Abbiamo deciso di chiudere questa riflessione dando la parola ai figli.
Perché, in fondo, esistono tanti padri quanti sono i figli e nel nostro tentativo di restituire un’immagine il più completa possibile del mondo paterno contemporaneo, non possiamo dimenticarci dell’altra faccia della medaglia.
Abbiamo deciso di non realizzare vere e proprie interviste, bensì abbiamo proposto ad alcune persone con disabilità di raccontarci, secondo la loro diretta esperienza, quale ruolo ha giocato il loro papà nella loro vita.
Un punto di riferimento
Insieme alla mia nonna materna, mio padre è stato una figura di riferimento fondamentale nella mia formazione, sia in quello che io potevo offrire al mondo, sia nella visione che ho del reale. Il suo essere uomo di grande cultura ha avuto un forte ascendente su di me, tanto da sentirmi sempre protetto sotto la sua egida. Questo avveniva soprattutto quando avevo da imbattermi con l’ottusità di alcuni professori o, in senso più ampio, quando avevo da svolgere mansioni di responsabilità nella scuola come nel mondo. Mi bastava dire di essere il figlio dell’avvocato Fulgaro, per ricevere un trattamento più di rispetto da parte dell’altra gente e questo mi dava sicurezza. Sapevo a chi chiedere aiuto, la sua poliedricità gli consentiva di aiutarmi in qualsiasi campo.
Quando sono sopraggiunti i primi problemi di salute a 14 anni, ho trovato non poche difficoltà a relazionarmi innanzi tutto nell’ambito della scuola, le mia assenze mi facevano restare indietro e mi mettevano in difficoltà. Il fatto che mio padre potesse essere un supporto per lo studio è stato importante. Per via delle mie assenze legate ai ricoveri per la malattia, sono nati contrasti con un professore che ha deciso di essere severo con me e voleva che io recuperassi tutte le materie: mio padre ci parlava e mi aiutava nella mia battaglia con lui. Poi al liceo questi problemi sono continuati e io avevo anche rinunciato a combattere discutendo, litigando; mio padre mi ha aiutato concretamente a finire il liceo in questa situazione. Mi aiutava proprio a fare i compiti, lì dove poteva, per alleggerirmi.
Avevamo un rapporto molto complice, mi sentivo libero di parlargli delle mie difficoltà e di chiedergli aiuto, lui era sempre comprensivo e sempre disposto ad aiutarmi. La conflittualità non ha mai fatto parte del nostro rapporto neanche in adolescenza: mio padre era un tipo allegro e brillante, mi ha trasmesso questa allegria e questo modo di stare al mondo, per me è stato un modello da seguire sempre e comunque. Era un filosofo a tutto tondo, mi ha trasmesso insegnamenti e saggezza, anche perché per i miei problemi di salute ho iniziato ad avere difficoltà a relazionarmi con la gente, lui mi spronava a fare cose, ad uscire, ad andare avanti a testa alta sempre.
È stato principalmente lui a seguirmi nella mia malattia, usando i contatti che aveva con amici medici e portandomi in giro per visite e operazioni, cercava di accorciare i tempi e di ottenere interventi veloci.
Appena finito il liceo, mio padre ha avuto un ictus che mi ha fatto sentire perso, era lui che mi portava per mano ed era la mia guida; da quel momento la mia malattia è peggiorata.
Con i miei fratelli aveva un rapporto di complicità pari al mio, con la differenza che io avevo maggiori necessità e bisogni, dovevo essere seguito di più. È sempre stato una figura molto presente e importante in casa nonostante fosse molto impegnato con il lavoro, ne faceva quattro (avvocato, insegnante, artista, poeta). Mia madre era ancora più presente, casalinga per volontà di mio padre, ma da quando c’è stata la diagnosi della mia malattia lui ha capito di dover essere più presente, che il suo aiuto e il suo sostegno erano maggiormente indispensabili, per questo ha rinunciato in parte ai suoi impegni. All’inizio mia madre è stata la prima a venire in mio soccorso, poi ho chiesto io a mio padre di seguirmi perché ne avevo bisogno, lui così ha iniziato a starmi accanto e a combattere la mia battaglia per finire il liceo con me.
Non ha mai fatto distinzioni
Mio padre nella mia vita ha avuto un ruolo legato solo all’aspetto materiale: lui era quello che lavorava e quindi sosteneva la famiglia economicamente.
Era mia madre che si occupava delle cure, che mi accompagnava a fare le visite mediche, mio padre non ha mai partecipato attivamente.
L’incontro con lui avveniva solo di sera, ma si dialogava poco. Quando eravamo piccole, io e mia sorella, non ha mai trascorso del tempo per giocare con noi.
Era una sorta di padre-padrone, dettava le sue regole e io ero tenuta a seguirle. È una figura tuttora autoritaria, per niente affettiva.
Non mi confidavo mai con lui, non c’è mai stato un rapporto intimo.
L’affetto che provava per me non me lo dimostrava con gesti espliciti, forse attribuibile anche alla sua mentalità, alla sua cultura.
Nell’educazione però non ha mai fatto distinzioni tra me e mia sorella.
Mi ha trasmesso solo il suo senso del dovere.
Mi è stato d’esempio e mi ha trasmesso la passione per il lavoro.
Mi ha sempre insegnato ad arrangiarmi
Mio padre mi ha insegnato il valore dei soldi e si è messo ha spiegarmi quanto valeva la lira (allora c’erano ancora le lire). Anche quando io ho perso la mamma, la prima volta che sono andata in macchina da sola e ho dovuto pagare io, se non avessi saputo quanti soldi dare sarebbe stato un problema.
Lui mi ha insegnato la destra e la sinistra per poter dare indicazioni a qualcun altro, cioè agli autisti che mi accompagnavano.
Dopo la morte di mia madre, quella che telefonava ai trasporti per dire che mi serviva una macchina nel tal posto, alla tale ora… ero io. Le prime volte mi confondevo perché fino a quel momento non ci avevo mai pensato a fare ciò.
Mio padre mi ha sempre insegnato ad arrangiarmi, l’insegnamento più grande che ho avuto è stato questo. Infatti appena potevo fare qualcosa, io ero esortata a intervenire perché “se puoi fare qualcosa, falla!”. Ero chiamata a contribuire in qualsiasi modo anche economicamente.
Mi ha educata, ad esempio a tavola a mangiare quello che c’era senza protestare. Lui era quello che mi spingeva alla mia indipendenza, mi ha preparata a sapermi organizzare, perché a un certo punto si è trovato a non essere più in grado di aiutarmi fisicamente. Appena ho scoperto questo e la mia voglia di andare fuori di casa, il mio dire “Ormai sono grande e voglio farmi una mia vita”, il voler uscire dall’iperprotezione data da mia nonna che non riusciva ad ammettere di non poter più accudirmi (l’abbiamo dovuta convincere, fu uno degli scogli maggiori che abbiamo dovuto affrontare), ho deciso di prendere una mia indipendenza, una mia strada.
All’epoca ero iscritta all’AIAS (mi aveva iscritto mio padre), un’associazione di genitori che in quel periodo si ponevamo principalmente, e con preoccupazione, il tema del “dopo di noi”. Ma c’era un altro tema molto importante per i figli, quello dell’indipendenza e di ciò che si desidera per se stessi.
Credo che ci debba essere un equilibrio tra me e lui
Mio padre è presente nella mia vita. È una figura importante per me.
Della cura della mia persona si occupa principalmente mia madre, ma mio padre interviene nel momento del bisogno.
Quando esprimo la mia volontà di uscire non mi contraddice, anzi mi accompagna anche in discoteca.
Spesso mi abbraccia e mi bacia ma io non voglio che lo faccia.
Quando ero bambino giocava molto con me e al momento della messa a letto mi raccontava delle storie.
Mi ricordo che quando mia sorella era piccola mio padre trascorreva più tempo con lei, ora invece si occupa più di me e stiamo più tempo insieme.
Io penso che sia un buon padre perché mi accompagna fuori e perché mi sta vicino anche se a volte la vicinanza è troppa e ritengo che sia così per via della mia disabilità.
Il rapporto con mio padre tutto sommato mi piace, ma non mi piace il fatto che mi lasci poco spazio.
Credo che ci debba essere un equilibrio tra me e lui.
Con quegli occhi furbi mi potrà dire…
I miei genitori mi hanno raccontato che alla mia nascita i medici avevano comunicato loro una diagnosi molto dolorosa che proprio non si aspettavano: dovevo essere un vegetale con poca possibilità di sopravvivenza.
Mio padre mi ha detto che inizialmente per lui è stata molto più dura la fase dell’accettazione della mia condizione di bambina disabile rispetto a mia madre perché lei, facendomi fare un percorso di riabilitazione molto intenso all’estero per diversi anni, ha avuto più possibilità di vedere persone simili a me e confrontarsi con altri genitori. Lui invece, quando ci si trovava in compagnia, si sentiva a disagio dimostrando il suo imbarazzo nell’avere una bambina con le mie difficoltà. Questo problema con gli anni è sfumato e oggi non esiste più, sento mio padre molto più sereno.
Lui però, osservandomi, ha iniziato a pensare e poi a modificare, inventare e creare degli ausili sia per la mia postura che ludici, che allora non esistevano ancora. Negli anni ha continuato a costruire per me ausili creativi per migliorare la qualità della mia e della nostra vita in vari ambiti, dal divertimento allo sport, alla vita sociale. Questo suo fare è stato il modo di mettere in pratica la sua creatività oltre che di sentirsi utile e partecipe ai miei bisogni e desideri.
Fin da bambina ho un ricordo di mio padre che anche nell’accudimento della mia persona era ed è sempre presente insieme alla mamma per aiutarla. Ho sempre sentito la sua vicinanza anche a livello morale, nonostante non mi abbia mai nascosto la realtà, e a volte anche la fatica; mi sta accompagnando nel viaggio della mia vita sostenendomi e credendo in me. Non vi nascondo che avendo due caratteri molto simili, caparbi, orgogliosi, tosti soprattutto nel periodo adolescenziale spesso ci scontravamo e nessuno dei due voleva cedere. Oggi è più facile per noi discutere e trovare un accordo anche se alle volte deve intervenire il “mediatore”, la mamma.
Durante tutti questi anni ho raggiunto degli obiettivi impensabili all’inizio della mia vita, sicuramente grazie a quella forza di volontà che ho sempre respirato attraverso la vicinanza e l’esempio dei miei genitori. Negli anni siamo riusciti a creare attorno a noi una rete di supporto, dalle istituzioni ai servizi agli amici, in modo da permettermi di crescere e di non sentirmi più a disagio, ma sentirmi cittadina attiva all’interno della società.
Guardandomi allo specchio riconosco in me alcune caratteristiche molto simili a quelle di mio padre: lui infatti è sempre stato propositivo nell’affrontare le problematiche senza mai abbattersi e anch’io credo di essere una persona positiva. Lui è sempre pronto ad aiutare le altre persone e questa dote nel mio piccolo la sento mia, mi sento soddisfatta e realizzata quando posso aiutare gli altri anche tramite il lavoro che svolgo. Sono come lui piuttosto caparbia e orgogliosa nel voler risolvere situazioni non di facile soluzione, ma la calma nel suo agire lo avvicinano molto alla mia lentezza nell’operare. Un lato del nostro carattere estremamente identico è la ricerca della precisione che comunque non guasta a mantenere ordine intorno a noi.
Dico grazie a mio padre per tutto l’affetto che mi dà.
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