Lettere al direttore
- Autore: Claudio Imprudente
- Anno e numero: 2006/2 (monografia su teatro e disabilità)
Risponde Claudio Imprudente
Ciao, sono Alessia.
Sono una ragazza di 26 anni, abito a Bovolone in provincia di Verona.
Ho assistito un paio di volte qui nella bassa veronese a degli incontri organizzati dalla comunità Papa Giovanni XXIII dove eri ospite anche tu e dove ho potuto capire che grande uomo sei.
Ti ho rincontrato tra le pagine del libro di Candido Cannavò e fino alla fine il mio pensiero fisso era quello di poterti scrivere.
Sicuramente avrai tante cose da fare e probabilmente ignorerai la mia e-mail ma io ci provo lo stesso […].
Ti descrivo un po’ la mia vita giusto per farti capire chi sono.
Sono una semplice ragazza, faccio l’operaia in una fabbrica di mobili, lavoro che mi aiuta perché vivendo da sola ho dovuto adeguarmi a quello che c’era, anche se la mia passione è sempre stata il sociale […].
Dimenticavo sono anche innamorata… Della vita ovviamente!!!!!!! Per quel poco che conosco di te lasciatelo dire: sei una bella persona e aspetto davvero una tua risposta […].
Con immenso affetto ti ringrazio
Alessia
Cara Alessia, hai mai ascoltato Sergio Endrigo? Forse no, sei troppo giovane. La mia infanzia invece è stata segnata proprio dalla sua musica e appena sento parlare di mobili mi viene in mente una canzone in particolare, il cui testo sembrava una filastrocca e faceva più o meno così: “Per fare un tavolo, ci vuole il legno; per fare il legno, ci vuole l’albero…” e così via. Il testo era di Gianni Rodari, per l’esattezza. L’unica perplessità che mi è sempre rimasta è: perché per fare un tavolo ci vuole un fiore? Credo che ci sia un’attinenza tra il lavoro che svolgi in fabbrica e la tua passione per l’universo del sociale. In fondo una fabbrica di mobili, per quanto oggi il lavoro sia in gran parte meccanizzato, mette in gioco la creatività e la pazienza… quella richiesta affinché tutti i pezzi combacino alla perfezione. E soprattutto bisogna riuscire ad andare oltre il mobile per scoprire la sua identità e la sua funzione. Un mobile infatti può servire per custodire documenti importanti o semplicemente per riporre gli indumenti. Io per esempio ho un vero e proprio scrigno dove nascondo tutti i miei segreti.
Anche chi lavora nel sociale ha bisogno di creatività e pazienza, anzi, sono due elementi fondamentali. Soprattutto, chi opera nel sociale deve necessariamente assumere uno sguardo che vada oltre i problemi contingenti per concentrarsi sugli orizzonti che si possono aprire. È un paragone affascinante, non trovi? Sarebbe carino se esistesse una filastrocca così: “Per fare un educatore ci vuole un calamaio… per fare un calamaio ci vuole l’inchiostro…”. E per fare l’inchiostro che ci vuole? Ci vuole la voglia di sporcarsi!
Buona macchia a tutti!
Ciao da una ragazza ItaloArgentina. Me hanno parlato un sacco di te… mi sono incuriosita e sono stata a girare su internet per trovare qualcosa che mi parle di te!! Sei stato l’altro giorno al Portico (Padova) ho una coppia di amici (Rossella e Dario Galdiolo) che sono stati con te. Grazie per il modo in che fai conoscere alle persone il vero senso della INCAPACITA… lavoro nel campo della salute, sono una psicologa e veramente quegli che siamo chiamati NORMALI siamo i veri incapaci… di dare amore… di guarda con sincerita negli occhi… di aiutare a chi ha bisogno sensa scrupoli… di regalare un sorriso tan solo perche ci siamo trovati… perdiamo il tempo in litigare per cose stupide… si corre tra il soldi e il bissnes… sembra una garra contro il tempo… mannaggia… sarebbe tanto facile capire che il tempo è sempre l’ stesso e che siamo noi chi passiamo… si vive di corsa sempre in fretta… in nome dal amore si amassa, si pissa, si toglie… sembra che non essiste la pace su cuore… infatti, tu sai di questo… solo volevo ringraziarti che atraverso dal umore sai arrivare nel cuore delle gente e magari qualcuno possa fare un CLIK e fermarsi un momento a chiedersi cosa sta facendo della sua vita… ne sono sicura che le tue parole reusciranno a farllo… e uno solo al meno che possa imparare a vivere di altro modo, sensa invidia sensa odio, sensa paura … uno solo che possa trovare luce nel’anima e nello spirito amore la tua misione sara fatta con felicita… Grazie in nome mio, di Rossella e Dario e di tutti noi che siamo UGUALI A TE!!!! Un abbraccio forte forte da stringere l’anima sensa distanze… da qui… da Buenos Aires!!! a presto……. Ciao
Silvina A. Gramaglia
Cara Silvina, ho sempre desiderato ricevere una lettera dall’Argentina! L’Argentina mi fa subito venire in mente una persona che ha segnato la storia del calcio: ovviamente parlo del “pibe de oro”, da me definito anche “la trinità del calcio”, Diego Armando Maradona. Ma al di là delle mie memorie calcistiche, nella tua lettera mi ha colpito in particolare la frase “siamo uguali a te”, perché è esattamente quello che ho detto durante un mio ultimo convegno in Sardegna. Ti racconto com’è andata: la sera prima della partenza ero ospite da una mia amica per fare quattro chiacchiere. Dopo innumerevoli bicchieri di limoncello, a un certo punto le ho detto: “Io e te siamo vagamente uguali”. Da quel momento per tutta la serata abbiamo continuato a giocare sul significato di quella espressione. Il giorno dopo ho preso il mio aereo Bologna-Olbia-Cagliari, e durante i vari convegni a cui ho partecipato ho utilizzato le riflessioni sul “vagamente uguali” che erano scaturite la sera precedente. E qui la sorpresa: subito la stampa si è appropriata dell’espressione, che è stata riportata in alcuni articoli sui giornali locali. Mai avrei pensato che dalla discussione di una serata tra amici potesse nascere un neologismo! Beh, ho già in mente lo “slogan” per il 2007: semplicemente diversi! Che ne pensi?
Un saluto a tutta l’Argentina e soprattutto a Diego Armando!
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