L’equivoco come punto di vista: l’arte di Edward Gorey
- Autore: Roberto Parmeggiani
- Anno e numero: 2014/4 (Monografia sulla disabilità in Mongolia)
di Roberto Parmeggiani
Edward Gorey era un tipo strano.
Non solo perché assisteva agli spettacoli di balletto classico vestito con una pelliccia e le scarpe da tennis.
Non solo perché viveva con decine di gatti che avevano libero accesso a ogni zona della casa.
Non solo per la sua capacità di coniugare la grande letteratura con la passione per le serie televisive più
popolari.
L’artista e illustratore americano era strano soprattutto perché estraneo alle convenzioni del suo tempo, libero quanto schivo di fronte a una società che ha criticato con ironia nelle sue infinite opere.
Ho conosciuto Edward Gorey mentre passeggiavo, qualche anno fa, tra gli stand della Fiera del libro per ragazzi di Bologna. La casa editrice Logos stava lanciando il volume Raffinati enigmi: l’arte di Edward Gorey di Karen Wilkin. Quando ho visto il libro sul tavolo sono stato immediatamente attratto dal segno di questo artista, sottili tratti di penna nera attraverso i quali delinea paesaggi e personaggi che vanno al di là di ogni logica.
Di fronte a una domanda sull’interpretazione del suo lavoro, l’artista risponde così: “Sono convinto che
ognuno ci veda quello che vuole ma, se si desidera trovare un significato, si può. Ogni tanto, arriva qualcuno che mi dice: ‘Ehi, ho capito di cosa parlava il tuo libro’. E io rispondo: ‘Ah, sì?’. E ascolto le teorie più strane. In quel caso penso: ‘Se è questo che ci vuoi vedere, per me va bene’”.
(Karen Wilkin, Raffinati enigmi: l’arte di Edward Gorey, Modena, Logos, 2011, p. 35).
Perfetta sintesi della sua cifra artistica, Edward Gorey disegna e scrive, perché prima di tutto si ritiene uno scrittore, senza preoccuparsi del giudizio o della visione degli altri. Narra un mondo vissuto da strani personaggi, spesso inquietanti e macabri, cui accadono eventi particolarmente tragici ma che producono nel lettore una risata. Nulla di morboso, semplicemente l’autore ci porta a guardare alla nostra condizione umana in modo ironico e divertito.
Due libri, su tutti, sono tra i miei preferiti: L’ospite equivoco del 1957 (Adelphi edizioni, 2004) e I piccoli di Gashlycrumb o Dopo la gita del 1963 (Adelphi edizioni, 2013).
Il primo racconta di uno strano animale con la sciarpa e le scarpe da tennis che compare una notte davanti alla villa di una ricca famiglia dall’aspetto vittoriano. Entrato in casa, non dimostra nessun interesse ad andarsene e attua comportamenti strani come mangiare i piatti, gettare l’argenteria nel laghetto o camminare in sonnambula per i corridoi. Nessuno sa chi sia, da dove sia venuto o perché. Non sembra pericoloso, semplicemente è difficile comprenderlo fino in fondo, dare un senso ai suoi gesti, chiuderlo dentro uno dei nostri schemi.
Il secondo, invece, è un classico abbecedario nel quale ogni lettera dell’alfabeto è l’iniziale del nome
di un bambino o di una bambina di cui scopriamo il modo in cui muore. Surreale, quanto ironico: G per
George, che sparì sotto una stuoia, N per Neville, an- noiato da crepare o R è per Rhoda, imprudente col cerino.
Edward Gorey non scrive e non disegna per bambini, almeno così lui sostiene, ma molte delle sue illustrazioni hanno come protagonista il mondo dell’infanzia, archetipo del mondo di tutti, da cui tutti veniamo e cui tutti, continuamente, facciamo riferimento. Le paure dei bambini, come le paure originarie e le inquietudini che tutti ci accomunano.
Ne L’ospite equivoco, ad esempio, ciò è molto chiaro. Questo strano personaggio a forma di animale entra nella vita della famiglia e lì resta come se nulla fosse.
Ed è proprio in questa apparente normalità che sta l’inquietudine: la difficoltà, per la famiglia protagonista del libro, di comprendere come una cosa tanto normale possa essere strana, mentre, per il lettore, la difficoltà di capire come una cosa tanto strana possa essere normale. Grande metafora della vita e, in particolare, della vita di chi si trova a relazionarsi con il diverso, con l’estraneo, con l’equivoco.
Equivoco, in effetti, significa “prestarsi a essere inteso in più modi” e non è sempre equivoca la realtà, soprattutto quella muova, estranea, diversa? Non sono sempre equivoche le relazioni con l’altro che proviamo a categorizzare, capire, incastrare in uno schema predefinito? Non è equivoco anche quello che noi stessi sentiamo e che troppo spesso eleviamo a unica verità?
Ecco, l’inquietudine di Edwar Gorey dovrebbe diventare una sorta di strumento di valutazione a partire dal quale criticare i nostri comportamenti, le nostre relazioni, perfino il nostro reale livello di integrazione, liberandoci dalla troppa sicurezza di avere interpretato in modo giusto la realtà vissuta.
Il libro La bicicletta Epipletica (Adelphi Edizioni, 2005) si apre con una frase: “Era il giorno dopo martedì e prima di mercoledì”. Ecco, trasformo il prologo in conclusione, perfetta sintesi dell’arte di Gorey, del suo pensiero surrealista, della sua capacità di raccontare il mondo sociale e culturale dal suo punto di vista, leggermente inquietante ma molto divertente.
naviga:
Ricerca libera
Argomenti
Associazione “Centro Documentazione Handicap” – Cooperativa “Accaparlante” – via Pirandello 24, 40127 Bologna. Tel: 051-641.50.05 Cell: 349-248.10.02