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Lettere al direttore

Risponde Claudio Imprudente

Un intellettuale del nostro tempo, forse l’ultimo intellettuale del nostro tempo. È così che descriverei il professore Alain Goussot, di origine belga, docente di Pedagogia Speciale all’Università di Bologna, scomparso lo scorso marzo.
Un caro amico, oltre che un collega, che vale la pena ricordare con le debite parole e senza reticenze. Perché Alain, nel suo campo, quello dell’Educazione e della Pedagogia ma anche della Psicologia e dell’Antropologia ha lasciato il segno. Il segno del sapere, gettando importanti basi per nuove ricerche e il segno della persona, attenta, anzi di più, curiosa, anche su quello che non condivideva del tutto. Ateo convinto, Alain non ha infatti mai smesso di interessarsi alla religione, o meglio, alle religioni, e le ha messe in pratica tutte, capace di mettersi in gioco nel profondo e ponendosi sempre dalla parte dei più deboli.
La diversità, a partire da ciò che anche per lui si palesava come alieno e distante, è sempre stata una sfida, l’occasione per andare oltre e destrutturare i meccanismi incorporati nella società e nelle nostre percezioni umane fino a ribaltarle in una nuova dimensione etico-politica.
Attivo tra i ricercatori dei cosiddetti Disabilty Studies Alain si è dunque occupato da vicino della disabilità, concentrando la sua riflessione in particolare sugli aspetti legati all’adultità, al rapporto tra la disabilità e le altre discipline in un’ottica transculturale fino a sottolineare, negli ultimi anni, come il passaggio tra i termini integrazione e inclusione nella Scuola si è negativamente autoridotto nelle stigmatizzazioni dei BES (Bisogni Educativi Speciali). “Sulla questione dell’inclusione – scrive Alain su un articolo uscito su La letteratura e noi – occorre confrontarsi e chiarire meglio di cosa stiamo parlando. Per anni si è parlato di integrazione, in particolare in riferimento all’integrazione scolastica e sociale degli alunni con disabilità.
Si diceva che fosse importante creare delle opportunità e delle situazioni educative e formative in grado di rimuovere barriere e ostacoli. Poi da alcuni anni si è cominciato a parlare d’inclusione, precisando che si voleva sottolineare che il cambiamento non poteva essere a senso unico ma reciproco (soggetto e ambiente). Ma sorge un dubbio: se il concetto d’inclusione è strettamente connesso agli indirizzi proposti sui cosiddetti BES, e si muove nella direzione del differenzialismo, allora cosa vuol dire includere?”.
Difficile, se non impossibile, non aprire un dibattito dopo una domanda di Alain o leggendo le sue numerose pubblicazioni.
Tra queste ce n’è una che mi è particolarmente cara, Il disabile adulto [Maggioli editore, 2009], in cui Alain sottolinea come l’entrata nella società della persona con disabilità dopo l’uscita dal contesto scolastico porti con sé una rivoluzione sociale intrinseca che chiama in causa l’altro ma anche una responsabilità del singolo perché “vivere è l’adattamento passivo di chi rinuncia a esistere, mentre esistere implica la scelta e va nel senso di una integrazione attiva nella realtà”.
È accaduto lo stesso con altri temi, che sempre hanno preso voce a partire da un vero e proprio chiodo fisso del Professore: l’ideologia della diversità.
L’idea cioè che si debba sempre “cercare la diversità dell’altro anche in termini positivi”. Tornare all’uguaglianza, questo chiedeva Alain, vedere l’altro come altro io ma diverso da me. Partendo dalle similitudini accettare le differenze.
Perché le differenze stanno insieme, e insieme, in quanto tali, non creano più né separazione né scissione.
In questa rubrica ho il piacere di condividere con voi alcuni stralci di una corrispondenza avuta con suo figlio Enrico.

Carissimo Claudio,
mi chiamo Enrico e sono il figlio di Alain. Volevo ringraziarti per le parole che hai usato per omaggiare mio padre, il tuo amico e compagno di tante battaglie. Sto rimanendo colpito da tutti i messaggi che ancora oggi, a distanza di quasi sei mesi, sto ricevendo dai suoi studenti e dai suoi colleghi. Sono stato malissimo a seguito della sua morte, un evento dirompente, improvviso e traumatico che ha squarciato la nostra vita familiare.
Non riesco ancora a realizzare che lui se ne sia andato, tante e troppe cose sono rimaste in sospeso da quella notte tanto oscura quando lo abbiamo trovato per terra senza vita. Spesso me lo vedo sbucare dal suo studio di casa ma poi mi accorgo che la sua scrivania oramai è vuota perché lui se n’è andato davvero.
È stato un papà straordinario, mi ricordo che da ateo ci accompagnava al catechismo. Ci ha lasciati liberi di intraprendere ciascuno la propria strada. Ricordo bene il giorno in cui mio fratello gemello gli ha detto di voler entrare in seminario e lui con gioia gli ha semplicemente risposto di essere contento.
Ultimamente forse si stava ponendo tante domande sul senso della vita, l’ultima cosa che ha fatto prima di morire è stata guardare la via crucis di Papa Francesco. Con questo ha salutato il mondo.
Sono certo che nel tragitto dalla sua camera alla cucina, dove è morto, ha fatto un incontro speciale, ha visto Dio.
Come professore non era un accademico ordinario, aveva qualcosa che lo rendeva unico e speciale. Non ho mai incontrato nella mia vita una persona con la sete di cultura che aveva il Babbo.
Cercherò di portare in ogni dove il suo pensiero e spero che anche a livello accademico non venga dimenticato, perché lo merita.
Io farò di tutto perché ciò non avvenga. Ti abbraccio forte e ti ringrazio di cuore.
Fraternamente
Enrico

Caro Enrico,
innanzitutto grazie a te per aver trovato le parole per scrivermi, sono sincero: non credo che noi due ci siamo mai incontrati e la perdita del tuo papà ritenevo che fosse prima di tutto un evento da vivere tra voi familiari e poi mi dicevo “forse un giorno avremo modi di vederci”… invece mi hai scritto tu per primo. Grazie!
In questi giorni ripensavo a trovare le parole per scriverti, a un segno con il quale vorrei assicurarti che non potrò dimenticare mai una persona come Alain, così come vorrei anch’io che a livello accademico rimanesse sempre traccia di tutto quel gran lavoro che è stato fatto da tuo padre… Invece vorrei raccontarti alcuni piccoli particolari che mi tornano in mente quando penso ad Alain come uomo, oltre che come professore, ai pranzi consumati insieme in un bar davanti alla Facoltà di Cesena mentre si discuteva e lui aveva sempre un mare di idee, mi chiedevo spesso chi era intorno a lui come facesse a seguirlo in tutto, o come non ricordare il suo accento, era inconfondibile al telefono come in una sala conferenze!
Sono rimasto molto colpito dalla lettera che hai scritto in occasione di una giornata alla Facoltà di Scienze della Formazione, l’8 aprile a cui non hai potuto partecipare, in cui ti rivolgevi a tutti gli studenti che avrebbero dovuto sostenere l’esame di Alain.
Ti ringrazio ancora e ti auguro Buona Vita, a presto.
Claudio

Carissimo Claudio,
il Babbo ha sempre parlato molto di te, io ti conosco grazie ai suoi racconti. Gli si illuminavano sempre gli occhi!
Vorrei poterlo avere ancora qui, è andato via troppo presto, io ho ancora bisogno di lui!
Ma nella fede cerco di vivere questa attesa di rivederlo, consapevole di non poter cogliere ora il mistero della morte.
Ti abbraccio tanto fraternamente e spero che un giorno ci possiamo incontrare dal vivo perché vorrei abbracciarti.
A presto
Enrico

Scorrendo ancora una volta le riflessioni di Enrico penso a come la radice della parola cultura sia tutt’uno con quella del verbo latino còlere, “coltivare”. Alain è stato un grande coltivatore, di intelligenze ma soprattutto di punti di vista. Lui, che il Cristianesimo l’ha messo in pratica pur conservando la sua laicità, ha lasciato che l’espressione dei suoi figli potesse dirsi libera. Un esempio di inclusione agita e non solo teorizzata, preziosa e indimenticabile per tutti noi.
Beh, che dire Enrico, spero veramente di conoscerti personalmente il prima possibile.

 



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