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Che nomi hanno le stelle? Il Calamaio torna a Crevalcore

Di Emanuela Canale e Mario Fulgaro

È ormai tradizione che il gruppo Calamaio realizzi alcuni percorsi a Crevalcore, all’interno del progetto Seneca Café, destinato agli anziani malati di Alzheimer e alle loro famiglie. Prima gli incontri con alcune classi della scuola primaria, poi la visita al centro diurno per incontrare “i nonni”.
Ma cosa c’entrano le stelle? Ce lo spiegano Emanuela, che sta svolgendo il Servizio Civile presso il Centro Documentazione Handicap, e Mario, storico animatore del Progetto Calamaio.

Emanuela
È un sabato pomeriggio come tanti a Crevalcore. La bellezza del borgo è coperta dalle impalcature che il terremoto ha costretto a tirare su; in una panda blu quattro strani[eri] individui cercano il centro per anziani, ma nessuno sa dove sia. Le persone che fermiamo per chiedere informazioni, incuriosite, vogliono sapere cosa cerchiamo, vogliono chiacchierare, scrutare, mai dirci “per dove dobbiamo andare”. Eppure, dopo tanto cercare, troviamo la nostra meta a un passo dall’entrata principale del paese.
Il filo conduttore di questa serie di incontri è rappresentato dal libro Le parole scappate di Arianna Papini; protagonisti del libro una nonna e un nipote, accomunati dal singolare approccio alla realtà in quanto affetti, rispettivamente, dal morbo di Alzheimer e da dislessia.
Alle classi, che avevano letto il libro con le loro maestre, sono state proposte delle attività che ne richiamano i contenuti, facendo leva sulla capacità di ricordo e di comunicazione che si rifanno alle esperienze della nonna e del nipote della storia narrata nel libro.
Così, annusare un odore a occhi chiusi è stata un’occasione per richiamare alla memoria sensazioni e ricordi della propria vita, e poi raccontare ciò che ci caratterizza, ciò che ci piace, per mezzo del disegno. Le diverse forme della diversità hanno dunque invaso le classi della terza primaria di Crevalcore, regalando ai bambini ore di completa originalità: si sono riconosciuti tra di loro senza che il nome di nessuno venisse direttamente pronunciato nel gioco della carta d’identità, portati a guardarsi alla luce di ciò che gli piace e spronati a conoscersi per quello che li identifica, più di un semplice nome o di un’informazione vuota e frettolosamente individuata. Si sono sottoposti all’invasione del ricordo non evocato consapevolmente, ma suscitato improvvisamente da un odore che, invadendo i sensi, è capace di concedere alla memoria gli infiniti spazi dell’incoscienza. Hanno poi disegnato, non raccontato né scritto, la loro stagione preferita, ciò che gli fa più paura, la loro famiglia. Tutto questo è stato loro proposto da Mario, animatore in carrozzina, che incontro dopo incontro i bambini hanno imparato a conoscere e ad amare, nel travolgente avvento di una diversità che scuote, colora, anima la normale quotidianità che a un bambino non sta ancora stretta, ma può ancora apparire come uno degli infiniti modi di muoversi nel mondo.
Al Centro diurno Seneca sono venuti in tanti, incuriositi dall’incontro con quelli che chiamano “i nonni”.
Alcuni di essi in effetti sono proprio i loro nonni, altri degli estranei, anziani che in alcuni casi hanno il morbo d’Alzheimer, proprio come la nonna del libro, probabilmente prima mai incontrati, sicuramente mai cercati. Quel giorno invece c’era finalmente la possibilità di vederla la nonna del libro, di provare a stare con lei e di capirla, come gli altri personaggi della storia, nipote dislessico a parte, non erano in grado di fare. Nel grande cerchio che si è formato nella stanzetta in cui di solito “i nonni” stanno tra di loro, ad ascoltare distratti vecchie musiche che fuoriescono da uno stereo (quanto sarebbe più appropriato un giradischi), c’erano tutti: i bambini e gli anziani.
Il ricordo è stato l’insolito protagonista del pomeriggio: dopo avere raccontato da dove arrivavano e perché eravamo lì, cosa avevano fatto con noi del Calamaio, uno alla volta i bambini hanno chiesto ai nonni di raccontarci i loro ricordi d’infanzia, scoprendo che l’intramontabile campana accomuna tempi vecchi e nuovi. Non è mancata neanche la possibilità di scoprire che l’Alzheimer arriva a non permettere di condividere ricordi; la risposta alla domanda sui giochi d’infanzia può essere uguale a quella che una delle nonne fornisce a qualsiasi domanda, c’è solo una melodia: lala, lala, lala… ripetuta incessantemente e spiegata da chi le è più vicina così: “la nonna è come quella del libro, ha perso tutte le parole”.
L’incontro di generazioni che hanno più tempo dietro di sé che non davanti, a cui guardano con nostalgia,
e di quelle che si apprestano al futuro con frenetica euforia, noncuranti del passato, vede nascere sguardi di curiosità tra l’uno e l’altro, l’incrocio di saggezza e inconsapevolezza, di lontananza estrema eppure di simbiosi nell’accomunante incedere del tempo e della vita. Per due ore tutto questo si è incontrato, facendo giocare insieme queste dimensioni che, inserite in squadre miste, hanno condiviso conoscenze che nessuno dei due può possedere al posto dell’altro, tutte nate dai diversi tempi vissuti.

Mario
La tipologia dei problemi fisici raccontati nel libro della Papini, l’Alzheimer e la dislessia, stanno, in un certo qual modo, in stretto rapporto con la mia forma di sclerosi multipla. Infatti, anch’io a volte e in modo più lieve mi sento come la nonna, quando non ricordo più i nomi delle persone che ho conosciuto un attimo prima, o come il nipote, quando non riesco a leggere lapagina di un libro. “Le parole scappano” anche a me e si vanno a nascondere in nicchie profonde della memoria, tanto che mi ci vuole tempo e fatica per ritrovarle e svelarle con sicumera al mio interlocutore. Tutto questo mi tranquillizzava in un certo qual modo o mi rendeva meno insicuro. Pensavo, infatti, che ogni mia possibile gaffe trovasse un più forte alibi nelle patologie prese come tema principale del nostro incontro. Testa alta e petto in fuori, lasciavo che un qualche mio collega inforcasse la mia carrozzina, per sospingerla in avanti verso l’aula di nostra destinazione. Il mio largo sorriso era il principale veicolo attraverso cui cercare di smorzare ogni imbarazzo, in me come in chi mi stava di fronte, e di lì tentare di imbastire un dialogo quanto più distensivo possibile. Ad aiutarmi in questo proposito c’erano i miei colleghi e le diverse attività-giochi da fare tutti assieme.
I tre incontri con le scolaresche di Crevalcore trovavano la loro punta dell’iceberg nella visita conclusiva al Centro diurno, dove ci saremmo incontrati tutti: animatori, alunni e anziani. Il gioco stile Sarabanda ha visto simpaticamente bimbi e anziani più pronti di me nel dare le risposte esatte e sapevo di non avere possibilità di rivincita. L’ansia e la perplessità che ne sono derivate sono state scalzate in un lampo da una battutina di una mamma che, con fare sardonico, mi ha guardato per sussurrarmi nell’orecchio che neanche lei era tanto brava in quel gioco. In quel preciso istante giungeva la risposta da parte di un’anziana donna circa l’autore della canzone Una rotonda sul mare. Questa, però, la conoscevo anch’io, che avevo 43 anni, e per un attimo mi sono sentito padrone del mondo, come se fossi a casa mia. L’entusiasmo mi aveva fortemente attanagliato, tanto da lanciare una sciocca “provocazione” nel gioco successivo, dove, lanciando un dado dalle facce colorate, a ogni colore sorteggiato bisognava abbinare qualcosa con quelle caratteristiche cromatiche. Così all’azzurro è stato facile collegare il colore tipico del cielo nelle giornate limpide estive e io, non pago di questo, ho ulteriormente collegato il cielo alle stelle di cui chiedevo alla platea alcuni nomi. Luca mi ha guardato con lecito scoramento, allargando leggermente le braccia in segno di resa; d’altro canto da parte mia c’era un malizioso sorriso a voler rinunciare alla sfida. In quel preciso momento un intrepido bambino aveva l’ardire risoluto di rispondere:“Sirio!”, il che dava coraggio a tutti per dare le più disparate e, al contempo, precise risposte fino alla famigerata costellazione di Andromeda. In pugliese si direbbe “Chi fa lo scherzo rimane scherzato”: questo ero io in quel preciso frangente. Anche due anziane donne sorridevano compiaciute e, in quel momento, ho capito che ognuno si era appropriato di un nome di stella per illuminare la neonata costellazione di Seneca.



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