La relazione con lo spazio e il senso di spaesamento
- Autore: Roberto Parmeggiani
Di Roberto Parmeggiani
Ogni artista esprime il proprio stile attraverso caratteristiche precise che, spesso, sono radicate nelle esperienze più intime e personali.
Come se fossero l’espressione del vissuto, della storia, delle vicende che, in un qualche modo, l’hanno formato e che trovano, nel linguaggio artistico, un mezzo di espressione e comunicazione adeguato.
Cildo Meireles, brasiliano e uno dei più importanti artisti del secondo dopoguerra, non fa eccezione. La sua cifra artistica, infatti, è strettamente legata alla sua storia, agli incontri e alle scelte fatte, quelle personali e quelle sociali cui ha partecipato più o meno attivamente.
Nato a Rio de Janeiro nel 1948, scopre l’arte moderna e contemporanea quando si trasferisce a Brasilia dove, oltre a intraprendere studi artistici, frequenta vari luoghi dell’arte e si forma leggendo e scrivendo per varie pubblicazioni.
Le sue prime opere sono legate a maschere e sculture africane. Resta, infatti, molto colpito da una mostra che visita presso l’università di Brasilia su maschere originali africane e decide di reinterpretare ciò che ha visto, spinto dal desiderio di ricercare le origini, sue e della società in cui vive.
Un punto di svolta si ha nell’incontro con il movimento Grupo Neoconcreto, di Rio de Janeiro, che, oltre a riportarlo nella sua città natale, gli permette di aprirsi all’idea di spazio, a nuovo concetto di arte.
“Ogni volta che tentiamo di definire cos’è l’arte, abbiamo una divisione tra quello che è e quello che non è considerato l’oggetto dell’arte. Nell’epoca pre-classica, arte e religione erano sinonimi. Nella Grecia classica, arte e architettura erano ugualmente legate. Solo più tardi si è creata una distanza tra l’artistico e l’architettonico. Abbiamo cominciato a vedere l’arte come la documentazione o la riproduzione del reale. Quello che mi ha attratto del neoconcretismo è stata la possibilità di pensare all’arte in termini che non si limitassero solo al visivo”.
Tornato a Rio, nel 1967, il disegnare passa in secondo piano a favore della tridimensionale, opere cioè che conquistano lo spazio e lo occupano.
Ecco allora che lo spazio diventa una delle sue ossessioni, caratteristica principale del suo operare artistico, componente fondamentale nell’enfatizzare i paradossi e le metafore del sociale, inteso come luogo della vita di tutti.
Lo spazio diventa un luogo da riempire di significati, di pensiero, di arte e, soprattutto, di oggetti e materia, scelti per le caratteristiche simboliche o sensoriali. L’obiettivo principale dell’artista è quello di mettere insieme elementi contrastanti dal punto di vista semantico o visivo che, in relazione con lo spazio e interagendo con lo spettatore, attivino una riflessione sul contemporaneo.
Sia che le opere siano molto grandi o, all’opposto, molto piccole ciò che Meireles vuole ottenere è un momento di spaesamento che porti lo spettatore a riconoscere quello che vede ma in un contesto diverso dal solito.
“Gran parte della mia opera si inserisce all’interno della discussione circa lo spazio della vita umana, la qual cosa è tanto ampia quanto vaga. Lo spazio, nelle sue diverse manifestazioni, abbraccia arene psicologiche, sociali, fisiche e storiche… Non importa realmente se avviene o meno un’interazione tra lo spazio utopico e quello reale. Credo ci sia un aspetto quasi alchemico: anche tu stai venendo trasformato da quello che fai”.
Tra le decine di opere che Meirels ha realizzato, ne scelgo due tra quelle che ho avuto il piacere di vedere dal vivo e che, mi sembra, possono favorire una miglior comprensione di quanto ho scritto sopra. Si tratta di Eureka/Blindhotland del 1975 e Babel del 2001, un progetto che riprende e attualizza alcuni lavori realizzati dall’artista utilizzando vinili negli anni ’70.
Eureka/Blindhotland
Per visitare l’opera si entra in un ambiente delimitato da tende sottili, una specie di grande stanza asettica. All’interno si trovano vari oggetti e, al centro, una bilancia che può essere utilizzata per pesare quegli oggetti.
La sorpresa si ha nel momento in cui realizzi che ci sono oggetti di volume diverso ma di stesso peso, mentre altri esattamente uguali ma con un peso differente.
L’obiettivo di questa esperienza artistica è di portarti a riflettere sull’iper-valorizzazione che diamo al senso della vista a scapito degli altri sensi, a come siamo educati a non dare peso ad altri fattori oltre che quello visuale, una sorta di pregiudizio visivo che ci convince di poter valutare un oggetto come una persona, un luogo come un’esperienza solo facendo riferimento a ciò che vediamo, che abbiamo visto o che crediamo di aver visto.
L’opera è chiaramente una metafora della società odierna e dello stile delle relazioni che tutti noi instauriamo. Non solo e non tanto sul valore che diamo all’apparenza e all’immagine, in generale, ma sulla parzialità con la quale giudichiamo l’altro, sia esso cibo, arte o persona. Ci accontentiamo di ciò che vediamo (e spesso di ciò che qualcuno ci ha detto di aver visto) pensando che gli elementi che riusciamo a raccogliere con la vista siano assoluti e sufficienti per poter dare una valutazione.
Babel
Si tratta di una grande torre formata da radio di diverse epoche, sincronizzate su stazioni differenti. Come la Torre di Babele originale, l’opera si offre agli spettatori come un monumento alla confusione e allo stordimento causato da un insieme di informazioni sonore tanto diverse quanto contemporanee. Un effetto di spaesamento viene dato, inoltre, dal fatto che da radio esteticamente antiche e vetuste escano suoni attuali e moderni.
Mentre nella Babele biblica gli operai che stavano costruendo la torre vengono puniti con la confusione delle lingue che li farà disperdere su tutta la terra, quest’opera di Meireles ci porta a riflettere rispetto a come la comunicazione odierna sia troppo spesso causa di confusione e di allontanamento gli uni dagli altri invece che strumento di relazione. Non solo e non tanto per le diverse lingue che parliamo ma più che altro per lo stile comunicativo che ci spinge più a parlare che ad ascoltare. Siamo, in fondo, come quelle radio, produciamo suoni sperando che qualcuno li ascolti ma non siamo disposti ad ascoltare, a nostra volta, ciò che gli altri dicono.
Che tu sia nativo o immigrato, abile o disabile, bambino o adulto non importa più, si realizza una sorta di inclusione al contrario dove tutti, invece che aver creato un contesto in cui ognuno possa esprimersi al meglio, si illudono e si accontentano di una realtà che falsamente ti fa sentire al centro delle relazioni. Al centro sì, ma da solo.
Due parole, quindi, restano di questo artista che ha attraversato il tempo e lo spazio.
Parzialità e spaesamento insieme a relazione e comunicazione.
Parole e temi estremamente contemporanei come la critica che fa Cildo Meireles, il quale non è interessato nel definire il bene o il male, il giusto o lo sbagliato. A lui interessa, in quanto artista, attivare un pensiero, una riflessione su ciò che viviamo perché possiamo essere il più possibili consapevoli del contesto in cui siamo inseriti e, in particolare, delle relazioni e della comunicazione che possiamo mettere in atto.
Parzialità e spaesamento, quindi, come quel luogo dove sostare per poi rimettersi in viaggio più consapevoli.
(Tutte le citazioni sono da: www.escritoriodearte.com/artista/cildo-meireles
Traduzione di Roberto Parmeggiani)
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