Quando mi fu chiesto, tempo fa, di raccontare la mia esperienza di insegnante di
una classe prima in cui è inserito un bambino portatore di handicap, rimasi
alquanto perplessa, poiché ritenevo di non poter dire assolutamente niente che
non fosse già noto. Ora, ad anno scolastico quasi ultimato, mi sono convinta
che forse vale la pena raccontare la mia esperienza proprio perché è
assolutamente comune e, a differenza delle esperienze che vengono illustrate
negli ormai numerosi libri pubblicati sull’argomento, non ha goduto
dell’appoggio di istituzioni prestigiose, quali per esempio l’università,
appoggio che di per sé rende tali esperienze sicuramente privilegiate.
Insegno da 6 anni nella scuola elementare di Calderara di Reno. L’anno scorso,terminando una classe quinta, sapevo che avrei ricominciato un nuovo ciclo atempo pieno. Le classi prime in formazione erano tre: due a tempo pieno e una atempo normale. Nelle classi a tempo pieno sarebbero stati inseriti due bambiniportatori di handicap. Il fatto che i bambini fossero due e che, ovviamente,sarebbero stati inseriti uno per classe, ha fatto sì che non si ponesse ilproblema a quale coppia di insegnanti affidare la classe con l’inserimento.
L’unico problema che ci trovavamo dì fronte era decidere, nel miglior modopossibile, quale dei due bambini assegnare alle rispettive insegnanti, tenuteconto che le difficoltà dei due bambini erano completamente diverse: in uncaso, un handicap sensoriale ben definito (una grave lesione uditiva),nell’altro, un grave ritardo, non meglio definito, nelle sviluppo dellinguaggio. La decisione fu presa con grande serenità prima della finedell’anno scolastico, dopo un periodo di osservazione dei bambini alla scuolamaterna, dopo incontri con le insegnanti della scuola materna stessa e con glioperatori dell’USL.
L’elemento che, alle fine, determinò la scelta delle insegnanti, fu la maggioregaranzia di continuità didattica che una delle coppie di queste, per lamaggiore anzianità di servizio, offriva nel caso si fossero verificate infuturo nel plesso possibili contrazioni di organico. Fu ritenuto che fosse labambina con il ritardo dello sviluppo del linguaggio ad avere assolutamentebisogno di persone fisse di riferimento. La formazione dei gruppi classe fudemandata alle insegnanti della scuola materna poiché ritenemmo di non avere,nonostante il periodo di osservazione, elementi sufficienti per entrare nelmerito del problema. Tengo a precisare che la presenza delle insegnantielementari alla scuola materna per una prima conoscenza con i bambini chesarebbero passati l’anno successivo alla scuola elementare era stata programmatafin da novembre, per garantire ai bambini stessi un passaggio il più tranquillopossibile e che questa esperienza era stata giudicata essenziale al di là dellapresenza dei bambini con particolari difficoltà. Ricordo ancora con amarezzaquando, alla luce della nostra positiva esperienza, proponemmo al Collegiodocenti di stabilire un monte ore annuale fisso per il rapporto scuolaelementare-scuola materna, che permettesse alle insegnanti di 5a di effettuarela conoscenza dei loro futuri alunni senza dovere ricorrere, come era stato pernoi, al puro volontariato. La proposta non venne accettata e ci fu solo un vagopronunciamento a favore di un auspicabile rapporto di collaborazione fra questidue ordini di scuola.
All’inizio del mese di giugno del 1988, quindi, sapevo già i nomi dei 15 alunniche avrebbero formato la mia nuova classe; fra questi ci sarebbe stato ilbambino audioleso.
UN’ESTATE PER IMPARARE
Il fatto che, nonostante io insegni in una classe a tempo pieno, parli in primapersona, è perché ho accettato l’invito a scrivere per Accaparlante non tantoper
raccontare l’esperienza didattica che abbiamo elaborato e realizzato in questmesi con la collega di classe e con l’insegnante di sostegno a favore delbambino audioleso, ma perché vorre ripercorrere il mio vissuto personale dfronte a questa esperienza cosi coinvol gente dal punto di vista professionale eumano.
Sapere con qualche mese di anticipo la tipologia dell’handicap con il quale msarei dovuta rapportare all’inizio del sue cessivo anno scolastico e avere i mesestivi a disposizione per cercare di col mare il più possibile la mia assolutaignoranza sulle tecniche di insegnamen to per audiolesi, mi tranquilizzava moltissimo.
In realtà, nelle librerie o nelle bibliote che mi fu impossibile reperire ilibri con sigliatimi dalla logopedista deU’USL anche i numerosi ordini inviatialle stes se case editrici rimasero senza risulta to, trattandosi di volumipubblicai qualche anno fa.
Se non fosse stato perché conoscevo personalmente una ragazza che ha ur figliosordo profondo, la quale mi riforn di numeroso materiale (soprattutto rivi ste eperiodici), nella valigia delle vacan ze non sarei riuscita ad infilare neancheuna pagina che trattasse in modo spe cifico l’argomento.
Tutto ciò che lessi, comunque, riguardava esclusivamente casi di bambinsordo-profondi, mentre M., con le protesi, ha un discreto recupero, come deresto avevo potuto constatare durante l’osservazione alla scuola materna. Anchequesta considerazione mi tran-quillizzava molto.
Un altro elemento che mi aveva favorevolmente impressionato e che mi faceva bensperare per il futuro era stata la facilità dei rapporti con l’USL: incontrarsinon era stato un problema e l’interesse per un positivo inserimento dei 2bambini nel nuovo ordine scolastico mi era sembrato reale.
Devo ammettere che a quel tempo pen sai addirittura che, evidentemente, gìannosi problemi di rapporti scuola-USl che periodicamente venivano denunciai neivari organi collegiali dalle collegi
che avevano classi con inseriti bambini portatori di handicap, fossero creati dascarsa disponibilità personale a ricercare soluzioni adeguate. Nei giorni discuola che precedettero l’anno scolastico, tutti i nostri sforzi furonoconcentrati sulla scelta del metodo per l’apprendimento della lettura e dellascrittura; tale metodo avrebbe dovuto permettere di sfruttare al massimo leconoscenze che M., grazie al precoce intervento logopedico, già possedeva. Fuprescelto il metodo fonematico; tale scelta si sarebbe rivelata, nei mesisuccessivi, estremamente proficua. Al ritorno a scuola ci aspettava unaspiacevole sorpresa: anche nell’organico di fatto erano state assegnate alplesso solo 2 insegnanti di sostegno; ciò voleva dire che a M. sarebberospettate SOLO 6 ORE DI SOSTEGNO SETTIMANALI SU 40 (più 2 ore pomeridiane asettimane alterne).
Inoltre, il nuovo modulo di orario di servizio di 22 ore di insegnamento più 2di programmazione, riduceva, rispetto agli anni precedenti, le ore settimanalidi compresenza delle insegnanti di classe a 4 ore invece che a 8. Il fatto poiche l’insegnante di sostegno, nelle 2 ore di programmazione settimanali, dovesseletteralmente dividersi fra 3 classi diverse, ci sembrò fin dall’inizio unasituazione demenziale. In quei giorni scoprimmo che anche le richieste dimodifiche di alcuni spazi diversi dall’aula che avevamo richiesto primadell’estate al Comune per rendere tali spazi più idonei ad un lavoro perpiccoli gruppi non erano state esaudite, così come non sarebbe stato fornito ilmateriale che avevamo richiesto, ovviamente per mancanza di fondi. Ricordo chetutti questi fattori negativi ci allarmarono, ma ricordo anche che su tuttoprevaleva, molto ingenuamente, la fiducia nelle nostre capacità e nella nostrabuona volontà.
DAI PRIMI GIORNI DI SCUOLA IN POI
Fino dal primo giorno di scuola M., che sapevamo essere molto diffidente verso tutte le persone e le situazioni nuove,parlò con noi per chiedere che cosa avremmo fatto poi, per avere conferma delleregole della nuova comunità scolastica; non lo imbarazzava particolar-. menteil fatto che, all’inizio, gli chiedessimo di ripetere ciò che aveva dettoperché non avevamo capito. Non cercò mai, fin dal primo momento, di sostituireil linguaggio verbale con quello mimico-gestuale, tentativi che invece facevaspesso alla scuola materna. Alla fine della prima giornata ci rendemmo conto,con stupore, che i bambini che non avevano frequentato la sua stessa scuolamaterna e quindi non lo conoscevano, non avevano assolutamente notato le protesiacustiche di M. L’inserimento di M. nel gruppo classe non è stato difficoltoso:i compagni hanno accettato senza problemi che a M. fossero concessi alcuniprivilegi: stare sempre vicino alla maestra durante la lettura ad alta vocedell’insegnante, oppure in palestra durante la spiegazione dei giochi, staresempre vicino al registratore nelle attività ritmiche o musicali, essere semprein prima fila durante le uscite guidate, avere l’attenzione dell’adulto in modoprivilegiato in tutte le occasioni.
Se questa situazione non suscita proteste da parte dei bambini, è inutilenegare che io l’ho spesso vissuta in modo frustrante. Nelle così disagiatecondizioni di lavoro in cui ci troviamo ad operare, non solo M., ma anche glialtri bambini che hanno difficoltà di apprendimento non riescono ad averequelle attenzioni, quei rinforzi e quegli interventi individualizzati di cuiavrebbero bisogno. Questo problema fu apertamente affrontato in una delle primeassemblee con i genitori; fu chiarito che nel fine settimana avremmo assegnato icompiti per consolidare gli apprendimenti avvenuti durante la settimana e chechiedevamo esplicitamente anche la loro collaborazione nel verificare iprogressi avvenuti e soprattutto nell’aiutare i propri figli a superare leeventuali difficoltà. Questo discorso, con nostro grande sollievo, fuinterpretato nel modo corretto e fu accettato come giusto il principio che neltempo scuola si cercasse di dare di più a chi aveva più bisogno. Non ho ancoraparlato con i genitori di M. Nel corso dell’anno scolastico si sono evolutipositivamente, ma non sono sicura che, da parte toro, siano improntati ancora adun’assoluta sincerità.
All’inizio la loro più grande preoccupazione era l’inserimento di M. nei gruppoclasse; nonostante fosse stato chiarito dettagliatamente come intendevamoprocedere, temevano che il bambino, rispetto ad alcune attività, potesseritrovarsi emarginato, avevano paura che l’insegnante di sostegno avrebbeoperato con M. esclusivamente fuori dall’aula, pensavano che a M. non sarebbestato concesso di fare tutte le esperienze che facevano i compagni. Tutti questitimori, però, furono esplicitati molti mesi dopo l’inizio della scuola. Aquesta prima fase di profondo scetticismo ne subentrò un’altra di eccessivafiducia nelle possibilità dell’istituzione scuola di colmare completamente ildeficit di M. e ci fu un lungo periodo in cui i genitori, nonostante gli accordiprecisi sul comportamento da tenere con M. riguardo all’impegno scolastico e suche cosa pretendere da lui, non si impegnarono a fondo per consolidare edampliare, a casa, gli apprendimenti avvenuti a scuola.
Ho accennato al problema di pretendere da M. ciò che poteva dare; c’è stato inlungo periodo, infatti, in cui la motivazione di M. verso l’apprendimento eramolto scarsa, nonostante le sue capacita’ intellettive gli permettessero, seadeguatamente sostenute, di procedere negli apprendimenti quasi allo stessoritmo del gruppo classe. La nostra condotta era decisissima: qualora si rifiutavadi portare a termine il lavoro assegnato egli incorreva in sanzioni ben preciseche gli venivano precedentemente illustrate: niente ricreazione, niente gioco,qualche volta niente merenda, l’esclusione dal gruppo classe nei casi diostinazione più gravi.
Da questi veri e propri bracci di ferro ogni volta uscivamo emotivamente esaustema sempre "vincenti": M. eseguiva il lavoro. Sono sicura che icompagni accettano senza difficoltà tutte le attenzioni che dedichiamo a M. eche, indirettamente, neghiamo loro, perché hanno sempre constatato che anche dalui abbiamo sempre preteso con fermezza, in ogni occasione, che desse tutto ciòche era in grado di dare. I genitori, evidentemente, di fronte all’ostinazionedi M. non se la sentivano di arrivare a tali duri confronti, così coinvolgentidal punto di vista emotivo, e il bambino, che è molto furbo, se ne è a lungoapprofittato.
Ora che M., dopo essersi impadronito del prezioso strumento della lettura,sembra avere scoperto definitivamente il gusto di imparare cose nuove e non sitira più indietro di fronte agli impegni, da parte dei genitori si nota unmaggiore coinvolgimento.
C’è stato comunque un periodo dell’anno in cui lo scoraggiamento è statototale.
E’ stato a gennaio, quando l’insegnante di sostegno, in seguito ad un incidenterimase assente più di due mesi; mai come in quelle settimane, in un momentocruciale dell’apprendimento della lettura, della scrittura, dei primi concettimatematici, in cui avevamo programmato un intenso lavoro individualizzato dasvolgere in piccolissimi gruppi, ho avuto l’impressione di perdere tempoprezioso, di non essere in grado di aiutare M., il senso di frustrazione eraenorme.
M. rifiutava completamente l’insegnamento supplente; si tentò di utilizzarel’insegnamento di sostegno supplente sul gruppo classe di poter lavorare con M.,ma anche questa soluzione si rivelò inadeguata perché l’insegnante inquestione non era in grado di gestire la normale attività didattica.
Mi costa fatica dire queste cose così personali; se cito questo episodio, chedel resto si protrasse per un lasso di tempo che ci sembrò infinito, è persollevare il problema dell’adeguata preparazione degli insegnanti di sostegno.Spesso, per supplenze brevi, l’insegnante di sostegno non viene sostituitaperché la graduatoria speciale è esaurita; quali garanzie vengono poi date,però, dagli appartenenti a queste graduatorie speciali? L’esperienza vissutapersonalmente mi lascia molto perplessa su questo problema.
UN PO’ ABBANDONATE DALL’USL
Nel frattempo erano cadute anche le speranze suifacili rapporti con l’USL. Uno dei primi problemi sorti, non ancora risolti atutt’oggi, è stato l’orario degli incontri. Come insegnanti abbiamo sempreposto la pregiudiziale che questi avvenissero in un’ora che rendesse possibilela partecipazione di tutte e tre le insegnanti che operano sulla classe, cioèdopo le 17; le nostre esigenze non sono però compatibili, sembra, con l’orariodi servizio dei dipendenti USI! Il risultato è che di incontri ne abbiamo avutipochissimi; durante questi incontri siamo state molto ascoltate, abbiamoraccontato per filo e per segno che cosa avevamo fatto, stavamo facendo oavevamo intenzione di fare, ma non è mai avvenuto il contrario; non ci è maistato detto quali obiettivi, realisticamente, M. avrebbe potuto raggiungere allafine dell’anno scolastico, alla luce delle esperienze di altri bambini con ilsuo stesso tipo di handicap. Un altro problema che coinvolge l’USL e che nonsiamo mai riuscite a risolvere è l’orario degli interventi logopedici: M. perdue mattine la settimana entra alle 9.20 e un’altra mattina esce alle 11.15.Abbiamo notato che quando entra più tardi, oltre ad essere molto stanco, è adisagio perché deve inserirsi in una situazione di gruppo già avviata e quandodeve uscire prima lascia malvolentieri i compagni.
Questi orari mattutini, poi, rendono estremamente rigida l’organizzazionedell’attività didattica e molto difficoltosa l’organizzazione delle uscite(soprattutto quando bisogna prenotare il pulmino) o la partecipazione aspettacoli, proiezioni, ecc.
Ad anno scolastico ormai terminato, I orario non è stato modificato,nonostante le ripetute assicurazioni in merito. Un altro elemento che mi èmolto pesato è la solitudine in cui mi sono trovata a vivere questa esperienza.Nel nostro circolo esiste già da alcuni anni una Commissione handicap aperta atutti i docenti, ma vi partecipano di fatto solo gli insegnanti (nemmeno tutti)che hanno casi di inserimento (fra l’altro diversissimi fra loro), mentre ilproblema dell’integrazione ha perso, in questi anni, quella carica dirompenteche negli anni 70 era riuscita a scuotere addirittura la concezione stessa dellascuola.
Questa considerazione non vuole essere assolutamente un’accusa di insensibilitàrivolta ai miei colleghi: il problema è più complesso e ho già accennato alfatto che anch’io, prima di vivere in prima persona questa esperienza, non eroconsapevole di che cosa volesse dire cercare di garantire una reale integrazionedi un bambino con difficoltà particolari.
Nel corso dell’anno scolastico sono emersi molti problemi che mi sarebbepiaciuto approfondire dal punto di vista teorico e metodologico, ma ancora unavolta ho dovuto prendere atto della impossibilità di aggiornarsi in corsod’anno: fra ore di insegnamento vero e proprio, riunioni, preparazione ereperimento del materiale didattico, le giornate lavorative si dilatano, ma leore non bastano mai per fare quello che sarebbe necessario fare.
Ancora una volta, sarà durante le vacanze estive che si svolgerà il mioautoaggiornamento!
LA BUONA VOLONTÀ NON BASTA
In questi mesi, comunque, mi sono resa conto di unacosa: è molto più difficile, nel caso siano presenti nelle classi bambiniportatori di handicap, riuscire a porre un tampone allo sfascio al quale lascuola pubblica è lasciata; la buona volontà individuale può molto meno chenegli altri casi; diventano essenziali condizioni di lavoro favorevoli,disponibilità
li personale e di strumenti adeguati, sostegno di esperti. Ma queste cose non ;isono e non si possono inventare, vorrei concludere questa riflessione con unbilancio di questo primo anno: sono, oltre che molto stanca, molto disillusa: oraso che tutto è in salita, che più M. procederà nel corso di studi, piùdovrà essere aiutato con strumenti sempre più efficaci che noi dovremoinventarci. So anche che la sua presenza nella alasse ci costringerà sempre adessere attentissime nel programmare il cosa fare, il quando e il come farlo, ma soanche che mai come quest’anno la mia inventiva è stata sollecitata dalla presenta di M. a scoprire percorsiinconsueti, piiacevoli, stimolanti, particolarmente concreti, per avvicinarsialle cose da imparare.
E di questo, ovviamente, hanno usufruito positivamente tutti i bambini dellaclasse, non solo M.
So anche che è impossibile descrivere l’emozione che ho provato la settimanascorsa quando M., per la prima volta, ha detto ad alta voce di fronte aicompagni, cosa che non aveva mai voluto fare, nonostante leggere gli piacciamoltissimo. E i compagni, come se avessero sempre saputo che quel momentosarebbe arrivato, non hanno battuto ciglio. Non so, invece, se abbiamo fattotutto o proprio quello di cui M. avrebbe avuto bisogno; di risultati positivi cene sono stati tanti, ma non può non rimanere il dubbio: avremmo potuto otteneredi più?
Proprio in questi giorni dobbiamo mandare in Provveditorato i progetti per la richiesta di personale di sostegno per ilprossimo anno: 2 paginette striminziten cui compaiono solo crocette e in cui è impossibile descrivere come si èsvolta l’integrazione e come si intende procedere l’anno prossimo. Sembra chesapere come abbiamo latrato o come lavoreremo non interessi i nessuno e tantomeno se questo lavoro ha dato esito positivo e negativo. Questo, evidentemente,è ciò che si intende ai vertici del Ministero della Pubblica Istruzione per"libertà l’insegnamento".