Dà sempre una certa speranza incontrare persone che non accettano ruoli o sentimenti preconfezionati, che pensano al se stesso futuro fuori da schemi stereotipati e che, quindi, si confrontano con la realtà in modo complesso, di quella complessità che è propria della realtà.
Sara è una persona così.
La scelta che ha fatto lo dimostra e una pagina del suo diario ce la racconta.

“Mi trovo ad At-Tuwani, villaggio palestinese che ha scelto la resistenza non violenta come risposta al conflitto e alle provocazioni. È abitato da circa 300 persone e si trova in Cisgiordania, nelle colline a Sud di Hebron in area C.
Questo implica che il villaggio sia sotto controllo militare e civile israeliano.
Tuwani è circondato da insediamenti e in particolare l’avamposto di Avan Ma’on è causa di continue provocazioni e violenze da parte dei coloni israeliani. A tal proposito, per esempio, i bambini dei villaggi vicini per recarsi alla scuola di At-Tuwani, dopo aver subito diversi attacchi violenti e ingiustificati, sono oggi costretti a essere scortati lungo il tragitto da militari israeliani.
È qui che si inserisce uno dei momenti di presenza di Operazione Colomba (corpo non violento di pace della comunità Papa Giovanni XXIII) che monitora la scorta militare affinché svolga quanto effettivamente prescritto dal parlamento israeliano.
La Palestina che sto vivendo non è affatto come quella che i media più diffusi trasmettono quotidianamente in Italia; le informazioni che entrano nelle nostre case per quanto riguarda entrambe le parti del conflitto non sembrano corrispondere alla realtà.
Ogni giorno incontro persone che hanno un passato incredibile e che quotidianamente rinnovano una scelta difficile.
La forza, la pazienza e la tenacia che questa gente trasmette sono invidiabili, uno stimolo al cambiamento d’ottica per noi abituati a vivere nella società ‘del tutto e subito’.
I risultati che qui si ottengono sono lunghi, una storia di coraggio e cambiamenti.
Nonostante la povertà dell’area in cui il villaggio si erge, l’ospitalità è un tratto distinto di una popolazione con forti tradizioni, capace di smentire i più comuni stereotipi.
Credo che sia impagabile ciò che ti insegna vedere coi propri occhi, sperimentare sulla propria pelle, mettersi in gioco al punto di decidere di condividere la quotidianità con le vittime di un conflitto, cercando di far loro capire che non sono soli e che hanno tanto da insegnare; perché è proprio quando si smette di parlare di queste realtà, che esse a poco a poco acquistano il diritto a essere dimenticate, a non esistere.
Ed è questa una delle battaglie quotidiane che il villaggio e Operazione Colomba insieme intraprendono, chiedendo semplicemente a tutte le delegazioni che passano in visita ad At-Tuwani o a tutti coloro che ascoltano una testimonianza, di non farla morire lì, ma di darle voce, perché il passaparola in questo caso è una delle vie di comunicazioni più potenti ed efficaci per abbattere l’ignoranza”.

Raccontaci qualcosa di te. Chi sei, cosa fai nella vita?

“Che dire? Ho 20 anni e abito a Borgonuovo, un piccolo paesino in provincia di Bologna.
Ho fatto il liceo delle Scienze Sociali e ora frequento il secondo anno alla facoltà di Scienze Politiche (Sviluppo e Cooperazione Internazionale) di Bologna.
Il nuoto è da sempre una delle mie passioni (e immancabile valvola di sfogo) e lavoro con i bambini nei servizi di doposcuola o insegnando nuoto.
Amo osservare e ascoltare i racconti delle persone e sono una fotografa amatoriale: potrei stare a guardare per ore due bambini giocare in attesa dello scatto ‘perfetto’ o una goccia di rugiada che scivola sullo stelo di un filo d’erba”.

Partire significa molte cose, c’è chi lo fa per svagarsi, chi per fuggire, chi per ritrovarsi.
Partire per tornare o partire per ripartire continuamente, restando nello stesso luogo o cambiando meta ogni volta.
Partire per conoscere o partire per conoscersi.

Cosa ti ha spinto a partire?
E perché proprio in Palestina?

“Beh, senza dubbio sono una persona curiosa!
Conoscere nuove persone e culture diverse è una delle mie grandi passioni.
Penso che questa partenza, ma probabilmente ancor di più il faticoso rientro in Italia, mi abbiano insegnato davvero tanto, e tanto anche su me stessa.
Una delle motivazioni all’origine della mia partenza è stato il desiderio di potermi confrontare veramente sul campo con quello che, in un futuro, potrebbe essere il mio lavoro. Il voler vedere se effettivamente quello che studio sui libri tutti i giorni, può portarmi a qualcosa che desidero davvero fare e per cui potrei essere portata.
La mia facoltà non prevede tirocinio, e così diciamo che ho deciso di crearmelo io!
Oltre questa ‘motivazione di facciata’, c’erano tanti interessi, tanta voglia di conoscere un luogo, una popolazione e un conflitto di cui ho tanto sentito parlare, ma di cui non avevo mai avuto esperienza diretta.
Credo fermamente che prima di potersi pronunciare sulle cose, se se ne ha la possibilità, sia meglio vederle coi propri occhi e farne esperienza diretta, e così ho deciso di partire.
La scelta dell’associazione non è stata casuale.
La presenza che Operazione Colomba poteva offrirmi, racchiudeva tre idee-pilastri che desideravo approfondire e mettere in pratica meglio: la nonviolenza attiva, la condivisione e la neutralità verso le parti di un conflitto (ma di sicuro non verso le ingiustizie!)”.

Come dici nel diario, la cosa più importante, forse, è il trasmettere la notizia, l’informare per combattere l’ignoranza.
Raccontaci che cosa ti ha sorpreso e che cosa, invece, hai confermato, rispetto alle aspettative che ti eri fatta.

“Per quanto sia possibile, cerco sempre di non farmi aspettative prima di esperienze di questo genere, mi aiuta a non rimanere delusa e molto spesso mi accorgo di riuscire non solo a “mettermi più in gioco”, ma anche ad assorbire molto di più quanto incontro, vivo, vedo.
Riguardo la realtà che ho trovato, ho potuto constatare che ciò che si sta creando è un regime di apartheid, questo ha portato in me sorpresa, ma anche grande ammirazione, rispetto alla tenacia, alla forza e alla volontà che le persone del villaggio mettono ogni giorno nelle piccole battaglie della vita quotidiana.
Si tratta di una realtà tanto complessa quanto contraddittoria. Sì, le contraddizioni sono all’ordine del giorno e se si riesce a guardarle dritte in faccia colpiscono forte e restano limpide tra i ricordi. Una tra le più vivide resta la scorta militare che i bambini di due villaggi limitrofi di At-Tuwani devono aspettare ogni mattina e ogni pomeriggio per recarsi a scuola o tornare a casa. La scorta è fatta da militari israeliani che si trovano a difendere bambini palestinesi dai loro stessi connazionali coloni. A parte il paradosso, credo sia impossibile (per fortuna!) abituarsi all’immagine di bambini che camminano seguiti da una jeep per poter andare a scuola”.

Sara avrebbe ancora tante cose da raccontare, come succede a chi vive un’esperienza che ti scombussola un po’ la vita.
Ti auguriamo che questo sia solo il primo di altri incontri, il primo di altri punti di vista che ti permettano di diventare ciò che desideri senza stereotipi o preconcetti, ma libera di vivere le tue passioni.