Marina Abramovic: l’artista è presente
- Autore: Roberto Parmeggiani
- Anno e numero: 2014/2 (monografia sul cinema e la disabilità)
di Roberto Parmeggiani
Il documentario di Matthew Akers Marina Abramovic. The artist is present racconta la lunga performance realizzata da Marina Abramovic al MoMA di New York, in occasione di una personale dedicata all’artista nel 2010, descrivendone tutte le fasi della realizzazione: dal sopralluogo fino alle centinaia di incontri quotidiani. Per tre mesi, Marina Abramovic è rimasta seduta ogni giorno, per sette ore, guardando negli occhi, in silenzio, chiunque desiderasse sedersi di fronte a lei: per mettersi in gioco, entrare in relazione o sperimentare. Un continuo scambio di emozioni che trova spazio nel dialogo silenzioso dello sguardo, uno sforzo fisico immane che ha visto l’artista mettere a nu-
do la sua identità.
“Mi sono serviti tre mesi di tempo al MoMA per essere incondizionatamente lì, presente per il pubblico.
Ogni volta che volevano, dovevo essere vulnerabile e solo per loro. In questo modo ho fatto sì che il pubblico non fosse più considerato come un gruppo, ma avesse il tempo e lo spazio per rappresentare la propria individualità. La performance consisteva nell’avere sedute di fronte a me persone singole. Individui che potevano rimanermi vicino senza limiti di tempo, anche un giorno intero se fosse stato necessario.
Essere a disposizione come artista e dare loro il mio amore incondizionato a completi estranei mi ha fatto vivere l’esperienza di essere lo specchio delle loro anime e di loro stessi. In quel momento io non ero più me, il tempo non riguardava più me medesima. Io ero solo un tramite del loro essere-con-se-stessi”.
La prima volta che ho assistito a questo documentario non ho potuto fare a meno di collegare l’esperienza dell’artista con quella della relazione educativa. Marina Abramovic, in particolare in questa performance, ti costringe alla presenza: di un corpo, di una possibilità, di un’esigenza, di un desiderio, di te stesso. Lo stesso succede nella relazione educativa: i due soggetti si incontrano e si obbligano a una presenza, fisica, emotiva e psicologica. Non solo l’uno con l’altro ma anche direttamente con se stessi.
Quante volte l’educatore si trova a fare i conti con se stesso prima che con l’altro? Quante volte l’esperienza dell’altro obbliga l’educatore a mettere in discussione la propria, a scoprire aspetti nascosti, sfumature poco conosciute? Risorsa e ostacolo, facile e difficile, possibilità e difficoltà sono i binomi che descrivono la relazione educativa e all’interno dei quali si gioca la possibilità di riuscita della relazione stessa. La scelta di uno dei due opposti dipende, in gran parte, dalla nostra attitudine a saper valorizzare gli aspetti più importanti, le abilità, per quanto residue, sempre presenti. Mettersi di fronte all’altro in silenzio, restando in una comunicazione basata sulla presenza, produce una conoscenza dell’altro che viene prima dei ruoli perché in quel momento si è entrambi sullo stesso piano: non c’è l’educatore e non c’è l’utente, ci sono due soggetti differenti interessati, per volere o per occasione, a entrare in relazione. Trasformando ciò in un approccio pratico potremmo dire che brevi momenti di pausa e di sospensione, non solo del giudizio, ma della relazione attiva basata sul fare e sul credere di avere tutte le risposte, garantirebbero sicuramente una diminuzione delle frustrazioni, una condivisione delle responsabilità e una conoscenza meno legata alle logiche del preconcetto. “Quello che posso dire è che questa performance mi ha cambiata a livello profondo; per me può solo avvenire che il mio lavoro cambi la mia vita e non l’opposto”.
(in Dr. Abramovic, a cura di Francesca Baiardi, p. 96, allegato al dvd Marina Abramovic. The artist is present, 2012, Feltrinelli Real Cinema)
La relazione educativa, vissuta in modo equilibrato, provoca indubbiamente un cambiamento che in fondo non è molto dissimile da quello che si realizza davanti a un’esperienza artistica o a un evento naturale di particolare bellezza.
Con una differenza, però: la relazione educativa modifica entrambi i soggetti, proprio come succede in modo innovativo nella performance descritta. Di solito, infatti, di fronte a un’opera d’arte lo spettatore riceve uno stimolo, un input, un’emozione che non può restituire all’opera e nemmeno all’artista, se non in un secondo tempo. In The artist is present, invece, succede qualcosa di nuovo, uno scambio immediato dovuto proprio alla presenza dei due soggetti della relazione, l’artista e lo spettatore, e questo provoca un cambiamento nei soggetti prima che nel contesto. Essere consapevoli di ciò, come educatori, significa accettare che non possiamo modificare nulla se non partendo da noi stessi perché, solo a quel punto, saremo credibili e disposti realmente a stare in un contesto che entri continuamente in relazione con noi.
Per concludere un piccolo gioco. Marina Abramovic ha stilato un Manifesto, una serie di regole che secondo lei un artista dovrebbe rispettare. Ne ho estrapolate alcune e le ho riscritte sostituendo alla parola “artista” il termine “educatore”. Mi sembra che siano molto interessanti e che forniscano validi spunti di riflessione:
– l’educatore non dovrebbe mentire né a se stesso
né agli altri;
– l’educatore non dovrebbe scendere a compromessi
con se stesso o con il mercato dell’educazione;
– l’educatore non dovrebbe trasformare se stesso in
un idolo;
– l’educatore deve imparare a perdonare.
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