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Autore: admin

Il Festival delle Abilità Differenti di Carpi

di Nicola Rabbi

Il presente lavoro vuol analizzare il lavoro di comunicazione svolto dalla cooperativa Nazareno in occasione del Festival Internazionale delle Abilità Differenti (edizione del 2006) che si tiene annualmente a Carpi; il festival consiste in una serie di eventi artistico-culturali che si susseguono per sei giorni. Ci vogliamo occupare solo della comunicazione esterna fatta verso i mass media e si analizzerà il caso concreto, cioè come il gruppo si è organizzato per comunicare l’evento e i risultati raggiunti.

Descrizione dell’evento
Il Festival Internazionale delle Abilità Differenti è un evento annuale ideato dalla cooperativa Nazareno fin dal 1992 (anche se la numerazione del Festival viene fatta a partire dall’edizione del 1999). Il tema dell’evento che dura sei giorni cambia ogni anno e nelle ultime edizioni ha riguardata la relazione, la bellezza, la dipendenza, la libertà…. Ma al di là dell’argomento prescelto i vari Festival sono accomunati da un unico strumento, l’espressione artistica, declinata nei suoi più diversi generi (musica, teatro, cinema, pittura…). E’ attraverso l’espressione artistica di persone disabili (ma non solo loro) che l’argomento annuale viene trattato in una serie di eventi e incontri pubblici.
Il Festival da una dimensione ristretta si è via via sviluppato nel corso degli anni, coinvolgendo sempre più artisti e spettatori. Dall’edizione del 1995 s’introduce la novità dell’ospite famoso e dopo quella edizione sarà sempre presente (anzi non sarà uno solo a volte). Un ulteriore passo in avanti avverrà dopo l’edizione del 2003 con una professionalizzazione più accentuata del gruppo che se ne occupa.
In queste pagine faremo considerazioni solo sull’evento del 2006 (visto che si hanno tutti i dati necessari) intitolato ““Cara beltà””, caso comunque significativo visto la complessità e i buoni risultati avutosi in quella edizione.
L’evento è durato dal 10 al 15 maggio 2006 per un totale di sei giorni in cui si sono succeduti la proiezione di un film (e l’incontro con il regista e l’attrice principale), quattro spettacoli teatrali, due convegni, una presentazione di un libro con l’autore, due eventi musicali, due work-shop. Personaggi famosi intervenuti a vario titolo sono stati Gene Gnocchi, Milva, Teresa De Sio, Candido Cannavò. Complessivamente gli spettatori intervenuti in questa edizione sono stati 4 mila.

Le risorse destinate dall’organizzazione all’ufficio stampa
Per l’organizzazione dell’evento “Cara beltà” sono stati stanziati dalla cooperativa circa 170 mila euro; di queste risorse una parte sono state destinate alle persone che si sono occupate delle comunicazione esterna.
All’interno del gruppo esiste un responsabile di ufficio stampa che viene coadiuvato da un’altra persona; in sostanza sono solo due le persone che se ne occupano. Sia la responsabile che la sua collaboratrice provengono dall’interno della cooperativa; la responsabile è un’educatrice che durante tutto anno fa quel lavoro e solo part time diventa un addetto stampa. Negli anni passati ci si è rivolti anche ad un giornalista esterno per realizzare questo lavoro ma i risultati non sono stati soddisfacenti (a detta dei responsabili).
Dalle interviste realizzate all’interno della cooperativa appare chiaro come l’elemento di appartenenza al gruppo e la condivisione dei suoi valori siano un elemento importante e in definitiva, a detta dai responsabili della cooperativa, questa “appartenenza” fa si che la comunicazione sia appropriata e vincente.
Alla domanda se si sente la necessità di dedicare appositamente una persona a ricoprire questo ruolo i responsabili, ma anche la diretta interessata, concordano nel dire che dal punto di vista economico la spesa non è sostenibile e si preferisce dedicare queste risorse a iniziative diverse (“La costruzione di un nuovo centro diurno… anche se in prospettiva sarebbe bello un giorno poterlo fare”).
Alla fine di ogni evento si propone già l’idea per quello dell’anno successivo e si comincia a incontrarsi settimanalmente già da luglio. Da dicembre gli incontri si infittiscono mentre due mesi prima del festival due persone sono dedicate a tempo pieno per l’organizzazione dell’evento (in questo periodo vengono coinvolte anche altre persone part time che si occupano dell’organizzazione).

Il problema della formazione
Non si pone nella cooperativa il problema della formazione adeguata per un addetto alla comunicazione verso i media; l’addetto stampa impara facendo. Nel nostro caso l’addetto stampa non ha seguito corsi di formazione o gli si è dato un tempo per l’autoformazione ma ha iniziato il suo compito semplicemente attraverso un passaggio di consegne con chi l’ha preceduto. Questo non deve stupire più di tanto visto che la comunicazione efficace viene considerata, all’interno del gruppo, solo quella comunicazione fatta da persone che condividono i valori, hanno una medesima identità culturale e azione sociale. Questa vicinanza di valori (“del sentire”) fa si che il lavoro di addetto stampa sia svolto con precisione, determinazione e attenzione nella trasmissione del contenuto che si vuole proporre. Se chi comunica è convinto del messaggio di cui è portatore, se ne è addirittura entusiasta, questa fa si che il suo compito sia svolto bene: in queste poche parole potrebbe essere riassunto l’idea fondamentale di comunicazione presente all’interno della cooperativa.

Gli strumenti e i metodi di lavoro utilizzati
Gli strumenti utilizzati da chi comunica sono principalmente il comunicato stampa e la conferenza stampa.
Nel caso del festival viene inviato un comunicato stampa a più riprese agli indirizzari di giornalisti; questi indirizzari sono contenuti in fogli di excell divisi per tipo di mass media (giornali/periodici, radio/televisioni, siti internet). Il contatto con il giornalista è personale, nel senso che non si manda un’e-mail in redazione ma si cerca sempre di stabilire un rapporto con un giornalista in particolare, telefonando più volte (“Anche 10 finché non si riesce ad avere una conferma”). Questa vicinanza, questo contatto con il giornalista sembra essere un risultato molto importante in questo lavoro visto che, come si dirà in seguito, “Gli articoli migliori sono scritti da chi partecipa direttamente all’evento”.
Di conferenze stampa se ne fanno due; la prima a Roma in una sala stampa a Montecitorio, in cui viene fatta la presentazione dell’evento, la seconda a Carpi e consiste in un aperitivo con gli artisti che intervengono alla manifestazione (che è anche una buona occasione di intervista per i giornalisti).
Sempre con collaborazioni interne e/o con persone vicine alla cooperativa vengono preparati due spot, uno televisivo e l’altro radiofonico che vengono poi proposti capillarmente a radio e televisioni.
Per promuovere l’evento vengono anche stampate e spedite 5 mila brochure e 15-20 mila depliant che sono invece distribuiti a mano da operatori, volontari, amici. Se il depliant consiste in un pieghevole a tre ante in cui vengono riportate le indicazioni precise sugli eventi, la brochure invece è una pubblicazione di una ventina di pagine a colori che contiene delle schede di presentazione degli artisti, dei gruppi teatrali, degli eventi e dei film che vengono presentati.

Risultati quantitativi di diffusione nei media
Per quanto riguarda questo aspetto la valutazione è stata abbastanza semplice in quanto l’ufficio stampa della cooperativa ha condotto un’accurata rassegna stampa di tutti i mezzi di informazione sui quali è apparsa notizia dell’evento.
Da questo materiale risulta che hanno dato l’informazione:
• otto televisioni di cui quattro televisioni regionali, una nazionale e tre satellitari. In particolare segnaliamo il servizio apparso su Rai2 nella rubrica Costume e società del 5 giugno
• quattro radio di cui una nazionale (Rai1 nel programma Diversi da chi? del 13 maggio) e tre regionali
• nove agenzie stampa
• 3 quotidiani nazionali (Avvenire, Il Resto del Carlino, L’Unità)
• 2 quotidiani locali (Il Resto del Carlino nelle varie edizioni locali, La Gazzetta
• 7 settimanali (tra cui l’inserto de La Repubblica Salute)
• 14 periodici specializzati
• 74 siti internet.

Inoltre la cooperativa aveva prodotto anche uno spot promozionale televisivo apparso su 16 televisioni locali e uno spot radiofonico andato in onda su 18 radio (nazionali, regionali, locali).
Considerato lo spazio ridotto che i mass media dedicano alle notizie sul sociale e considerato che non si tratta di una notizia di cronaca nera o di un’emergenza (casi in cui la notizia sul tema della disabilità ha più probabilità di passare), i risultati sopra riportati sono senza dubbio consistenti.

Qualità del materiale pubblicato sui media e rispondenza al proprio messaggio
Un altro indicatore che possiamo utilizzare per valutare il rapporto che l’ufficio stampa è riuscito ad intrattenere con i mass media, è analizzare il contenuto degli articoli che sono stati poi effettivamente pubblicati. Il riscontro quantitativo di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente è si significativo ma da solo non basta, occorre vedere più da vicino se il contenuto del messaggio che si voleva comunicare è stato rispettato.
Per farlo ci limitiamo ad un piccolo, ma significativo campo; prenderemo in esame tutti gli articoli pubblicati sui quotidiani nazionali e ne vedremo il taglio (la posizione avuta nel giornale), il titolo e il contenuto dell’articolo.
L’edizione del 2006 “Cara beltà”, era dedicata alla bellezza e il messaggio ultimo che voleva comunicare era questo: la cultura contemporanea riduce il concetto di bellezza a degli stereotipi (l’attrice, l’attore, la forza, la prestanza fisica in generale), quando invece la bellezza è qualcosa di più e che è direttamente collegata con l’amore; se c’è “una disponibilità a vedere” questa bellezza si può anche cercare di raggiungerla e l’arte offre la possibilità di farlo. Gli artisti disabili che partecipano all’evento ne sono una prova tangibile.
Un messaggio dunque complesso, difficile da comunicare, anzi di cui ragionevolmente ci si può aspettare al massimo che trapeli dietro alla notizia degli eventi che si sono susseguiti in quelle giornate.
Il primo articolo intitolato Disabili, Festival alla ricerca del bello appare su Avvenire a pagina 11 il 3 maggio; si tratta di un testo di poche battute dove sia il titolo che il corpo del messaggio riescono a passare il messaggio fondamentale oltre alle indicazioni degli eventi in sé.
“’Vi faremo divertire e pensare’: va in scena il Festival dei disabili”, questo il titolo della segnalazione apparsa sul Corriere della Sera a pagina 21 il 3 maggio, titolo con quel “Festival dei disabili” sicuramente meno felice, e con un testo in cui il messaggio base scompare e, oltre alle informazioni di servizio, rimane il binomio arte/disabilità, dove la prima è vissuta anche come forma di terapia.
Sull’Avvenire del 13 maggio (pag. 12 e 13) compare invece un servizio dettagliato (titolo: “Quando la disabilità diventa una vittoria”) che racconta varie storie positive di artisti disabili presenti al festival. Anche nel secondo articolo pubblicato sul giornale si punta sull’idea che la disabilità non significa negazione della vita e della possibilità di essere felici.
Il Resto del Carlino invece parla, nel servizio apparso il 13 maggio a pag. 32-33, soprattutto di una storia esprimendo un concetto già presente nel titolo (“L’arte che aiuta a ritrovare la vita”).
L’Avvenire ritorna sul festival il 14 maggio (pag. 14, “Quelle riserve di energia strappate all’invalidità”) presentando due storie.
Infine L’Unità che il 16 maggio a pagina 18 pubblica “’Disabile’ e arruolato, ma sul palco”, dove si sottolinea il fatto che gli spettacoli sono di buon livello e che la disabilità può essere una risorsa.
Come si vede da questa sommaria descrizione, il messaggio di base è riuscito a passare; gli articoli non cadono mai in uno stile pietistico (difetto in cui si cade spesso in casi come questo), solo a volte si indugia in toni troppo ottimistici e si ricorre spesso all’uso delle storie significative (che è un criterio di notiziabilità tra i più importanti per chi fa il giornalista).
Per spiegare questi risultati è significativo riportare l’atteggiamento che si ha nei confronti dei giornalisti; “Cerchiamo di avere un rapporto diretto – dice Sergio Zini, presidente della cooperativa – quello che comunichiamo non è sempre semplice e per cercare di far accogliere questo messaggio cerchiamo di farli venire dentro a quello che stai facendo”. Conoscenza diretta, rapporto personale, condivisione di idee e anche “del sentire”, la dove il giornalista risulta disponibile, sono alla base di questa comunicazione efficace supportata dall’entusiasmo di chi ci lavora.

Elementi di criticità
Il bilancio che si può fare su un’iniziativa di comunicazione come questa non può che essere positivo; i risultati, qualitativi e quantitativi, ci sono ma si possono indicare ad ogni modo dei punti di debolezza che si possono far sentire in prospettiva di un ampliamento dell’evento.
La decisione di usare del personale interno e di non affidare ad un’agenzia la promozione verso i media dell’evento si è dimostrata una scelta, in questo caso – di forte motivazione del gruppo – utile, ma la scelta di attivare una figura di addetto stampa solo in previsione dell’evento del festival può essere riduttiva. Avere a disposizione una figura professionale di questo tipo aiuta a migliorare costantemente la qualità del festival ma anche serve alla cooperativa in generale per gestire i suoi rapporti verso l’esterno; i compiti dell’addetto stampa in questo caso non si limitano all’evento ma a tutto quanto riguarda l’attività della cooperativa durante l’anno, ne cura i rapporti verso l’esterno (anche verso le istituzioni). Una figura di questo tipo aiuta a migliorare anche la comunicazione all’interno del gruppo con i soci lavoratori, i soci, i volontari, gli utenti…, attraverso la creazione di strumenti di comunicazione come houseorgan, bollettini telematici…
Un altro aspetto che potrebbe essere migliorato è il sito (www.nazareno-coopsociale.it) al cui interno troviamo anche la sezione dedicata al festival. Una documentazione più approfondita di quanto si è fatto potrebbe servire a più scopi. Ad esempio se oltre alla locandina del festival e ai comunicati stampa ci fosse la possibilità di avere del materiale audio o video di quanto è successo durante i giorni dell’evento, questo materiale potrebbe servire ad altre persone, oppure essere trattato o riprodotto in altri contesti (televisioni, radio, eventi teatrali simili…).
Infine un ultima considerazione: abbiamo visto in più punti di questo scritto come la condivisione dei valori, il sentire comune, l’entusiasmo per quello che si fa sia la base dell’azione comunicativa (ma sicuramente di tutto l’operato della cooperativa), ma se questo stato di cose entrasse in crisi o fosse solo momentaneamente in difficoltà che riflessi ne avrebbe sulla comunicazione? In questo caso una figura professionale specifica potrebbe essere una garanzia in più.

(*) L’articolo, qui in parte modificato, è apparso su AA.VV, Generare mondo. Il progetto Quality Time: azioni per lo sviluppo dell’impresa sociale, Milano, Franco Angeli , 2008
 

Il lavoro raccontato dai “giornalini” dei centri educativi

di Nicola Rabbi

Sfogliandoli distrattamente possono sembrare dei "giornalini" semplici e con poche pretese, ma attenzione, dietro queste pagine a volte strampalate e ricche di immagini si celano storie di persone e di rap¬porti, progetti di lavoro, montagne di emozioni che interi libri "scientifici" non riuscirebbero a descrivere adeguatamente. Ne parliamo con Andrea Canevaro, del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna.

Sono ormai diverse le esperienze di piccole riviste, “giornalini” che vengono composti all’interno dei centri per disabili, esperienze che si possono incontrare in varie parti d’Italia: ma qual è il loro valore educativo?
II maggior valore credo sia quello che riguarda la memoria; ci sono spesso tendenze a “ridurre” chi ha un deficit molto grave, ridurlo ad una persona che ha giornate sempre uguali, che fa le stesse cose; in questo siamo aiutati anche da una letteratura scientifica che ci racconta che il ritardato mentale grave ha una “viscosità”, una ripetitività, ha bisogno di fare le stesse cose. Io penso che abbia bisogno come tutti di avere delle sicurezze, quindi c’è del vero in quello che si dice, però è anche vero che hanno una vita con una dinamica e questa dinamica bisogna saperla leg¬gere, non dimenticarla; i giornalini possono essere uno strumento utile
per mantenere un’attenzione a un qualcosa che può essere raccontato. La ripetitività fa sì che gli operatori che lavorano all’interno di un centro pensino di non aver niente da raccontare agli altri, mentre il giornale è fatto anche per gli altri. Allora farlo può diventare un impegno con se stessi a scoprire quello che può essere raccontato agli altri e che non è la fotocopia della stessa giornata per 365 giorni all’anno.

Queste esperienze hanno un valore molteplice; da una parte hanno un significato interno, nel rapporto tra operatore e utente, dall’’altro hanno anche un valore esterno, nel rapporto tra il centro riabilitativo e l’Usl e il territorio che lo circonda; infine possono avere un valore anche tra i diversi centri e servire come collegamento.
Sì, hanno un intreccio di diversi valori; specialmente alcuni “giornalini” quando sono fatti con cura, servono come mediatori di rapporti, come possibilità che il rapporto non si esaurisca nell’assistenzialismo; lasciando una "traccia" e avendo una funzione di mediazione le riviste possono essere molto significative proprio per la qualità della relazione tra operatori e utenti, volendo proprio usare questi termini così burocratici.
Attraverso i giornali c’è inoltre una definizione progressiva, aperta e non imbalsamata dell’identità di un centro. Ecco un’altra utilità, quella di pensa¬re la propria identità in rapporto a quella degli altri centri, ognuno dei quali ha una propria identità.
Fare una rivista per un centro significa allora scoprire la propria identità, mettere in luce le proprie valenze culturali e operative. Ci sono centri che sono legati per la loro storia al cinema, alla scrittura o al teatro, tutte caratteristiche che si riscontrano poi nei "giornalini". Ricordo il caso di un "utente" del Centro Galassia di Lugo di Romagna che da anni s’interessa alla scrittura; ora è possibile che non sia immediatamente una scrittura maggiorenne per un’editoria da grande pubblico, ma potrebbe essere molto importante per un "giornalino", se questo non è riduttivo e non diventa uno strumento da dopolavoro ferroviario, ma diventa un biglietto da visita, una sorta di carta d’identità che è sempre in farsi. Potrebbe essere giusto allora che ci siano delle vite da raccontare, in modi diversi, attraverso la poesia, la fotografia…
I "giornalini" servono proprio per scoprire la propria identità e metterla in contatto con l’identità degli altri centri e per co¬struire poi una rete che permetta delle valorizzazioni reciproche.

Come si presentano, come si strutturano queste esperienze? Hai in mente qualche caso particolare?
L’esperienza che conosco meglio è quella di Ravenna; la rivista "Percorsi" ha proprio questa funzione di collegare le diverse identità.
Fatta con mezzi modesti, il "giornalino" esiste orma da una decina di anni e con il
tempo si è affinato, coniugando le esigenze interne con dei fini più alti. "Percorsi" ha cercato di dare dei contributi di grande serietà, evitando di essere noiosa, di avere un tono dimesso, per farsi leggere da un numero maggiore di persone.
Prima ho parlato di giornalini da dopolavoro ferroviario, anche con un tono di simpatia, perché hanno il difetto di non raggiungere il lettore esterno, ma hanno un senso più di informazione interna; è proprio ciò che le esperienze di cui stiamo trattando devono evitare. Vorrei ricordare che questi "giornalini" non sono un patri¬monio solo del nord Italia, in quanto ricevo continuamente nuove riviste e alcune di queste provengono dal sud.

Sei a conoscenza di espe¬rienze analoghe all’estero?
Sì, ho visto pubblicazioni simili in Francia, nella Svizzera francofona, in Belgio, nel Ca¬nada.

Quali sbocchi possono avere queste riviste, come si possono sviluppare per diffondersi meglio o diventare più incisive?
Per rispondere a questa domanda bisogna parlare anche dei Centri di documentazione, perché questi materiali sono sicuramente dei materiali fragili che vanno persi, si buttano via.
La funzione maggiore la dovrebbero avere i Centri di documentazione che non sono inerti ma che dovrebbero essere attivi, salvando il materiale prodotto e rendendolo anche consultabile. Poi dovrebbero consentire che qualcuno ogni tanto ci mettesse mano per riorganizzarlo; sarebbe interessante fare delle antologie o delle comparazioni antologiche, mettere insieme il meglio di quanto è stato prodotto. E per non renderli deperibili occorre trasformarli; ad esempio con alcuni numeri di “Percorsi” abbiamo fatto un libro.

(*) Ripubblichiamo questo articolo ancora attuale apparso sulla rivista HP17 del 1993 facente parte di una monografia (“Stampati in fronte” reperibile su internet a questo indirizzo www.mangoni.net/cdh-bo/informazione/hp/archivio/libro.asp?ID=444) dedicata ai “giornalini” dei centri diurni.

 

“Giallo di sera” il giornale di Centri Socio-Educativi del comune di Milano

a cura di Nicola Rabbi

Intervista ad Alberto Dubini, direttore del Centro Diurno Barabino e a Federica Persico e Patrizia Allegri, educatrici e redattrici

Come nasce Giallo di Sera?
Patrizia:
“Giallo di sera” nasce nell’aprile del 1985 come attività di laboratorio di un centro territoriale riabilitativo (come allora venivano chiamati questi centri), subito dopo è stato coinvolto un altro centro. Nell’86 l’esperienza redazionale è stata aperta a tutti i centri di Milano, alcuni hanno aderito e il giornale è decollato.
E’ nato come un giornalino di 56 pagine in formato A4, ciclostilato, fatto in parte all’interno del centro e in parte da uno sponsor; usciva in 5mila copie e veniva spedito in tutta Italia.
Intorno agli anni ’90 l’educatore che si era occupato di questo progetto cambia lavoro e lascia nelle nostre mani questa iniziativa.
Con il tempo sono aumentati i centri che hanno aderito alla redazione del giornalino e abbiamo cambiato anche formato passando all’A3 che ha più la forma di un giornale.

Qual è il vostro progetto editoriale oggi?
Federica:
Attualmente “Giallo di sera” coinvolge nel lavoro 14 centri di cui 6 gestiti direttamente dal comune di Milano e altri 8 convenzionati con il privato sociale. Il giornale, per cui lavorano 80 ragazzi, esce 4 volte all’anno e viene stampato in 1500 copie; mediamente di queste 100 copie vengono spedite in tutta Italia.
Le attività per gestire “Giallo di sera” si possono suddividere in due parti; come redazione centrale, infatti, da un lato dobbiamo coordinare questi 14 centri e dall’altro dobbiamo lavorare anche con i ragazzi del nostro centro.
Come redazione centrale in corrispondenza dell’uscita di ogni numero organizziamo un’assemblea di redazione dove partecipano tutti i centri coinvolti, sia gli operatori che gli utenti. Ogni centro porta il proprio articolo e ogni ragazzo legge la parte che ha scritto. L’assemblea ha un valore più educativo che operativo per la costruzione del giornalino, dato che è importante per i ragazzi leggere quello che hanno scritto. In questo momento, visto il numero delle persone coinvolte, non si riesce ad organizzare più di tanto il contenuto del giornale.
Qui vengono comunque raccolti gli articoli e costruiamo il menabò. Abbiamo strutturato il giornale in diverse sezioni come la “cronaca interna”, dove sono raccolti gli articoli scritti all’interno dei centri e la “cronaca esterna” per tutti quegli interventi che riguardano realtà esterne; abbiamo anche uno spazio per le “interviste” e così via. Una volta pronto il menabò diamo tutto il materiale ad un operatore esterno pagato dal comune di Milano che lo impagina con il computer; infine lo si manda dallo stampatore.
Una volta stampato il giornalino arriva al nostro centro di via Barabino dove, coinvolgendo gli utenti anche di altri centri, viene fascicolato dai ragazzi e dagli operatori. “Giallo di sera” viene distribuito alla zona di appartenenza del nostro centro, agli utenti, in parte viene spedito e il resto viene consegnato alla Circoscrizione. Il giornale viene spedito per lo più ad altri centri diurni o a esperienze editoriali come la nostra che esistono in varie parti d’Italia. Le copie date alla Circoscrizione vengono poi distribuite nelle biblioteche, portate ai vigili urbani, alle associazioni, al servizio materno infantile e così via. A volte distribuiamo le copie direttamente ai passanti e ai negozianti.
Patrizia: Inizialmente il discorso della distribuzione è stato un discorso molto faticoso. Quando portavamo il giornale fuori dal centro ci guardavano in modo strano, la gente aveva un atteggiamento pietistico e dentro di sé pensava: “Poverini questi ragazzi cosa possiamo fare per loro, cosa possiamo offrire?”. Ma adesso non è più così, l’iniziativa è stata capita; anzi adesso se la distribuzione è in ritardo ci chiedono quando arriva il giornalino; si è infatti costruito un rapporto con la popolazione, con i negozianti principalmente e anche con gli uffici del comune: questo è un aspetto molto importante. La distribuzione è un momento molto gratificante per il ragazzo, perché le persone li fermano per strada e chiede loro qual è la pagina che hanno scritto, di cosa hanno parlato e così via.

Come viene scritto il giornale, come gli utenti vi collaborano?
Federica:
E’ nell’incontro di redazione il luogo dove tutti esprimono un’idea a proposito dell’articolo da fare; programmiamo spesso delle interviste a persone esterne come i vigili del fuoco, i negozianti, i semplici passanti… Inizialmente il primo contatto con queste realtà è telefonico, li avvisiamo prima e il più delle volte veniamo ben accolti.
Un altro momento fondamentale è quello della rielaborazione; qui i ragazzi scrivono quello che hanno vissuto. E’ un momento molto delicato che dipende dalle capacità dei singoli ragazzi; noi dobbiamo mettere insieme tutte queste situazioni, rielaborarle e far si che ne esca un articolo che rappresenti bene i ragazzi, dato che si capisce benissimo se un articolo viene aggiustato da un operatore. Poi i ragazzi sono bravissimi a trovare nuove parole, ad esempio lo stesso nome del giornale deriva da un lapsus di un ragazzo che invece di dire il noto proverbio “Rosso di sera bel tempo si spera”, ha detto “Giallo di sera bel tempo si spera”.

Qual è il significato di un giornale come questo? E’ più uno strumento interno indirizzato all’utenza o ha anche una sua funzione verso l’esterno, come momento in cui i centri socio-educativi si raccontano?
Alberto:
Tutto viene fatto in funzione di una migliore condizione di vita sociale degli utenti; questo è un lavoro altamente socializzante, dato che è un lavoro di gruppo in cui il disabile partecipa alla redazione, all’impaginazione, alla diffusione del giornale. Quando i ragazzi escono con gli educatori per loro è una gioia perché viene riconosciuto il loro lavoro, si sentono riconosciuti attraverso un manufatto che loro hanno fatto.
Ma attraverso questa iniziativa si fa anche conoscere il lavoro dei centri socio-educativi agli altri; questo serve alle persone per rendersi conto che anche un disabile può essere un giornalista. La prima volta che ho portato a casa mia un numero di “Giallo di sera”, i miei figli hanno detto: “Ah fanno anche un giornalino”, questa constatazione a me è servita per capire l’importanza di questo prodotto editoriale. In questo modo la gente si rende conto di ciò che un disabile può fare e comunicare.
Patrizia: Per me ha un grande valore di comunicazione esterna; la disabilità non viene vista come qualcosa di chiuso o una realtà difficile da affrontare ma viene vista quasi come una sorta di normalità. Questo giornale serve anche a far arrivare all’esterno le attività dei centri dato che questi articoli parlano di noi, di quello che facciamo. Addirittura da qualche anno nell’ultima pagina del giornale c’e’ un piccolo spazio dove il nostro direttore scrive un articolo su una serie di realtà che il comune di Milano promuove, vengono date delle notizie insomma.
Alberto: Nel giornale si è anche pensato di creare uno spazio, riservato alla direzione centrale, dove si parla di tutte quelle iniziative che il Comune fa per i centri per i disabili. In questo modo i servizi possono comunicare con le famiglie dei disabili e anche con le altre realtà territoriali.

Come il privato sociale partecipa alla costruzione del giornale?
Patrizia
: La maggior parte dei centri partecipanti sono gestiti da cooperative che lavorano in convenzione con il Comune.
Alberto: Il privato sociale è contento di questo iniziativa che è sostenuta economicamente dal Comune, solo per la tipografia spendiamo 6.816 Euro all’anno, poi ci sono le altre spese di spedizione; noi al privato sociale non chiediamo nulla, è un servizio che il Comune offre al privato sociale.

Per il futuro intendete fare dei cambiamenti al progetto editoriale?
Federica:
“Giallo di sera” è una iniziativa sempre in movimento; la novità di quest’anno è stata l’aggiunta di due pagine (che sono passate da 12 a 14) per permettere ad altri centri di partecipare con materiale da pubblicare. Intendiamo allargare sempre più la redazione. Vogliamo fare anche degli speciali con una tiratura limitata (e fotocopiata da noi): quest’anno ne abbiamo già fatti due, uno dedicato alle attività svolte sui computer fatte all’interno del nostro centro e uno dedicato al torneo di calcio.

Per informazioni
Centro Diurno Disabili Barabino
via Barabino 4, Milano
tel. 02/539.53.60
 

Vostromondo.it, Internet e disabilità

www.vostromondo.it è probabilmente il primo sito in Italia per giovani con disabilità intellettiva. “L’idea ci è venuta in occasione dell’Anno del disabile 2003”, dice Ferruccio Frigerio, esperto informatico e presidente dell’associazione “Servizi di Volontariato per il Sostegno Sociale” (SVSS). Dopo 30 anni di lavoro all’IBM, con altri ex colleghi ha messo in comune le competenze professionali acquisite sul campo, realizzando un progetto per aiutare i giovani con difficoltà psichiche a socializzare.
“Leggendo un giornale avevamo saputo che esisteva un’esperienza simile in Francia: la Fondazione Jérôme Lejeune aveva creato il sito www.planete21.net (il nome richiama la “trisomia 21”)”, dice Frigerio. “All’inizio pensavamo di tradurre in italiano i contenuti del sito francese, ma quando siamo andati a Parigi a parlare con i responsabili, abbiamo deciso diversamente”. Il loro sito ha solo 4 o 5 anni, ma la grafica risulta già un po’ superata, “Così ci siamo messi a inventarne uno noi”.

Il sito
I giovani che decidono di navigare nel nuovo sito si trovano ad affrontare un viaggio virtuale accompagnati da “Pongo”, la simpatica mascotte che invita a prendere il treno per uscire dalla città grigia (simbolo della malattia mentale) per entrare nella valle verde di www.vostromondo.it, lasciandosi alle spalle una galleria che rappresenta il buio della mente. Il viaggiatore che può entrare e utilizzare il sito senza ostacoli, grazie anche all’accessibilità certificata, può scegliere a quale delle otto stazioni fermarsi: scuola/amici, tempo libero, cinema, teatro, tv, libri, lavoro, eventi, viaggi e sport.
“Scopo del sito – dice ancora Frigerio – è quello di mettere in comunicazione tra loro i giovani, farli divertire attraverso giochi psico-pedagogici adatti a loro e informarli su fatti di attualità”. Ogni stazione è affidata a un volontario dell’associazione SVSS, che si preoccupa di tenerla aggiornata con foto e brevi articoli in un linguaggio semplice. “Io per esempio – dice Frigerio – che sono un appassionato di montagna e di pesca, mi occupo della rubrica dedicata allo sport”.
A ogni stazione, Pongo annuncia la fermata. Il giovane viaggiatore può scegliere se giocare o leggere una notizia, ma anche decidere di inviare foto digitali o di partecipare a un forum. “Ai giovani piace molto scriversi – assicura il presidente dell’associazione – i messaggi sono tutti filtrati e mandati on line 24 ore dopo per evitare comunicazioni inadatte”.
In Italia esistono molti siti sulla disabilità, continua Frigerio, ma sono di servizio, informano su leggi, regolamenti, indicazioni per richiedere contributi… di conseguenza interessano soprattutto i genitori. I destinatari quindi non sono i giovani. Anche per l’associazione è importante raggiungere la famiglia, ma per aiutare i figli a navigare e scoprire un mondo nuovo.
Il nuovo sito italiano www.vostromondo.it vuole dunque essere una risposta all’isolamento che tanti disabili rischiano di provare, quando si ritrovano chiusi tra le mura domestiche. Comunicare con gli amici e conoscere cose nuove diventa per loro un’esigenza vitale. “Munirsi di un computer oggi non è un problema per questo esistono sussidi, il vero ostacolo è la mentalità, e a tal proposito in Italia siamo molto indietro rispetto alla Francia”.
Per questo sito sono stati messi a punto degli accorgimenti per facilitare la comunicazione. La visione dei siti esterni è avvenuta con criteri rigorosi e semplicità compatibile con le problematiche degli utenti.

Operare insieme: sinergia tra privato, pubblico e ricerca
I giovani con disabilità mentali spesso frequentano Centri Diurni, ma soltanto durante il giorno; per il resto del tempo sono a casa, come pure nei weekend. Il problema di questi giovani, allora, è trovare qualcosa da fare quando sono in famiglia. “Questo disagio – racconta Frigerio – è stato ben espresso da un disabile che per descrivere tutti i giorni della settimana aveva disegnato una serie di casette bianche ma, quando è arrivato il sabato e la domenica, ha colorato le casette di nero”.
L’azione di SVSS è proseguita ulteriormente, arrivando fino ad una collaborazione stabile con il Centro Diurno per Disabili Barabino del comune di Milano, presso il quale è stata allestita un’aula informatica che favorisse l’accesso ai servizi del sito.
Si è reso necessario l’allestimento di una sala ausili, che hanno comportato notevoli investimenti in termini di risorse umane e finanziarie. Agli investimenti di SVSS, che ha sostenuto completamente l’allestimento della sala, si sono affiancati gli interventi di società e aziende del settore quali: Software Factory (www.sofwarefactory.it) per il finanziamento dello sviluppo del sito internet, Andyvision (www.andyvision.it) per la realizzazione tecnica del sito internet, Atelier 51 (www.atelier51.it) per l’ideazione e la realizzazione grafica.
Il sito è stato progettato in maniera tale di superare gli standard previsti per l’accessibilità. A tal fine sono stati individuati dei software applicativi specifici per facilitare l’apprendimento e la riabilitazione. Si fa riferimento per esempio a prodotti che offrono un catalogo di immagini e significati, che possono essere assemblati in strisce di comunicazione simili a vignette, che raccontano il pensiero della persona. Completa la dotazione l’utilizzo di ausili quali la tastiera facilitata con diverse opzioni di utilizzo, mouse e trackBall, sensori, comunicatore simbolico e la possibilità di effettuare comandi toccando direttamente il monitor.
Tali ausili si sono dimostrati strumenti efficaci ma non sempre di facile uso.
Un altro aspetto consiste anche nell’attivare la formazione specialistica di tutti gli operatori coinvolti nel progetto. Grazie alla collaborazione con il dott. Guerreschi del Centro Ausili dell’Istituto di Ricovero e Cura Scientifico “ E. Medea”, ed alla Direzione Centrale dei Servizi Socio Sanitari del Comune di Milano, ora Settore Salute. E’ stata svolta una prima fase di formazione finalizzata all’apprendimento delle tecnologie avanzate per la gestione degli ausili informatici e del relativo approccio educativo.

L’esperienza
La collaborazione con i Servizi Socio Sanitari del comune di Milano è stata avviata da due anni attraverso una sperimentazione confluita in seguito in un progetto stabile al cui interno è collocata la sala informatica di cui si è riferito in precedenza.
La dottoressa Tina Lomascolo, psicologa del Centro Diurno per Disabili del Comune di Milano, supervisiona l’intervento, dalla valutazione dei soggetti alla realizzazione degli interventi. Coordina l’intervento garantendo i rapporti con le famiglie, con l’associazione S.V.S.S. e con l’Ente di formazione.
Il progetto si prefigge di ridurre l’isolamento sociale dei soggetti disabili e delle loro famiglie, attraverso la creazione di una rete di relazioni tra famiglie di soggetti con disabilità intellettive e relazionali, soggetti disabili e Servizi che si occupano di disabilità. Tale percorso è raggiunto utilizzando innovative tecnologie informatiche per interventi abilitativi-riabilitativi nell’area della comunicazione, della socializzazione e dell’apprendimento, attraverso una serie di proposte inerenti all’informazione, la comunicazione, il gioco.
L’intervento ha consentito all’equipe di operatori dei Centri Diurni Barabino, Gonzaga e Noale di Milano, insieme con un campione di 20 persone con ritardo intellettivo e compromissioni motorie di acquisire consapevolezza delle proprie esperienze/conoscenze e elaborarle in forma grafico-semantica i loro vissuti. Ricorrendo al computer, agli ausili e a specifici programmi che permettono di mantenere una modalità “sintattica”, che rispetta i vincoli temporo-spaziali e i nessi causali della comunicazione.
E’ chiaro che tutto questo lavoro è un esempio di come una metodologia di apprendimento delle nuove metodiche di lavoro informatiche può produrre un positivo impatto motivazionale, sia sugli utenti sia sulle famiglie.
Il sito www.vostromondo.it e la sala informatica diventano insieme un reale sostegno per lo svolgimento di attività educative nel Centro Diurno e per la gestione del tempo libero dei figli. Inoltre sia il sito, sia la sala si prefiggono di far ricorso ad ausili e strumenti informatici tecnologicamente avanzati allo scopo di limitare le conseguenze negative associate alla disabilità. Ed ecco che allora il sito, raggiungibile direttamente da un collegamento al desktop, è in grado di coinvolgere le famiglie in percorsi anche informativi e di sostegno. Questo produce per i soggetti disabili seguiti nuove forme d’interazione positiva con l’ambiente e nuove forme di socializzazione, che favoriscono scelte autonome per raggiungere un comportamento d’interazione sociale più maturo e un livello più elevato di partecipazione sociale.

Partecipanti e modalità di lavoro
I soggetti di questo progetto sperimentale sono soggetti con ritardo mentale medio con accertata intenzionalità comunicativa, e compromissioni nell’area della comunicazione espressiva e dei processi di socializzazione. Fanno parte integrante dell’intervento anche le famiglie dei soggetti individuati; si è verificato che anch’esse possiedono una strumentazione informatica adeguata per un collegamento alla rete. In tale modo si è garantita la possibilità di promuovere e favorire processi di generalizzazione delle abilità acquisite.
Sono state attuate sessioni di lavoro quotidiano, con programmi abilitativi d’insegnamento individualizzato, da parte degli operatori dei Centri coinvolti. Gli educatori, grazie al significativo bagaglio professionale, sono riusciti in breve tempo ad applicare strategie d’insegnamento finalizzate all’apprendimento dell’uso corretto degli strumenti e ausili tecnologicamente avanzati. Attraverso l’applicazione di specifiche tecniche di intervento, tra cui prompt e dimostrazioni, con un fading graduale degli aiuti all’incremento delle abilità di risposta, questi operatori sono riusciti ad avvicinare al computer e a internet persone ai quali fino ad ora tali strumenti erano stati preclusi.
Gli interventi sono stati rigorosamente individualizzati in funzione delle caratteristiche intellettive, motorie e sensoriali del singolo utente. Ogni risultato è stato testato attraverso schede di verifica iniziale e finale.
Il sito consente l’utilizzo della posta attraverso un mediatore, come nelle liste di discussione dei forum, che permette alla persona disabile di trovare un interlocutore valido. Nel sito si possono poi trovare varie stazioni che corrispondono ai grandi temi dello sport, scuola, amicizia, libri, cinema, teatro, tv, viaggi e tempo libero. Ogni parte del sito è stata testata per l’accessibilità attraverso Bobby e W3C.

I risultati
L’apprendimento di strategie comunicative, basate prevalentemente su modalità grafico-simboliche di comunicazione, mediate dall’uso d’ausili e supporti tecnologici, hanno permesso ai soggetti seguiti la riduzione dell’isolamento dal contesto.
Gli indicatori dell’efficacia del programma d’intervento sono stati individuati nella frequenza di comunicazioni adeguate e funzionali tra: soggetti disabili, diversi contesti di vita degli stessi e servizi. Tale percorso è stato realizzato attraverso l’uso del sito e l’accesso alla sala.
A lungo termine si prevede un percorso che porti alla costruzione di un’identità personale e sociale “adulta”, con la possibilità da parte delle persone seguite di effettuare, comunicandole, scelte autonome, incrementando gradualmente l’indipendenza e la motivazione.
L’ausilio di strumenti tecnologici adeguati dovrebbe permettere inoltre il superamento dell’inibizione di competenza data dall’interazione (dipendenza) costante dai diversi operatori e caregiver.
Afferma la dottoressa Lomascolo: “Dopo due anni di sperimentazione possiamo confermare l’efficacia del progetto; vediamo realizzati nei nostri interventi notevoli progressi ed un’alta motivazione degli utenti seguiti. Grazie a adattamenti individualizzati consentiti dagli ausili hardware, diversi disabili riescono a utilizzare il computer e grazie alla formazione si è riusciti anche a adattare strumenti e programmi standard ad usi più specifici e abilitativi”.

Le famiglie
Un genitore ci racconta: “I parenti dei soggetti in carico ai servizi hanno visitato il Centro e la sala informatica, e soprattutto si sono resi conto di ciò che i loro figli riescono a fare”.
Dice ancora: “Tutti hanno iniziato utilizzando i giochi, lo scopo, infatti, è quello di imparare divertendosi, poi abbiamo puntato al percorso legato alle finalità che avevamo individuato nel nostro progetto: comunicare con gli altri, mettersi in contatto con i diversi servizi, scrivere e attendere che qualcuno risponda, ma c’è anche la possibilità di ascoltare musica e richiedere le canzoni preferite. Il sito oltre che per mio figlio è un grande aiuto anche per me genitore che ho trovato un appoggio in più”.
Possiamo fare un bilancio affermando che questa esperienza ha permesso d’intervenire fondamentalmente sull’aspetto motivazionale degli utenti, ma anche degli operatori aprendo nuove aree d’intervento. Le risorse offerte dalla collaborazione con i parenti degli utenti aggregati in associazioni è il vero motore innovativo del “fare”, creando sinergie e riducendo l’isolamento. Il poter coinvolgere operatori e ricercatori con questa esperienza “in service” fra diversi servizi ha consentito l’avvio di un confronto sull’operatività. Abbiamo constatato il decremento delle forme di aiuto da parte dell’operatore verso l’utenza, grazie ai progressi ottenuti dal supporto integrato e alla formazione.
Certo i problemi non mancano, partendo dalla mancanza di ricerca e materiale pubblicato per arrivare fino alla difficoltà di disporre di fondi per operare in un settore molto costoso. L’impegno e lo sforzo di aggiornamento richiesto al personale costituiscono una risorsa ma anche una sfida nel proseguire il cammino. Oggi tra le principali difficoltà c’è il bisogno di disporre di schede valutative legate al percorso dell’utente e il bisogno di un maggior rigore metodologico. La formazione per gli operatori, che deve essere propedeutica ad ogni progetto d’intervento, deve inoltre rivolgersi anche ai parenti degli utenti in maniera tale da poter esportare il lavoro anche nell’ambito familiare.
Quando abbiamo iniziato non ci aspettavamo di vedere dei progressi veloci, eravamo consapevoli che per attivare le abilità cognitive e di autonomia era necessario molto tempo. Per questo siamo rimasti sorpresi dal vedere come l’entusiasmo provato degli utenti a partecipare al progetto potesse tradursi in un motore per l’apprendimento in tempi più brevi.

Chi vuole confrontarsi con questa esperienza può contattarci, magari scrivendo al sito ,www.vostromondo.it per poter beneficiare di tutta l’esperienza acquisita.

Per contatti
modesto.prosperi@fastwebnet.it

(*) L’articolo è tratto da "QUID – Quadrimestrale di Informatica e Disabilità", n. 2, Casa Editrice Spaggairi, Parma, 2006
 

“Intrusi? No, semplicemente fuori posto”

di Nicola Rabbi

Nell’ultima edizione il Festival è stato vinto dalla campagna pubblicitaria ideata da Simone Mignoni e diretta da Mirko Locatelli. Sul web è possibile trovare i tre spot in questione.
Nel primo si vede un’orchestra dove dei musicisti sorridenti iniziano ad accordare gli strumenti; la macchina da presa passa infine sul direttore che, mentre si appresta a dirigere, si blocca stupito guardando intensamente un punto davanti a sé. Ora la macchina da presa inquadra due persone (una disabile e l’altra no) vestite da cuoco e chiaramente fuori posto. Una voce fuori campo comincia a dire “Intrusi? No semplicemente fuori posto, le capacità di un lavoratore non dipendono dalla sua disabilità, nel posto giusto tutti siamo abili al lavoro. Il lavoro è un diritto, per tutti”. A metà del testo la scena attorno ai due cuochi scompare e si trasforma in un’accogliente cucina da ristorante.
Nel secondo spot l’ambientazione riprende quello della cucina da ristorante solo che qui le persone fuori posto sono due professionisti in giacca e cravatta muniti di carte e computer: due persone normodotate ma che vengono percepiti e si sentono come inadatti, non abili al luogo in cui si trovano. Anche qui la scena cambia e si ritrovano in un ufficio consono a loro.
Nell’ultimo video, come in un gioco circolare, sono due musicisti (di cui una ragazza non vedente) a ritrovarsi fuori posto nell’ufficio in cui lavorano dei sorridenti professionisti; alla fine anche loro si ritroveranno al loro posto, nell’orchestra che avevamo già visto nel video iniziale.
 

Ledha Sport: un concorso di sceneggiatura per sport sociali

a cura di Nicola Rabbi

Intervista a Mirko Locatelli, regista, direttore artistico della mediateca Ledha di Milano

In che contesto nasce il Ledhaspot festival?
Il Ledha Spot Festival è stata un’iniziativa che la Mediateca Ledha ha pensato per coinvolgere i giovani nella realizzazione di una campagna di comunicazione che sensibilizzasse sul tema dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Lo scopo era coinvolgere i giovani per ragionare su questo tema e aprire questo confronto anche con chi era semplicemente interessato alla comunicazione e di handicap sapeva poco.
Da quando collaboro con Ledha come direttore artistico della Mediateca il mio obbiettivo è appunto quello di avvicinare le persone al mondo dell’handicap utilizzando la grande forza comunicativa delle arti visive, in questo modo attraverso film, documentari, spot, si possono veicolare una serie di temi e argomenti che altrimenti molte persone non affronterebbero mai.

Quali sono le tue esperienze come regista e perché ti sei dedicato al tema della disabilità?
Ho iniziato a occuparmi di cinema sette anni fa, quando con mia moglie, Giuditta Tarantelli, ho fondato la casa di produzione Officina Film.
Abbiamo iniziato con piccole produzioni finché, nel 2004, è arrivato il primo film, “Come prima”, un mediometraggio di 60 minuti che racconta il ritorno a casa di un adolescente che in seguito a un incidente in motorino diventa tetraplegico.
L’anno dopo abbiamo prodotto “Crisalidi”, un documentario che mette a confronto un gruppo di giovani, disabili e non, su temi inerenti l’adolescenza, la visione di sé e degli altri, l’importanza del corpo.
Sono partito da questi film perché, essendo anch’io tetraplegico, l’argomento che stavo trattando lo conoscevo bene. Penso che sia una prerogativa del mio lavoro conoscere ciò di cui si decide di parlare, altrimenti si rischia di rimanere in superficie.

Che cos’e’ il Ledha spot festival e come e’ strutturato?
E’ un concorso la cui formula è semplice: i partecipanti dovevano avere meno di 30 anni e inventare la sceneggiatura di 3 spot che sensibilizzassero sul tema dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, tutto qui. La giuria ha poi scelto la campagna migliore e abbiamo realizzato i tre spot del vincitore.

Come e’ andata la prima edizione?
Alla prima edizione sono arrivati una cinquantina di progetti. Abbiamo premiato Simone Mignoni, uno studente universitario di 22 anni, che ha scritto tre spot molto simpatici capaci di comunicare efficacemente un messaggio inclusivo sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.
Non svelerò altro poiché gli spot sono visibili sul sito www.youtube.com/mediatecaledha

Come mai l’uso del linguaggio pubblicitario e in particolare dello spot video per parlare di disabilità?
L’obiettivo della Mediateca Ledha è quello di diffondere una serie di iniziative legate alla comunicazione volte a promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità; lo spot pubblicitario ci sembrava uno dei mezzi più efficaci e diretti per il target al quale era rivolta l’iniziativa.

Che progetti avete per il futuro?
Per il 2009 stiamo pensando ad un’iniziativa che coinvolga i giovani nelle scuole e non solo per festeggiare i 30 anni della Ledha, ci occuperemo di diritti utilizzando il linguaggio del cinema e della letteratura.

In base alla tua conoscenza come la pubblicità ha trattato il tema della disabilità fino ad oggi?
La pubblicità agisce solitamente su tre fronti: esistono gli spot che fanno leva sul sentimento della pietà, che solitamente servono a chiedere donazioni, pensiamo ai primi piani sui bambini africani o alle mani che si stringono con una voce rassicurante che ci parla sulle immagini al rallenty; poi ci sono quelli con contenuto provocatorio che hanno l’obiettivo di far parlare di sé, e spesso suscitano polemiche, ma questo capita poco in Italia, a parte l’ultima provocazione di Oliviero Toscani che comunque non era proprio una campagna per il sociale; poi ci sono quelli che sdrammatizzano e ti lanciano un messaggio facendoti sorridere, a mio parere i migliori, anche se non sempre adatti per raggiungere determinati obiettivi.

Per informazioni
Tel. 02/657.04.25
www.ledhaspotfestival.it
www.officinafilm.com

 

Un documentario per cambiare i pregiudizi

di Anna Contardi, assistente sociale, coordinatrice dell’Associazione Italiana Persone Down di Roma

“Le chiavi in tasca” è il primo filmato che abbiamo prodotto nel 1985. Molta gente non conosce le persone con la sindrome di down e parlare di loro senza farli parlare direttamente ci sembrava una cosa che non riuscisse a comunicare in modo adeguato chi fossero le persone down e anche la loro diversità e la loro molteplicità. Per cui partimmo all’inizio casualmente con un regista (Roberto Capanna) che collaborava con noi. Iniziammo con un film in cui volutamente non parlano mai gli esperti; in quel film parlavano molto le famiglie e molto le persone down stesse. Il tema del film era chi fossero le persone down, in tutte le loro fasce di età, partendo dalla comunicazione della diagnosi fino agli adulti che lavoravano.
L’informazione è una delle linee guida della nostra associazione – l’Associazione Italiana Persone Down -, per questo abbiamo fatto una serie di documentari. I più recenti e significativi sono “Ragazzi in gamba” che è dell’86, un documentario che era nato per aiutare le persone ad essere autonome e aveva espressamente uno scopo didattico.

L’affettività per le persone down
Ma la sfida più alta sul documentario è stata “A proposito di sentimenti”, un film girato da Daniele Segre a cui proponemmo di fare un’opera sull’amore dato che ci sembrava che valesse la pena di far conoscere questo argomento. Abbiamo avuto la fortuna di vendere il soggetto alla RAI e questo ci ha permesso di avere i finanziamenti necessari. Il film prendeva spunto da alcune storie di coppie che decisero di raccontare la loro esperienza. Presentammo il film al festival di Venezia che entrò quindi in un circuito normale, non speciale. Il film è passato anche su Rai 3 in seconda serata ed è circolato all’estero sottotitolato, approdando infine in un festival di film d’amore a Parigi. In Italia è stato utilizzato con le famiglie o con un pubblico normale come momento di riflessione sui sentimenti, sulla molteplicità dei caratteri delle persone down: lo usiamo anche in attività di formazione per operatori e anche con gli studenti nelle scuole superiori.
Non si tratta di una fiction; il film è girato con una tecnica da film e non tanto con quella del documentario classico. Abbiamo costruito infatti un set dove la gente si raccontava e le loro storie venivano intervallate da immagini quotidiane; la struttura è dunque filmica, però è un film verità.
In questo caso il soggetto del film è stato scritto direttamente da me. Abbiamo scelto i temi che volevamo affrontare, ovvero cosa vuol dire essere fidanzati per due persone down, il tema della sessualità, della gelosia… poi il film è stato realizzato con un lavoro di squadra. La tecnica che abbiamo adottato consisteva nel far partire la conversazione con i ragazzi; ponevamo loro alcune domande poi lasciavamo che i discorsi cominciassero a svilupparsi senza interruzioni da parte nostra.

Far “vedere” l’autonomia e il lavoro
Abbiamo fatto un film dedicato ai temi del lavoro “Lavoratori in corso” con un altro regista -Cristian Angeli – lo stesso che aveva curato “Ragazzi in gamba”, il nostro secondo film.
“Lavoratori in corso” ha una struttura più classica dato che è un film ad episodi, dove alcune persone down lavorano o stanno cercando un lavoro.
Con Segre abbiamo fatto il nostro ultimo film nel 2006 che è “Futuro presente” che tratta i temi dell’autonomia e dell’uscita dalla casa dei genitori; abbiamo raccontato la storia di persone down di età differenti, dall’adolescenza all’età adulta. Il filmato è stato montato seguendo cronologicamente una normale giornata a Roma, dalla mattina alla sera, in cui incontriamo tante persone down che fanno cose diverse. L’idea delle storie è mia, il montaggio è opera di Segre. Abbiamo prima documentato tutto quello che volevamo raccontare e poi abbiamo trovato un filo logico che potesse aiutare lo spettatore nella comprensione dei temi.
Come associazione usiamo molto il video amatoriale ma per questi documentari ci affidiamo a mezzi più professionali visto che sono rivolti ad un pubblico più ampio e cerchiamo di trasmetterli in televisione. Noi usiamo comunque molto l’immagine anche per il lavoro interno dell’associazione, per lavorare con i ragazzi, con le famiglie, con gli educatori.
Tutti i protagonisti dei nostri film erano molto consapevoli di quello che stavano facendo dato non c’era una telecamera nascosta, i patti erano chiari; nella lavorazione tutte le volte che qualche persona down ha manifestato dei disagi, quelle parti sono state eliminate. Per alcune persone il film è stata un’occasione di riflessione, come è il caso del film “A proposito di sentimenti”. Abbiamo coinvolto anche protagonisti differenti per ogni film.
L’effetto che questi video hanno avuto sul pubblico non so valutarlo, forse lo possiamo misurare nel ritorno avuto sui mass media in certe occasioni come a Venezia. Questi film però sono utili a cambiare una certa mentalità ma l’effetto più importante di cambiamento è causato dall’incontro diretto.
Prossimamente vorremmo fare un film sulla scuola ma non sappiamo quando, non abbiamo ancora un finanziatore, queste cose costano, dato che per un film professionale occorrono circa 50 mila euro.

Tv, film e disabilità
Fino a 20 anni fa si parlava in televisione di persone con handicap intellettivo soltanto per fatti di cronaca negativi o in termini pietistici e questo è il motivo per cui ci siamo messi a raccontare in un altro modo la disabilità. Ma in questi ultimi anni ci sono stati dei cambiamenti, le persone con la sindrome di down sono “passati” in televisione in modo diverso; cominciamo a vederli nei film di fiction, la prima volta in “Johnny Stecchino” che è del 1991, poi c’è stato “L’Ottavo giorno”, che ha avuto la Palma d’oro a Cannes nel 1996 e altri ancora (ricordo “Ti voglio bene Eugenio”); di tutti questi il più geniale è “Johnny Stecchino” dove il disabile diventa un personaggio fra tanti altri. Negli ultimi anni questo cambiamento è avvenuto anche nei telefilm nostrani. Questo tipo di presenze di disabili nei film sono molto positive perché cominciano a far vedere che le persone down sono persone come le altre.
Per quanto riguarda l’informazione ci sono state esperienze interessanti come “Racconti di vita”, sono però esperienze di nicchia. Sull’intrattenimento televisivo, ci sarebbe molto da dire, sto pensando ai talk show, alle trasmissioni di Maurizio Costanzo, ad “Amici”, alle “Iene”… da una parte è utile il fatto che i disabili “entrino” anche li ma il problema è quello di non sostituire vecchi stereotipi con nuovi. Ad esempio Maurizio Costanzo Show è una trasmissione che tende a creare nuovi stereotipi; altre trasmissioni tipo “C’è posta per te” corrono il rischio invece della caricatura. Se una persona down viene ridicolizzata in una trasmissione il rischio è che questa immagine venga trasferita a chi vede questa trasmissione. Perché questo non accada i curatori dei programmi devono imparare a trattare gli adulti da adulti, a non avere atteggiamenti infantilizzanti e così via.
L’esperienza dell’”Iene” invece è stata buona e ha affrontato il problema in modo corretto.

Associazione Italiana Persone Down (Aipd)
tel. 06/372.39.09
aipd@aipd.it
www.aipd.it

I film che hanno vinto l’edizione 2007 di Cinem/abili

di Luca Giommi

“Il sesto rigo”
“Suonare per me è… classica. Classica perché ci vuole più… musica… più cultura, diciamo”. Che ne condividiate o meno il giudizio musicale, la frase di Pietro, violino dell’Orchestra Esagramma di Milano (tel. 02/392.50.91) , allo stesso tempo ricorda una verità e racconta in parte la sfida sottesa al progetto di questa orchestra aperta a musicisti disabili: se la disabilità e gli handicap sono (anche) un fatto culturale, perché non affrontarli anche con la cultura?
Cultura intesa come uno spazio libero, di creazione e/o esecuzione ed espressione, in cui le differenti capacità possano dispiegarsi, evidenziarsi e, nello stesso momento, annullarsi, retrocedere dietro il risultato artistico di un lavoro collettivo che si può comunicare, cioè rendere pubblico.
Un progetto che, approfondendo le inclinazioni e le competenze tecniche degli allievi, produce cultura musicale e insieme tenta di agire sulla cultura personale e generale.
Il documentario “Il sesto rigo” di Raffaella Pusceddu racconta l’esperienza dell’orchestra sinfonica Esagramma, il cui nome allude al rigo in più, il sesto appunto, creato dagli elementi disabili dell’orchestra stessa. Lo fa avvicinando, con stile da documentario televisivo, sette storie di altrettanti musicisti/e disabili e dei loro famigliari e alternando ad esse immagini delle prove d’orchestra e approfondimenti da parte della direttrice e di altri maestri di musica.
Ne esce un quadro in cui spesso l’impegno musicale richiede ai musicisti disabili l’acquisizione di ulteriori abilità, alcune delle quali verranno utilizzate anche nella loro vita quotidiana, come, ad esempio, quella di gestire le proprie emozioni nel momento di un confronto pubblico.
La regista è attenta a mantenersi in equilibrio tra il dato biografico e il dato musicale e di esperienza di lavoro collettiva. E’ infatti la scelta di questo momento di “socialità” così impegnativo e che necessita di piena collaborazione e fiducia reciproca, cioè quello di un’orchestra, il tratto più riconoscibile del progetto musicale, come spiega uno dei maestri di musica in esso coinvolti: “Dove c’è più profondità, più spessore, c’è più spazio per i pensieri e per le emozioni”.
E la “musicalità” realizzata dall’orchestra diviene, in quanto processo e prodotto culturale, un’occasione di visibilità, di proposta pubblica di un’opera e di se stessi.

“Zio c’e’!”
“Zio c’è!”, cortometraggio di Andrea Castoldi, racconta in modo sobrio e ironico il passaggio da un “prima” ad un “dopo” all’interno di un ospizio.
Qui ogni giorno si svolge uguale all’altro, ostaggio della regolarità, dell’abitudinarietà dei gesti degli anziani ospiti, delle quali nessuno, all’interno della clinica, si prende cura, se non per definirne inequivocabilmente la natura bizzarra. Eccelle in questo atteggiamento il direttore dell’ospizio, la cui scarsa premura ed umanità professionale si riflettono, così ci suggerisce il regista, in un rapporto sentimentale arido, fiacco e ordinario; come la vita dei pazienti (e di chi li ha in cura) all’interno della clinica.
Il parallelo tra la vicenda privata e quella lavorativa del direttore continuerà, puntualmente, per tutta la durata della storia, fino all’auspicabile happy ending.
Le “regolari” bizzarrie degli ospiti della clinica vengono utilizzate dal direttore per autoassolversi agli occhi del nuovo arrivato, al quale presenta alcuni anziani nel suo primo giorno di lavoro. Come dire che, di fronte a tanta senile ottusità, il compito di chi lavora in quel posto non può essere che di natura assistenziale, medica e non può che risolversi nella gestione, nell’amministrazione dell’esistente, senza aspirare a possibili evoluzioni.
Basterà invece la passione del giovane neo-assunto (un infermiere? un assistente di base?) a determinare dei cambiamenti piccoli ma sensibili.
In fondo egli non fa che assecondare le inclinazioni, le aspettative e i desideri dei pazienti, così da riuscire, insieme a loro, a portarli a compimento, cambiarli un po’ di segno, renderli passibili di variazioni. Il giovane riesce a creare le condizioni ambientali, contestuali per una realizzazione più piena delle potenzialità degli ospiti della clinica. E’ come se l’infermiere si ricordasse di “ricordare ai vecchi che hanno ancora molto da dirci”, risvegliando in loro un’attività creativa anestetizzata. Così il direttore dell’ospizio, assentatosi per un convegno geriatrico, al suo ritorno si trova di fronte a pazienti diversi ed incapace lì per lì di affrontare una realtà di certo più mobile e meno scontata.
A convincerlo definitivamente della bontà della nuova situazione e del nuovo approccio terapeutico, sarà il mazzo di margherite che uno degli ospiti anziani gli regalerà al posto delle solite erbacce che fino ad allora si ostinava a raccogliere, forse per dispetto o come forma di protesta silenziosa. All’apertura professionale del direttore corrisponderà la soluzione delle sue tensioni sentimentali, sancita dal dono di quello stesso mazzo di margherite alla sua fidanzata o moglie.
 

 

Il festival nazionale Cinem/abili di Genova

di Paolo Borio, esperto di cinema della cooperativa Zelig di Genova

Cinem/abili è un’iniziativa nata dal felice incontro e dalla fattiva collaborazione di alcune realtà genovesi. In particolare Co.Ser.Co., cooperativa sociale onlus che opera da tempo nel campo della disabilità (con varie diramazioni) e la cooperativa Zelig che cura l’attività del “Club amici del cinema” uno storico cineclub genovese che da anni lavora per diffondere e promuovere il cinema di qualità, facendosi promotore di Festival, iniziative varie, rassegne tematiche…
Spesso queste iniziative partono da temi che lo stesso cinema offre; rassegne su cinema ed handicap, ad esempio, avevano già avuto spazio sull’onda dell’uscita di film che offrivano appunto argomenti di riflessione, che potevano raccogliere interesse e la partecipazione di associazioni legate alla disabilità.

Breve storia del festival
Nell’anno 2004 poi è stato presentata una pubblicazione curata da Beppe Iannicelli nell’ambito delle iniziative CGS, dal titolo “Cinema ed Handicap – Schermi di solidarietà” dove sono stati raccolti vari interventi di esperti e dove è contenuta una guida ragionata sui film e le varie tipologie di handicap, corredata da una ricca filmografia e schede di titoli significativi ad opera di Paolo Borio.
Proprio da questi presupposti ed in occasione di contatti e partecipazioni a serate specifiche ha preso campo un progetto pensato da Paolo Caredda (direttore artistico di Cinem/abili e formatore di Isforcoop). L’incontro con la cooperativa Zelig, con il suo presidente Giancarlo Giraud, con Paolo Borio e con Gianfranco Caramella ha permesso poi di coordinare il progetto che in pochi mesi ha visto la definizione di un programma e il lancio del concorso. Grazie al contributo di regione Liguria ed altri sponsor è stato possibile realizzare la prima edizione di Cinem/abili, tenutasi a Genova dal 4 al 5 novembre del 2004 e che ha visto la partecipazione di molti video, alcuni di buona qualità e tutti comunque interessanti per registrare tendenze e idee.
Iniziative collaterali hanno permesso di dibattere alcuni temi legati alla disabilità con buona ricaduta sui mass media locali e con la partecipazione di alcune realtà liguri (Consulta regionale handicap, Fadivi e altre…)
La presenza al Festival poi di Stefano Rulli, uno dei più importanti sceneggiatori italiani, ha ancor più qualificato l’iniziativa ed ha permesso di attivare una collaborazione con lo stesso Rulli, sfociata poi qualche tempo dopo con la presentazione a Genova del suo film “Un silenzio particolare”, premiato dal David di Donatello ed incentrato sul suo rapporto di padre con il figlio disabile.
Alla proiezione del film hanno partecipato studenti ed insegnanti di Scienze della Formazione con una folta presenza di addetti ai lavori. La partecipazione di studenti delle scuole (che votano i video) e di alcuni ragazzi disabili, è un punto di forza di Cinem/abili che ha permesso di diffondere tra le nuove generazioni spunti ed idee d’integrazione e soprattutto di conoscenza del cosiddetto “ pianeta handicap”.
Il Festival (che comprende anche una giuria di qualità formata da critici ed operatori del settore) premia gli autori vincenti con una somma in denaro e questo può incentivare e stimolare la realizzazione di nuove produzioni; inoltre ai video selezionati viene data visibilità in serate speciali o in passaggi in sale cinematografiche del circuito genovese durante l’anno.

Una crescita costante
Le seguenti edizioni hanno visto una costante crescita del Festival; nel 2006 il numero di video in concorso è ancora aumentato e l’iniziativa collaterale è stata una rassegna specifica dedicata al regista Daniele Segre, autore indipendente particolarmente attento a tematiche sociali e a un cinema della realtà, che è stato presente alle proiezioni ed agli incontri con il pubblico. Interessante la collaborazione con il Progetto Equalsport che ha visto l’apertura di un settore del festival dedicato al tema “Sport come integrazione sociale”.
Nel 2007 la formula si è consolidata (aumentati gli sponsor e la rete dei contatti); ancora in crescita il numero dei partecipanti alcuni dei quali sono stati invitati alle proiezioni ed agli incontri tenutisi nella Sala della Biblioteca Berio di Genova dal 27 al 29 novembre. Appendice del Festival 2007 una serata di prossima realizzazione dedicata alla regista Alina Marazzi, autrice sensibile nell’affrontare tematiche riguardanti le donne, che ha assicurato la sua presenza all’iniziativa.
Da ricordare inoltre che tutti i video delle tre edizioni di Cinem/abili fanno parte di uno specifico archivio sui temi dell’handicap, organizzato presso la “Mediateca dello Spettacolo e della Comunicazione “ del Centro Civico di Ge-Sampierdarena e consultabile da chiunque voglia approfondire l’argomento. Il festival rappresenta di anno in anno una scommessa, un progetto che si spera utile, nell’aprire nuovi spazi, nuove opportunità alla cultura della disabilità, nonché un’occasione di costruire percorsi di comunicazione e integrazione, utilizzando le potenzialità del cinema e dell’immagine audiovisiva.

Il cinema per combattere i pregiudizi
Gli organizzatori dell’iniziativa sono infatti tutti appassionati di cinema ed in questo senso sono convinti che esso sia un linguaggio popolare ed artistico che ha contribuito (e può ancora contribuire ) a diffondere “raffigurazioni dell’handicap”, ad indagarne vari aspetti contrapponendosi via via ad una linea di rappresentazione edulcorata, con la disabilità confinante talvolta con il sentimentale ed il pietistico.
Era il 1962 quando John Cassavetes nel film “Gli esclusi”, apriva al cinema luoghi e situazioni mai indagate prima, alla ricerca di un cinema verità, che scuotesse le coscienze. Un’operazione nuova che affrontava un argomento che non era praticamente mai stato trattato dal cinema, con l’utilizzo come attori di autentici ragazzi disabili.
Da allora alcune cose sono cambiate, oggi parole come “barriere architettoniche”, “spazio disabili”,”integrazione”,”inclusione”…, sono entrate nel linguaggio comune ma ciò che è maggiormente mutato, al di là della giurisprudenza sull’argomento è forse l’atteggiamento e la rappresentazione sociale del disabile, non più visto come impossibilitato a compiere alcune azioni o diverso dai “sani”, ma come un cittadino dotato di diritti e di doveri come tutti, anzi assistito nelle circostanze ove la sua condizione non sia resa uguale. Occorre sempre ricordare però che sul piano pratico molte cose non sono ancora state raggiunte e spesso i disabili e i loro familiari devono intraprendere autentiche battaglie per vedere riconosciuti legittimi diritti.
Il lavoro di Cinem/abili è utile sicuramente nel dare risalto ad un cinema rigoroso, ospitando autentici autori militanti, con i loro linguaggi originali e lontani da stereotipi. Ma Cinem/abili offre soprattutto l’occasione di confrontarsi con la contemporaneità attraverso il concorso di video che rappresentano un significativo campione della produzione audiovisiva su queste tematiche, nonché un utile confronto sulle tendenze in atto.
Proprio questa forma di comunicazione ha forti potenzialità e rappresenta una tipologia espressiva autonoma, territorio di sperimentazioni di nuovi stili, nuove tecnologie, nuovi approcci comunicativi. Il video infine, come spazio dell’autoproduzione e dell’indipendenza, espressione della creatività giovanile, moda e fenomeno di tendenza e più in generale possibile spazio di libertà da schemi e condizionamenti produttivi. Dare spazio alle idee quindi, alle varie produzioni indipendenti, autoprodotte o facenti parte di progetti più ampi con la partecipazione di enti e associazioni, vuol dire (al di là di pregi e difetti ) creare un interessante laboratorio, vivo e rappresentativo, nonché realizzare come già accennato in precedenza, un utile archivio. Sono molte infatti le modalità di approccio a tematiche così complesse e queste necessitano di essere rappresentate con grande sensibilità.
I video in questi anni hanno offerto un ventaglio di proposte che testimoniano interesse, voglia di sperimentare e soprattutto capacità di interagire con i disabili che diventano protagonisti e “attivi comunicatori” con i propri corpi e con le proprie emozioni.

Per contatti
Co.Ser.Co
tel.: 010/247.18.28-24.71.82
e-mail: cinemabili@coserco.it
 

Introduzione

di Nicola Rabbi

Le associazioni, le cooperative sociali, i gruppi di volontariato (ma anche gli enti locali) sanno quanto sia importante, non solo fornire servizi efficienti alle persone disabili, ma anche promuovere una cultura diversa diffusa verso la popolazione in generale e non unicamente verso chi si trova a che fare con la disabilità. In particolare diventa importante dare una rappresentazione del disabile corretta, positiva, che sappia coniugare le potenzialità che chiunque può avere, in qualsiasi situazione (e il suo diritto ad una vita piena e felice) assieme ai limiti dolorosi che un deficit impone. Saper comunicare con queste modalità la situazione di una persona svantaggiata diventa dunque importante per modificare i pregiudizi e i luoghi comuni che continuano a pesare.
In questo numero monografico di Accaparlante abbiamo voluto raccontare come il privato sociale (associazione e cooperative sociali in primis) hanno investito una parte delle loro attività in azioni di comunicazione utilizzando strumenti diversi anche se la scelta dell’audiovideo, visto l’impatto che ha su una popolazione abituata all’immagine televisiva, ha una forte incidenza.
Abbiamo riportiamo esperienze diverse tra loro e realizzate in varie parti d’Italia. Dal concorso cinematografico “Cinemabili” proposto da realtà associative genovesi ai documentari dell’Associazione Italiana Persone Down (Aipd) di Roma passando per il festival dello spot di carattere pubblicitario organizzato dalla Ledha di Milano e per il Festival Internazionale delle Abilità Differenti di Carpi che coniuga teatro, musica, incontri e cinema. Ci siamo occupati anche di un’esperienza milanese di comunicazione via web dove, seppure la sua funzione sia molto rivolta verso gli utenti e quindi sia di carattere riabilitativo, per il fatto stesso di essere su internet la rende però pubblica. Sempre a Milano abbiamo riportato la pluriennale esperienza di “Giallo di sera”, il giornale dei Centri Socio-Educativi del comune di Milano. Infine il lavoro termina con un articolo di inquadramento teorico di cosa sia la comunicazione sociale del Terzo Settore.
 

Con immagini, suoni , parole

Come le associazioni e le cooperative sociali comunicano una nuova cultura sulla disabilità

Nicola Rabbi, giornalista specializzato in informazione sociale e nuove tecnologie della comunicazione, è direttore della testata giornalistica on line www.bandieragialla.it; lavora da vent’anni al Centro Documentazione Handicap: troppo tempo?

E’ tempo di bilanci

Di Giovanni Preiti

Siamo ormai vicini alle tanto attese e discusse Olimpiadi di Pechino, anzi, quando leggerete questo articolo probabilmente saranno già finite. Voglio comunque fare un bilancio di quello che è accaduto fino a oggi, negli ultimi anni nel mondo dello sport disabili. Visto che ogni Olimpiade segna una tappa nel cammino dello sport. Partiamo proprio da una questione puramente economica, ma piuttosto significativa: è notizia di questi giorni che il CONI ha stabilito maggiori incentivi economici per gli atleti italiani che parteciperanno alle ormai prossime Olimpiadi di Beijing 2008. Il CONI ha infatti comunicato l’ammontare dei premi in denaro che spetteranno ai medagliati di ritorno dalla Cina. Tutte le medaglie vedono crescere il loro valore: chi si aggiudicherà l’oro verrà ricompensato con 140mila euro, a differenza dei 130mila che andavano finora per la più prestigiosa delle medaglie. L’argento passa da 60 a 75mila euro, il bronzo da 40 a 50mila. L’incremento vale anche per la Paralimpiadi, i Giochi olimpici per gli atleti disabili. Qui l’oro è premiato con 75mila euro, contro i precedenti 70mila. L’argento passa da 35 a 40mila, il bronzo da 20 a 25mila. Forse dovrei essere contento dell’aumento dei premi per i nostri atleti paralimpici, però vedere che il premio agli innumerevoli sforzi di un atleta disabile, spesso maggiori che per i normodotati, venga ricompensato con la metà del premio, mi delude molto. Passiamo ad altro; in queste ore Oscar Pistorius atleta bi-amputato che corre con due protesi, del quale si è parlato anche troppo, ottenuta dalla IAAF (International Association of Athletics Federations) la possibilità di gareggiare e quindi confrontarsi con gli atleti normodotati, non è ancora riuscito a fare il tempo minimo per qualificarsi e forse non potrà partecipare comunque! È stata quindi tutta una questione di immagine, di marketing, magari per trattare più questo argomento, piuttosto che tutte le questioni negative nell’organizzazione di queste Olimpiadi, e del Governo Cinese che le ospita. Francamente spero che in fondo il motivo scatenante sia il desiderio di un ragazzo di realizzare un sogno. Anche una ragazza di cui si parla poco, ma meritevole di citazione, probabilmente realizzerà il suo sogno: la nuotatrice sudafricana Natalie Du Toit, che si era già qualificata per le Olimpiadi nel Nuoto di Fondo, potrebbe entrare nella storia dopo essere stata convocata nella squadra per le Paralimpiadi partecipando a entrambi gli eventi. La Du Toit, che ha perso la parte inferiore della gamba sinistra in un incidente stradale nel 2001, era giunta quarta nella gara di qualificazione olimpica dello scorso mese; la nuotatrice sudafricana, a differenza dello sprinter Oscar Pistorius, non utilizza protesi per gareggiare. Natalie Du Toit ha vinto, nella scorsa edizione delle Paralimpiadi, quattro medaglie d’Oro nel Nuoto. Un grande desiderio per me sarebbe che le Paralimpiadi abbiano una copertura televisiva adeguata, e questo sarà facilmente verificabile da tutti, quindi è inutile che azzardi delle ipotesi. Un desiderio di molti sarebbe quello di avere una unica Olimpiade che veda il disputarsi di tutte le gare, e confesso anche il mio; perché lo sport è uno solo, unica la fiamma che ci unisce. Notizia di questi giorni, di un grande significato politico: alla vigilia del più importante evento sportivo (le Olimpiadi), al termine del quale, tutte le cariche sportive italiane verranno rimesse, con nuove elezioni per i vari incarichi è che il CONI ha determinato l’inserimento nel nuovo Regolamento sulla sua Organizzazione Territoriale della presenza nell’ambito della Giunta Provinciale e Regionale rispettivamente del Presidente Provinciale e Regionale del CIP. Inoltre, nell’ambito del Progetto CONI-Scuola e rapporti MPI, è stata ottenuta l’equiparazione del CIP al CONI, relativamente agli operatori legittimati (Educatori Sportivi, ISEF, SM, CIP), ai contenuti del relativo Protocollo d’Intesa con il Ministero della Pubblica Istruzione e alla specifica azione formativa; di fatto rendendo legittimo il ruolo dello sport disabili al fianco dell’intero movimento sportivo italiano.

Mostruosamente… meravigliosi

Di Stefano Toschi

Recentemente è apparsa sui giornali la notizia di due bambine indiane nate con caratteristiche fisiche a dir poco particolari. La prima è dotata di quattro braccia e quattro gambe, la seconda di due facce. Trattasi, con ogni probabilità, di due casi di gemelli siamesi, che non si sono correttamente separati durante la gestazione. Le bambine sono nate in India, la cui religione dominante, quella induista, è ricca di rappresentazioni di divinità a più braccia, o a più teste, come appunto sono raffigurate le divinità della triade Trimurti (Brahma, Shiva, Vishnu). Pertanto, queste creature sono state considerate dei veri e propri prodigi della natura, di origine divina, da mostrare alla venerazione del popolo. Alcuni giornali le hanno paragonate ai tanti “mostri” della letteratura, soprattutto antica, scherzi di natura che, in epoche e Paesi lontani, venivano fatti esibire nei circhi o studiati scientificamente o divinizzati.
Il concetto di “mostro”, dal latino monstrum, prodigio, da mostrare, appunto, nasce nell’età classica. I Greci consideravano “diverso” tutto ciò che, semplicemente era straniero, pertanto favoleggiavano di esseri mostruosi che abitavano ai confini della terra. Aristotele considerava mostri tutte le donne, in quanto devianti dalla normalità e dalla perfezione che è di genere maschile. Varrone spiegava che il termine “mostro” deriva da “mostrare”, poiché i mostri sarebbero appunto dei segnali di qualcosa che sta per avvenire, dei messaggi particolari della Natura.
Nell’Ottocento, lo studio dei mostri diviene una vera e propria disciplina, detta teratologia, da teratos, mostro. Infatti, dopo la fase Settecentesca in cui si fa largo il mito del “buon selvaggio”, nell’Ottocento, con la riscoperta del gusto classico nell’arte e nella letteratura, l’esotico torna a essere concepito non più come buono perché innocente e allo stato di natura, ma come diverso, come altro da noi. Tornano in auge quegli esseri fantastici come i cinocefali, i lemmi, i centauri, prodotto della fantasia dei Greci, che vedevano come “barbaro” tutto ciò che era straniero. Nell’Ottocento si formerà anche un gusto particolare per l’esibizione dei mostri, non solo nei circhi, ma anche in vere e proprie collezioni naturalistiche (a Bologna abbiamo l’esempio di quella di Ulisse Aldrovandi), ricche di “scherzi della natura”, spesso bufale costruite ad arte, talvolta, invece semplici fossili, che non venivano considerati reperti di ere passate, bensì strane opere d’arte che la natura produceva così com’erano, in un modo a noi sconosciuto. Questa curiosità quasi morbosa per il diverso darà vita a fantasiose esibizioni e a teorie fisiognomiche come quelle lombrosiane, che nelle deformità (o, più semplicemente, nei tratti somatici), pretendevano di leggere l’animo di un individuo.
In epoca più recente sono stati scienziati e teologi a porsi delle domande al riguardo. La natura sbaglia? Fa scherzi? O è Dio stesso che permette la nascita di siffatte deformità? Oppure, siamo noi a vederle come tali, perchè l’homo sapiens deve avere sempre tutto sotto controllo? La tradizione cristiana, nella sua iconografia, rappresenta il mostruoso come manifestazione del male ma anche, al contrario, ne offre una visione quale simbolo del mistero della Natura, dell’imperscrutabilità di Dio. Per quanto riguarda gli scienziati, invece, se nel Rinascimento il mostruoso era la prova empirica dell’esistenza di un ordine straordinario, non riducibile all’ordine naturale, per gli scienziati moderni è fondamentale trovare una spiegazione per le difformità: ogni eccezione viene ricondotta a una regola conosciuta, affinché nulla possa sfuggire a un ordine stabilito. Lo straordinario è quindi rifiutato, quasi a voler negare l’intervento creatore di Dio: la scienza positivista non ammette miracoli da nessuno né da Dio né, tantomeno, dalla Natura.
Come si va cercando una risposta al problema della coesistenza del male e di Dio (la cosiddetta teodicea: si Deus est, unde malum?), così la scienza e la teologia oggi si interrogano anche sulle possibilità di convivenza dell’handicap, delle mancanze fisiche e intellettuali, delle deformità, con l’idea della creazione divina. Tant’è che proprio delle religiose furono chiamate ad accudire i malati mentali ospiti del Cottolengo a Torino. La particolare riservatezza delle Piccole Sorelle nei confronti dei drammi umani dei loro ospiti portò alla leggenda secondo cui al Cottolengo erano rinchiusi dei mostri talmente deformi da dover essere protetti dagli sguardi morbosi del mondo esterno. Si diceva che le donne incinte non dovessero incontrare uno di questi “scherzi della natura”, se no avrebbero partorito un bambino a loro simile. Sicuramente, in questo ospedale erano ricoverate persone con particolari patologie e gravi handicap che a volte preferivano sottrarsi spontaneamente agli occhi del mondo e agli sguardi stupiti delle persone. Soprattutto dopo la guerra alcuni soldati si nascondevano lì per non recare altro dolore ai familiari, preferendo farsi credere morti, piuttosto che mostrarsi ridotti a tronchi umani. Tuttavia, questa sorta di “leggenda metropolitana” ha da sempre suscitato una forte curiosità.
Oggi è l’India a riprendere il suo ruolo di terra misteriosa e piena di fascino. Questo Paese rappresenta da sempre, per noi occidentali, l’ignoto, l’esotico, proprio per la sua distanza, non solo geografica, ma anche per tradizioni e cultura. Una bimba nata con una grave malformazione diventa per la madre un segno divino e viene immortalata da tv e giornali. I genitori non l’hanno fatta conoscere al mondo né per esibizionismo né per analisi scientifica, ma perché l’hanno creduta un dono per l’umanità intera. Questo è un esempio di integrazione del diverso, al punto che la bambina è stata vista come una divinità. Per contro si pensi al caso, abbastanza recente, di quei genitori inglesi che hanno sottoposto a vari interventi di chirurgia estetica la figlia affetta da sindrome di Down, correggendone così i tratti più tipici, come gli occhi allungati o la lingua un po’ sporgente, perché si potesse meglio integrare nella società. Insomma, un tentativo di nascondere la sua diversità agli occhi del mondo. Eppure c’è chi esibisce in tv, ancora oggi, come ai tempi dei fenomeni da circo, la propria o l’altrui diversità (recente è la messa in onda dello Show dei Record in televisione, con uomini altissimi, bassissimi, con varie stranezze fisiche) e, addirittura, esiste chi si crea delle diversità per distinguersi e affermare la propria personalità e unicità. Si pensi a quelli che si fanno tatuare tutto il corpo o si fanno plastiche al viso per assomigliare ad animali, davvero riducendosi come quei “mostri”, quegli “scherzi di natura” studiati con curiosità in tutte le epoche.
I mostri possono essere tali “di natura” o “di cultura” ma ciò che li crea è solo quest’ultima. Per dirla con il celebre pittore Francisco Goya, “il sonno della ragione genera mostri”. Ecco perché i mostri non possono più essere considerati tali: le deformità non dipendono dal destino cieco. L’uomo è chiamato a elevarsi, per poter guardare tutto da un altro punto di vista. Infatti ciò che da vicino sembra mostruoso, dall’alto, nell’insieme della bellezza e della varietà del creato, fa parte semplicemente dell’armonia del tutto. Per esempio, un quadro dipinto con la tecnica del puntinismo, da vicino appare come un insieme di tanti puntini colorati, separati fra loro e senza apparente motivo per quella particolare dislocazione nella tela. Ma se uno si allontana e osserva il quadro da una certa distanza, la prospettiva cambia totalmente: tutti quei puntini di colori differenti si uniscono per formare la bellezza dell’opera d’arte. Così è nel mondo: ciò che ci sembra male, o mostruoso, è tale solo per noi, che lo guardiamo troppo da vicino, da una prospettiva limitata. Questa osservazione delle “stranezze” del mondo, però, porta a meravigliarsene. Come dice Aristotele, non c’è bene maggiore della meraviglia: essa è alla base della filosofia, dell’interrogarsi dell’uomo e, quindi, della scoperta di cose nuove, del progresso dell’umanità. Se l’uomo non si ponesse domande, sarebbe alla stregua degli altri animali. E se non cercasse risposte a queste domande, non ci sarebbe il progresso. Ecco perché l’uomo è un essere mostruosamente… meraviglioso!

Emozioni, sensazioni e paura della mia gara olimpica

Di Silvia Parente

Quando ormai manca poco alle Olimpiadi di Pechino, ecco la testimonianza di chi, nelle ultime di Torino è tornata a casa con più di una soddisfazione per se stessa, per i disabili e per l’Italia.
Ho iniziato a sciare all’età di 6 anni. Certo, direte voi, alla tua famiglia piaceva sciare, ti hanno portata in montagna fin da piccola e il resto è venuto tutto di conseguenza.
Tutto esatto se non fosse per un particolare e neanche di poco conto: io sono non vedente totale.
I miei genitori sono degli sciatori esperti, ho un fratello di poco più piccolo di me e il fatto di mettere lui sugli sci ha fatto scattare la voglia e la sfida di provarci anche con me.
E così, un inverno di tanti anni fa, sui campetti di Madonna di Campiglio, ho provato per la prima volta la sensazione che si ha scivolando sulla neve e me ne sono innamorata!
Chiaramente l’incoscienza e la curiosità che hanno tutti i bambini hanno fatto il resto, e senza capirlo mi sono trovata con in mano un grande strumento per affrontare con più sicurezza e autonomia, le difficoltà quotidiane della mia vita futura.

17 marzo 2006
Sono passati parecchi anni dai campetti di Madonna di Campiglio.
Lo sci è sempre rimasto lo sport che prediligo, e di strada in questo senso devo dire che ne ho fatta parecchia. In questo momento mi trovo a Sestriere, in cima alla pista olimpica. Intorno a me un sacco di gente che parla in mille lingue diverse. L’adrenalina è al massimo e il cuore mi batte all’impazzata!
Chiamano dei numeri in inglese; il 7… è il mio! Devo avvicinarmi alla casetta di partenza: tra poco affronterò lo slalom gigante sulla famosa Kandahar Banchetta. 48 porte: me le ricordo tutte; la lunga prima delle acque minerali e le due ultime porte sul muro finale, le peggiori, quelle più difficili.
Mi aiutano a farmi largo tra la selva di sci, trapani e scioline: è il fisioterapista della squadra che con la sua voce calma mi tranquillizza. Finalmente entro nella casetta. Davanti a me l’atleta che mi precede e di fianco a lei il giudice di partenza con la radio che continua a trasmettere informazioni.
Questa è la seconda manche e io parto come ultima della mia categoria. Sì, perché nella prima manche ho fatto il tempo migliore! E ora, sarò in grado di resistere agli attacchi delle altre? Prima di partire è tutta una questione di nervi saldi. Devo stare tranquilla, concentrarmi sul tracciato e sulla mia guida. Se perdo la calma rischio di buttare via 4 anni di dura preparazione e un sogno fantastico! In questo momento ho tutto da perdere. La francese, quella che ha il secondo miglior tempo, lo sa e cerca di giocare con la psicologia: “Non ti lascerò vincere, sappi che la seconda manche sarà una storia tutta diversa!”. Ok, mi dico, non posso certo crollare ora! So che la francese, tra tutte noi, è sempre stata la più forte, ma questa volta non mi ruberà la vittoria, qui a Torino, ai giochi di casa mia.
Pascale, l’atleta davanti a me, parte. Io mi sento un po’ spaesata. Poi finalmente sento la voce della mia guida, l’unica di cui ho bisogno in questo momento.
Eh sì, perché ovviamente non posso affrontare la pista da sola! Ho bisogno di una persona che con la sua voce tracci la linea che dovrò fare. La mia guida, la persona in cui ho riposto una fiducia incontrastata e con cui ho raggiunto un feeling pressoché totale, si trova pochi metri sotto la casetta di partenza con un megafono sulla schiena che amplificherà la voce durante questa discesa.
Mi dà le ultime indicazioni: “Le punte degli sci devono stare un po’ più a sinistra; ricordati che la prima porta è abbastanza lontana…”.
Il giudice di fianco a me chiude il cancelletto per il cronometraggio; io metto fuori i bastoncini. Sono gli ultimi istanti per sentire i muscoli tesi, il cuore in gola e lo stomaco che si arrotola, poi inizia il conto alla rovescia: davanti a me quello che mi sembra un baratro.
Finalmente risento la voce della guida: “3, 2, 1, pa pa pa…”.
Si parte! Ora non c’è più tempo per pensare: tutto quello che devo fare è seguire questa voce e fidarmi, ciecamente, di quello che mi trasmette; ogni piccolo cambio di intonazione può comunicarmi qualcosa di fondamentale.
Io e questa voce… e poi c’è solo la pista da divorare per arrivare alla vittoria.

Palmares
In occasione delle Paralimpiadi di Albertville 1992, Silvia Parente viene convocata in nazionale di sci alpino. Con Torino 2006, ha partecipato a 4 edizioni delle Paralimpiadi.
Paralimpiadi di Lillehammer 1994: medaglia di Bronzo in slalom
Paralimpiadi di Nagano 1998: quarto posto in slalom
Coppa del Mondo 2004: terzo posto assoluto
Coppa Europa 2004: secondo posto assoluto
Campionati mondiali Wildschönau 2004: Argento in SuperG
Coppa Europa 2005: secondo posto assoluto
Coppa del Mondo 2005: terzo posto assoluto
Paralimpiadi Torino 2006: Oro Gigante; Bronzo Discesa Libera; Bronzo SuperG; Bronzo Slalom

 

Odore di Madagascar

Di Novella Parolari, antropologa

L’odore del Madagascar all’inizio ti soffocherà. Penetrerà deciso nelle narici e uscirà incerto in colpi di tosse.
Rimarrai perso. Dove sono finito?
Poi lentamente quello stesso odore entrerà dentro di te. Diventerà il tuo profumo e non ci farai più caso.
L’odore del Madagascar avrà il colore rosso, come la terra. Piedi nudi e gonfi alzeranno nuvole di polvere. Sarà il rosso delle case di fango e del cielo al tramonto. Sarà un colore così invadente che presto ti darà la nausea.
Ma i tuoi occhi subito si poseranno nel verde. Lì troveranno pace. Sarà un verde accecante, che correrà in mezzo alle risaie degli altipiani e si fermerà nel fitto delle foreste di ravinala.
Sentirai odore di Madagascar mangiando manioca bollita in mezzo al gioco chiassoso di bambini. Ascoltando il rumore assordante della pioggia sui tetti di lamiera, o stringendo in mano un pugno di semi.
Annusando il ciclone in arrivo e correndo a piedi nudi sotto la fitta pioggia tropicale.
L’odore del Madagascar saprà di contadini che ritornano stanchi al calare del sole o di bimbi che cantano a squarciagola ingenue filastrocche.
Ne sentirai l’odore affondando i piedi nella melma e piegando la schiena per piantare le prime pianticelle di riso.
Incontrando ragazzi senza denti che il lavoro dei campi ha portato via alla giovinezza.
Zigzagando tra chi è escluso dal progresso e chi affannosamente lo rincorre in città.
O parlando con pescatori che hanno passato la notte in preda all’oceano.
Per sei mesi ti porterai quell’odore addosso, sulla pelle, tra i capelli, dentro la stoffa dei vestiti.
Ti salirà nella testa.
Te ne renderai conto solo quando scenderai dall’aereo in un qualche aeroporto occidentale. Ti siederai in attesa di una coincidenza.
Lì dopo un lungo viaggio, alzerai il petto, aprirai i polmoni e ingurgiterai un bel pezzo d’aria.
E non sentirai più nulla.
Oddio.
Dove sono finito.
Sarai nei non luoghi dell’occidente opulento. Sarai nel limbo che non ha odori, in attesa di tornare ai tuoi odori. Spazi vuoti e funzionali che sanno di impersonale e anonimo ti sovrasteranno. In lontananza ti giungerà solo una fragranza di detergente per pavimenti.
Camminando tra quelli che per te ormai non saranno altro che vazaha supernutriti e arroganti, mentre penserai a quanto sono supernutriti e arroganti, accadrà all’improvviso qualcosa.
Una bella signora, tailleur e tacchi a spillo, ti sorpasserà velocemente lasciando dietro di sé una corposa scia di profumo.
Solo allora te ne renderai conto.
Le pareti interne del tuo naso pizzicheranno, un sottile senso di bruciore ti farà il solletico.
Sentirai l’odore della chimica, che uscirà dalla gola con un colpo di tosse.
Allora prenderai un’ultima boccata d’aria e camminerai verso le hostess sorridenti che ti aspettano per l’imbarco.
Ricambiando il sorriso mostrerai i documenti.
Forse non sono pronto per tornare.