Handicap, religione e alienazione
- Autore: Andrea Pancaldi
- Anno e numero: 1987/1
La mistica della sofferenza credo trovi nell’handicap uno dei suoi terreni piùfavorevoli e questo porta in molti casi a una visione mistificante e alienantedell’esperienza religiosa. Le radici di questo, credo siano molto profonde evadano ben al di là del pietismo da beghina di parrocchia o del solito"offri la tua sofferenza al Signore".
Non ho mai organizzato questi argomenti e mi accorgo di come sarebbero preziosicerti strumenti culturali, ma mi piace correre dietro ai flash che mi vengono inmente, anche perché mi sembra di vedere un filo comune fra tante realtàodierne e la storia, recente e lontana. Streghe al rogo, Rupe Tarpea, i"pazzi" della Grecia classica, gli storpi davanti alle chiesedell’Assisi di San Francesco, le folle di Lourdes, molte interpretazioni dipassi del vangelo, forse anche Pinocchio, animano questi paesaggi dove il divinoe il diverso si incrociano ripetutamente nel male e nel bene.
L’alienazione, se la si può ricollegare agli esempi citati, va quindi cercata ecapita certamente anche nei saggi, ma anche nella storia di ognuno di noi, nellenostre buchette della posta, nelle interrogazioni alla "dottrina",nelle processioni che non guardavamo perché cala-mitati dalle bancarelle deigiocattoli, nelle, per me, mitiche "orfanelle" che non riuscivo mai avedere andando su per San Luca a Bologna con mio nonno. Mi sembra che uno deipossibili fili che legano questi esempi sia quello che queste persone eranoessenzialmente de1 "tramiti", delle occasioni di incontro ravvicinatocol divino. Bruciare la strega era bruciare il male nella sua incarnazionefisica, era bruciare il non-dio che è altrettanto necessario del dio perspiegare la presenza del divino; analogo discorso, anche se con caratteristichediverse, si
Gli storpi di Assisi erano necessari perché Dio potesse vedere la carità deiricchi, e se la carità la facevano davanti a casa sua certamente l’avrebbevista meglio. Anche gli zoppi e i ciechi del vangelo possono essere letti inchiave di tramite, se il miracolo è letto come dimostrazione di una potenzaesterna al miracolato.
E anche Pinocchio è il tramite per i bambini per capire che tra le pressionidel diavolo (il lupo e la volpe, mangiafuoco) e del divino (fatirta) è benescegliere le ultime. Per quanto riguarda Pinocchio, oltre alla vasta letteraturaesistente, è interessante leggere la parte de "La speranzahandicappata" (C. Padovani, ed. , Guaraldi) in cui si fa accenno allafavola.
Essere diversi equivale spesso ad essere vissuti come dei tramiti: dellepresenze demoniache per incutere paura o delle presenze angeliche per redimeree spingere sulla buona strada. Si è sempre in vetrina, mai venditori nécompratori. E stando in vetrina per i "sani" esiste solo il tuobisogno di aiuto, e il loro dovere, sottolineo dovere, di aiutarti. Nella vetrina c’è la tua sofferenza e il cristiano èreduce dalla montagna dovegli è stato detto: "beati coloro che…". Per i sani c’è il tuoessere eterno bambino, e si sa che i bambini "… sono creatureinnocenti".
A volte ancora si è in vetrina, vestiti di sensi di colpa (degli altri) eallora la punizione divina (la nascita di un figlio handicappato) la sibutterebbe volentieri a volte giù dalla finestra.
Ecco allora che la dimensione religiosa si riempie di sofferenza e non lasciaspazio alla gioia, si riempie di doveri e non lascia spazio alle scelte, siriempie di colpe e non lascia spazio al perdono (nel nostro caso il nonpercepirsi come autori di un prodotto deteriorato), si riempie di punizioni enon lascia spazio alla comprensione e alla speranza (dove comprensione significanon annullarsi nel figlio venuto male e occuparsi anche di se stessi, e speranzasignifica non esaurire in quel venuto male tutta l’ipotesi di vita per quelfiglio).
Per chi sta in vetrina come vanno le cose? Storicamente è il mondo cristianoche si è occupato della sofferenza e quindi, volenti o nolenti, nella vetrinaci si è sempre stati. A tanti è stato detto di offrire la loro sofferenza alSignore, e quindi qui niente gioia da offrire; ad altri, di salire sui treni diLourdes e quindi di aspettarsi il miracolo ( = potenza esterna); ad altri, diaccettare la sofferenza e pregare quel Dio "… che aveva volutocosì" (in un certo senso la causa della propria sofferenza); ad altri, disublimare se stessi nell’amore spirituale, che tanto, essendo loro "cosìsensibili…", si sarebbero trovati senz’altro benissimo. Accettare ilproprio handicap non significa adattarvisi passivamente e filtrare ogni propriaesperienza attraverso il fatalismo, ma strutturare una propria identità di cuianche l’handicap fa parte e offrirla agli altri in un cammino comune, in cuiognuno veda riconosciuta la propria dignità di persona unica e irripetibile. Ladiversità è un dono del Signore.
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