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autore: Autore: Carmen Balsamo

Un filo che connette. Le procedure

Proponiamo una riflessione aperta sulla documentazione educativa. Come questa si lega alle esperienze, che significato diamo al termine documentazione. Si può parlare di buone prassi di documentazione? Che cosa rende di qualità una documentazione?

 

Non pensiamo di riuscire a rispondere esaurientemente a questi quesiti di fondo ma intendiamo mettere a confronto spunti e ragionamenti maturati all’interno della Rete dei Centri di Documentazione per l’Integrazione della Regione Emilia Romagna (CDI).
I CDI non sono solo punti di raccolta, catalogazione e diffusione delle esperienze documentate ma si propongono anche come spazi stimolo, offrendo consulenze e percorsi formativi di sostegno metodologico agli insegnanti nel produrre proprie documentazioni.
Il contributo è frutto del lavoro di un gruppo di operatori della Rete dei Centri, gruppo già formatosi per la redazione di un intervento presentato al Convegno Erickson 2005. Prendendo spunto da questo primo elaborato il presente scritto ne amplia le riflessioni.
Il testo riporta passaggi salienti scaturiti dal confronto tra i partecipanti e offre approfondimenti tematici con esempi tratti da documentazioni che ogni operatore ha portato per far emergere riflessioni proprio dalle loro analisi.
Tre sono le parole chiave a cui il gruppo affida la funzione di apri pista per entrare nell’argomento: procedure, prodotto, ricaduta.
Questi termini sono emersi nel gruppo proprio per confrontare le documentazioni portate dai rispettivi Centri.
Le tre parole chiave scandiscono infatti dimensioni importanti del processo di documentazione: l’iter della produzione della documentazione (procedure), l’analisi del materiale finito (prodotto), le riflessioni sul suo utilizzo (ricaduta).

 Le procedure

Il vocabolario definisce procedura come: modi e norme che devono essere seguite dai magistrati e dalle parti per un regolare svolgimento del processo (regole). In ambito educativo possiamo parlare di piste metodologiche utilizzate per dispiegare l’azione educativa didattica.

Le procedure nell’ambito del processo di documentazione possono essere tutti quei passaggi che scandiscono il percorso di costruzione della documentazione: a partire dall’aggancio progettazione documentazione (la documentazione rende memoria di un intervento educativo pensato, realizzato/adattato e vissuto) alla formazione di un gruppo che se ne fa carico, alle azioni metodologiche che fondano le operazioni di selezione che la compongono.
Come nasce una documentazione?
Deve esserci prima di tutto un progetto educativo ben strutturato e la volontà di mantenerne memoria. La prima premessa, per approdare a una documentazione che non sia solo atto dovuto e burocratico, è quindi che ci sia una forte motivazione del gruppo degli educatori/insegnanti a realizzarla e a monte ci sia una seria progettazione del percorso didattico oggetto del documentare.
La documentazione è infatti fortemente ancorata alla progettazione educativa e alla valutazione.
Come l’esperienza educativa vede coinvolti nell’ideazione progettuale educatori /insegnanti questi stessi autori possono farsi carico di una riflessione sull’esperienza stessa e divenire protagonisti del processo di documentazione. Documentare implica una capacità di distanziarsi dal vissuto, una capacità critica, un interrogarsi su intenzioni, attese, risultati raggiunti rispetto ai bambini /ragazzi e rispetto all’efficacia del proprio operato. Questo distanziamento richiama un atteggiamento “valutativo” che, se condiviso dal gruppo di lavoro, può produrre importanti occasioni di confronto e di scambio con altre figure professionali o altri interlocutori coinvolti nel progetto (ad esempio operatori dell’AUSL, famiglia, …).
Per alcuni autori infatti la documentazione “è un processo che si situa tra l’esperienza e la riflessione sull’esperienza”. La documentazione può facilitare l’acceso alla dimensione maturativa di valutazione/riprogettazione. Documentazione e didattica si costruiscono insieme: sono, come qualcuno ha sostenuto nel gruppo, “un progetto e un processo contemporaneo”.

Progetto di fattibilità per realizzare una documentazione educativa

Si è già sottolineato come la documentazione ha bisogno di un gruppo che se ne fa carico e ha bisogno di essere organizzata e prevista. Gli aspetti proposti sono pertanto di tipo relazionale e di tipo metodologico. L’intenzionalità di produrre una documentazione chiama in causa la necessità di una rete relazionale, la capacità di mettersi in gioco degli educatori, la definizione del gruppo che si farà carico della sua produzione. Il passaggio poi dall’intenzionalità al prodotto documentario finito passa attraverso la gestione dell’intreccio di alcuni assunti metodologici di base: cosa documentare (la selezione del tema, dell’aspetto del progetto che diviene oggetto di documentazione), chi documenta (gli autori, i curatori della stesura), per chi documentare (quali i destinatari), come documentare (che forma dare alla nostra documentazione, come orientare la scelta delle informazioni, la loro organizzazione, i linguaggi con cui comunicarli). Queste domande stanno alla base del progetto di fattibilità, dello studio cioè di un progetto di documentazione ancorato alle possibilità del contesto e che individui elementi e indici che consentano di organizzare i materiali a disposizione.
Redigere un progetto di documentazione implica appunto il prevedere prima.
Quando si programma questa o quella attività o progetto educativo, buona abitudine è decidere all’inizio se lo si vuole documentare. Spesso avviene l’esatto contrario: ci si accinge a documentare alla fine di un’esperienza. Il prevedere prima permette di pensare ad esempio alla registrazione di momenti salienti dell’esperienza (mantenere foto, annotazioni) e non trovarsi con esubero di materiali su alcuni passaggi dell’esperienza e su altre tracce carenti e doverle ricostruire senza appoggio di dati. Il prevedere prima permette anche di darsi un tempo per documentare.
È importante quindi darsi un tempo, individuare le risorse umane e un’organizzazione per poter dispiegare il percorso documentario.
Il percorso di documentazione è scandito da tappe in itinere: definizione di obiettivi, per poter passare dalla raccolta di materiali vari al dare forma a un prodotto, con la scelta di supporti e linguaggi comunicativi adeguati, per veicolare quei contenuti, rispetto a un determinato fruitore.
Lo sviluppo pertanto è dalla raccolta di materiale grezzo – documenti intermedi, testimonianze: resoconti degli insegnanti, elaborati, disegni, foto – alla rielaborazione degli stessi.
Abbiamo messo in campo parole come selezione, scelta. La documentazione è infatti frutto di operazioni di selezioni: l’evento rivive in una documentazione, per le parti che, chi la compone, seleziona come significative e pertinenti. Questo è un aspetto operativo importante e non così semplice come a prima vista potrebbe sembrare. Facendo riferimento al nostro lavoro nei Centri di documentazione e al lavoro diretto con gli insegnanti questa è un’azione difficile per il personale docente che documenta: la scelta implica escludere, lasciare fuori porzioni di esperienza. È importante quindi trovare un filo conduttore che possa organizzare le scelte. Creare documentazione porta a pensarla come operazione complessa. Una voce nel gruppo ha sottolineato che: “La documentazione è un’operazione della mente non è una mera raccolta, è comprensione. È un fermare l’attenzione per capire e interpretare, è un percorso per poter riusare quella conoscenza”.

Procedura del servizio di documentazione

Fino a ora abbiamo utilizzato il termine procedura per connotare le azioni necessarie per realizzare un prodotto documentario, ma lo stesso termine può anche venir usato nell’accezione di procedure di un servizio di supporto alla realizzazione di documentazioni. Ci spieghiamo meglio.

Spesso gli insegnanti si rivolgono ai nostri Centri per essere assistiti nel percorso documentario. Il Centro allora mette a disposizione competenze e la propria struttura per supportare gli insegnanti a realizzare un prodotto finito e a promuoverne la diffusione.

Esiste così anche una procedura del servizio di documentazione.
Parliamo allora dell’articolazione di:
– consulenze e/o percorsi di formazione;
– tecnologie messe a disposizione del processo (editing, stampa del fascicolo, supporto alla realizzazione video);
– diffusione e conoscenza della documentazione attraverso l’invio dei materiali e/o momenti di presentazione delle esperienze presso gli ambienti del Centro.
Molti Centri hanno così codificato una struttura di consulenza caratterizzata dalla presenza di operatori per raccogliere i bisogni e le aspettative degli utenti, l’esplicitazione delle motivazioni al documentare, l’ascolto dell’esperienza. È offerto un supporto metodologico per la definizione del progetto di fattibilità. Gli utenti sono aiutati a individuare i curatori, a redigere un indice della documentazione, a raccogliere le testimonianze, a definire l’articolazione del testo (tema centrale e individuazione dei nuclei narrativi) e i destinatari.
In questo caso il progetto di documentazione terrà presente l’organizzazione interna alla scuola e la possibilità degli incontri di consulenza presso il Centro prevedendo gli apporti reciproci: il lavoro degli insegnanti, l’apporto del pedagogista o di altri interlocutori previsti dalla documentazione e gli esperti del Centro. Un esempio di Struttura di servizio Consulenza è offerto dal centro Memo di Modena che, illustrando come è nata la documentazione portata nello scambio di gruppo, sottolinea le motivazioni degli autori ed evidenzia i livelli di lavoro proposti dagli operatori del Centro e previsti dalla consulenza.

La ricaduta

Secondo la definizione del vocabolario: cader di nuovo.
A chi serve la documentazione?
Prima di tutto è utile a chi l’ha prodotta. Le prime ricadute sono su gli autori curatori. Si

può parlare di risultati individuali come la gratificazione personale, l’acquisizione/scoperte di nuove competenze, il senso di auto efficacia, l’acquisizione di nuovi stimoli, senso di protagonismo.
Si può parlare anche di risultati collettivi: arricchire il patrimonio di conoscenze, costruire un linguaggio comune tra i diversi soggetti.
Le ricadute sono diverse rispetto anche al tipo di documentazione. Facendo riferimento a quanto sopra esposto se una documentazione è più incentrata sul contesto scuola dove è nata – dove i destinatari sono lo stesso gruppo classe e corpo docente – le ricadute possono attivare modifiche nel medesimo contesto e restituire valore al quotidiano. La documentazione serve in particolare ai soggetti di quell’ambito educativo in quanto protagonisti, autori – curatori e destinatari sono attivi nello stesso ambiente e spesso ci sono ruoli sovrapposti (alcuni dei protagonisti possono essere autori e insieme destinatari della documentazione). La documentazione allora è utile perché con forza mette in moto consapevolezza e confronto. La documentazione dà forma a una storia: risponde alla necessità di tenere, conservare, recuperare quella storia vissuta con quei ragazzi, con quei docenti. Il confronto che permette la documentazione nel suo attraversamento e nella sua ricaduta consente ai vari interlocutori di chiarirsi, valutarsi e autovalutarsi. Proprio in questo tipo di documentazione è più facile cogliere l’anello virtuoso che lega la documentazione e la pratica educativa. Un esempio è proposto con la documentazione: L’incontro con l’altro e lavori di gruppo per promuovere la socializzazione e per sperimentare la reciprocità in classe presentata nel contributo titolato appunto “La circolarità del processo d’insegnamento-apprendimento attraverso la pratica della documentazione educativo-didattica” di Franca Petrucci, CDE di Cesena.

 

Le ricadute di una documentazione di un progetto istituzionale – come Progetto tutor. Le ragioni del cuore e della mente: l’esperienza di Reggio Emilia documentazione CDI-Reggio Emilia –coinvolgono più soggetti e diversi sono i contesti d’uso. Ancora diverse le ricadute della documentazione di un percorso formativo La CAA come strumento didattico ed educativo del CDIH di Ferrara, dove la documentazione in cd ha incentivato nuove richieste di consulenza, ha stimolato la creazione di gruppi di lavoro permanenti e una riqualificazione dei percorsi.
La ricaduta serve allora agli autori/curatori perché può attivare consapevolezza e restituire senso all’impegno educativo didattico. La ricaduta può essere intesa anche come effetto del messaggio veicolato su i destinatari: in questa accezione è messa in relazione agli obiettivi e alle finalità di intenti del prodotto documentario (fornire informazioni, occasione di riflessione collettiva). La ricaduta può essere anche intesa come “restituzione”: descrive le indicazioni di ritorno di chi fruisce verso chi ha prodotto il documento. La ricaduta /restituzione amplia lo scambio, accosta l’intenzionalità del curatore al punto di vista del fruitore: permette di raccogliere suggerimenti, scoprire elementi trascurati, trovare sintonie, avere conferme dai propri fruitori sull’utilità del prodotto creato. La ricaduta, in tutte le sue forme, dinamizza i legami tra contenuto espresso nella documentazione e i soggetti che li hanno vissuti, i curatori e i destinatari in una prospettiva di rivisitazione, di condivisione, di miglioramento, di riprogettazione/sviluppo di nuovi progetti, di altre iniziative.

Tipologie di documentazione

Usare il termine tipologia di documentazione forse non è del tutto appropriato ma raccogliamo sotto questo termine tutte le riflessioni che sottolineano che le caratteristiche della documentazione mutano rispetto all’universo di racconto che esplorano (micro realtà, macro realtà), ai curatori coinvolti e agli interlocutori a cui si rivolgono.Come si è detto nel gruppo di lavoro ogni operatore di Centro ha portato alcune documentazioni esemplificative in modo da far emergere riflessioni proprio dalle loro analisi.Tra le documentazioni che abbiamo considerato ce ne sono alcune che presentano un forte richiamo al contesto locale in cui sono nate. Sono documentazioni educative /didattiche come: Simone mangiava un limone… e allora diventò un melone e poi si infilò in uno scatolone con il testone (Memo di Modena), L’amica Ranocchia (Laboratorio di Bologna), L’incontro con l’altro presentato dal CDE di Cesena.Queste documentazioni trovano radici nelle proprie realtà di scuole, esplorano situazioni legate a un particolare caso, a un preciso contesto educativo scolastico: ci raccontano progetti educativo-didattici, atmosfere relazionali predisposte per facilitare una buona integrazione. Sono documentazioni curate da educatori e insegnanti e i fruitori espliciti sono gli stessi educatori della scuola o i genitori dei bambini /ragazzi seguiti.Altro tipo di documentazione sono Progetto tutor – Le ragioni del cuore e della mente: l’esperienza di Reggio Emilia, documentazione proposta dal CDI di Reggio Emilia e La CAA come strumento didattico ed educativo presentato dal CDIH di Ferrara.La documentazione di Reggio Emilia è una documentazione di un articolato progetto istituzionale definito con il contributo di istituzioni diverse (comune, provincia…) ed esplora la tematica prescelta – l’esperienza dello “studente tutor” nella scuola superiore – con dovizia di strumenti (focus group, interviste). Il materiale documentario si proietta pertanto al di fuori di una singola realtà scolastica e anche gli interlocutori, a cui si rivolge, sono le famiglie, gli allievi, gli insegnanti, i ragazzi tutor, le scuole di II° grado e gli enti coinvolti.Infine la documentazione portata, all’attenzione del gruppo, dal Centro di Ferrara, è la documentazione di un percorso formativo i cui destinatari sono educatori, insegnanti, operatori di cooperative, famiglie con ragazzi disabili, volontari del servizio civile.Come possiamo notare si passa da documentazioni ben ancorate a un contesto educativo, a prodotti con crescente complessità per la ricchezza dell’intreccio dei temi e di alte correlazioni tra diverse tipologie di autori e destinatari. Chiaramente costruire prodotti complessi richiama un impegno maggiore come sforzo ideativo, collaborativo e nello studio di intenti di chiarezza espositiva.Documentazione e diffusioneUn altro aspetto interessante è il rapporto tra il prodotto documentario e la sua diffusione.A questo riguardo il punto di vista documentalistico offre una peculiarità da tenere presente.Dal punto di vista documentalistico, molte documentazioni educative rientrano nella letteratura grigia. Il termine letteratura grigia indica, nel gergo dei bibliotecari e documentalisti, quella vasta area di documenti non convenzionali che non vengono diffusi attraverso i normali canali costituiti dalle imprese editrici e dalla distribuzione commerciale e perciò difficilmente reperibili. Il riferimento al colore grigio nato negli anni Settanta allude a qualcosa di intermedio tra la normale letteratura bianca dei circuiti commerciali e quella nera completamente inaccessibile. Questa grande categoria di documenti include tesi di laurea, rapporti scientifici e tecnologici, relazioni presentate a convegni, saggi in attesa di accettazione da parte dei periodici, dispense di corsi.Il prodotto documentario può rientrare in questa grossa categoria (poche sono le documentazioni pubblicate) e trova una sua diffusione con canali diversi: le documentazioni possono essere presentate in incontri scolastici, presso Centri di Documentazione. Gli stessi Centri possono farne tirature limitate da diffondere presso scuole, associazioni, istituzioni del proprio territorio, alcuni enti promotori dell’iniziativa/progetto documentato possono farsi carico di divulgarne il prodotto.

In 160 minuti di film 120 secondi di dialogo

160 minuti di bellissime immagini di quotidianità nella grande Abbazia nei pressi di Grenoble, che ospita i monaci certosini: legati al ritmo delle stagioni, i giorni scorrono nel rispetto delle regole

della confraternita, scanditi da preghiere, canti e campane e dove i dialoghi occupano pochissimo spazio. Il riferimento è al film “Il Grande Silenzio” del regista tedesco Philip Groening che ne racconta la vita monacale. La caratteristica peculiare dell’opera cinematografica, alla quale già il titolo fa riferimento, è il silenzio, regola rigorosa dell’organizzazione monastica dei certosini. Il regista invita così lo spettatore a scoprire gesti e sguardi e, trasgressivamente, utilizza prevalentemente un codice visivo per enfatizzare il valore del silenzio: “Solo in completo silenzio si comincia ad ascoltare… solo quando il linguaggio scompare, si comincia a vedere”.Non è nostro scopo approfondire il dibattito di critica che l’uscita della pellicola ha suscitato ma la citazione ci è parsa un pretesto, particolarmente calzante, per cogliere alcuni paralleli e introdurre queste riflessioni oggetto dell’intervento:- l’importanza della presenza di un fuoco tematico, all’interno dell’oggetto della documentazione;- la cura della struttura del messaggio comunicativo.Così, come il film citato, è costruito attorno al valore del silenzio e a un uso della ”fotografia cinematografica” e dispiega la duplice funzione visiva e narrativa delle immagini, anche nell’orientarci al documentare è opportuno individuare un’angolazione educativa-pedagogica-culturale significativa attorno alla quale far ruotare indizi e descrizioni, e curarne poi l’esposizione comunicativa.Importanza del fuoco tematicoCome operatori di Centri un gran aiuto possiamo darlo nella consulenza per la realizzazione di documentazioni fruibili, proprio nel sostenere i curatori a uscire da un’esposizione elencativa delle azioni educative svolte e a incominciare a riflettere sui passaggi significativi, emblematici del proprio intervento, a mettere a fuoco l’oggetto della propria documentazione e scegliere tra strade diverse di racconto. Non è sufficiente, ad esempio, voler raccontare un percorso di psicomotricità svolto nella propria sezione. È importante chiedersi: all’interno di questo territorio semantico, quali possono essere le linee di senso che punteggeranno la presentazione? Tante le possibili scelte: l’esposizione di un particolare approccio teorico, magari sperimentato in un corso formativo, la ricaduta delle attività motorie sui bambini, l’importanza che questa proposta ha avuto per un bambino disabile presente nella sezione… Si parlerà sempre di psicomotricità ma, rispetto al fuoco scelto, alcune figure saranno in primo piano e altre faranno parte dello sfondo. Trovare linee guida dell’esposizione facilita ad articolare il corpo del testo e a prevedere eventuali allegati. Così, se vogliamo raccontare come questo percorso psicomotorio svolto assieme ai compagni ha permesso al bambino disabile di superare alcune impasse, tutte le voci attorno a questo fuoco si intrecceranno nel testo della documentazione mentre potremo collocare, in un allegato, un breve approfondimento sull’approccio psicomotorio utilizzato.Per illustrare meglio queste considerazioni prendiamo ad esempio una documentazione video dal titolo “L’amica Ranocchia”, documentazione appartenente alla dotazione documentaria del Laboratorio. La documentazione è nata in un asilo nido bolognese in una sezione di medi dove era presente anche un bambino in difficoltà.Il video ci illustra come attraverso il personaggio mediatore della ranocchietta i bambini sono stati accompagnati alla scoperta di percorsi sensoriali con uso di materiali diversi, toccandoli, annusandoli, assaggiandoli. Le educatrici hanno proposto le attività a piccolo gruppo per creare un ambiente più rilassante e seguire con maggiore attenzione ciascun bambino.Il supporto scelto dalle educatrici per documentare è stato il video in quanto una documentazione audiovisiva si presta meglio a una fruizione collettiva: voleva essere proposta, in un momento allargato, a tutti i genitori. Scelta del supporto e il fuoco tematico tengono presente che la documentazione sarà offerta alla visione di tutti i genitori di sezione e anche ai genitori del bambino con deficit. Il fuoco tematico che le operatrici hanno scelto infatti è quello di mostrare come tutti abbiano partecipato all’attività e come anche il bambino con deficit, attraverso il percorso, abbia rafforzato l’appartenenza al gruppo dei pari. Le sequenze del video sono pertanto focalizzate su momenti di scambio, di condivisione, di spunti di lavoro che i bambini si offrono scambievolmente. Anche l’individuazione del titolo, “L’amica Ranocchia”, risottolinea l’opzione del punto di vista: chiama in campo il termine amica per sottolineare la relazione creata tra i bimbi e il personaggio della rana che accompagna tutti a scoprire il proprio ecosistema attraverso percorsi sensoriali.Strutturazione del messaggio comunicativoPer sottolineare l’importanza di questo aspetto estrapoliamo un esempio dal libro “Dai fatti alle parole”, pubblicazione realizzata all’interno del Laboratorio dove alcune documentazioni sono divenute oggetto di analisi strutturale e formale grazie anche all’apporto di studiosi della comunicazione e dei linguaggi (sono stati coinvolti un linguista, un grafico, un esperto di educazione all’immagine) che ne hanno evidenziato le diverse grammatiche linguistiche e hanno offerto riflessioni specialistiche .Il linguista ha messo in risalto come la lingua ha tante risorse, per dare presenza a tratti del discorso, far emergere nel testo tratti peculiari e modulare e “colorare” la struttura del messaggio da veicolare.Scegliamo, a tale proposito, alcuni passaggi dalla costruzione della documentazione cartacea “Tra il vedere e il non vedere”.La documentazione mostra, in una classe terza di scuola primaria, tracce, segni, ritmi di Diego, un bambino con grave lesione cerebrale nel tentativo di renderli visibili.Le stesse insegnanti curatrici ci spiegano: “Di fronte a un handicap grave ci possono essere tentativi di non vedere, tentativi di fuga da questa realtà che rimanda dentro di noi sensazioni di impotenza, d’incapacità a proporre qualcosa di adeguato. Il nostro primo tentativo è stato quello di conoscere le tracce di Diego, di renderle percepibili agli altri /altre. Il nostro lavoro non poteva basarsi sugli apprendimenti su obiettivi didattici da perseguire e si è così strutturato sulla necessità di cercare, costruire, accogliere punti di contatto perché Diego non restasse in un mondo a parte, distante”.Due le parti in cui si sviluppa la documentazione: una prima incentrata sulle modalità per conoscere Diego, all’interno del contesto educativo che hanno orientato poi la scelta di alcune attività; una seconda raccoglie i percorsi per incentivare relazioni di scambio tra il bambino disabile e i compagni. Dalla prima parte riportiamo alcune citazioni: “Le osservazioni e le ipotesi ci hanno indirizzato nell’individuare attività tendenti alla tonicità, ricche di stimoli e altre che tendono al rilassamento, nel tentativo di costruire una sorta di continuità, senso di equilibrio tra i due momenti una specie di onda che ritmi il tempo della giornata scolastica di Diego alternando attività e riposo”. L’Onda del tempo è anche il nome del grafico che sintetizza appunto le diverse modalità e permette una lettura del ritmo della giornata e della settimana del bambino, scoprendo somiglianze negli andamenti, momenti di piacere o di malessere.Nell’ultima parte della documentazione, invece, le parole dei compagni, affiancate a disegni, così mostrano il loro compagno in difficoltà: “Diego è come un riccio” oppure “Diego è come una tartaruga”, ”Diego è come un motore che piano piano si accende”.Diverso è quindi il contenuto, ma anche la forma espositiva delle parti: nella prima prevale un linguaggio descrittivo con osservazioni, riflessioni e ipotesi di interventi e la lingua ricorre all’evidenziazione per isolare passaggi sintetizzandoli in tabelle, schemi, diagrammi; nella seconda prepondera un linguaggio iconico e l’uso di figure retoriche. Sono procedure linguistiche, quelle del paragone o della metafora che attribuiscono presenza ponendo in scena altre presenze, spostando analogicamente proprietà e caratteristiche su ciò di cui si vuol parlare. Il lettore stesso tocca con mano l’energia affettiva che è fluita nel lavoro di questa classe: la vicinanza, l’osservazione del compagno in difficoltà, il cogliere il suo modo di proteggersi da momenti di confusione vissuti in classe con momentanee chiusure a riccio, il rifugiarsi nel sonno, i suoi movimenti lenti che, affettuosamente, sono messi in relazione con l’incedere della tartaruga.La lingua, con l’uso di queste figure retoriche, carica il proprio messaggio di intensità emotiva.Va anche precisato che i disegni e le brevi composizioni dei compagni di Diego non sono artifici espositivi per aumentare l’appeal della documentazione ma fanno parte del contenuto profondo del documento stesso: sono specchio/testimonianza di un ricco lavoro svolto tra e con i coetanei di Diego, rivelano la volontà di dare visibilità alle sue tracce che sono, lette e riconosciute, all’interno del gruppo di adulti e bambini. Le stesse insegnanti sottolineano che l’intera documentazione è stata un tentativo di mantenere memoria e dare valore alla relazione.Con queste modalità le insegnanti hanno evidenziato le loro competenze di analisi e sintesi nell’individuare passi peculiari e significativi del percorso svolto; dall’altro mostrano anche una capacità di mettersi nei panni dei propri fruitori per far partecipare il lettore delle sensazioni, dei punti di vista condivisi con chi ha vissuto con loro l’esperienza. Si colgono nella documentazione citata allora modalità razionali (sintesi, tabelle), momenti di riflessione (i curatori si impegnano a discutere il senso, il valore, i risultati del proprio lavoro) e parti di grande partecipazione emotiva. Lo stesso grafico dell’onda del tempo è metafora linguistica che rende l’idea della fluidità necessaria nell’accogliere i ritmi fisiologici del bambino e, attorno a questi, modulare gli stimoli adeguati.In questa documentazione il filo della lingua lega i documenti menzionati con una punteggiatura emozionale.Come la presenza di solo 120 secondi di dialogo connota una tessitura visiva del film “Il Grande Silenzio”, così nella documentazione “Tra il vedere e non vedere” il prevalere del linguaggio analogico, ampiamente utilizzato, è stato comunque valutato come più consono a trasmettere l’atmosfera emotiva vissuta.Le indicazioni fino a ora esposte ci portano a voler sottolineare, in generale, un aspetto peculiare del prodotto documentario: “La documentazione è vista come intreccio argomentativo che lega, raccorda, mette a confronto i dati di testimonianza. […] Tali intrecci di testimonianze ed eventi possono essere raccordati da una lingua che informa, descrive, sintetizza, fa vivere i vissuti” .Ogni documentazione, pertanto, non coincide con un racconto. C’è sempre un dosaggio della mente e del cuore. Quando si dice raccontiamo l’esperienza si fa riferimento a un uso esteso del termine narratività (possibilità di un avvenimento di entrare a far parte di un codice destinato a produrre storie) e non come modo in cui, attraverso un dato linguaggio, viene raccontato un avvenimento (testo narrativo in opposizione a testo poetico, argomentativo).Nelle esperienze documentate gli avvenimenti sono raccontati, mostrati dove le azioni sono “nuclei uniti da una relazione di solidarietà”, dove si può inserire la prospettiva discorsiva con evoluzioni verso un’opzione metalinguistica.

Il prodotto

Il vocabolario definisce il prodotto come risultato ottenuto. Nel nostro caso il prodotto documentario è il frutto delle operazioni procedurali sopra descritte.
Che caratteristiche ha la documentazione prodotta? Quale la sua peculiarità? Con quale “veste” si presenta.
Sotto questa angolazione sono emersi diversi aspetti:
– la documentazione come oggetto informativo;
– la peculiarità informativa veicolata in un prodotto documentario;
– la necessità di curare la leggibilità del prodotto;
– le tipologie di documentazione;
– il rapporto del prodotto documentario con la sua diffusione.

Documentazione come particolare oggetto informativo
Un importante autore sottolinea che ogni documentazione prodotta è fedele all’obiettivo di “fare conoscere ciò che è stato fatto per poter fare” . Possiamo dire che la documentazione “è dare nuovo senso e significato a ciò che si è fatto, è produrre un testo da offrire all’interpretazione propria e altrui”.
La documentazione è quindi un oggetto informativo.
Nella documentazione circola però un tipo di informazione particolare: si crea nel processo didattico e consente, ai soggetti che vi partecipano, di aumentare una conoscenza comune. La comunicazione che mette in circolo si sposa con le valenze educative della mediazione didattica: le documentazioni ci parlano di strategie, entrano nel vivo della prassi, possono evidenziare battute d’arresto e piccole conquiste del gruppo classe o di un singolo alunno, sottolineano facilitazioni che hanno funzionato in quel particolare contesto. Le unità informative così costruite alimentano quel “processo di circolarità delle conoscenze” trasformandole in risorse utili per altri insegnanti. Dato che – qualsiasi informazione, per essere veicolata, si appoggia a un supporto – rispetto al supporto possiamo avere documentazioni cartacee e video prodotti, cd (possiamo cioè privilegiare un supporto cartaceo o supporto informatico).
Si può descrivere il prodotto parlando allora di adeguatezza del supporto informativo in termini di funzionalità, fruibilità e diffusione.
Il prodotto documentario come oggetto informativo deve infatti fare i conti con aspetti di forma, struttura, funzione: come sono veicolati i contenuti, quali le scelte compositive rispetto all’oggetto della documentazione e alle diverse identità dell’utenza.
Le letture che si possono fare di un prodotto sono tante così anche l’analisi delle sue caratteristiche.
Nel gruppo ci si è soffermati sulla leggibilità del prodotto.

Leggibilità del prodotto
Ogni prodotto documentario mostra una sua prima identità attraverso i suoi dati identificativi di copertina: chi l’ha prodotto, gli autori/curatori e gli enti di riferimento, l’anno in cui è stato realizzato, il titolo di copertina come sua dominazione. Questi dati permettono ai fruitori di capirne la provenienza, di datarne la realizzazione e cogliere i temi portanti. Il titolo stesso del prodotto spesso orienta il lettore sull’argomento trattato. Tutti questi sono indizi di cornice che rendono visibile il documento e ne permettono un primo chiaro accesso.
Per leggibilità si è poi intesa la facile consultazione e lettura. La leggibilità di una documentazione apre il discorso sulla sua efficacia di scambio, sulla sua capacità di veicolare i messaggi contenuti. Vuole dire porre l’attenzione su come i contenuti sono proposti.
Si può parlare allora di adeguatezza della strutturazione del prodotto: cogliendone la sua tessitura logica, il linguaggio utilizzato, lo stile espositivo rispetto agli ipotetici destinatari.

All’interno di questo ambito si sono individuate diverse riflessioni, ne elenchiamo alcune:
– la necessità di studiare la struttura complessiva del prodotto;
– la presenza di un fuoco tematico all’interno del cosa documentare;
– la strutturazione del messaggio comunicativo.

È importante, per il gruppo che si accinge a documentare, valutare la struttura complessiva che si vuole dare al prodotto finito. Ad esempio costruire un indice, quando ci si accinge a dare forma e ordine alla materiale memoria raccolta, diviene filo conduttore per l’esposizione. L’indice scandisce la struttura del prodotto: ne individua le parti espositive; darsi un indice chiama a riflettere sull’articolazione delle parti informative, come queste stanno in equilibrio tra loro, quali i legami logici e di rimando. La struttura dell’indice è da considerarsi nel suo duplice aspetto: è di ausilio a chi costruisce la documentazione in quanto individua i nuclei narrativi portanti ma orienta anche il lettore nella fruizione del prodotto. Un esempio in questa direzione è fornito dalla documentazione messa a disposizione del gruppo dal Centro Memo di Modena nell’articolo dal titolo “Indice: il gioco delle parti”.
Se dalla struttura dell’indice passiamo al testo di una documentazione verifichiamo che nei prodotti documentari più riusciti è possibile rintracciare un filo conduttore, più o meno esplicito, che attraversa tutta la composizione e guida il lettore verso un particolare punto di vista espositivo. Possiamo parlare di fuoco tematico all’interno dell’oggetto da documentare.
La presenza del fuoco tematico indica l’angolazione con la quale il curatore ha organizzato i materiali testimonianza. All’interno del cosa documentare, possono esserci infatti tante prospettive che esplorano sentieri informativi diversi all’interno dello stesso tema. È quindi utile, anche in fase di progettazione della documentazione, porsi questa domanda per aiutare il gruppo che si fa carico del processo di documentazione, a orientare sempre più le scelte dei materiali più pertinenti. Questo aspetto è indagato più a fondo nel contributo “In 160 minuti di film 120 secondi di dialogo”
curato dal Laboratorio di Documentazione e Formazione del Comune di Bologna che nel medesimo intervento propone anche una riflessione sul tema della strutturazione del messaggio comunicativo.
Infatti la leggibilità e la comprensione del prodotto documentario passa anche attraverso la presenza di un linguaggio e uno stile espositivo consono alla peculiarità del tema trattato e del destinatario individuato, capace di offrire una regia compositiva mettendo in equilibrio parti di racconto, di descrizione di eventi, di riflessione degli autori, armonizzando scelte di testo e immagini.
Lo studio della struttura complessiva del prodotto, il tener conto di un fuoco tematico, come filo conduttore della composizione, e la cura della predisposizione del messaggio, che si vuole veicolare, sono tutti aspetti che possono concorrere a rendere più fruibile ed efficace un prodotto documentario

Conclusioni a struttura aperta

In questa carrellata abbiamo cercato di esporre, nel processo del documentare, alcune buone caratteristiche che si sono rilevate utili ed efficaci nei contesti da noi sperimentati: ne sono uscite tracce, piste di lavoro che possono orientare la produzione di documentazioni di qualità. Per il momento ci sentiamo di offrire alcune “foto istantanee” che mostrano buone pratiche in atto con l’intento di aprire un dibattito su una tematica delicata da approfondire. Alcune delle aree considerate e le relative parole chiave, giocate nel contributo, potranno, se ben analizzate, assumere la definizione di categorie di indicatori e descrittori di azioni. Abbiamo anche tratto dei paralleli con lo studio di indicatori di qualità proposti per vagliare servizi educativi o buone prassi didattiche. Si è così osservato che, nella maggior parte dei casi, gli indicatori sono organizzati sulla base di tre gruppi di criteri: struttura/processo/risultato.Senza nessuna pretesa di sistematicità si è abbozzato un’organizzazione delle “nostre foto” per sezioni.La Sezione A raccoglie elementi in tre sottocategorie che possono connotare aspetti strutturali: come i servizi e le scuole predispongono le risorse disponibili a sostegno del processo del documentare.Sezione ARisorse umane: – gruppo di lavoro nella scuola a supporto del processo di documentazione;- collegamento con Centri di documentazione territoriali per usufruire di consulenze o percorsi formativi offerti in queste strutture.Risorse strumentali: attrezzature.Risorse finanziarie: canali economici, fondi per la reperibilità di materiali e strumentazioni, pagamento di esperti.Nella sezione B appaiono gli aspetti di organizzazione che possono permettere una buona realizzazione della documentazione e mantenerne monitorato il processo.Sezione B- raccordo programmazione educativa/documentazione (operatori coinvolti, tempi, metodologie);- progetto di documentazione (operatori coinvolti, tempi, metodologie);- valutazione (scelta dell’esperienza da documentare, valutazione del prodotto documentario).Nella Sezione C si descrivono i risultati in relazione alla costruzione del prodotto (le prime sei voci dell’elenco che segue) e in relazione ai soggetti coinvolti. Sezione C- leggibilità;- visibilità;- trasferibilità;- coerenza e coesione (connessioni, nella presentazione del progetto documentato, tra contenuti, modalità operative e ragioni teoriche);- flessibilità del prodotto;- collaborazioni;- integrazione delle professionalità;- interistituzionalità;- competenze professionali acquisite dai partecipanti al processo documentale. Gli stessi elementi esposti nella tabella C potrebbero essere considerati anche aspetti di processo. Ad esempio la leggibilità, come risultato di un buon prodotto fruibile, è anche elemento da considerare come processo, così come l’integrazione delle professionalità non è solo elemento di risultato ma anche un elemento importante, e buon punto di partenza, del processo.In ogni modo le varie aree si intersecano e, a volte, aspetti dell’una sono possibile cause di altri.Oltre che in sezioni le “nostre foto estantanee” potrebbero essere raccolte con un’organizzazione circolare, a spirale aperta, per mostrare come le varie azioni si richiamano l’una con l’altra e si connettono tra loro mantenendo così dialogato il processo del documentare. La documentazione comunque non ha esaurito il suo compito e funzione quando viene redatta formalmente ed è quindi capace di dar conto delle esperienze realizzate.Per quanto fino a ora sostenuto una documentazione diviene significativa se permette di consegnare alla memoria un percorso, di monitorare l’evoluzione di un’esperienza e testimoniarne l’efficacia educativo-didattica e presenta quella struttura aperta e vitale da riattivare idee e riflessioni.Non bisogna dimenticare un elemento essenziale della documentazione che è quello della diffusione, della sua circolarità e soprattutto tenendo presente il suo valore di “azione mentale” capace di porre l’attenzione sugli aspetti di interpretazione, rielaborazione e riprogettazione.A sostegno del nostro argomentare ricordiamo alcune parole di autori che hanno riflettuto sul tema della documentazione.Riccardo Massa ci dice che la documentazione “sostiene il protagonismo degli insegnanti e degli alunni e istituisce un campo materiale di esperienza e di rielaborazione culturale”, è “una strategia di riappropriazione di sapere”.Andrea Canevaro afferma che se ci sono realizzazioni concrete documentate “il lettore è chiamato a curiosare, indagare e criticare mettendole in relazione alla propria situazione e al proprio contesto”.Aldo Masullo, parlando di conoscenza, sostiene che “la conoscenza è il risultato di una collaborazione, di un con-correre alla formazione di un’idea, alla sua effettiva incarnazione da parte dei singoli soggetti che insieme si confrontano e vi trasferiscono informazioni arrivando appunto a conoscenze comuni e condivise”.Queste considerazioni ci portano a sottolineare con più forza alcuni passaggi già espressi nel testo: che la documentazione e la successiva diffusione di esperienze e pratiche di lavoro ha lo scopo di aumentare la conoscenza e la ricerca di trasferibilità, nella convinzione che è a partire dalla rielaborazione di esperienze che si creano le premesse per un aumento della partecipazione e della crescita dei soggetti rispetto alla dimensione professionale. Un invito quindi a non perdere di vista la funzione di servizio della documentazione in un orizzonte più ampio di responsabilità educativa. Le parole chiave procedura, prodotto e ricaduta – termini che hanno orientato la nostra esposizione e scandiscono passaggi salienti del processo del documentare – si raccordano a un filo concettuale che trova radici nel valore della cultura della documentazione e delle sue procedure tecniche di costruzione e proietta ancora oltre il prodotto documentario verso un riutilizzo più esteso che oltrepassa i confini dei protagonisti, degli autori e dei destinatari pensati. Questa ulteriore prospettiva mette in luce piani ricomposti in un quadro complesso: rilegge anche le buone pratiche del documentare in relazione alle idee, i significati condivisi, gli elementi sostanziali della relazione educativa didattica collocando anche questa ultima nell’insieme dei legami culturali e sociali che la determinano.L’attivazione di utilizzo della documentazione in contesti diversi è ben visibile nella funzione documentativa che caratterizza proprio l’identità dei Centri di documentazione. Tale funzione è radicata nel mettere a disposizione archivi strutturati di materiali e di esperienze documentate che possono essere così oggetto di ulteriori letture. La logica che sottende l’organizzazione di archivi è quella della ricerca ipertestuale: è come se le biblioteche e le banche dati fossero dei grandi ipertesti, all’interno dei quali è possibile costruire percorsi trasversali di collegamento e di approfondimento personalizzati.Anche le documentazioni qui raccolte vivono di vita propria ma possono trovare anche rimandi, vicinanze con altri materiali raccolti e arricchire il fruitore di spunti. La dotazione documentaria di un Centro può sostenere l’elaborazione dell’esperienza professionale e formativa degli insegnanti. La dotazione documentaria è un modo di capitalizzare le esperienze educative e didattiche e le documentazioni raccolte permettono il superamento dell’autoreferenzialità e stimolano l’interscambio. Per gli insegnanti, confrontarsi e discutere dei propri prodotti di lavoro e delle strategie che a essi sottostanno, porta indubbiamente a creare un senso di condivisione e di appartenenza sia professionale (ci ritroviamo nelle stesse problematiche, ci scambiamo le soluzioni…), sia istituzionale, favorendo uno spirito di prospettiva collegiale.Con questa ottica negli ultimi anni si sono attivati sempre più collaborazioni tra Centri e Istituzioni scolastiche per organizzare percorsi formativi che fanno riferimento a scambio di esperienze, analisi di documentazioni facilitando così la predisposizione di percorsi legati a bisogni che nascono dallo sviluppo concreto del lavoro di sperimentazione degli insegnanti.Altre opportunità di riutilizzo delle documentazioni possono essere pensate in circostanza di iniziative pubbliche: mostre, dibattiti, convegni.La documentazione, che circola, che esce nel territorio e che si fa conoscere da istituzioni, agenzie, associazioni, genitori, apre rapporti e relazioni con tutti questi soggetti e comincia a proporre, con più forza, la sua presenza chiedendo un dialogo sul fare concreto e non soltanto sul sentito dire.Pensiamo pertanto importante l’impegno di creare sempre più occasioni, a carattere costante e duraturo nel tempo, che favoriscano la valorizzazione e un utilizzo delle raccolte documentarie in contesti sempre più ampi.