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La contraddizione del particolare

A cura di Valeria Alpi

Allora, tesoro, ti è piaciuta la storia?
Non era male.
La stavo tenendo da parte, questa storia. Ho aspettato che fossi grande.
Vuol dire che sono grande?
Be’, a otto anni non si è proprio grandi grandi. Solo… più grandi di sei, ecco. Perché non ti è piaciuta?Non lo sopporto quando mi fai questa domanda. Ho detto che non era male.
D’accordo.
Mettiamola in maniera un po’ diversa. Che cosa non ti è piaciuto della storia?
Posso andare?
Un minuto solo. Prima rispondi alla domanda, per favore?
A Trevor questa storia non l’hai letta. Trevor è fuori a giocare a pallone.
Volevo leggerla soltanto a te. Cosa non ti è piaciuto?
E va bene. Perché il soldatino aveva una gamba sola?
Perché al giocattolaio era finito il piombo.
Mi sembra stupido. E lo stesso il soldatino che si innamora della ballerina perché pensa che abbia una gamba sola pure lei.
Ne vedeva una sola, l’altra era sollevata.
Ma come faceva a non saperlo? Non l’aveva mai vista una ballerina?
Magari no. O magari era il desiderio che fosse così. Se tu avessi una gamba sola, non vorresti conoscere altre persone come te?
Non ha senso. Che cosa?
Il soldatino cade dalla finestra, due ragazzacci lo mettono in una barchetta fatta con la carta di giornale e la barchetta viene trascinata via dal rigagnolo.
A me sembra che il senso ce l’abbia.
Poi però viene inghiottito da un pesce, il pesce viene comprato dalla cuoca della stessa famiglia di prima e quando lo apre ci trova dentro il soldatino.
Perché non ti è piaciuto questo?
Eh, forse perché è una stupidaggine? Parla del destino. Lo sai che significa “destino”?
Sì.
Era impossibile che il soldatino di stagno e la ballerina restassero lontani l’uno dall’altra. Questo è il destino.
Lo so che significa. È una stupidaggine lo stesso.
Forse potremmo pensare a un’altra parola…
Poi il bambino che butta il soldatino nella stufa. Senza motivo. Dopo che il soldatino è tornato, nella pancia del pesce. Il bambino lo butta tra le fiamme.
Un troll aveva lanciato un incantesimo su di lui.
I troll non esistono.
Giusto. Va bene, diciamo che non gli piaceva che il soldatino fosse particolare.
Tu dici sempre “particolare” quando qualcuno non è normale.
“Non è normale” non mi fa impazzire come espressione.
E ancora. Sai che cos’è veramente stupido? Che anche la ballerina voli dentro la stufa.
Possiamo parlare di quello che significa davvero “destino”?
La ballerina aveva tutte e due le gambe. La ballerina se ne stava tranquilla su una mensola. La ballerina non era “particolare”.
Ma amava qualcuno che lo era.
E che sarà mai, essere particolare? Da come parli sembra una specie di premio.
(Michael Cunningham, Un cigno selvatico, La nave di Teseo, Milano, 2016)

Finalmente è successo… Finalmente ne Il magico Alvermann, la rubrica che ha accompagnato la storia della rivista per oltre trent’anni, posso inserire il mio scrittore preferito. E non perché ho deciso di inserirlo ad ogni costo, ma semplicemente è successo. Quello che sta dietro alla logica dei magici Alvermann, infatti, è che si è lì tranquilli a leggere sul divano, o in treno, o su un autobus, o in un prato, un libro di qualunque natura e genere e… zac! All’improvviso arriva una folgorazione, all’improvviso si legge una frase o più frasi, o una poesia, e istantaneamente si pensa all’idea di disabilità e/o diversità.
Il brano proposto questa volta fa parte del nuovo libro di Michael Cunningham, Un cigno selvatico, dove lo scrittore Premio Pulitzer rielabora dieci favole della tradizione, aggiungendo toni dark, ma soprattutto adattando i protagonisti alle esperienze della contemporaneità. Trasformando così i personaggi di terre molto molto lontane – le figure mitiche della nostra infanzia che tanto ci hanno incantato – in protagonisti che rivelano molto del nostro presente.
In questa storia, in particolare, due giovani si conoscono a una festa universitaria, lei ha bevuto troppo e deve dimenticare un amore finito male e decide di passare una notte con lui che è molto bello e appare molto spavaldo. Segue una bellissima scena dove viene svelata la disabilità di lui, la sua protesi per una gamba monca, ma soprattutto segue la naturalezza di questa accettazione del momento imbarazzante da parte di entrambi. Subito la mente va a quel soldatino di stagno con una gamba sola che faceva parte delle nostre storie dell’infanzia. E infatti, a un certo punto della storia, quel soldatino viene proprio fuori, nella favola raccontata alla figlia Beth. Eh sì, perché i due, dopo il college, si sposano e hanno dei figli. “A volte – scrive Cunningham – il tessuto che ci separa si strappa quel tanto che basta a far passare la luce dell’amore. A volte lo strappo è sorprendentemente piccolo.
Lei sposa non solo un uomo, ma una contraddizione; si innamora dello iato tra il suo fisico e la sua sofferenza. Lui sposa la prima ragazza che non ha trattato la sua menomazione come se fosse un nonnulla; la prima che non ha bisogno di eludere il suo dolore e la sua rabbia o, peggio, cercare di lenirli con le parole”.
Come tutte le storie della contemporaneità, e non delle favole, i due vivono momenti felici e altri molto tristi, scoprono cose dell’uno e dell’altro fastidiose e insopportabili, si amano un po’ di meno per via di comunissimi particolari che appartengono a tutte le coppie e che non hanno nulla a che fare con la disabilità.
Hanno due figli, Trevor e Beth, che sentono le difficoltà dei genitori a continuare a stare insieme ma avvertono anche i momenti in cui i due protagonisti sanno ritrovarsi e ripartire come coppia, fino alla vecchiaia. Circondati da una domestica semplicità e da tanti piccoli lieto fine quotidiani. Ma è la figlia Beth che mi trasporta immediatamente dentro la cultura della disabilità, con quella sua frase quando la mamma le ha letto la favola del soldatino di stagno: “E che sarà mai, essere particolare?”.
Si pensa spesso che i bambini vedono la realtà a modo loro, ma tante volte vedono semplicemente la realtà, senza fronzoli, senza condizionamenti, senza gli orpelli di giudizi e pregiudizi. Vedono semplicemente che una cosa è: e non è strana, orribile, bizzarra, paurosa, difficile da accettare, ma è normale. Talmente normale che non è necessario porvi sempre l’accento sopra né lodarsi per avere fatto qualcosa di particolare, o potremmo dire speciale. Il padre non è particolare o speciale per via della sua gamba che non c’è, è un papà come tutti e un marito come tutti, con i pregi e difetti, con le cose che sa portare avanti bene e con quelle in cui fallisce. La gamba non lo rende così superiore o inferiore agli altri, ma neppure così diverso nella sua natura di uomo, padre, sposo. Né la madre è così superiore o inferiore alle altre donne per avere sposato un uomo danneggiato.
Attenzione, non si sta negando il limite, che nella disabilità c’è e di cui bisogna avere cura. Ma occorre anche vedere le persone con disabilità come tutti, senza quella caratteristica di specialità che le fa sempre essere un po’ distanti dagli altri. La distanza non aiuta.



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