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Io sono Mateusz

di Andrea Mezzetti

Chi lo avrebbe mai detto che sarei finito su una rivista a parlare di cinema? Certo, il cinema è una delle mie passioni, lo frequento spesso e mi piace molto farmi stimolare da ciò che vedo. Pur essendo abbastanza riservato, ho accettato volentieri di condividere con voi i miei pensieri su alcuni film che reputo di particolare interesse.
Io sono Mateusz è il lungometraggio di cui vi parlo in questo numero. Dico subito che si tratta di un film particolarmente intenso. Mateusz è una persona gravemente disabile, considerata inizialmente incapace di relazionarsi, avrà la possibilità solo una volta adulto di uscire dal suo guscio di incomunicabilità.
La vicenda vede il protagonista ingabbiato dai canoni sociali e medici predominanti, che lo vorrebbero non in grado di intendere e comunicare al mondo esterno, quindi prigioniero del suo stesso corpo. La relazione che si instaura con lui è di tipo puramente assistenziale, ma an- che in questa funzione il tipo di assistenza prestata non è del tutto adeguata, perché troppo “meccanicistica”.
La valvola che permette di andare oltre e più in profondità, scardinando ogni fredda e apparente analisi conclusiva, è rappresentata dall’empatia mostrata dapprima dall’amore materno, poi da una volontaria della struttura in cui era accolto. Tutto ciò non bastava perché c’era ancora da scontrarsi con le convenzioni di una società, nello specifico quella polacca dei primi anni 2000, che contrastava ogni novità di approccio.
La caparbietà discreta del protagonista, perdonatemi questo ossimoro, permetterà di attirare l’attenzione di altri assistenti della struttura quali la logopedista, la psicologa, fino a una giornalista tutta intenta a voler raccontare in un suo libro la storia di Mateusz permettendo quindi di aprire più canali di dialogo con il mondo che lo circondava, sia nella struttura che al di fuori di essa.
Ho parlato prima di empatia perché credo che sia quello lo strumento che permette a tutti di mettersi in relazione in modo paritario: tra disabili e non, tra un presidente e il suo subalterno, tra un sindaco e un operatore ecologico, solo per fare alcuni esempi, superando e arricchendo di contenuti conoscitivi in grado di svelare altri punti di vista, prospettive e aspetti prima sconosciuti anche ai più esperti della materia. È quello che accade appunto tra la volontaria e Mateusz quando questa comprende come dialogare alla pari, intuendo di dover imboccarlo in modo più adeguato fino a diventare la sua ragazza (anche se per un periodo relativamente breve).
Ancora più evidente è l’empatia che sorge tra Mateusz e la logopedista, la quale scopre la capacità dell’assistito di riconoscere le immagini e abbinarle a determinate parole, articolando frasi in grado di aprire alla comunicazione e, di conseguenza, al dialogo con le altre persone.
Questa esperienza riesce a svelare ai più esperti della struttura quanto le capacità intellettive dell’essere umano siano misteriose e in grado di spiazzare ogni conoscenza raggiunta.
Tale scoperta darà la possibilità a Mateusz di poter accedere a una struttura più adeguata alle reali capacità intellettive che finalmente si erano riscontrate.
Nonostante questo, però, ogni decisione veniva comunque demandata, per ordine di forza superiore, ad altri. Molto spesso, come nel caso del protagonista del film anche nella vita reale, è il disabile che dovrebbe sentire su di sé ogni responsabilità di decisione, scegliendo la strada più adatta da perseguire, cambiare o, più ancora, desiderare e raggiungere. Una società in crescita verso vette più civili e, per questo, più includenti, dovrebbe permettere tutto questo prestando tutti gli strumenti adatti a realizzare, in concreto, ogni aspirazione.
Il film è a tratti pesante, in particolare per alcune scene molto forti e soprattutto per come mette in luce la condizione del ragazzo. Ma questo è anche il suo pregio, non nasconde nulla, offre agli spettatori tutta la durezza di una vita piena di difficoltà, permettendo quindi di conoscere un po’ di più ciò che prova chi vive una condizione di disabilità grave.
Una condizione così forte, quella del protagonista, che mi ha portato a commuovermi e ad arrivare con fatica alla fine del film. Anche io sto in carrozzina, per cui certi aspetti li ho sentiti molto vicini. Tra questi quello che più mi ha colpito è l’atteggiamento dei genitori: da una parte mi sono sembrati comprensivi e attenti alle esigenze del figlio mentre dall’altra a volte scocciati, soprattutto l’atteggiamento della madre, quasi scontrosa nei confronti del figlio. Ma anche in questo caso ho apprezzato la sincerità del racconto che rende il film una rappresentazione fedele della realtà che molte persone vivono ogni giorno.



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