di Pierfrancesco Majorino

Assessore alle Politiche Sociali e Cultura della Salute Comune di Milano

Nell’ambito delle giornate che, in occasione del 3 dicembre, come assessorato delle Politiche Sociali abbiamo deciso di realizzare con il Terzo settore, per riflettere e ragionare su le politiche, gli interventi, i servizi – tra difficoltà e innovazioni – riguardanti le persone con disabilità, è importante accendere un faro, quindi ritagliare uno spazio di discussione sulla questione molto rimossa della violenza di genere in relazione a donne con disabilità. Esse sono portatrici, inevitabilmente, di fragilità e, pertanto, possono essere più facilmente sottoposte alla pratica dell’abuso, all’assenza del rispetto, al ricatto o addirittura alla violenza fisica efferata.

Il 94,5 per cento dei casi di violenza degli uomini sulle donne, registrati dai Centri antiviolenza della città di Milano, sono episodi consumati tra le mura domestiche a opera di un compagno, di un amico, di un operatore, che ha a che fare con la donna stessa. Ragioniamo su un fenomeno che purtroppo è molto radicato, è trasversale e taglia ceti e condizioni sociali, svolgendosi nell’ambito di relazioni date come assolutamente naturali o perché c’è un legame vero e proprio d’amore, di affetto, o perché c’è una relazione già preesistente. 

È vero che spesso il tema della violenza sulle donne con disabilità non è considerato come una questione da affrontare con delle inevitabili specificità, in relazione al quale realizzare nei servizi un salto di qualità, innanzitutto nella capacità di intercettare le problematiche connesse, ma anche in un’ottica di prevenzione rispetto all’abuso e alla violenza, per coglierla prima che essa si manifesti all’esterno. Diciamo sempre che, quando si ragiona di violenza di genere, siamo di fronte a una punta di iceberg rappresentata dai grandi, tragici e dolorosi episodi e poi, sotto il livello del mare, vi è una costellazione di pratiche anticipatorie assolutamente terribili che tendono a creare condizioni di segregazione o ad alimentare meccanismi di ricatto. Credo che, anche nel caso della violenza agita sulle donne con disabilità, dobbiamo ragionare proprio di questo: di come riusciamo ad affrontare la violenza in relazione agli episodi più drammatici ed efferati, ma anche di come porre attenzione a tutto ciò che è il vissuto che li precede, che in qualche modo li può alimentare, in alcuni casi costruendo le precondizioni, legate in particolare a relazioni distorte tra le persone.

Credo che dobbiamo fare un lavoro di questo tipo: da una parte, mi permetto di dirlo con molta modestia – senza pensare di dare lezione a nessuno – abbiamo bisogno di decidere che di questo problema ce ne facciamo carico e ce ne occupiamo, cosa che non sempre è accaduta, anzi; dall’altra dobbiamo comprendere come riuscire a dire alle donne e alle ragazze con disabilità di questa città che non sono sole, per la presenza di servizi, centri, soggetti a cui potersi rivolgere. In questo caso è evidente che dobbiamo giocare in una messa in relazione tra le esperienze organizzate che si occupano di disabilità (che la persona disabile incontra in ragione della propria condizione, nella necessità di trovare sostegno) con ambiti che si occupano di violenza di genere, quindi centri antiviolenza, convenzionati, pubblici e privati, che agiscono su questo fronte.

“Le donne con disabilità non sono sole” è la cosa che affermiamo, ma vorremmo dir loro anche: “Non siete sole contro la violenza”. Qui dobbiamo fare un lavoro in più, nel senso che va sviluppata un’azione ancora più sottile ed efficace nel sapersi rendere utili e prima ancora nel sapere intercettare il problema. Penso che questo balzo di qualità sia da fare nel momento della prevenzione della violenza e in quello della presa in carico della donna che la subisce, così come nella fase di sostegno e ricostruzione dell’autonomia della persona che subisce violenza. Se è vero che la violenza di genere si consuma in mura domestiche o in relazioni spesso conosciute e praticate, mettendo in gioco la dinamica della relazione tra i generi e la dimensione del ricatto, chiama in causa la ricostruzione della biografia futura. Tutto ciò che riguarda la questione cruciale dell’uscita dalla violenza per le donne con disabilità ci chiede un di più di sensibilità e strumenti. È il motivo per cui questa discussione e confronto non è per noi un eccentrico dibattito che ci è stato proposto, bensì è un momento molto significativo per irrobustire il complesso degli interventi già esistenti, quindi migliorare la qualità della rete e dell’offerta nel campo delle politiche sociali. Essenziale è procedere nella formazione degli operatori, delle operatrici, perché intercettare la violenza, riuscire a comprenderla come tale in questo caso, delle donne con disabilità, non credo che sia né facile, né agevole, né per forza facilitato dalla donna o ragazza che la subisce, perché i condizionamenti possono essere tanti e di vario tipo. Credo che vada particolarmente presidiata, come si evince anche dai materiali che hanno istruito vari momenti di confronto sul tema a livello nazionale, la questione della formazione dell’operatore che gioca un ruolo particolarissimo perché figura molto rilevante in questo caso, in quanto può essere sia il principale alleato contro la violenza sia il soggetto che la esercita. 

Penso che sia davvero importante questa riflessione collettiva, assolutamente non banale, ogni intervento aggiunge un punto di vista, uno sguardo, un pensiero utile nella direzione in cui vogliamo andare. Lo dico senza retorica, per contrastare la violenza sulle donne con disabilità bisogna portare avanti un messaggio che non costituisca un’ulteriore segregazione in risposta alla violenza, con un’idea assolutamente positiva di promozione dei diritti delle ragazze e delle donne con disabilità, che sono innanzitutto ragazze e donne.

Credo anche che sia molto importante riuscire a non dare per scontata la relazione con le istituzioni preposte all’azione repressiva, all’accertamento, quindi con la magistratura e le forze dell’ordine. Noi abbiamo istituito a Milano un Tavolo inter-istituzionale sulla violenza di genere, formalizzando il rapporto tra Comune e Rete centri antiviolenza, che in alcuni casi hanno una storia gloriosa e pluridecennale. Siamo ancora al momento un po’ liturgico del confronto, vogliamo lavorare di più e meglio sulla formazione specifica degli operatori, proprio su come interpretare la violenza, che tipo di prime risposte dare e così via.

Ci troviamo totalmente in sintonia, ora andrò in Consiglio comunale dove porterò questa sciarpa rossa che simboleggia il “Posto occupato”, ricevuta ora dalla Rete delle donne AntiViolenza di Perugia, anche noi abbiamo dato vita a momenti di questo genere, è un testimone utile in una corresponsabilizzazione che ci deve sempre vedere coinvolti. 

Sono convinto del fatto che la rete degli attori sociali che intervengono nel campo delle politiche sociali nella città di Milano non può che essere grata di questo contributo che può arricchire la qualità dell’operato di tutti. Vi ringrazio di questo confronto, tappa di un lavoro in comune. 

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