in più che tenevo per me cercando di capire il perché fossi così.

 




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