Gli stalli di Strasburgo. La maggioranza nel nuovo Europarlamento e le politiche per la disabilità
- Autore: Massimiliano Rubbi
Di Massimiliano Rubbi
Le elezioni del maggio 2014 sono state le più sentite e temute nella storia trentacinquennale del Parlamento Europeo. La previsione di una forte affermazione di partiti euroscettici e con forti componenti nazionaliste, quando non espressamente xenofobe, si è rivelata fondata, con l’affermazione come prima forza politica in alcuni Stati membri (e risultati significativi quasi ovunque) di partiti finora mai rappresentati a Strasburgo, o comunque esterni alle tradizionali “famiglie” politiche europee. I seggi attribuiti nel nuovo Parlamento Europeo a non iscritti o appartenenti a gruppi di nuova formazione, tuttavia, ammontano a un centinaio su 751 (cui si aggiungono i 70 Conservatori e Riformisti Europei,“euroscettici moderati”), mentre la maggioranza assoluta dei seggi, sebbene numericamente erosa, rimane alla somma dei due medesimi gruppi parlamentari che la detenevano nel mandato uscente: i popolari del PPE, con 221 seggi, e i Socialisti&Democratici (S&D) con 191.
In questa prospettiva di continuità, che mentre scriviamo si è tradotta nella designazione del candidato PPE Jean-Claude Juncker a Presidente della nuova Commissione Europea, occorre attendersi le politiche europee per il quinquennio 2014-2019, e per questo abbiamo chiesto ai due gruppi di maggioranza di illustrare le linee che perseguiranno nell’ambito delle politiche UE per la disabilità, entro il quadro delle politiche sociali e del modello sociale europeo.
Lavoro, sussidiarietà e diritti
Negli obiettivi del Gruppo Parlamentare S&D appare distintiva la centralità dell’occupazione e di una protezione sociale attiva. La lettera inviata prima delle elezioni alle organizzazioni nazionali di rappresentanza delle persone con disabilità da Martin Schulz, candidato socialista alla Presidenza della Commissione, parla di inclusione da perseguire attraverso “un reddito decoroso e protezione sociale” e “l’adeguatezza delle pensioni e di un reddito minimo”, agendo “contro i tagli nella spesa pubblica per i gruppi svantaggiati della società e correggendo gli errori del passato”. In un altro documento di portata più generale, intitolato “Posti di lavoro decorosi con migliori condizioni lavorative e salari minimi per tutti”, il gruppo socialista si impegna alla lotta contro la precarietà, alla “creazione di un Fondo Europeo per la Protezione Sociale” e alla fondazione su basi europee di un reddito minimo garantito, in ragione della “prominenza dei diritti sociali sulle libertà economiche”. Rilevante anche l’impegno a favore della deistituzionalizzazione e della vita indipendente delle persone con disabilità, con la promozione dell’integrazione come principio cardine nella discussione relativa ai regolamenti sui fondi europei delle prossime annualità.
La questione del lavoro compare anche nelle linee politiche del Gruppo Parlamentare PPE, che ricorda tra l’altro l’approvazione della “Garanzia Giovani” con una dotazione di 6 miliardi di Euro per combattere la disoccupazione giovanile, ma appare in posizione meno centrale. Non è condiviso l’impegno a una rete di protezione sociale fondata sul reddito minimo, mentre la disoccupazione è indicata come una “sfida” da monitorare e le misure per combatterla vengono collegate alla “mobilità dei lavoratori”. Secondo i Popolari europei,“il modello o i modelli sociali europei sono fondati su tre principi: solidarietà, responsabilità e sussidiarietà”, ed è nel rispetto del principio di sussidiarietà che il Gruppo PPE “continuerà a difendere adeguati standard di sicurezza sociale”. Significativo in questo senso anche l’accenno alla “conformità al dialogo sociale”, intesa come impegno alla cooperazione con CES, UNICE-BusinessEurope e CEEP (le tre confederazioni europee rispettivamente di sindacati, datori di lavoro privati e datori di lavoro a partecipazione pubblica o di interesse economico generale) e il coinvolgimento dei sindacati nazionali.
Ciò su cui i due gruppi di maggioranza nella legislatura europea al via paiono concordare è la lotta contro le discriminazioni legate alla disabilità. “Il Gruppo PPE continuerà a sostenere tutte le politiche che mirano a chiudere i divari nella legislazione europea anti-discriminazione che riguardano le persone disabili”, mentre il Gruppo S&D “sta combattendo perché la Commissione estenda una protezione onnicomprensiva contro tutte le forme di discriminazione”. Ovvio, e comunque esplicitato, il riferimento alla Convenzione ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, della quale in sostanza entrambi i gruppi si impegnano a monitorare l’attuazione e l’implementazione in quanto questione di diritti umani.
La separazione dei poteri
La direttiva sull’accessibilità, che stabilirebbe standard più rigorosi in materia per molti dei prodotti e dei servizi disponibili sul mercato europeo, è la “grande incompiuta” delle recenti politiche europee per la disabilità: si è ancora in attesa di un testo base che la Commissione doveva elaborare e diffondere nel 2012, nonostante ripetute sollecitazioni, tra cui una lettera congiunta dei gruppi parlamentari “che esprime forti preoccupazioni per quanto riguarda il progresso della Commissione”. A specifica domanda, il gruppo dei Socialisti&Democratici ricorda che “il potere di iniziativa legislativa spetta alla Commissione Europea, non al Parlamento. Quindi, fino a quando la Commissione non presenta un nuovo progetto, i gruppi parlamentari possono solo avanzare sollecitazioni e appelli”, e anche i Popolari, per un miglioramento dell’accessibilità che rimane “una delle sfide più grandi per 80 milioni di cittadini europei con disabilità”, ammettono che “la tabella di marcia concreta dipende dalla Commissione UE”.
Da questo caso emerge quello che è forse oggi il maggiore problema della “anomala” costruzione politica europea: il Parlamento Europeo, unico organismo eletto direttamente dai cittadini, non dispone pienamente del potere legislativo che ad esso associamo mentalmente in base agli assetti istituzionali nazionali, potere invece largamente affidato a una Commissione che riposa molto di più sugli equilibri tra governi degli Stati membri. Il Gruppo S&D ricorda che il progetto di direttiva sull’accessibilità “sembra avere seguito la proposta della Commissione per una direttiva anti-discriminazione nel 2008, che fu seppellita dagli Stati Membri nel Consiglio [Europeo]”, e che la sua lotta per una direttiva anti-discriminazione più ampia si svolge “nonostante l’opposizione della maggioranza di centro-destra nel Consiglio”.
Inevitabile dedurne che, nonostante la graduale crescita dei poteri affidati all’istituzione a elezione popolare diretta (che per la prima volta nel 2014 elegge il Presidente della Commissione, seppure su indicazione del Consiglio Europeo), la dialettica più decisiva per le politiche europee sulla disabilità rimanga non quella tra i gruppi parlamentari, quanto quella tra questi, i governi nazionali e, per certi versi nel mezzo, la Commissione con la sua autonomia. L’accordo tra i due gruppi parlamentari maggioritari, che sostiene la neonata Commissione, potrebbe quindi avere effetti limitati di fronte all’opposizione anche di pochi Stati membri: un elemento da tenere a mente per valutare, tra le altre, le proposte sull’accessibilità e sull’allentamento dell’impatto delle politiche di austerità sulle fasce sociali più deboli, e rispetto a cui il forte voto nazionale a partiti euroscettici diventa assai più preoccupante in prospettiva di quanto non sia oggi nella composizione dell’emiciclo di Strasburgo.
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