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INCONTRO ALL’ARTE/Tony Cragg e Matthew Barney: vocaboli nuovi per nuove relazioni

Tony nasce nel 1949, a Liverpool. A vent’anni lavora come tecnico in un laboratorio di biochimica finché decide di seguire un percorso di formazione artistica durante il quale approfondirà il rapporto tra arte e scienza con un particolare interesse per la materia.

Matthew nasce nel 1967, a San Francisco. Si trasferisce con la famiglia in Idaho dove otterrà ottimi risultati sportivi. Dopo una laurea artistica a Yale, pagata facendo il modello, si trasferisce a New York dove da subito conquista il mondo artistico della città.

Tony accumula oggetti di vario tipo trovati un po’ ovunque con i quali realizza poi le sue installazioni oppure crea composizioni più scultoree utilizzando legno, gesso, vetro e altri materiali.

Matthew è principalmente un video-artista o meglio questa è l’etichetta che meglio lo definisce. Ironico, presenta opere ricche di intrecci e significati.

Tony e Matthew due artisti contemporanei che, come i veri artisti, raccontano il contemporaneo guardando al futuro o guardandolo dal futuro, offrendo quindi spunti di riflessione, punti di vista, vocaboli nuovi per raccontare l’attuale, quello che viviamo quotidianamente, che ci capita, nel quale siamo immersi più o meno consapevolmente.

Matthew e Tony, così diversi per origine, per produzione, per linguaggio.

Così diversi eppure, ai miei occhi di perfetto non critico d’arte e non conoscitore dei linguaggi artistici, con alcuni punti in comune che riesco a identificare in alcuni vocaboli: desiderio, limite, fragilità, interazione.

Parole che non risolvono il bisogno di comprendere e che non definiscono i confini dell’operato dei due artisti. Sono le parole della mia esperienza, del territorio della mia relazione con loro. Un territorio ancora in espansione che percorro con curiosità e interesse. In queste parole trovo la definizione per alcuni aspetti dell’esistenza umana che condivido con voi.

Desiderio e fragilità

Ho sempre pensato che ci sia un rapporto strettissimo tra questi due termini.

Il desiderio espone alla fragilità e la fragilità fa parte dell’anima del desiderio.

Matthew mette al centro della sua arte il desiderio indefinibile, sempre mutevole, in evoluzione, irruento nella sua manifestazione ma, allo stesso tempo, leggero e soave.

Tony ci parla della fragilità attraverso l’esposizione di oggetti comuni, assemblati secondo una logica descrittiva. Fragili ma non per questo deboli o destinati alla rottura, alla frammentazione. Fragili perché esposti nella loro nudità.

Desiderio e fragilità anche come componenti della natura, in modo specifico di quella umana che continuamente si ritrova a fare i conti con la spinta verso il cambiamento, l’evoluzione, la condivisione e, di conseguenza, l’esposizione e il rischio che tale cambiamento porta con sé.

Guardando i video Cremaster di Matthew o le sculture di bicchieri e bottiglie di Tony vedo fondersi questi due concetti come si fondono nell’esistenza di un essere umano in modo misterioso e allusivo, di immediata comprensione ma difficilmente afferrabili.

Dal punto di vista specifico di questa rivista si può osservare come le parole desiderio e fragilità vengano spesso usate per raccontare l’esistenza delle persone con disabilità o, più in generale, di quelle svantaggiate come se ciò fosse qualcosa che riguarda quella categoria in modo particolare, rappresentativo.

I due artisti, invece, ci mostrano come ciò non sia vero. È come se ci dicessero che il rapporto tra il desiderare e l’esperienza della fragilità fa parte del DNA dell’essere umano, indipendentemente dalle altre caratteristiche che ci differenziano. E che ciò è allo stesso tempo bellissimo e terribile a seconda del modo in cui si affronta la questione, in cui accettiamo ciò che siamo e da lì iniziamo a costruire la nostra identità.

Limite e interazione

Matthew lavora ai progetti Drawing Restraint (disegnare con restrizioni) nei quali si pone l’obiettivo di disegnare superando limiti che lui stesso si impone. Per esempio, in uno di questi l’obiettivo è disegnare su un muro e il limite è quello di essere frenati da un elastico che rende difficoltoso raggiungere il muro stesso.

Tony raccoglie detriti e rifiuti urbani di ogni genere per poi assemblarli in sculture o installazioni che definiscono il senso del materiale grazie all’interazione con l’umanità. 

Anche in questo caso le due parole hanno un significato che travalica il lavoro artistico e che parla anche alla nostra esperienza umana.

Anche in questo caso, le opere dei due artisti ci permettono di superare il pregiudizio secondo il quale i limiti come il valore dell’interazione siano concetti riconducibili a qualche categoria di persone e basta.

Ciò che però più mi interessa di queste due parole è la loro influenza reciproca. 

I limiti che Matthew si pone esaltano ciò che succede solitamente, cioè che per superare un ostacolo o una difficoltà dobbiamo entrare in relazione, interagire con il limite stesso e con l’ambiente, fisico e relazionale, nel quale siamo inseriti.

Allo stesso modo quando Tony affronta il tema dell’interazione con i materiali, si scontra con il limite che tale relazione sottopone alla sua attenzione e, forse, dalla quale prende forma proprio la sua opera. 

L’interazione con i limiti e i limiti in relazione con il contesto sono concetti essenziali per il benessere di ognuno. A tutti, infatti, quotidianamente, viene chiesto di fare i conti con i propri limiti e di affrontare la sfida dell’accettazione e del superamento (due facce della stessa medaglia) che è vincente solo se inserita in un contesto dalla cui interazione dipende, quasi sempre, la vittoria o la sconfitta.



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