Quel giorno tanto atteso finalmente è arrivato. Il giorno dei giorni, per tutto il movimento degli “altri sportivi” è stato il 10 marzo 2006, quando la freccia scoccata dalla campionessa olimpica Paola Fantato, nello Stadio Olimpico di Torino, ha infranto il gigantesco muro dando inizio alla cerimonia d’apertura dei IX Giochi Paralimpici Invernali. Io, come molti altri italiani, non sono riuscito ad andare a Torino e tutto quello che ho vissuto di questa Olimpiade l’ho percepito da casa o qualche tempo dopo, dai racconti di quelli che c’erano stati da spettatori o protagonisti. Inutile dire che questi giochi hanno rappresentato una svolta: adesso posso parlare a chiunque di un atleta disabile senza rischiare di non essere compreso, o rischiare di vedere qualcuno perplesso nel riconoscere la stessa importanza di un altro campione. La prova di tutto questo l’ho avuta la scorsa settimana: mi trovavo in una scuola dell’Appennino bolognese, durante un incontro del Progetto Calamaio: avevo di fronte un gruppo di ragazzi di prima media, e come spesso ci capita, ci ritroviamo a parlare di sport, di quello che praticano loro e di quello fatto da noi; di solito lo stupore dei ragazzi è quando scoprono che anche un ragazzo disabile, che magari fa fatica a muovere un muscolo può praticare sport come loro; stavolta invece lo stupore è stato nostro nel vedere che, grazie alle Paralimpiadi, qualcuno di loro conosceva già tutte queste cose. Parecchie sono state le vittorie, soprattutto quelle dell’organizzazione che dopo dei magnifici Giochi Olimpici ha messo in piedi una magnifica edizione dei giochi Paralimpici. Una delle passate sere ho avuto la fortuna di dividere la tavola con gli atleti italiani, vera sorpresa di questa edizione, e cioè la milanese Silvia Parente che ha conquistato ben quattro medaglie tra cui una d’oro, nella categoria Blind (non vedenti) in ciascuna disciplina dello sci alpino (libera, gigante, slalom speciale e supergigante) e la sua guida e mio concittadino bolognese Lorenzo Migliari. Ero ansioso di conoscere da loro le emozioni di chi aveva vissuto questo evento da protagonista. Dello loro parole mi hanno colpito soprattutto la descrizione delle emozioni che loro sentivano nella gente che li circondava, nello spirito del villaggio olimpico, nell’incontro con gli altri atleti avversari delle altre nazioni o atleti dei Giochi Olimpici, con i quali dividevano i campi d’allenamento. Devo dire che quelle loro parole erano una piacevole conferma di quello che avevo percepito anche io a casa, dalla tv, nelle trasmissioni che avevano anticipato e accompagnato i giochi. Vi cito un esempio: in una trasmissione di approfondimento, proprio in chiusura dei Giochi Olimpici, dove si tiravano le somme di una Olimpiade negativa per il nostro sci alpino, in un commento del nostro attuale più celebrato atleta dello sci, Giorgio Rocca, si sentì dire: “Speriamo che gli atleti paralimpici risollevino l’onore della nostra disciplina, che noi non siamo riusciti a difendere!”. Sicuramente io ero uno spettatore favorito, visto che ormai da molti anni mi occupo di sport e disabilità, però credo che a tutti sia stato chiaro che per Rocca i colleghi paralimpici erano compagni di nazionale come lui, avevano diviso i campi di gara e allenamento, le responsabilità e la gloria. E grazie a quell’augurio di Rocca è stato proprio lo sci alpino a conquistare le otto medaglie che hanno portato l’Italia sul nono gradino paralimpico migliorando il dodicesimo posto della precedente edizione di Salt Lake City del 2002. Cos’altro ricordare di questa Paralimpiade? Sempre dal racconto di Lorenzo Migliari: l’urlo ITALIA dei trentamila dello Stadio Olimpico, all’ingresso della nostra nazionale durante la sfilata della cerimonia d’apertura, la fredda Torino trasformata per alcune settimane in un caloroso centro del mondo, gli spalti gremiti dai bambini delle scuole Italiane (più di 25.000) che hanno assistito ai giochi, il fragore dei tifosi nello stadio del ghiaccio, nell’accogliere il primo, degli unici due goal segnati, dalla nostra nazionale di Ice Sledge Hockey al debutto in una Paralimpiade (pensate avevano iniziato ad allenarsi assieme solo da 5 mesi!) e quei cinque centimetri quadrati conquistati al calcio, nella Gazzetta dello Sport del lunedì, che raccontavano l’oro paralimpico di Silvia e Lorenzo nel Gigante. Naturalmente c’è stato anche qualcosa che non ha funzionato e penso soprattutto al comportamento dei media, una cerimonia d’apertura interrotta a pochi minuti dalla fine, da Rai Due, per trasmettere dei cartoni animati, l’acquisto della Rai dei diritti televisivi, poi venduti non avendo nessuna diretta di gare sulla Rai e solo una breve trasmissione giornaliera in orario improponibile e anche il fatto che Mediaset non abbia dato nessuna notizia sulle nostre medaglie!
Insomma tante luci e qualche ombra.
“Che siamo dentro
il Giorno dei Giorni
… fatto per vivere…
il Giorno dei Giorni
… tutto da fare e niente da perdere….
… senza più limite…
il Giorno dei Giorni
… attimi e secoli, lacrime e brividi…”
Citando Luciano Ligabue che ha accompagnato con la sua canzone la cerimonia d’apertura.
Grazie Torino, ora è tutto nelle nostre mani.