4.1. Ippopomati sulla luna
di Roberto Parmeggiani
La sensazione che si prova assomiglia a quella che deve aver vissuto Alice quando è entrata nel paese delle meraviglie. Un misto di stupore e curiosità. Una specie di smarrimento insieme alla sensazione di trovarsi in un luogo familiare.
Per arrivarci bisogna salire una scala di pietra dietro la Biblioteca Municipale di Sintra. Si raggiunge così un grande giardino su cui si affaccia una veranda con alcuni tavoli e tanti cuscini colorati. L’erba del giardino è sufficientemente morbida per potersi sdraiare o rotolare, ci sono alcune sculture con cui i visitatori possono interagire e una vista da togliere il fiato sulle colline e la città medioevale.
Ecco, in questo contesto potete trovare un luogo speciale: un misto tra una Casa della lettura e una Casa del tè.
Quando ho visitato Hipopomatos na Lua per la presentazione di un libro era fine marzo. Appena ho messo piede in quello spazio, ho immediatamente pensato che descrivesse perfettamente il senso della monografia che state leggendo.
È una libreria ma non solo.
È una sala di lettura ma non solo.
È una sala da tè con ottimi dolci ma non solo.
È un rifugio, una casa, una culla, una nave, una foresta. Chiacchiere, discussioni, sorprese, dolcezze, scoperte, avventure.
*Nazaré de Sousa, responsabile del progetto, racconta di aver dato vita a questo spazio per poter avere un luogo dove entrare e trovare qualcosa di bello e di buono, cose semplici e importanti allo stesso tempo.
“Crediamo che una parte di noi sia fatta di lettere che si uniscono una all’altra e in tutta la loro estensione ci conferiscono l’individualità che siamo. Ci costruiamo a partire dai libri che leggiamo e ci sono parti di noi che sono la somma di ciò che abbiamo ricevuto da loro. Leggere è formare l’identità e questo facciamo da quando siamo arrivati qui”.
Il pubblico che varca la soglia di Hipopomatos na Lua è il più vario, tutti interessati però a un incontro diretto con il libro. Agli adulti che riprendono i bambini invitandoli a non toccare o a fare piano, Nazaré e le sue colleghe dicono che, al contrario, quello è un luogo dove i bambini (ma anche gli adulti in verità) devono toccare e fare come se fossero a casa loro.
A differenza di altri spazi dedicati al libro, in questa strana casa della lettura al centro di tutto c’è proprio la relazione con il libro: come oggetto, come esperienza, come viaggio immaginario. Una relazione libera da stereotipi o buone maniere che, un po’ alla volta, modifica concretamente l’idea che si ha della lettura.
Non più un dovere o una scocciatura ma nemmeno un’esperienza quasi sacra e reverenziale. L’incontro con il libro, personale e unico, avviene attraverso tutti i sensi anche per il fatto di poter bere un buon tè alle tre mente e assaggiare una fetta (e che fetta!) di torta al cioccolato o al mascarpone e frutti di bosco.
Il necessario e il necessario, direi.
Perché, almeno lì, non si deve scegliere tra una cosa o l’altra ma è possibile scoprire come il pane e le rose possono trovare posto sulla stessa tavola.
Quando ho visitato la libreria, mentre parlavo con Nazaré, vedevo i bambini muoversi liberamente nella grande stanza, avvicinarsi agli scaffali e prendere liberamente i libri. Ognuno portava quello scelto o al tavolo tondo oppure sui grandi cuscini o anche in veranda, sull’amaca. Bambini diversi ed eccitati o calmi e pazienti che leggevano il libro intero oppure irrequieti cambiando più spesso testo. Ecco questa libertà, ancora una volta, mi è sembrata la metafora più adatta per descrivere un percorso di educazione alla lettura che possa funzionare: una relazione libera con il libro, scelto dal bambino per un qualsiasi motivo o per nessun motivo particolare, libero di immergersi nel testo o nelle immagini, da solo, sdraiato, seduto, appoggiato oppure in gruppo con qualcuno che legge e qualcuno che ascolta.
Libero il libro, liberi i lettori e libera la relazione.
I libri, lo sappiamo, nascono due volte: quando l’autore li scrive e quando il lettore li legge. A noi adulti il compito di creare spazi in cui questa seconda nascita possa av- venire nel modo più naturale possibile.
Hipopomatos na Lua è la prima libreria specializzata in letteratura per ragazzi e si trova nella città di Sintra (Portogallo). È aperta a tutte le famiglie per ritrovarsi attorno ai libri e alle storie. Per fare merenda si possono trovare tè, caffè, torte e biscotti.
Per saperne di più: http://hipopomatosnalua.blogspot.it
4.2.Biblioteche in movimento
di Massimiliano Rubbi, giornalista e lettore
“Se il lettore non va al libro, il libro va al lettore”. Come promuovere la lettura, specie tra bambini e ragazzi, dove l’acquisto dei libri è un lusso insostenibile per molti e le distanze rendono impossibile frequentare una classica biblioteca? Mettendo i libri in una “biblioteca in movimento” che raggiunga periodicamente le comunità e le scuole, per consegnare quelli che al primo impatto possono apparire oggetti astrusi e poi tornare a riprenderli; e il veicolo è lo stesso usato abitualmente per spostarsi dalla popolazione.
Non poche, e spesso curiose, sono le esperienze di questo tipo. Nel 1995 Obadiah Moyo, fondatore del Programma di Sviluppo per le Biblioteche e le Risorse Rurali (RLRDP), ha guidato la prima biblioteca mobile con un carretto trainato da un asino in giro per lo Zimbabwe: oggi questi “biblio-asini” sono 15, e ognuno dei carretti da loro trainati può contenere fino a 1.200 libri. Come spiega Moyo, “gli asini sono donati dai membri della comunità, e gli abitanti del villaggio in realtà fanno a gara per assicurarsi che siano usati i loro asini, perché sanno che stanno facendo progredire l’educazione entro le proprie comunità locali, e questo porta prestigio”. I libri, forniti dall’associazione Book Aid International, vanno da quelli sonori pensati per chi impara a leggere a quelli educativi e di narrativa, e “quando il carretto si avvicina a una scuola, è meraviglioso vedere l’eccitazione dei bambini quando corrono fuori a salutarlo. Ma non è semplicemente che il carretto venga scaricato e prosegua. Il carretto rimane per tutto il giorno; i bambini esplorano i libri, condividendo quel che hanno letto, e cantastorie locali della comunità arrivano per dare vita alle storie. È davvero un giorno per diffondere il concetto della lettura e per sviluppare la cultura della lettura per la quale stiamo tutti lavorando”. La nuova abitudine alla lettura ha portato in pochi anni a incrementi significativi nei tassi di successo degli esami di inglese nelle scuole secondarie dello Stato africano (in un caso, a decuplicare le promozioni in 6 anni!).
L’asino smentisce fieramente lo stereotipo che lo vede associato all’ignoranza, trasportando in giro libri e conoscenza, anche in Colombia. Il “biblioburro” ideato a fine anni ’90 dal giovane insegnante Luis Soriano, con due asini (“Alfa” e “Beto”!) e 70 libri portati in giro sui loro dorsi, continua a svolgere tuttora la sua funzione ogni sabato, tra i villaggi più isolati dei dipartimenti di Cesar e Magdalena, e con forze moltiplicate: 8 asini e 4.800 libri, in buona parte frutto di donazioni pervenute dopo che una trasmissione radiofonica si era occupata della storia. Il progetto del “biblio- burro”, oggetto anche di un documentario nel 2007, non si è fermato neppure quando el profesor Soriano, nel 2012, ha subito l’amputazione di una gamba dopo un incidente con un suo asino, e oggi, dopo essere valso al suo ideatore il premio di “Colombiano Ejemplar” nel 2014, si accinge a festeggiare il 20° compleanno. La Colombia vanta diversi esempi di biblioteca mobile: il bibliotecario Oswaldo Gutiérrez nel 2002 ha inventato la “bibliocarreta”, una carretta che la domenica porta i libri nei parchi e tra le case della città di Sabaneta, mentre la biblioteca della cittadina montana di Guatapé è già passata da un esperimento di “bibliocarreta” alla bicicletta attrezzata “PedaLeo” (“PedaLeggo”), che con il suo campanello avvisa del suo arrivo tra i negozi, prima per conoscere i gusti di lettura dei commercianti, troppo impegnati dal loro lavoro per passare in biblioteca, e poi per portare loro i libri (e riprenderli). Come sottolinea in un articolo la rete bibliotecaria di Medellin, “l’obiettivo di ‘Al son del PedaLeo’ è portare a termine una delle missioni più importanti che hanno le biblioteche di oggi: essere inclusivi. E non solo con chi ha difficoltà fisiche o psicologiche per leggere o avvicinarsi alla conoscenza, ma anche con chi per qualunque motivo non ha la possibilità di visitare la biblioteca”.
Tornando alla trazione animale (e all’Africa), risale addirittura al 1985 l’uso dei cammelli per il trasporto di libri nelle regioni aride e isolate del Kenya nord-orientale. Come riferisce il servizio bibliotecario nazionale keniota, “i cammelli trasportano i libri in scatole specificamente create per il progetto e li portano ai bambini nelle scuole isolate. Inclusi nelle scatole ci sono anche tende e tappetini perché i bambini li usino sul campo”. La biblioteca mobile su cammelli, riporta la BBC, risulta anche l’unico modo per raggiungere le popolazioni nomadi della zona nel luogo in cui si trovano e potrebbero non trovarsi più il giorno dopo, popolazioni molto povere in cui “quando un genitore ha un po’ di denaro, preferisce comprare cibo, e quando vede un libro non gli dà valore”.
Cambia la zona del mondo, cambia il mezzo di trasporto, ma non cambia il sistema: il progetto “Books-by-Elephant” si serve di 20 elefanti per trasportare libri ai bambini in 37 villaggi montuosi della Thailandia settentrionale, insieme a lavagne di metallo appositamente disegnate per non rompersi durante il trasporto sul dorso dell’elefante, un’esperienza esportata anche nelle province di Xaignabouli e Oudomxay nel Laos settentrionale: e quando arrivano gli elefanti, riferisce l’Elephant Conservation Center che si occupa del servizio in Laos insieme alla ONG Community Learning International, “molti dei bambini leggono attentamente ogni pagina nel punto in cui sono, mentre altri stringono semplicemente il libro al petto come un bene prezioso, e nella maggior parte dei casi è così, essendo il libro il primo oggetto che il bambino abbia mai posseduto”.
Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che le “biblioteche mobili”, con il loro effetto spesso pittoresco, siano da associare esclusivamente alle zone più isolate e depresse di Paesi economicamente arretrati, e siano destinate perciò a scomparire, con lo sviluppo socio-economico, a favore di strutture bibliotecarie “tra quattro mura”. Il 12 aprile scorso è stata festeggiata negli Stati Uniti la settima Giornata Nazionale delle Biblioteche Mobili (National Bookmobile Day), per celebrare “una parte integrale e vitale del servizio bibliotecario negli Stati Uniti da oltre 100 anni”, che “ha consegnato informazioni, tecnologia e risorse per l’apprendimento permanente ad americani di tutti i ceti sociali”. Il primo servizio di questo tipo fu istituito nel 1905 dalla bibliotecaria Mary Lemist Titcomb nel Maryland, dapprima appoggiandosi a negozi e uffici postali, poi con un carro a cavalli capace di battere le fattorie della zona con un guidatore e un bibliotecario, e infine dal 1912 con un servizio motorizzato. Anche se il loro numero è in calo negli ultimi anni, i servizi di biblioteca mobile negli USA rimangono oggi 660, concentrati in Stati tra Sud e Midwest come Kentucky e Ohio ma anche in California; alla resistenza delle biblioteche su ruote contribuisce in modo determinante il fatto che esse “possono essere spesso un mezzo efficiente di fornire servizi bibliotecari a grandi aree geografiche”, grazie a un costo di 200.000$ che è di 8 volte inferiore a quello di costruzione di una nuova biblioteca stabile. Oltre ai libri, le biblioteche mobili portano nelle comunità rurali giornali, periodici e DVD, offrono servizi di consulenza, corsi e attività, e spesso forniscono tecnologie adattive per persone con disabilità, accesso a Internet, a volte videogiochi, sempre più spesso con veicoli specializzati per obiettivi identificati da nomi come “Techno-mobile”, “JobLink”, “Kidmobile” o “ABC Express”, e con tecnologie green che riducono l’impatto ambientale dei loro lunghi viaggi. Per questo, non senza un po’ di retorica, le biblioteche mobili possono essere definite nei materiali promozionali del National Bookmobile Day “parte del Sogno Americano – luoghi di opportunità, educazione, auto-aiuto e apprendimento permanente”.
Biblioteche mobili sono presenti anche in Giappone, un Paese ad alta tecnologia e fortemente antropizzato ma che le statistiche collocano tra quelli con le minori medie di lettura al mondo, così come in Norvegia, dove sin dal 1963 la nave Epos passa l’inverno a portare libri a 150 villaggi della costa sud-occidentale, compiendo due giri di 45 giorni ognuno (occhio a non mancare il giorno in cui restituire i prestiti!), per poi essere convertita a servizio dei turisti in estate.
La biblioteca mobile più curiosa e significativa del mondo è però con ogni probabilità quella realizzata alcuni anni fa dall’assai eccentrico artista argentino Raul Lemesoff a Buenos Aires: una Ford Falcon del 1979 usata al tempo dalla giunta militare, trasformata in “carro armato” e riempita di 900 libri per diventare, secondo il nome che l’autore le ha dato, una “arma di istruzione di massa”. Lemesoff gira tuttora per le città e le campagne dell’Argentina, regalando un libro in cambio della sola promessa di leggerlo e ricostituendo periodicamente la biblioteca attraverso donazioni private, con l’obiettivo di “combattere l’ignoranza” e portare “un contributo alla pace attraverso la letteratura”. Ed è forse questa idea di “mettere dei fogli nei cannoni” che in fondo anima tutti i bibliotecari che ogni giorno, in tutto il mondo, percorrono decine di chilometri, su veicoli quasi sempre scomodi, insieme all’intento di impedire che qualcuno rimanga separato, a causa della distanza, dal libro che cambierà la sua vita.
4.3. Una biblioteca per Korogocho
di Simona Venturoli, Project Manager Servizio Progetti Estero di AIFO
Può sembrare un azzardo la realizzazione di una biblioteca a Korogocho, una barac- copoli di Nairobi e Baba Dogo con più di 200 mila abitanti, eppure Mwangaza Community Library Project questa esperienza l’ha realizzata e la sta portando avanti.
Dal 2003 AIFO (Associazione Italiana Amici di Follereau) opera in questo difficile contesto attraverso il sostegno a KoskobarK (Korogocho Slum Community Based Rehabilitation – Kenya), un’organizzazione comunitaria di Korogocho, ufficialmente riconosciuta dal governo keniota.
La biblioteca offre numerosi servizi culturali alla comunità e nei suoi locali ha sede anche un centro di riabilitazione per persone svantaggiate che lavorano all’interno di laboratori di sartoria, fabbricazione di candele e tipografia. La biblioteca ha bisogno di fondi per acquistare e riparare libri, riviste e dvd, per aggiustare le finestre e sistemare la rete fognaria.
Mwangaza in lingua swahili significa luce e questo la dice lunga sul senso di questo progetto: vuol portare la luce alle persone che vivono a Korogocho, una luce che si manifesta però sotto la forma dell’educazione e dell’informazione. Anche lo slogan che accompagna questo progetto, “Nuru ya Korogocho” ovvero luce di Korogocho, ne sottolinea la funzione.
La biblioteca ha aperto i battenti nel marzo del 2012 ed è situata ai bordi dello slum di Nairobi, diventando così la meta anche di ragazzi e bambini che studiano nei quartieri vicini a Korogocho. La presenza di un libraio formato e di due assistenti volontari permette la sua apertura in tutti i giorni feriali dalle 8 alle 18 e il sabato dalle 9 alle 16. Mediamente si registra un accesso di 30 persone al giorno, con punte di 60 il sabato e nei periodi di sospensione scolastica. Nei primi 4 mesi del 2016 la biblioteca ha registrato un totale di 835 ingressi per persone sopra i 17 anni e di 312 ingressi per persone sotto i 17 anni.
Per accedervi basta pagare una piccola retta annuale, dalla quale però sono escluse le persone disabili che entrano gratuitamente.
La struttura non riceve finanziamenti pubblici e queste entrate assieme ad altre previste per il futuro (servizio di consulenza per l’uso del proprio telefono cellulare, attività di copisteria e stampa…) servono al mantenimento della struttura e per l’acquisto e la manutenzione dei libri e dei dvd.
Mwangaza Community Library è partita con il sostegno di AIFO e dell’iniziativa “Biblioteche solidali” del comune di Roma. Attualmente (fine 2016) la biblioteca dispone di circa 3.323 libri, 1.324 copie di 2 quotidiani nazionali locali, il “Daily Nation” e “The Standard”, e decine di video e materiali audio visionabili presso la sala comunitaria TV con DVD reader, dove vengono offerte anche attività di intrattenimento. Riceve e archivia anche la “Kenya Gazette” (Gazzetta ufficiale del governo). Inoltre ha attive tre postazioni per l’accesso a internet, offre un servizio di fotocopie a costo inferiore rispetto al mercato e ha una saletta dedicata ai bambini con arredi funzionali.
Mwangaza è quindi la risposta a una sfida, quella di ridurre la mancanza di spazi a Korogocho dove i bambini possono studiare e di offrire ai ragazzi una struttura ricreativa, di dare, in generale, alla popolazione dello slum un luogo dove potersi informare. A Korogocho, dove le famiglie sono composte da molti figli e le case si riducono spesso a un’unica stanza, la possibilità di aver un luogo tranquillo dove studiare è un’esigenza molto sentita. Spesso i bambini e i ragazzi non hanno la possibilità di studiare proprio per la mancanza di luoghi che nemmeno la scuola pubblica può offrire. “La biblioteca mi permette di fare i compiti – dice Achola Samuel Omondi, uno studente di 16 anni – a casa non riesco a fare bene il mio lavoro, c’è troppa confusione; qui posso trovare anche altri libri che io non possiedo”. Molti dei libri della biblioteca ri- guardano infatti le materie che gli studenti devono studiare per la scuola.
La biblioteca che apre alle 8 e chiude alle 18 ha in realtà orari elastici per venire incontro alle esigenze degli studenti e spesso i tre volontari che gestiscono il luogo la tengono aperta fino a tarda sera. È soprattutto durante le vacanze scolastiche che Mwangaza ha il suo picco di utenti; in quei giorni i posti a sedere non bastano più e i ragazzi si mettono sul pavimento per proseguire i loro studi.
Il luogo via via si è aperto anche alla popolazione residente che non studia ma ha altre esigenze. Mancano infatti nello slum i luoghi dove riunirsi e parlare, ecco allora che fuori dall’edificio è stata allestita una grande tenda chiusa collocata nel cortile interno (60 posti a sedere) dove i membri della comunità possono fare incontri, corsi di formazione, dibattiti e riunioni.
Spiega Richard Omwele, un residente: “Eravamo abituati a incontrarci nelle nostre case o semplicemente all’aperto. Adesso invece la biblioteca ci offre una tenda per le riunioni e anche le discussioni si fanno meglio. Ci sentiamo più liberi di parlare e abbiamo una certa privacy che prima all’aperto non avevamo”.
Mwangaza infine è anche un centro di riabilitazione per persone con disabilità che frequentano corsi di formazione per la fabbricazione di candele, di sartoria, di artigianato. Racconta Morris Obiero: “Sono venuto in biblioteca sperando di leggere il mio giornale preferito e invece ho seguito il corso di formazione su come fare le candele! Questo ha migliorato la mia situazione economica, ha rivoluzionato la mia vita”.
4.4. Un cambiamento possibile
di Roberto Parmeggiani
Il primo libro che Otávio de Souza Júnior César ha preso in mano è stato Don Gatón. Diversamente da molti bambini che conosco, lui non l’ha ricevuto in regalo e nemmeno ha potuto sceglierlo tra gli scaffali di una libreria o, almeno, di una biblioteca. Otávio aveva otto anni e trascorreva le sue giornate accanto al campo di calcio della favela dell’Alemão, una delle zone più violente di Rio de Janeiro. Cresceva, come molti dei bambini che lì vivevano, sognando di diventare un calciatore e poter fuggire da quella realtà troppo stretta per chi, come lui, aveva voglia di volare.
Un giorno, mentre come tanti altri giorni tutti uguali, stava rovistando tra la spazzatura, trovò una scatola con alcuni oggetti per bambini. La lotta con gli altri ragazzi fu dura, tutti volevano accaparrarsi il gioco migliore, anche se rotto o molto rovinato. La sua attenzione, però, venne attirata da un libro. Lo prese al volo (anche perché non interessava a nessun altro) e corse a casa.
Il libro in questione era proprio Don Gatón.
“Ho passato una delle notti più belle della mia vita in quel nuovo mondo che avevo appena scoperto” – racconta – “e il giorno dopo ho chiesto alla mia insegnante perché la biblioteca della scuola era stata chiusa. Lei l’aprì e da quel giorno fui l’unico che la frequentava per leggere”. Quando la biblioteca della scuola diventò piccola si spostò in una un po’ più grande anche se per raggiungerla, dalla sua favela, doveva camminare più di 40 minuti.
Quell’esperienza ha marcato profondamente la vita di Otávio.
L’incontro con i libri, con le storie, con quei personaggi gli ha permesso di immaginare un futuro diverso, di potersi pensare altro rispetto allo stereotipo del favelado senza un futuro diverso da quello di chi è venuto prima.
Oggi Otávio è uno scrittore, un narratore, è il fondatore e il coordinatore del progetto “Ler è 10 – Leggere nella favela”, che mira ad aprire biblioteche nel complesso dell’Alemão. La missione principale del programma è quella di mostrare ai bambini – circa l’80% dei partecipanti – e ai giovani, che i libri possono aprire porte e orizzonti che l’ingiustizia sociale e l’assenza dello Stato si impegnano a chiudere. Un nuovo orizzonte che valichi quello offerto dalla favela, un nuovo immaginario a cui riferirsi per pensarsi adulti.
“Ho vissuto per molti anni in una comunità violenta, dove la realtà quotidiana era molto dura, con scontri continui tra trafficanti di droga e la polizia. Una delle cose che mi rendeva più triste era il fatto che i narcos erano visti come eroi a Rio: compravano i vestiti migliori, le scarpe più belle, avevano le auto più costose”.
Per questo un giorno Otávio decise che avrebbe tentato di “invertire i valori” usando la letteratura che aveva tanto influito nella sua vita.
Cominciò a spostarsi nella comunità in cui viveva portando con sé una valigia piena di libri. Stendeva un tappeto colorato e invitava la gente ad avvicinarsi e a leggere.
Più di una volta è stato fermato dalla polizia a cui ha dovuto spiegare che in quella valigia non era contenuta droga o grandi quantità di banconote ma qualcosa di molto più importante.
Quell’esperienza di incontro e divulgazione è stato il primo nucleo di ciò che poi sarebbe diventata una vera e propria biblioteca nata anche grazie alla partecipazione di Otávio a un reality show per raccogliere fondi. Dopo aver camminato a piedi nudi sopra una corda riuscì a guadagnare 5000 dollari che poté reinvestire nel progetto. “All’inizio mi consideravano come una specie di Don Chisciotte, mi conoscevano come il pazzo dei libri”.
Oggi, grazie a tutto ciò, la comunità conta su una biblioteca stabile e altre itineranti che vanno incontro alle persone per avvicinarle alla lettura e promuovere un’educazione alla libertà di pensiero.
Oltre al servizio di prestito dei libri e alla possibilità di utilizzare spazi per studiare o anche, semplicemente, per fare comunità in un luogo tranquillo e protetto, il progetto prevede attività anche fuori dalla comunità quali la visita alla Biblioteca nazionale di Rio de Janeiro, alle librerie della città oppure gite culturali in generale. “Molti dei bambini che partecipano al progetto non avevano denaro per permettersi tali esperienze, così attraverso la letteratura abbiamo cercato anche di superare i limiti geografici”.
Quel primo libro, nelle mani di Otávio, si è trasformato in centinaia di libri che, uno dopo l’altro, hanno modificato radicalmente la realtà nella quale vivevano. Un esempio concreto dell’importanza di un luogo come la biblioteca: apparentemente innocuo ma vero promotore di un cambiamento possibile.
Nel paese dei libri
Una manciata di libri per i più piccoli (ma anche per gli adulti che leggeranno con loro) per immergersi in un mare di suggestioni, bellissime illustrazioni e piccole storie per navigare tra fiumi e nuvole di parole, per trovare parole per dire la rabbia, la gioia, la tristezza, per sorridere e lasciarsi abbracciare. A questi suggerimenti aggiungiamo un ultimo libro che racconta la storia, vera, di Alja che è riuscita a salvare quasi tutti i libri della biblioteca di Bassora, in Iraq, prima che la guerra la distruggesse.
Oliver Jeffers, Sam Winston, La bambina dei libri, Lapis, 2016
Alessandro Sanna, Castelli di libri, Franco Cosimo Panini, 2014
Quint Buchholz, Nel paese dei libri, Beisler, 2014
Sergio Ruzzier, Stupido libro!, Topipittori, 2016
Lane Smith, È un libro, Rizzoli, 2010
Silvia Borando, Questo libro fa tutto, Minibombo, 2017
Jeanette Winter, Alja la bibliotecaria di Bassora, Mondadori, 2006