"Meglio che niente" è l’espressione che per prima mi è venuta allamente leggendo le interviste e i commenti all’inchiesta su handicap eprostituzione.
"Meglio che niente" sembra una frase dettata dalla superficialità,dal facile compromesso come filosofia di vita, e spesso infatti diventa uno"stile" nella quotidianità di una persona con handicap. Gli ambiti incui questo stile detta legge sono talmente frequenti che, ribaltando ilproblema, sarebbe interessante scovare situazioni di vita in cui la personahandicappata non sia, per definizione, quella che deve accontentarsi.
Tornando in particolare sul tema, che evidentemente mi porta a deviare…, sipuò scoprire che realtà come quella della prostituzione hanno inaspettatamentepunti d’incontro non troppo artificiosi col mondo dell’handicap, anche se, messain questi termini, è facile gridare allo scandalo.
Ma, in fondo, non penso che le grida saranno mai troppo alte, in fondo "amali estremi, estremi rimedi"; così si dice e così diventa una soluzionepossibile, pensare alla prostituzione come risposta alla domanda di un rapportoaffettivo o sessuale di chi è handicappato. Il tema facilmente potrebbeallargare il campo su altri aspetti della diversità e troveremmo che lesoluzioni non si discostano di tanto.
Fin qui nulla di nuovo: la domanda iniziale "Esiste uno specificodell’handicap nel fenomeno della prostituzione" forse avrebbe già trovatouna risposta adeguata, probabilmente già scontata in partenza. L’handicap, cometema troppo spesso sotterraneo e di pochi, non rappresenta in fondo che unadelle tante facce di un isolamento affettivo molto più diffuso e generale.Così anche per la prostituzione, che normalmente è un aspetto ritenutodistante e diverso e che poi si scopre molto più conosciuto e vicino.
E allora, dov’è il problema? Il dubbio che in definitiva non esista, o che iltutto faccia parte di una falso problema, come spesso viene definito il temadella sessualità quando rapportato all’handicap, è legittimo. E allora i contitornano… peccato che dietro le sigle "A", "B","C", e potremmo tranquillamente arrivare in fondo all’alfabeto, sinascondano persone che sulla propria pelle, e quindi anche sul proprio corpo,vivono i segni tangibili di questo isolamento. Il compromesso, il "meglioche niente", come unica opportunità è molto spesso la chiave comune almondo dell’handicap, a quello della prostituzione e alle persone che abitano inquesti mondi; compromesso per esistere, per sentire, per "sentirsiuomo" come sottolineano alcune interviste. E le donne con handicap? Cosahanno a che fare con una simile soluzione, dove sta per loro un compromesso?Nessuna nota di rivendicazione. Forse solo un altro punto interrogativo: chiscrive è "pur sempre" una donna. E così fare un commento conclusivoad un lavoro che ha avvicinato l’handicap alla prostituzione diventa facile edifficile allo stesso tempo: dipende, guarda caso, dai punti di vista, dai panniche ciascuno desidera rivestire. Allo stesso modo può esser facile e difficileascoltare il racconto di chi, a vario titolo, testimonia le proprie personaliconvinzioni aspettandosi quasi inevitabilmente un giudizio. Il viaggio puòanche concludersi qui e una strada possibile diventa quella di riconoscere ilrischio che facilmente si corre nel frammentare i significati, dimenticando lastoria che comunque costituisce lo sfondo di ciascuna persona
Rubrica
SPORT AGEVOLI/La relazione movimento-linguaggio nello sviluppo del bambino
di Arianna Casali, psicologa presso la cooperativa sociale “Progetto Crescere” di Reggio Emilia e Simona Tagliazucchi, responsabile area trattamento, abilitazione, rieducazione presso la stessa cooperativa. Quando si pensa alla mente, generalmente, ci si sofferma sulle Leggi tutto…