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Giocare allo scout

“Silvio era un terremoto incontenibile, non un istante fermo… Al gioco dei silenzio, però, diventava un serpente che silenzioso strisciava tra gli arbusti fino alla meta, imprendibile. Gli chiesi come faceva lui a farlo così bene, lui, che era così confusionario, mi disse: Se si gioca, si gioca !”“Un verde prato, una radura in mezzo ad un bosco, una calda spiaggia estiva, un campetto alla periferia della città, una piazza libera dalle auto, angoli e vicoli…ci sono tanti luoghi per giocare insieme con gli amici. Dobbiamo però delimitare il campo da gioco! Servono delle porte. Chi sa una “conta” per dividerci in due squadre? Qualcuno conosce qualche gioco nuovo?”. E inizia la grande avventura di un gioco tra bambini!!!
Quella proposta è l’introduzione ad un minimanuale rivolto a tutti i bambini e le bambine tra gli 8 e i 12 anni, che la rivista “Giochiamo” propone, in particolare, ai lupetti e alle coccinelle scout. Perché fare “quasi tutto attraverso il gioco” significa anche prepararsi a giocare il “grande gioco della vita”.
Attraverso lil gioco ci si sperimenta, si mettono a frutto le cose per le quali si è portati e si affinano quelle in cui non si è mai stati molto “forti”; si scopre il territorio, ampliando i riferimenti conosciuti, ci si predispone circoscrivendo la zona di gioco e il contesto in cui lo stesso avverrà.
Un secondo elemento da sperimentare è la possibiltà di giocare con fantasia. Non servono, infatti, grandi strutture di gioco, parchi immensi dove l’attrazione siano sofisticate evoluzioni tecnologiche.
Per giocare è sufficiente il nostro corpo, qualche materiale, la voglia di stare insieme e di giocare insieme con “gioia e lealtà”. Il fondatore dello scoutismo , sir Robert Baden Powell (in meglio conosciuto come B.P.) utilizzava il gioco come preciso strumento metodologico e come metafora della vita.
Alcune frasi possono fornire ulteriori riferimenti (con un’attenzione: vanno contestualizzate, per poterne comprendere appieno il significato innovativo, nel periodo tra la fine del 1800 e il 1941 – anno di morte di B.P., e tra Inghilterra e Sudafrica).
“La vita dello scout è come una partita di calcio. Sei selezionato come attaccante? Gioca il gioco! Gioca per il successo della tua squadra! Non pensare alla tua gloria personale o ai rischi che puoi correre: la tua squadra è dietro te. Gioca a fondo e sfrutta al massimo ogni possibilità che hai. Il calcio è un bel gioco ma ancor più bello di esso e di ogni altro gioco, è il gioco della vita”.
Oltre a questo invito a giocare in fondo, mettendo a frutto le capacità personali, che ha che fare con un aspetto, quello delle specificità, che riprenderemo in un altro capitolo, è presente una chiara sottolineatura dell’originalità e la possibilità di essere quel che si è mettendo a frutto quel “5% di buono che c’è” anche nella peggiore situazione di partenza (quello di tanti ragazzi in difficoltà, ad esempio), di esprimersi liberamente, di esprimere al meglio le proprie potenzialità.
“Siamo proprio come i mattoni di un muro. Ognuno di noi ha il suo posto, anche se può sembrare un piccolo posto, in confronto alla grandezza del muro. Ma se un mattone si rompe, o scivola fuori posto, gli altri cominciano a dover sopportare uno sforzo anormale. Appaiono fessure e il muro si sgretola” (B.P.). Per questo ha inventato o riproposto grandi giochi di una intera giornata, giochi di Kim (che tengono allenati i sensi e vengono molto utilizzati in ambito scolastico per il riconoscimento di oggetti, suoni, sapori, odori), giochi di osservazione di situazioni e deduzione che ne consegue, giochi all’aperto e di conoscenza del territorio ma anche al chiuso, giochi atletici, giochi d squadra per permettere a ciascun bambino e bambina di prendere possesso del proprio corpo, di conoscere i propri limiti, di esplorare gli spazi di libertà di cui dispone, di provare “a vuoto “ certe funzioni fisiche e mentali di cui si avrà bisogno da adulto, di “giocare” a fare quando non può ancora fare, di simulare situazioni che si presenteranno più tardi senza incorrere nei conseguenti rischi, per sfogare il suo istinto “combattivo” e il suo bisogno di far rumore e schiamazzo.

Il mondo come un campo da gioco

“L’istinto naturale del bambino è sviluppare la propria personalità tramite un esercizio che chiamiamo gioco; ha un desiderio innato di realizzarsi, vuol fare cose e superare difficoltà per essere soddisfatto” (B.P. in “Taccuino”).
Vi sono alcune caratteristiche che riguardano il gioco scout:
– ha uno scopo;
– non premia solo il risultato materiale, ma lo stile e la qualità del gioco;
– tutti possono, per quanto possibile, essere attori e nessuno spettatore permanente;
– non emargina i meno dotati, ma , al contrario, permette loro di esercitarsi;
– può essere competitivo tra squadre, non tra persone; di frequente ha un tema, un’ambientazione (un esempio? il libro della Giungla nella branca lupetti forma il tema dell’intero gioco del lupettismo, oltreché dì singoli giochi ed attività);
– non disdegna giochi fisicamente “duri”, non brutali, perché una certa misura di rischio è necessaria alla vita, ed una certa misura di allenamento nell’affrontare i rischi è pure necessaria per prolungare questa vita;
– non ci sono modelli ben precisi, ma alcuni suggerimenti generali da adattare alle circostanze locali, al terreno e all’intervento dei bambini;
– deve anche essere entusiasmante e divertente, se non offre più allegria, gioia di vivere, apprezzamento dei lati belli della vita non è più gioco.
Infine è un modo in cui guardare all’esistenza: “non prendere le cose troppo sul serio, ma trai il miglior partito da ciò che hai, considera la vita come un gioco ed il mondo come un campo da gioco”. Prendere la vita come un gioco non è un invito alla “‘leggerezza”, ma, da un lato richiamo ai propri stessi limiti (non prendere le cose troppo sul serio comincia da se stessi), dall’altro un invito all’ottimismo, alla gioia, alla capacità di godere la vita.(2)

Se si gioca si gioca

Ci sono parole, in quanto è stato scritto sino ad ora, che sembrano fornire elementi che non necessitano di ulteriori riflessioni per essere connessi al tema dei giochi e l’handicap, il deficit la difficoltà. Ma vorrei proporre un racconto per introdurre.
Silvio era un terremoto incontenibile, non un istante fermo, come il coperchio di una pentola a pressione. Al gioco dei silenzio, però, diventava un serpente che silenzioso strisciava tra gli arbusti fino alla meta, imprendibile. Gli chiesi come faceva lui a farlo così bene, lui, che era così confusionario, mi disse: “Se si gioca, si gioca” !
“Non serve a nulla avere uno o due ragazzi brillanti…” dice B.P. e suggerisce di considerare vincitore colui che è riuscito a migliorare di più i propri risultati da una gara all’altra: ognuno si impegna, in questo modo, con se stesso”.
Il gioco è il primo educatore perché è la cosa più importante della vita di un bambino ed una bambina. Li attira e nello stesso tempo chiede loro di migliorarsi, di acquistare coordinamento. di allenarsi, di mantenersi in forma; nel gioco sono coinvolti intelligenza. affettività, corporeità; per questo a nessuno, qualsiasi sia suo handicap, è preclusa la strada di accesso al gioco che a sua volta diventa esso stesso occasione dì superamento dei propri limiti. Il gioco serve a formare il carattere creando uno spirito ottimista, pronto a lanciarsi nelle imprese senza badare al profitto. Il giocare ha in sé la sua ricompensa, è un’attività gratuita come gratuito è lo spirito adatto per avere la vita come una bella avventura.
E soprattutto il gioco di squadra è scuola dì collaborazione e solidarietà. Nel gioco dì squadra ognuno può trovare un suo ruolo utile, sentirsi importante e, se demotivato, sentirsi stimolato a fare di più. Il gioco stesso porta a questo: è un linguaggio universale che parla oltre ogni barriera, oltre ogni handicap e immediatamente lega gli animi facendo dimenticare ogni differenza . L’esca è il riconoscimento che ne deriva, la fiducia che fa credere nelle potenzialità della persona al di là di ogni prova contraria, l’essere pronto a scommetterci, l’autonomia e la responsabilizzazione: porta a far scattare nella mente di ciascuno (anche in difficoltà, anche chi si sta occupando di restare a galla in una situazione difficile) che il progetto è suo e dipende da lui il risultato del gioco, oltre che decidere di starci.
Aspettarsi molto da tutti i bambini e chiedere a ciascuno lo sforzo di “fare del proprio meglio”. (3)
E qui tornano in mente le specialità, che derivano da speciale: è quello che ciascuno sa, sa già fare e può mettere a disposizione di altri, continuando ad approfondire, oppure è qualcosa che non si sa, che per questo incuriosisce e si ha l’opportunità di approfondire.
In un progetto educativo, così come proposto, si intende avere presenti “contemporaneamente” sia la differenziazione delle identità (incarichi, specialità, interessi, gusti e caratteristiche, progressione personale) che le strutture di connessione (i contesti educativi: la squadra nel gioco, la squadriglia, gli obiettivi generali comuni). La situazione rende significativi i modi di agire, i comportamenti e gli stili comunicativi.

Gioca…non stare a guardare!

Un’ultima riflessione rivolta agli adulti educatori potrebbe essere l’invito a recuperare uno spirito per cui anche “il nostro lavoro diviene leggero se lo consideriamo come un gioco, in cui noi siamo i giocatori di una squadra, che giocano ciascuno al suo posto, e tutti insieme giocano per il bene dela squadra; e quando ne comprendiamo lo spirito, facciamo presto a scoprire che non è un gioco ma in grande gioco”.

1 Giochi all’aperto. Idee per giocare insieme con la fantasia, Nuova Editrice Fiordaliso, Roma

2 Mario Sica, note introduttive alla terza edizione e prefazione alla settima edizione inglese, di Giochi scout, R. Baden Powell, Nuova Editrice Fiordaliso, Roma, 1999

3 Handicap e scoutismo, A. Contardi, P. Curatolo, R. Lorenzini, edizioni Borla, 1986

(*) Maria Grazia Berlini è caporedattrice della rivista nazionale scout dei lupetti e delle coccinelle Giochiamo, pedagogista, è consulente del comune di Cesena




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