di Martina Gerosa 

Le statistiche dicono che il numero di donne uccise in Italia è stabile, non ci sarebbero indicazioni di aumenti improvvisi. E dunque le donne morte in questi giorni sotto i colpi di uomini assassini sono state colpite da un’insolazione o sono danni collaterali di un’estate particolarmente calda. Non amo le statistiche, perché penso che anche una sola persona ha diritto di vivere, e ha un nome, un volto, una storia. Ma come uomo sono colpito da quanto leggo, da quanto vedo. Proprio perché ho sempre amato le donne, moltissimo, e continuo anche adesso, che ho superato i sessant’anni. Tranquilli, sono fedele per natura, e non sto parlando solo di passione amorosa, ma proprio di amore per le donne, che hanno riempito la mia vita di colori, di emozioni, di episodi, di condivisione, di speranze, di battaglie, di risate, di malinconia, di dolore, di gioia, di cose concrete da fare insieme, giorno dopo giorno.

Non mi è mai passato per la testa di usare violenza fisica nei confronti di una donna, e non perché vivo in sedia a rotelle. Potrei riuscirci anche da qui, su questo non ho dubbi. È proprio perché l’idea di possesso, di proprietà sulla donna, non mi appartiene, non fa parte del mio bagaglio di viaggio nell’esistenza. So di non possedere del tutto neanche me stesso, dal momento che il corpo non sempre risponde ai comandi del cervello o del cuore. Figurarsi se posso immaginare una sorta di dominio su un essere diverso da me. Io amo la relazione, la curiosità, la diversità di approccio, la possibile convergenza di saperi e di istinti, la piacevolezza dell’aspetto, la freschezza mentale, la spregiudicatezza, l’imprevedibilità, l’estro interiore, la tenacia, la concretezza, la tenerezza, la fragilità, la forza, la resistenza delle donne.

Le donne non si riposano mai, o quasi. E spesso sono proprio le giornate della solitudine, quelle che coincidono con la fine dell’anno o con il Ferragosto, a risultare le più pericolose per la loro incolumità, perché gli uomini non accettano di rimanere da soli, si portano questa tara fin da bambini, da quando cercavano di infilarsi nel lettone, fra mamma e papà. Le donne sono molto più indipendenti, anche nella sofferenza. Ecco perché mi piacerebbe che il Ferragosto venisse dedicato a loro, alle nostre compagne di vita. Una giornata del rispetto e dell’amore, senza bisogno di cerimonie o di gesti retorici, ma solo di un pensiero collettivo. Un pensiero capace di raggiungere le menti bacate degli uomini capaci di violenza. E comunque un pensiero che renda merito alla presenza delle donne, fondamentale nella nostra vita. Buon Ferragosto, amiche e compagne.

(Franco Bomprezzi, “Dedichiamo il ferragosto alle donne”)

[Testo apparso il 13 agosto 2013 su FrancaMente, blog di Franco Bomprezzi su Vita.it 

http://blog.vita.it/francamente/2013/08/13/dedichiamo-il-ferragosto-alle-donne]  

Ricordo come fosse ieri il giorno dello speciale flash mob di Reatech a Milano, sul finire di settembre 2013, quando Franco e io ci trovammo fianco a fianco in piazza per i diritti delle persone con disabilità. Fu allora che gli parlai la prima volta della vicenda in cui mi ero imbattuta, per cui stavo cercando come un segugio qualsiasi traccia mi portasse a capire come affrontare e gestire situazioni di donne con disabilità vittime di violenza.

Il saggio amico mi parlò allora di Simona Lancioni del Gruppo Donne UILDM: “lei sta facendo una ricerca accurata di ciò che esiste in Italia sul tema”, così mi disse.

Simona – che poi sarebbe diventata una grande amica – l’avrei conosciuta due mesi dopo tra Firenze e Siena, a Empoli, al convegno di presentazione del progetto dello sportello Aurora dedicato al tema della violenza sulle donne con disabilità curato da Rosalba Taddeini e le straordinarie donne dell’associazione Frida di San Miniato con l’AIAS di Empoli. Della “violenza silenziosa sulle donne con disabilità” e dello stesso progetto Aurora Franco aveva raccontato sul finire d’agosto sulla testata Superando, di cui era direttore: www.superando.it/2013/08/26/la-violenza-silenziosa-sulle-donne-con-disabilita/ 

In mezzo, in occasione del Ferragosto, Franco aveva scritto il bellissimo, commovente inno d’amore dedicato alle donne troppe volte vittime di violenza che, a distanza di due anni, in una nuova calda estate, ripropongo sentendo forte la presenza del nostro “cavaliere ruotante” nell’assenza.

Questa monografia di HP-Accaparlante la dedichiamo all’amico e compagno di strada Franco Bomprezzi, che sarebbe stato con noi a moderare il workshop nazionale “Donne con disabilità: inventare e gestire percorsi di uscita dalla violenza” tenutosi il 1° dicembre 2014, se la malattia non l’avesse costretto a dare forfait, fino all’ultimo credette infatti di potercela fare, a essere presente in un’iniziativa di cui sentiva la grande importanza.

Al di là delle idee e delle esperienze che sono state condivise in quell’occasione, raccolte ora in questa monografia, è stato fondamentale “incontrarsi”, da ogni parte d’Italia, per condividere, mettere in comune ciò che è stato detto (molto) e fatto (poco) nel nostro Paese per le persone con disabilità vittime di violenza.

Da dove ha origine questo workshop?

Alla mia domanda “Dove si può orientare una donna con disabilità vittima di violenza?” rivolta a una moltitudine di esperti (psicologi, assistenti sociali, medici, ricercatori e formatori…) da cui mi sarei aspettata chiari suggerimenti per l’azione, per mesi ho ricevuto di tutta risposta un imbarazzante silenzio. 

Ma come mai questo mio nuovo interesse di ricerca? Nel 2013, a primavera inoltrata, era ormai già quasi estate, ricevetti un messaggio come in una bottiglia gettata nell’oceano di internet da una giovane donna che manifestava sofferenza per la condizione in cui viveva tra le mura domestiche. Dapprima non diedi più di tanto peso alla sua richiesta di aiuto, che via via, attraverso uno scambio di messaggi sempre più fitto ho avvertito come impellente.

Se sulle disabilità ero competente sia a livello di esperienza che di conoscenza, anche scientifica (era questo il motivo per cui mi aveva intercettata), di violenza di genere io non sapevo fino a quel momento nulla. Sapevo solo che troppo spesso tra le notizie dei media ce n’è una che racconta di un atto efferato di violenza sulle donne, ma non avendola mai percepita come realtà vicina, tra le tante sofferenze del mondo non me ne ero mai fatta carico.

Questa volta la violenza sulle donne bussava alla porta del mio cuore e della mia intelligenza.

La violenza combinata con la disabilità è davvero micidiale: di una matassa già normalmente complessa da districare diventa ancora più difficile trovare il bandolo.

L’informazione sul tema della violenza di genere nella società è sempre poco fluida, condizionata da molti stereotipi, figuriamoci cosa possa accadere in presenza di disabilità. Ho focalizzato inoltre un primo problema quasi banale, che ho iniziato a sollevare in ogni occasione mi si presentasse: numeri di telefono e sportelli possono non essere mezzi sufficienti per garantire l’accessibilità dei servizi antiviolenza, anzi in certi casi possono essere barriere.

La prima persona con cui ho trovato il modo di confrontarmi sul tema a cuore aperto è stata Giovanna Di Pasquale del Centro Documentazione Handicap di Bologna. Possibile che non ci fossero punti di riferimento nei nostri territori, per poter affrontare la situazione della giovane donna con i mezzi e le competenze necessari?

Nell’autunno 2013, a Milano, Corvo Rosso, alias Furio Sandrini, filosofo e satirista, portò –supportato da Giovanna Daniele e altri – in tutte le biblioteche civiche una straordinaria mostra di ben novantanove tavole: “No al silenzio! Basta violenza sulle donne” a cui si accompagnarono incontri ed eventi, per quasi due mesi.

Fu grazie a questa iniziativa, veramente pregevole, che trovai finalmente il bandolo della matassa. Scorrendo il programma degli eventi a cui presi parte, anche solo per capire di più del tema che stava prendendo la mia mente oltre che il mio cuore, ne trovai uno in cui sarebbe stato presentato il progetto Aurora dedicato alla violenza sulle donne con disabilità! Determinante per me, per comprendere ciò che stavo osservando, è stato scoprire il famoso schema, mai visto prima di allora, “La ruota del potere e del controllo” del progetto Duluth nel Minnesota (Stati Uniti). Tutte le donne fin da ragazze a mio parere dovrebbero conoscerlo. 

Uno degli incontri che mi colpì maggiormente fu con la dottoressa Nadia Muscialini di Soccorso Rosa. La stessa dottoressa che avrei ritrovato qualche mese dopo, nel febbraio 2014, a un incontro della Rete Antiviolenza del Comune di Milano in occasione del 3° Forum delle Politiche sociali. Il centro antiviolenza Soccorso Rosa dell’Ospedale San Carlo è stato, insieme a Cascina Biblioteca, l’approdo sicuro per la giovane donna che seguivo, dopo mesi di travagliate ricerche.

Per affrontare la violenza sulle persone con disabilità non bastano più solo le ricerche che dimostrano, insieme ai più recenti dati Istat, che il fenomeno è molto grave, colpendo da 4 a 6 individui su 10 contro i 3 su 10 tra i cosiddetti normodotati.

È tragico pensare oggi che, un anno dopo, sia stato praticamente annientato un servizio come Soccorso Rosa, che tra tutti è stato l’unico, insieme a Cascina Biblioteca e a un paio di altre importanti realtà del non profit, ad aprirsi a una richiesta di aiuto tanto particolare.

Grazie a un’elevata capacità di attenzione e intelligenza, flessibilità mentale e creatività fuori dal comune e soprattutto un grande cuore da parte degli operatori, a Milano – in un contesto politico favorevole, pur in presenza di difficoltà legate alle rigidità burocratiche – una rete di persone ha saputo attivarsi in modo da costruire un possibile percorso di fuoriuscita dalla violenza per una persona con disabilità al di là di schemi, procedure e regole, anche col fondamentale supporto dei saperi e delle esperienze che contemporaneamente si sviluppavano altrove in Italia.

Come diffondere la conoscenza sul fenomeno della violenza sulle persone con disabilità e rendere possibili percorsi innovativi ed efficaci ovunque e sempre?
L’auspicio è che questa monografia che raccoglie contributi su questi temi così raramente approfonditi e condivisi, venga portata laddove ci siano persone con mente e cuore aperti, il famoso organismo ricettivo di cui scrisse Simone Weil ne La prima radice. Preludio ad una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano (SE, Milano, 1990):

Un organismo ricettivo, cioè persone il cui compito primo, la cui prima preoccupazione sia quella di discernere i pensieri latenti, i bisogni latenti, e di comunicarli…
Per un simile compito è indispensabile un interesse appassionato per gli esseri umani, chiunque essi siano, e per la loro anima; una capacità di mettersi nei loro panni e di far attenzione ai sintomi dei pensieri inespressi, un certo senso intuitivo della storia che si sta compiendo, e la facilità di esprimere per iscritto sfumature delicate e relazioni complesse.
Date la vastità e la complessità delle cose che debbono essere osservate, si dovrebbe avere un gran numero di osservatori di questo genere; ma in realtà ciò è impossibile. È dunque urgente utilizzare a questo fine, senza eccezione, chiunque ne sia capace.

Buona lettura, buon lavoro e arrivederci al prossimo workshop nazionale.

Nota: Molti dei contributi della monografia nascono dal primo workshop nazionale “Donne con disabilità: inventare e gestire percorsi di uscita dalla violenza”, realizzato in collaborazione con l’Assessorato Politiche Sociali del Comune di Milano e tenutosi il primo dicembre 2014 presso la Casa dei Diritti con il patrocinio dell’Associazione Italiana Disability Manager. L’incontro è stato moderato da Claudio Arrigoni, giornalista della Gazzetta dello Sport e blogger di InVisibili del Corriere della Sera. I testi sono stati raccolti grazie alla stenotipia curata da CulturAbile Onlus, che ha garantito l’accessibilità dell’evento alle persone con disabilità uditiva.

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