Missione Roosevelt. Il plotone su sedie a rotelle dei Tony
- Autore: Lucia Cominoli
- Anno e numero: 2014/4 (Monografia sulla disabilità in Mongolia)
di Lucia Comignoli
Clifton Circus “Il denaro non comprerà mai la salute, ma starei volentieri su una sedia a rotelle tempestata di diamanti”. Così, citando la scrittrice statunitense Dorothy Parker, tra le più celebrate nel Novecento per l’ironia sarcastica dei suoi provocatori poemetti, i Tony Clifton Circus introducono una delle loro ultime fatiche, la performance Missione Roosevelt, vera e propria invasione di spazi urbani da parte di spettatori su sedia a rotelle (ma non disabili) con cui hanno percorso le strade di diverse città d’Italia e di Francia, seconda patria d’adozione del gruppo.
Nato nel 2001, a omaggio del personaggio anti-comico inventato da Andy Kaufman, quello dei Tony Clifton Circus, all’anagrafe Nicola Danesi de Luca e Jacopo Fulgi, è un esempio di quel Nuovo Teatro che oggi rifiuta di farsi ingabbiare in etichette di genere ma che ama piuttosto ribaltare nei fatti i rapporti di sguardo tra attore e spettatore di pari passo con l’idea di spettacolo, riconducendo così l’opera ad azioni performative extra-quotidiane e inaspettate che riportano al centro l’essere umano in sé e per sé, tra i luoghi che abita (o crede di abitare) e nelle sue relazioni abituali, giocando sull’effetto a sorpresa e sul capovolgimento delle aspettative.
In questo senso il “circo dell’anomalia”, così come loro stessi lo hanno chiamato, è appellativo che non si riferisce alla diversità in senso stretto ma all’etimo della parola, dove anomalo non è ciò che è estraneo ma ciò che è “privo di regola”.
A testimoniarcelo è stata lo scorso settembre l’invasione operata per le strade di Parma di Missione Roosevelt, performance ospite di Insolito Festival, il primo festival estivo della città in collaborazione con Teatro delle Briciole/Fondazione Solares delle Arti.
Il titolo ammicca alla figura di Roosevelt, presidente degli Stati Uniti tra il 1932 e il 1945, il padre del New Deal, il pacchetto di riforme socioeconomiche, cioè, tra cui il Social Security Act, che permise al paese di uscire dalla Depressione degli anni Trenta e di introdurre per la prima volta l’assistenza sanitaria, l’indennità di disoccupazione e di vecchiaia a servizio dei cittadini. Una figura immagine di progresso e cambiamento sociale che tuttavia è anche legata alla disabilità, a causa della poliomielite che lo colpì nella seconda parte della vita e che non amò affatto mettere in mostra. Pochissime infatti sono, ancora oggi, le foto che ritraggono la figura del presidente americano in carrozzina, nonostante l’impegno concreto nella cre-
scita e nel finanziamento che egli dedicò fino alla morte alla creazione di nuove strutture di cura. Acuto stratega e promotore della “Grande Alleanza” con il Regno Unito di Winston Churchill e l’Unione Sovietica di Stalin durante la Seconda Guerra Mondiale, la sua è naturalmente una figura legata anche all’iniziativa militare, conduttore simbolo di equilibrio e di forza,
uno migliori secondo la storia politica made in USA.
Nulla di tutto questo è sfuggito ai Tony Clifton Circus che hanno immaginato e realizzato una vera e propria invasione per i parchi e le strade di Parma, chiedendo agli spettatori più o meno ignari di sedersi su una sedia a rotelle e di condurre insieme un percorso a forza di braccia giocando ai limiti di un’ipotetica esplorazione militare. Una provocazione che nasce
dall’umorismo cinico del gruppo, che tuttavia poco spazio ha lasciato alle pulsioni “guerresche” per addentrarsi piuttosto su quello che il movimento in carrozzina comporta nel semplice attraversamento dello spazio urbano, senza per questo mai nominare lei, la carrozzina per l’appunto, oggetto tabù e qui ridotto a semplice mezzo di trasporto.
Si comincia la marcia suonando il citofono di una casa da cui usciranno tutti e si parte dallo stesso punto; all’inizio ci si confronta con il nuovo ausilio, dai più mai usato, ci si prova a spostare, a spingersi con le ruote, a frenarsi, a regolare la velocità. Poi si parte guidati da Mr e Mrs Roosevelt, in questo caso Jacopo Fulgi e Diane Bonnot, e in fila per uno si seguono le loro indicazioni. Ne segue un percorso urbano tradizionale che tuttavia si rivelerà a prove e a ostacoli nel suo essere tale quale, così come lo ha portato cioè a essere la planimetria della città, con qualche aggiunta qua e là, tra cui salite, percorsi a slalom, obiettivi da raggiungere, il tutto, come si suol dire, in mezzo alla gente che passa.
Potrà capitare allora che qualcuno rimanga indietro o si blocchi ed è lì che il cortocircuito si fa interessante. Perché è quando sopraggiunge la difficoltà che l’azione contatta la reazione dell’altro, come ad esempio un passante che si trova improvvisamente a rispondere a una richiesta d’aiuto da parte di una persona disabile che realmente nemmeno lo è.
Un gioco di ruolo, si potrebbe dire, portato all’estremo, che porta con sé tutto quello che in noi si instaura nella relazione con ciò che percepiamo improvviso, inaspettato e fuori strada, ciò che ci fa inciampare sul tragitto e non ce n’eravamo accorti.
Benché manchi il deficit in senso stretto, l’handicap si presenta comunque in tutta la sua concretezza e lo fa con un pizzico di ferocia in più, sia di fronte allo spettatore su carrozzina che è diventato attore, sia di fronte allo spettatore-passante che si ritrova suo malgrado coinvolto. Ansia, senso d’inadeguatezza e impotenza da un lato, senso di colpa per la coscienza della menzogna in atto dall’altro e, nello stesso tempo, il desiderio furioso di uscire da quella difficoltà.
Nel frattempo Mr e Mrs Roosevelt cantano motivetti e incitano a superare le prove e a raggiungere gli obiettivi; tra i passanti alcuni si godono la scena, altri se ne vanno sdegnati, altri ancora restano attoniti. Il plotone nell’insieme ride e si diverte, di fatto è il protagonista di un gioco, vuole vincere e arrivare alla fine.
Una volta conclusa la gincana e raggiunta la meta si tira il fiato, si esulta e ci si rialza, con un po’ di fatica, dal mezzo ormai divenuto tutt’uno con il corpo tanto ne ha condizionato i movimenti e il raggio d’azione.
Le braccia fanno malissimo e nello stesso tempo è forte la gioia di rimettersi in piedi, di riprendere confidenza con i propri polpacci, piedi e ginocchia.
Sembra che tutto finisca qui, con un bel “ce l’abbiamo fatta”, niente di più. Quel che resta sono solo delle sedie a rotelle immobili e sparse. Ed è qui che fa capolino il “per fortuna”. Perché se prendere le distanze è rassicurante nello stesso tempo all’interno del plotone c’è un senso di fastidio che permane. Lo specchio, il senso di colpa, benché smorzati (o forse alimentati) dall’ironia dei Tony Clifton Circus, li hanno portati molto vicino a qualcosa che hanno sempre ignorato e c’è sempre stato, nei confronti del rapporto con la disabilità su cui non si sono mai soffermati ma soprattutto nei confronti dell’altro da noi che potremmo benissimo essere.
Per capirlo non è servito un convegno o incontro in presenza. È bastata un’azione molto semplice, così come il gruppo l’aveva immaginata: “Vogliamo attraversare uno spazio urbano, fare un percorso e lasciare un segno, una traccia colorata al suolo. Vogliamo condividere con voi il piacere del proibito, il piacere di utilizzare un oggetto tabù. Utilizzare un oggetto per la prima volta, forse solo questo basta, forse solo questo giustifica tutto. La sedia a rotelle è lo strumento e l’oggetto di Missione Roosevelt, il simbolo di tutto ciò che non ci riguarda oggi si fa nostro, la metafora dello svantaggio attraverso la quale conquistare la città. Un’esperienza urbanistica, una performance partecipata in cui il pubblico, accomodato su una sedia a rotelle, si trasforma in un piccolo plotone, una gioiosa macchina da guerra”.
Verso che cosa a noi deciderlo. Loro intanto lo hanno fatto. Con Amore e anche un po’ di Odio. Firmato Tony Clifton Circus.
Per saperne di più:
www.tonycliftoncircus.com
www.solaresdellearti.it
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