Lettere al direttore
- Autore: Claudio Imprudente
- Anno e numero: 2017/9 (monografia sul teatro)
Risponde Claudio Imprudente claudio@accaparlante.it
Caro Claudio,
sono Elena Colombo, figlia di Antonia e Paolo. Frequento il terzo anno di Design del Prodotto Industriale e quest’anno affronteremo come tema generale di tesi il cibo e la sostenibilità. Dobbiamo quindi progettare un device, un servizio o un prodotto riguardante questo tema tramite ricerca, contatto con le persone, prototipazione e progettazione.
Partendo da questo vasto argomento io ho deciso di dedicarmi al cibo in relazione alle disabilità.
All’inizio avevo pensato di fare un progetto per le nuove realtà di ristorazione che vedono come protagonisti le persone disabili mentali e Down ma parlando con i professori non convinceva molto l’idea. In seguito a ciò mi è stato consigliato di vedere la disabilità nei suoi punti di forza, giocando attraverso cibo e sensi, per esempio pensare a quei sensi che sono più sviluppati in persone che hanno problemi di vista o di sordità (cene al buio, ecc.), oppure allargando il campo della disabilità a problemi di lingua come il turismo nelle grandi città che provoca problemi di comunicazione o ancora dedicarsi a uno specifico problema di disabilità che ha delle problematiche legate al cibo.
Mi farebbe quindi piacere sapere cosa ne pensi, sapere la tua relazione con la nutrizione e conoscere il tuo punto di vista. In attesa di una tua risposta ti ringrazio per la disponibilità.
Cari saluti, Elena Colombo
Ciao Elena,
grazie per avermi scritto, il tema che porti è interessante e benché ogni giorno ci coinvolga direttamente non se ne parla infatti così spesso. Per cominciare ti butto lì una piccola immagine, così ci rifletti: un uomo di mezza età che viene imboccato da un altro uomo di mezz’età. L’atto di imboccare, si sa, è cosa comune quando si incontra una persona con disabilità grave, semplicemente perché costituisce una prima necessità. Imboccare tuttavia non è un’azione qualsiasi, è un fatto che comporta una relazione, una relazione molto stretta e a volte sbilanciata, non a caso di solito siamo abituati a pensare a chi imbocca come a una mamma che nutre il proprio bambino.
Guardandola da questo punto di vista è facile cadere nel medesimo cliché e istituire cioè una dipendenza diretta tra chi dà il cibo e chi lo riceve, da lì all’equazione disabile uguale bambino il passo è breve.
All’interno di questa riflessione credo tuttavia che trovi spazio anche un’altra parola: responsabilità. Guardandomi spesso in giro noto come ancora di questi tempi dar da mangiare a qualcuno che potrebbe rischiare di affogarsi con l’acqua o che fa fatica a deglutire, può essere visto come un pericolo e non come un’opportunità di crescita da parte di entrambi i protagonisti coinvolti. Trovare del personale disposto a prendersi questa responsabilità da un lato, e una persona con disabilità capace di esplicitare i propri bisogni dall’altro, può perciò alle volte risultare difficile.
Quando mi confronto a proposito della parola responsabilità, su ciò che questa comporta in termini di azione e relazione, mi rivolgo sempre sia ai disabili che a chi li affianca e cito a tal proposito un episodio. Una volta mi è capitato, mentre ero a casa durante un pomeriggio di relax, di chiedere a una mia amica la cortesia di mettermi davanti alla televisione. Prontamente la mia amica ha preso la mia carrozzina e l’ha posizionata davanti alla tv. Benissimo, dirai tu, la tua amica è stata gentile, e ti ha correttamente messo dove chiedevi. Peccato che io non avessi specificato che ipotizzavo di guardare la tv da accesa… Avete capito bene, mi sono ritrovato davanti a una tv spenta di fronte alla quale la mia amica immaginava volessi passare l’intero pomeriggio. Risate seguenti a parte, ti pongo cara Elena, questa domanda: la responsabilità in questo caso di chi era? Mia o sua? Lei avrebbe potuto capirlo, certo, ma non è infrequente che una persona voglia semplicemente prendersi un momento per riposare nell’angolo preferito di casa sua, quindi una simile opzione, anche da parte mia, non era del tutto improbabile.
Ecco allora che la responsabilità è chiaramente di entrambi, sua, per aver eseguito senza mettersi in dialogo con me, mia per non essere stato chiaro nella richiesta. Il passaggio tra azione e relazione, non mi stancherò mai di ripeterlo, è infatti il fondamento di ogni rapporto, educativo e non solo.
Vale ovviamente anche per il cibo, a volte si ha un bel dire a spingere la persona con disabilità verso l’autonomia quando ci si ritrova a dipendere completamente da altri, si innescano facilmente dinamiche di potere, seppur inconsapevoli che mettono chi riceve il cibo sempre in una dimensione di “richiedente”, alle volte pesante o fastidiosa. Ciò non toglie che non è possibile entrare nella testa di tutti e che tutto passa attraverso la conoscenza. Far conoscere, esplicitare e così affermare la propria personalità e identità è compito di chi necessita di una mano, allo stesso modo agevolare questa dinamica lo è da parte di chi si mette in gioco alla pari dell’altro.
Non dimentichiamo poi che il cibo è piacere, mangiare bene fa parte del benessere, qualcuno sostiene addirittura della felicità. Meglio, sostengo io, farlo divertendosi, in compagnia, nei luoghi che preferiamo e mangiare sempre quello che ci piace!
Detto ciò, buon appetito! Un caro saluto e buona vita
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