QUESTA VOLTA PER LA RUBRICA "MONDO" ABBIAMO ESAGERATO: IL NOSTRO MONDO
È PER QUESTO NUMERO IL CA-MEROUN (AFRICA). GRAZIA MARINELLI HA UNITO L’UTILE AL
DILETTEVOLE E, ATTRAVERSO ALCUNE INTERVISTE, CI RACCONTA COME È VISTO E GESTITO
L’HANDICAP IN UNA CULTURA COSÌ LONTANA DA NOI.

Sono stata in Cameroun nel dicembre scorso.
Il Cameroun è un paese africano all’altezza dei Tropici, ora repubblica dopoessere stata colonia sia dell’Inghilterra che della Francia; è attualmente unodegli stati africani più sviluppati. Lo scopo del mio viaggio era quello diandare a trovare Sandra, una mia amica che lavora là da un anno e mezzo comevolontaria per l’organizzazione di volontariato Cooperazione Internazionale inqualità di terapista della riabilitazione.
Durante questo mese ho cercato di raccogliere più informazioni possibili sucome in questa cultura viene affrontata la tematica dell’handicap nei suoi variaspetti.
La situazione era per me abbastanza facilitata dal fatto che essendo anche iouna terapista, ho potuto lavorare insieme a Sandra per un paio di settimane neivillaggi intorno alla città di Sangmelima.
Mi è stato possibile venire a contatto con persone camerunesi e non che sioccupano di handicap ma, sia mentre ero all’interno della situazione che ora adistanza di un mese dal mio ritorno, mi rendo conto che è impossibile avere lapretesa di capire anche solamente qualcosa di una cultura tanto diversa dallamia.
Per questo non vi parlerò delle mie impressioni personali, confuse edisorganizzate, ma riporterò 3 delle interviste che ho fatto a persone chelavorano nel settore, dando così ad ognuno di voi l’opportunità di fare le proprie considerazioni.

INTERVISTA A NOUHOU SALI Agente sanitario di MOKOLO (Cameroun)
D:
Qual’è il tuo lavoro?
R: Agente di cure sanitarie primarie. Lavoro per un’organizzazione Canadese,sono in pratica un animatore che si occupa di aiutare gli abitanti dei villaggia far emergere i problemi reali ed individuare le possibili soluzioni ad essi,questo sia in campo sanitario che ambientale ed edilizio.
D: Hai contatti diretti con il settore dell’handicap nello svolgimento del tuolavoro?
R: No, non ho contatti diretti ma mi capita di vedere delle personehandicappate.
D: Quando si parla di handicap cosa si intende?
R: Handicappata è una persona che non è normale, non è formata, non si muoveoppure non vede etc.
D: Chi si occupa della persona handicappata? (famiglia, istituzioni o villaggio)
R: Di solito se ne occupa la famiglia; ogni tanto il ministero degli affarisociali manda delle carrozzine ma senza un criterio ben preciso.
D: Questi bambini frequentano la scuola pubblica?
R: Pochi frequentano la scuola e comunque solamente i portatori di handicapfisico e non psichico.
D: A tuo avviso perché accade questo?
R: Generalmente il problema è di tipo economico oppure è l’ignoranza deigenitori che li porta a credere che il bambino è sbagliato ed è quindi inutileche frequenti la scuola.
D: Come trascorrono la giornata i bambini handicappati?
R: Stanno in casa con la madre oppure giocano con gli altri bambini.
D: Sono accettti bene dagli altri bambini?
R: Si, sempre.
D: Quali sono le possibilità di inserimento nel mondo del lavoro?
R: Dipende; quelli che sono andati a scuola riescono a trovare un lavoro e amantenersi, gli altri generalmente cercano di arrangiarsi, alcuni fanno i sartio i parrucchieri oppure il piccolo commercio; altri ancora fanno i mendicanti.
D: Che tipo di relazioni sociali si instaurano generalmente con gli altri?
R: Sono accettati molto bene, si sposano, hanno figli e conducono una normalevita familiare. Molti uomini cercano di sposare donne handicappate perché dannomolti bambini.
D: Dal punto di vista culturale e/o religioso, qual’è la spiegazione che vienedata dell’handicap?
R: Non ci sono cose che spiegano l’origine dell’handicap, è Dio che l’ha fatto.Qualcuno dice che se ad esempio ad uno manca un piede c’è un motivo per cui Diol’ha creato così, perché altrimenti con entrambi i piedi sarebbe statopericoloso per gli altri. La famiglia comunque non centra niente in questodisegno divino.

INTERVISTA A DANIELA PINELLI, insegnante italiana.
D:
Di che cosa ti occupi qui in Camerun?
R: Insegno matematica generale al C.E.T.I.C. di Sangmelima che è paragonabilead una scuola professionale in Italia; è statale e dura quattro anni, ildiploma è falegname, meccanico etc.
D: Nel tuo lavoro hai contatti diretti con l’handicap?
R: Ho alcuni ragazzi handicappati, ma molto ,eno rispetto alle altre scuole.
Tutti gli alunni saranno circa 550, la maggior parte vengono da fuori, daivillaggi e quindi si devono arrangiare ed essere autonomi. Di handicappati ce nesono una decina.
D: Che tipo di handicappati?
R: Uno solo è in carrozzina, probabilmente un poliomielitico, altri 3 sonozoppi.
D: Secondo te perché sono così pochi?
R: Quello che mi hanno detto i ragazzi è che una volta uscito da casa tua deviarrangiarti, se tu sei handicappato, la struttura non è adeguata e la gente titratta normalmente, non usa accorgimenti, non ti spinge la carrozzina. Nonesiste considerazione dell’handicap dal punto di vista educativo. Ad esempio glizoppi sono esonerati dal fare ginnastica, ma le punizioni corporali le prendonocome tutti gli altri.
D: Che tipo di rapporto c’è con gli altri ragazzi?
R: Vengono accettati molto bene dagli altri; a volte hanno un soprannome tipo"lo sciancato" ma non viene usato con senso di derisione e anche ilragazzo handicappato la prende bene. Ci sono ragazzi zoppi che giocano comunquea calcio o fanno gli arbitri; le ragazze hanno attività meno movimentate. Indefinitiva direi che non c’è proprio alcuna differenziazione.
D: Dal punto di vista delle relazioni sentimentali e sessuali?
R: Non c’è l’isolamento che esiste in Italia, hanno le loro storie come tutti;parlando con loro mi sembra che sia nel sociale che nel privato siano benintegrati e non emarginati (e in questo senso si danno molto da fare), vivonocon gli altri.
D: Esistono in Cameroun insegnanti d’appoggio o programmi differenziati perl’handicap? Ad esempio fino ad ora
abbiamo parlato di deficit motorio, ma rispetto all’handicap di tipo psichico? 
R: Per quel che so io non esistono né insegnanti d’appoggio, né programmidifferenziati. Esiste solo una scuola per ragazzi sordomuti.
Nella mia scuola non ci sono ragazzi con handicap psichico e secondo alcuni mieicolleghi camerunesi non ne troverai mai nelle scuole, tranne forse nei villaggi,perché secondo loro per l’handicap psichico non c’è nulla da fare, sono venutimale e non vale la pena fare nulla per loro.
D: Ritornando alla tua scuola, per quel che puoi sapere, essendo una scuolaprofessionale, le possibilità di inserimento lavorativo dei ragazzi conhandicap sono buone?
R: Per quel che ne so io, per gli zoppi ad esempio, che fanno lavoro di officinao altro direi che le possibilità sono le stesse degli altri, per quelli incarrozzina invece che dovrebbero fare un lavoro d’ufficio di tipo commerciale,il problema è maggiore. Infatti la logica fondamentale qui in Cameroun è cheuno deve essere in grado di arrangiarsi, quindi se non ci sono le strutture nonè possibile svolgere delle attività. Qui l’handicap non è considerato; èuguale agli altri solo se è in grado di arrangiarsi, se nò è tagliato fuori.D’altra parte l’handicappato chiede aiuto solamente se ha assolutamente bisogno.
D: C’è qualcosa che vuoi aggiungere?
R: Si. La mia impressione è che qui l’handicappato sia molto più combattivo,non sente la tendenza ad isolarsi, fa tutto ciò che è in grado di fare.

INTERVISTA A ALESSANDRA PA-SQUI, terapista, italiana
D:
Da quanto tempo lavori qui?
R: Da 14 mesi.
D: Di cosa ti occupi?
R: Sono terapista della riabilitazione ir un centro privato per bambinihandicappati di proprietà dei Padri ConceziO’ nisti italiani e poi lavoro anchesul teni torio.
D: Che tipo di intervento attui in quest due settori?
R: Nel centro lavoro durante il periodc scolare, perché i bambini abitano Imentre per le vacanze tornano a casa Per alcuni di questi bambini mi occupc dirieducazione, per altri il centro è ur punto di riferimento per poter andare èscuola oppure stanno lì perché a casa genitori non se ne occupano.
D: Con che tipo di handicap lavori?
R: Sono tutti bambini poliomelitici tranne uno che è paraplegico, sono unatrentina, tutti in età scolare da 6 e 17 anni.
D: E sul territorio?
R: Ho iniziato un lavoro di ricerca de casi di handicap, villaggio per villaggiovisitando i bambini e spiegando ai geni tori che è possibile fare degliesercizi i casa o servirsi di un apparecchio oppu re mandare il bambino alCentro. Que sto tipo di approccio ha però avute scarsi risultati per diversimotivi: innanz tutto i genitori non sono terapisti quind non sempre eseguono gliesercizi cor rettamente, poi chi si occupa dei barn bini sono le donne che giàhanno une vita lavorativa durissima (dalle 5 di mal lina alle 7 di sera); infineil tipo di approccio (una donna bianca che arriva i chiedere di vedere ibambini senza ur discorso precedente di sensibilizzazione) non eracomprensibile. Successivamente ho cambiato il tipo di impostazione di questolavoro. Mi sono appoggiata ad un infermiere che già ai 5-6 anni si occupadella sanità in 17 villaggi ed ha sensibilizzato la popolazione, individuandoun agente sanitario all’interno di ognuno di essi e cercando di far vedere lacura dell’handicappate come facente parte del discorso sanitàrio. In questomodo è stato possibile anche iniziare un discorso di accettazione, socializzazione e scolarizzazione del bambino handicappato in quanto sirimane nel suo ambiente (il villaggio). Da qui anche il Centro ha cambiato lasua impostazione visto che si tende ad attuare un’integrazione nel villaggio,riducendo al minimo l’internato, al di fuori della costruzione degli apparecchie della rieducazione vera e propria.
D: Uscendo un attimo dallo specifico del tuo lavoro, che tipo di handicap siincontra in questo paese: motorio, psichico o sensoriale?
R: Al Sud ci sono soprattutto poliomelitici ed altri handicap di tipo motorio.La vaccinazione antipolio non è obbligatoria (come nessun’altra) e infatti icasi di pollo sono di meno nelle zone vicino ai dispensari (sempre gestiti damissionari occidentali). Al nord invece ci sono molti non vedenti perbilarziosi o oncocercosi che sono patologie portate dalla puntura di insettiche vivono nei corsi d’acqua soprattutto stagnante. Di handicappati mentali neho visti pochi in quanto nella maggior parte dei casi vengono tenuti in casaanche perché non vi sono strutture in grado di occuparsene.
D: All’interno dell’ordinamento sociale chi è che si occupa della personaportatrice di handicap?
R: Chi se ne occupa è il villaggio, in particolare le donne anziane, poi cisono degli interventi sporadici del Ministero degli Affari Sociali (e non diquello della Sanità) che da qualche sovvenzione o manda qualche carrozzina. Poici sono dei Centri di Rieducazione sia Pubblici che privati sempre intesi comeinternati. Questo accade al sud; al nord invece vengono istituiti dei corsi peri genitori ai quali viene insegnato come rieducare i propri figli.
D: Chi prepara questi corsi?
R: Generalmente ordini religiosi, quindi strutture private.
D: Per quel che riguarda l’accettazione dell’handicap a livello sociale,familiare etc?
R: È accettato come si accetta una cosa venuta male, ma in questaaccettazioneè sottinteso il fatto che l’handicappato se la deve sbrigare da solo. Non sipensa ad esempio alle barriere architettoniche o ad aiutarlo in alcun modo, devefarcela da solo; ad esempio se ne è in grado va a scuola camminando sulleginocchia o a carponi, ma raramente qualcuno lo accompagna. Però il fatto cheuno si sposti a carponi o altro non preoccupa nessuno, è quasi una cosanormale.
D: Esiste qui un discorso di emarginazione?
R: Non è un discorso di emarginazione voluta, però un handicappato avrebbebisogno di attenzioni diverse, strutture, scuole etc e queste non ci sono quindiè emarginato in partenza.
D: E l’inserimento con gli altri?
R: Gli handicappati fanno con gli altri quello che riescono a fare, non vienerifiutato ma è lui che, a seconda delle sue possibilità, si inserisce o menoin mezzo agli altri; se ha un piede torto ad esempio gioca a pallone con glialtri. Non viene rifiutato se cerca di inserirsi, ma nessuno fa comunque nullaperché questo avvenga.
D: Che mi dici dell’inserimento di tipo lavorativo?
R: II discorso è lo stesso, dipende dalle possibilità. Non esistono strutture,lavori protetti o altro. Molti fanno lavori d’ufficio.
D: Esiste una normale vita sentimentale e sessuale per il portatore di handicap?
R: La vita sentimentale è come quella di tutti gli altri e direi anche quellasessuale. Vi sono comunque grosse differenze tra quelli che sono gli interessidei maschi e quelli delle femmine, sono divisi in due gruppi distinti sin daquando sono molto piccoli. Le attività di tipo sessuale sono difficili soltantose la disabilità è molto grave: qui infatti una enorme importanza è rivestitadalla procreazione e soprattutto per le donne handicappate è difficile che cisia sterilità, quindi il loro ruolo fondamentale viene mantenuto.

Categorie: