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autore: Autore: Claudio Imprudente

Ma scusi, lei è disabile? Superabile, Dicembre 2013

Nella mia vita, mi piace ripeterlo, ho visto davvero un po’ di tutto, compreso qualche siparietto di teatro dell’assurdo. Sapete di che si tratta? Senza tirare in ballo i vari Ionesco e Beckett pensate agli sketch comici di Ale e Franz e ai loro esilaranti dialoghi non-sense sulla panchina del parco. Quello che fa scattare la risata, al di là della bravura dei due attori e i rimandi al quotidiano, è soprattutto il fatto che il loro pensiero, e di conseguenza le loro parole, viaggiano sempre su binari diversi e paralleli che non si incontrano mai. E’ proprio quello che è successo, leggevo qualche giorno fa, a Leornardo Melle, quarantaduenne disabile che si apprestava a entrare a uno spettacolo di teatro dialettale a Manduria.
Giunto alla biglietteria con il suo accompagnatore, Leonardo si è trovato, suo malgrado, protagonista insieme alla cassiera di un’insolita pièce…Vi riporto un paio di battute:
“Cassiera – Ma lei è disabile?
Leonardo- No, sono in sedia a rotelle per comodità…
Cassiera- Mi mostra il tesserino da disabile?
Leonardo- Sinceramente non esiste un tesserino… E se anche esistesse si tratterebbe di dati sensibili che forse non andrebbero mostrati…
Cassiera- E noi poveri addetti al botteghino come facciamo a riconoscere un vero disabile da uno falso?”.
Questo, concedetemelo, è un dialogo degno di Ale e Franz e quasi quasi mi viene la tentazione di mandarglielo, magari lo riutilizzano!
Un tipico caso della sindrome di “panico da falso disabile” che profuma di paradosso. Perché, come giustamente si chiede Leonardo, c’è ancora bisogno di ribattere a certe accuse? I tempi di crisi, si sa, favoriscono la guerra dei poveri, la diffidenza e il sospetto e di certo i media ci vanno a nozze…
Chissà quante volte anche voi siete stati protagonisti o testimoni di dialoghi assurdi…Me li raccontate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

La disabilità costa più del mirto?, Superabile, Novembre 2013

Quando vedo comparire sul display del cellulare il nome di Marco Espa la mia mente corre subito al sapore del mirto bianco e ai mari della Sardegna…Poi comincio a tremare, pensando a quello che mi proporrà…

Di solito non c’entra solo il mirto, come nel caso del prossimo dibattito che mi vedrà atterrare a Cagliari lunedì 25 e martedì 26 novembre nell’ambito del convegno " Investire in tempo di crisi e costruire diritti nella fragilità che ci avvolge. Una sfida per la sanità e il sociale", promosso dal Consiglio regionale della Sardegna e rivolto a famiglie, operatori e istituzioni.

Due appuntamenti, il primo per riflettere sul potenziale produttivo della persona disabile nel contesto della crisi attuale, tra tagli lineari alle risorse e poche risposte alle crescenti richieste dei cittadini, che oggi più che mai desiderano sapere "come" vengono distribuiti i propri contributi. Il secondo più mirato all’integrazione scolastica e alle sue pratiche. Sono argomenti, questi, che su SuperAbile abbiamo già ampiamente affrontato. Il contributo economico del disabile alla collettività che si rivela fondamentale, nell’ambito scolastico come in quello privato e familiare.

Resto dell’opinione che il confronto su questi temi debba essere continuo e in evoluzione, aprire nuovi orizzonti e scenari, per non perdere diritti acquisiti e fare marcia indietro. L’indotto che una persona con disabilità crea e la forza lavoro che produce è sicuramente una risorsa, non mi stancherò mai di ribadirlo, tangibile, misurabile e concreta, non un peso, né un ostacolo, né un problema da risolvere.

Un buon mirto vale sempre meno della disabilità, parola d’intenditore…di mirto s’intende! E voi cosa ne pensate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook. (Claudio Imprudente)

 

“Stelle sulla Terra”, Superabile, Novembre 2013

Ed eccoci qua, reduci dalle intense giornate di Rimini, dove in molti ci siamo ritrovati o per la prima volta incontrati al Convegno Erickson, come ogni anno ricco di stimoli e novità. Si è ovviamente parlato di integrazione scolastica, della bollente questione BES ma anche di arte, affettività e sessualità e il divertimento non è mancato.
Nel viaggio di ritorno mentre mi interrogavo sul futuro (tra due anni il Convegno giungerà alla sua decima edizione) mi è tornata alla mente una storia davvero affascinante…Chiudete gli occhi e immaginate per un momento di trovarvi immersi tra i colori e i profumi speziati dell’India…E’ proprio qui infatti che si sviluppa l’indimenticabile incontro tra Ishaan, bambino dislessico e Ram Shankar il suo insegnante di educazione artistica, anch’egli dislessico. Una storia vera, narrata nel film “Stelle sulla Terra”, produzione bollywoodiana con tanto di canti e balli , capace di parlarci di integrazione con rara sagacia e poesia, attraverso codici “altri”, non occidentali e scontrandosi con pregiudizi di carattere culturale che nel paese restano ancora fortemente legati alla disabilità.
Il film, uscito un paio di anni fa, ci mostra l’importanza fondamentale dell’insegnante di sostegno nel percorso educativo, a livello personale come all’interno del gruppo classe.
Fondamentale poi si rivela anche il rapporto con la famiglia del ragazzo, che parte dalla paura e dall’indifferenza per sfociare nella messa in gioco reciproca e nella fiducia incondizionata nel maestro.
“Stelle sulla Terra” non è solo una storia commuovente sotto lo scenario di un cielo esotico ma un esempio concreto d’integrazione da far vedere a tutti gli insegnanti, altro che BES! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

La zappa dell’integrazione, Superabile, Ottobre 2013

La mania della verdura fai da te sta sbucando un po’ dappertutto. Sarà la crisi, saranno le esigenze della dieta mediterranea ma sempre più di frequente capita di vedere del verde sui tetti, i terrazzi, ovunque sia possibile dentro e fuori gli appartamenti. Perfino il presidente Obama, nella casa che simboleggia il potere, la Casa Bianca, è da un po’ che ha iniziato a coltivare il suo orticello.Anche a me ultimamente sta prendendo il pollice verde, non perché sia particolarmente amante di pomodori o cipolle, ma semplicemente sto scoprendo sempre di più come l’orto, la terra, la natura possano essere strumenti d’integrazione inaspettati.

Alcuni giorni fa, proprio su SuperAbile, ho letto di un bellissimo viaggio tra fattorie sociali nella zona di Roma, dove l’obiettivo non è semplicemente quello di vedere crescere ciliegie o zucchine ma aumentare l’autostima e le abilità delle persone con disabilità. Un approccio terapeutico, leggo, in grande ascesa… eh già!

Noi da alcuni anni promuoviamo un’esperienza molto simile. L’associazione Streccapogn di Monteveglio (Bo), promossa dalla cooperativa sociale "Accaparlante" e da "Monteveglio Città di transizione", si occupa proprio della cura di diverse porzioni di territorio agricolo e gestisce le attività di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti. In questo contesto vengono impiegati lavoratori con disabilità, chiaramente inseriti in situazioni diverse a seconda delle difficoltà. Dietro una melanzana si nasconde un discorso pedagogico molto più profondo. Ho molte volte scritto (anche su questa rubrica) di come lo sport e l’arte possano essere strumenti integrativi importanti. Lo stesso discorso può valere, come abbiamo appena visto, per l’agricoltura.

Ricordando sempre che ciò che conta è l’approccio e solo di conseguenza lo strumento che si utilizza.

Inizia a fare freddo, che ne dite di un bel passato di verdure? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

Una pinta scura, Superabile, Ottobre 2013

L’altra sera sonnecchiavo davanti alla televisione via cavo perso nei miei pensieri, quando una pubblicità ha risvegliato la mia attenzione. Si trattava del messaggio promozionale di una nota birra irlandese, che ritrae una sfida molto accesa di wheelchair basket (basket in carrozzina per intenderci). Al termine della partita gli atleti si ritrovano al pub, a gustarsi tutti insieme una pinta di birra…Non vi svelo tutto il resto della breve storia che vi invito a guardare da soli per scoprirne l’originalità.
La prima cosa che mi è venuta in mente è un articolo scritto a quattro mani con la giornalista Valeria Alpi nel 2003, anno europeo delle persone con disabilità, dove a prendere la parola era proprio un boccale di birra, che ci raccontava il suo punto vista a una serata tra amici in un pub. Quella volta si parlava di barriere, di accessibilità fisica e culturale. Questa volta… Beh, sentiamo cosa ne pensa il boccale di birra:
“Anche io ho riflettuto su questo spot, e dico che dieci anni fa, quando raccontavo le storie di quei tre amici seduti attorno al tavolo mai avrei pensato che si potessero utilizzare dei ragazzi con disabilità, o la disabilità stessa, per promuovere e pubblicizzare un prodotto come la birra. Nell’immaginario collettivo infatti la disabilità e la birra sono agli antipodi. La birra è compagnia, freschezza, gioventù, festa… La disabilità di contro è solitudine, a volte vecchiaia, spesso è tristezza e malinconia”.
Allora?
Allora probabilmente in questo decennio che sembra volato, da quel 2003 a oggi, qualcosa a livello socio-culturale è cambiato. I pubblicitari delle grandi multinazionali sanno sempre che aria tira e ne hanno preso atto… Certo il rischio di strumentalizzare la carrozzina è sempre in agguato, anche se, in questo caso, forse è stato fatto un salto in più.
L’argomento, seppur presenta qualche contraddizione, è a mio parere ricco di molte suggestioni interessanti che spaziano non solo sull’immagine e la sempreverde questione dell’accessibilità ma prima di tutto sui concetti di divertimento e di normalità. E voi quante volte vi siete fermati a sorseggiare una pinta in compagnia dopo o durante una partita?
Per ora vi lascio, ne riparliamo presto alla prossima pinta!
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.
Claudio Imprudente

 

Il pallone è rotondo, il razzismo è quadrato, Superabile, Ottobre 2013

Ma voi siete mai entrati nello stadio più antico d’Italia?
A me è successo giovedì scorso, il 26 settembre, quando ho solcato con le mie ruote la pista dell’Arena Civica di Milano, sorta sotto la bandiera napoleonica e dal 2002 dedicata alla memoria del grande giornalista sportivo Gianni Brera.
Una testimonianza, quella che vi propongo, legata a una giornata storica per il gioco del calcio e per la lotta al razzismo, organizzata nell’ambito del progetto "W il Calcio!", promosso dalla cooperativa sociale Accaparlante e dall’associazione Bandiera Gialla. Un vero e proprio torneo, il primo, intitolato a Arpard Weiz, ebreo ungherese ex allenatore e vincitore con Bologna e Inter di tre scudetti e una coppa internazionale, vittima nel 1944 delle leggi razziali che lo costrinsero all’esilio e uccisero lui e la sua famiglia.
A riprenderne la storia le belle immagini del racconto a fumetti di Matteo Matteucci già autore di "Storie brevi di argomento calcistico".
Così su questo sfondo epico e simbolico si sono sfidate le squadre di "W il Calcio!" e della Camera del Lavoro di Milano/Consiglio Comunale/Radiopopolare in una partita senza esclusione di colpi per due formazioni veramente "inclusive", composte da disabili, giovani e meno giovani, ragazze e stranieri.
Al di là del dignitoso 5 a 2 con cui ne siamo usciti, mentre osservavo la partita, ho riconosciuto un’immagine piuttosto interessante che si può riassumere in una frase: il pallone è rotondo, il razzismo è quadrato.
Se il pallone è avvolgente infatti, cerchio che unisce e che ingloba, il razzismo è pieno di spigoli, divide, inquadra le persone e crea distanze incapaci di incontrarsi…
Interessante, non credete? E voi, siete rotondi o quadrati? Scrivete a caludio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

 

Corpo, gabbia o specchio? Il messaggero di Sant’Antonio, Ottobre 2013

Vorrei tornare a riflettere su un tema sul quale ultimamente, rispetto al torpore culturale diffuso, sembra essersi risvegliata l’attenzione, scatenando numerosi dibattiti. Mi riferisco alla sessualità e all’affettività delle persone con disabilità. È un argomento delicato e sentito da molti come fondamentale, che negli anni Settanta e Ottanta è uscito per la prima volta allo scoperto e che ha prodotto ricerche, approfondimenti e narrazioni per quel periodo decisamente innovative e destabilizzanti. Tornare a parlarne oggi significa affrontare un nuovo genere di sfida che non va più a soffermarsi sul riconoscimento e l’accettazione del bisogno, ma che vuole spostare ulteriormente i confini del concetto di «differenza» passando dalla rivendicazione del diritto alla sua affermazione.

Mi spiego meglio. Cominciamo intanto con lo sfatare un preconcetto diffuso sul connubio disabilità-sessualità: non esiste una sessualità dei disabili e una sessualità dei normodotati. Esiste «la» sessualità, vocabolo ampio, spesso frainteso e circoscritto alla genitalità. La sessualità, invece, è molto di più, è comunicazione, empatia, relazione e cura di sé. L’immagine che ci ha tormentato per decenni, quella del disabile angelico e immacolato, privo di identità e, di conseguenza, di sessualità, inizia finalmente a stravolgersi. Eppure, quando si incontra una coppia formata da un disabile e da un normodotato, l’associazione di idee più naturale è pensare subito a un rapporto univoco, quello tra assistente-assistito, badante-badato, educatore-educato. Come spesso succede, è questione di immagini, ma è proprio attraverso le immagini – mentali e non – che la cultura si costruisce, muta e solidifica. Nessuno ne è immune, nemmeno la persona con disabilità, ed è proprio su questo terreno che si troverà a vivere e ad affrontare la sua realizzazione. Infatti, «la conoscenza, la visibilità, è davvero la chiave di tutto», come sostiene la psicoterapeuta e sessuologa Priscilla Berardi.

Ma c’è di più. Perché parlare di realizzazione? Perché parlare di sessualità e affettività è parlare di questioni personali in senso stretto, questioni, cioè, che hanno a che fare con l’individualità, l’autostima e la fiducia, con il momento del mostrarsi e del di-mostrarsi. Il corpo dell’altro è sempre un’incognita e ci mette profondamente in discussione perché diverso, soprattutto quando fatica a riconoscersi. Percepire il proprio corpo come rigido e frammentato implica, infatti, il più delle volte non comprenderne del tutto le potenzialità. Addirittura, se ci si ferma alla superficie, può trasformarsi in gabbia. Ma è proprio qui che l’altro può entrare in gioco e il corpo diventare complice, come uno specchio.

La sessualità è materia complessa e affascinante, ricca tanto di suggestioni che di contraddizioni. Mi piacerebbe condividerle con voi i prossimi 8, 9 e 10 novembre al Convegno Erickson di Rimini dove, insieme con la collega giornalista Valeria Alpi, terrò un laboratorio dal titolo, per l’appunto, Il corpo degli altri.

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Fossi figo… , Superabile, Settembre 2013

Non mi piace annoiare i miei lettori. Ma i temi del corpo, dell’estetica e della sessualità sono, nel mondo della disabilità (e non solo), argomenti scomodi, delicati e complessi su cui è praticamente impossibile mettere fine alla discussione. L’esperienza concreta è come sempre l’aspetto più interessante.

Ce lo dimostrano alcune testimonianze che qualche tempo fa ho raccolto nel dialogo con alcuni colleghi del Centro Documentazione Handicap di Bologna, a cui ho proposto una serie di miei articoli che hanno aperto stimolanti variazioni sul tema. Tra queste l’immagine e la percezione del proprio corpo fino al rapporto con quello dell’altro che ha spinto tutti a ripartire dal proprio vissuto.

Il convegno Erickson di Novembre, come già annunciato, è alle porte e questi saranno senz’altro punti di discussione indispensabili . Senza la conoscenza del proprio corpo infatti è impossibile rapportarsi con quello degli altri, così come avere consapevolezza dei proprio limiti e delle proprie qualità.

Le disabilità e le carte anagrafiche dei miei colleghi sono le più varie. La maggior parte però, ha raccolto e affrontato la sfida di raccontarsi con ironia e sincerità, con tutte le difficoltà del caso, perché parlare del proprio corpo, soprattutto quando è così "diverso" dai canoni mediatici, è comunque un’impresa.

Stefania Baiesi, ad esempio, una delle mie storiche colleghe con disabilità, ci offre una testimonianza che fa proprio al caso nostro.

Le sue considerazioni partono dall’atteggiamento e dalla relazione vissute con l’altro sesso: "Non mi sono mai sentita provocante – scrive Stefania- sono sempre stata convinta di non avere fascino e di conseguenza facevo fatica a rapportarmi con l’altro sesso". Per poi gettare uno sguardo sul proprio aspetto e la propria estetica, dalla difficoltà a accettare il busto, brutto ma necessario per vivere: "…Come accettare un busto che è antiestetico di per sé, come posso non farlo vedere?…" alla ricerca della soluzione "…alla fine ho trovato delle spille che hanno una doppia funzione: chiudono i vestiti, coprono il busto, e sono molto carine!".

"…Da piccola in famiglia- prosegue- mi costringevano a tenere i capelli corti, per una questione di comodità… Il mio primo parrucchiere l’ho conosciuto a più di vent’anni, quando sono andata fuori casa, in una struttura semiresidenziale, dove, per la prima volta, ho avuto l’occasione di scegliere taglio e colore…"

E si potrebbe andare avanti a lungo… Molti gli elementi messi sul piatto, dal diritto/dovere di chiedere (anzi, in certi casi pretendere) una propria autonomia estetica fino all’accettazione di se stessi, attraverso un difficile percorso di crescita e di lavoro sull’autostima.

Personalmente credo che divulgare certe esperienze sia fondamentale, specie per tanti giovani, con disabilità o meno, che stanno scoprendo il proprio corpo e possono capire e immedesimarsi in certe situazioni di vita.

E voi vi sentite provocanti? Come curate il vostro corpo? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Caro Papa ti scrivo, Messaggero di Sant’Antonio, Settembre 2013

Caro papa Francesco, un nome, una garanzia. Sono passati alcuni mesi da quel «Buonasera» con cui hai aperto il tuo pontificato, condiviso fin da subito con tutti. Il verbo «pontificare», d’altronde, significa «costruire ponti», e tu in questi tempi ne hai gettati davvero molti… Non sto qui ora a elencarli tutti, ma ci sono dei gesti che, anche se piccoli, possono diventare rivoluzionari. Anzi, proprio perché piccoli sono emblema di un cambiamento. Parlo di una metamorfosi di pensiero e di cultura della relazione che si misura nei fatti, e non solo nelle parole.

Vorrei ora fermarmi un momento, sospendere il tempo, così come accade quando tu fai arrestare la papamobile per scendere tra la gente, scatenando il panico nelle tue guardie del corpo. Vorrei ricordare, in particolare, quel giorno in cui, nel mezzo della folla, ti sei avvicinato senza esitare a una persona con disabilità e l’hai abbracciata, baciata e sollevata. Un gesto importante, che segna un cambiamento di prospettiva notevole e che, concedimi, prima d’ora non si era mai visto. Hai mostrato che un conto è accarezzare una persona, un conto è sentirne il corpo su di sé, compresi, nel caso della disabilità, i suoi odori e le sue deformità. Significa mettersi nel corpo dell’altro, assumerlo su di sé come il proprio. Certo è un gesto «scandaloso», che arriva a mettere in crisi tutte le nostre sicurezze e che va ben oltre il semplice gesto di carità. Aquesto proposito ricordo anche quando, durante una delle tue omelie, hai detto ai sacerdoti: «Siate pastori con l’odore delle pecore». Ecco, è proprio questo il punto. La Chiesa deve saper annusare l’odore della disabilità, immergersi, mischiarsi e imbrattarsi all’interno di quei contesti che tutela e protegge, ma che non sempre frequenta nell’intimità.

Certo è un odore scomodo, difficile da sostenere, accettare e accogliere. Molto più facile sarebbe allontanarlo, respingerlo o al massimo compatirlo, perché, diciamocelo, è un odore sgradevole. Eppure tu hai lasciato che impregnasse la tua veste, un po’ come il tuo gesto ha fatto nella memoria dei presenti e di quanti lo hanno seguito sullo schermo. Se questo è accaduto è perché la tua azione – il tuo fermarti e sostare – non è stata neutra ma ha provocato movimento, caos, rumore, ha rotto, cioè, uno schema consolidato di rispetto, soggezione e distanza.

È proprio ciò che accade quando si fa integrazione: si genera baccano, disordine, si percepiscono nuove vite e nuove presenze. Perché l’integrazione non è mai statica, è sempre dinamica. E tu, con il tuo esserti messo in gioco, hai dato l’esempio. Un ritorno alle origini al quale, come il Francesco di cui porti il nome ci insegna, la Comunità deve continuare ad aspirare. Credo sia questa, in fondo, la vera scommessa del nuovo millennio: una Chiesa che torni a comunicare e condividere con il popolo le proprie origini, senza avere paura di annusare tutti gli odori, anche i più pungenti.
Detto questo, ora purtroppo il mio spazio è finito e non posso aggiungere altro, se non rivolgerti il mio più sentito grazie per i tuoi gesti rivoluzionari che spero si moltiplicheranno. Ciao.

E voi di quali gesti rivoluzionari siete stati protagonisti? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo Facebook.

 

Figli delle stelle, Superabile, Luglio 2013

"Siamo fatti dello stesso materiale di cui sono fatte le stelle". Poesia o verità scientifica? Bisognerebbe chiederlo all’astrofisica Margherita Hack, fiore all’occhiello della ricerca italiana, che di questa ormai celebre frase ha fatto la sua firma.

Una frase che mi è tornata in mente in queste sere d’estate, ora che la magica notte di San Lorenzo si avvicina e il mondo se ne sta con il naso all’insù, aspettando di scorgere la scia di qualche stella cadente a cui affidare i desideri più segreti o facendo a gara a chi ne vede prima e di più. Margherita, che oggi dal suo cielo ci guarda, l’ho incontrata qualche anno fa sul palco del Politeama di Prato, con lei e il dottor Marco Armellini ospite dell’incontro "La mia buona stella", condotto dal giornalista Federico Taddia e promosso dall’Associazione Il Geranio. Ma che cosa c’entrano, vi chiederete, le stelle e l’Universo con la disabilità?

Ha a che fare con il concetto e l’esperienza del limite, con la sua scoperta e la sua condizione in sé e per sé.

L’Universo, ci raccontava infatti Margherita, è illimitato mentre la disabilità, aggiungo io, è limitata.

Su questo abbiamo duettato per due ore di fronte a cinquecento ragazzi, gli studenti della Provincia di Prato, esplorando i confini e le contaminazioni tra scienza e quotidianità per scorgerne similitudini inaspettate.

La disabilità infatti ci pone sempre a confronto diretto con limiti non solo immaginari ma fisici e concreti e allo stesso tempo con un altro concetto che con l’Universo ha molto a che fare…Sto parlando dell’ignoto , di ciò, ovvero, che ci appare lontano, sconosciuto e inaspettato. Eppure, pensateci, l’ignoto è anche un concetto estremamente affascinante che implica immaginazione, scoperta e la capacità di lasciarsi andare. Ci vuole coraggio per gettarsi in quello che a prima vista può apparire un buco nero senza uscita ma quando lo facciamo ci scopriamo senza forza di gravità, proprio come gli astronauti in missione nello spazio.

Bisogna guardare in alto, alle stelle per conoscere l’immensità di noi stessi e dell’altro. E voi, quanto guarderete le stelle in queste notti d’agosto? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

Bes o non bes? Questo è il problema?, Superabile, Luglio 2013

Scuole chiuse, dibattiti aperti.
Per la gioia di molti studenti anche per quest’anno è andata. La scuola è finita, rimane qualche maturando alle prese con gli orali, poi i nostri ragazzi penseranno a godersi questa caldissima estate. Ancora una volta ci troviamo a tirare le somme, a fare considerazioni. Lo scorso settembre avevo scritto alcune riflessioni sulla drammatica situazione economica della scuola pubblica italiana, proponendo la creatività come strumento anticrisi.
Ora a far discutere c’è una novità importante. Con la circolare n.8 del 6 marzo scorso sono arrivate indicazioni concrete per l’attuazione della direttiva ministeriale sui bisogni educativi speciali, i cosiddetti “BES”.
La direttiva riguarda chiaramente gli alunni con disabilità ma non solo, i “BES” comprendono persone in situazioni di difficoltà eterogenee, dallo svantaggio linguistico a quello culturale o sociale. Qui si è già aperto un confronto. In molti temono che il provvedimento porterà ad un sostanziale taglio degli insegnanti di sostegno tanto che l’acronimo “BES” è già stato trasformato da alcuni in “bisogna eliminare il sostegno”.
Scuole chiuse dunque, ma dibattiti più che mai aperti.
La prima impressione che mi ha dato la circolare è buona. Ma aspetto a fare delle valutazioni, troppe volte ho scritto e parlato della centralità, dell’importanza vitale che ha il ruolo dell’insegnante di sostegno nel percorso educativo e formativo degli alunni con disabilità. La definizione stessa di “insegnante di sostegno” andrebbe a mio parere rivista, indicatrice com’è di una differenza che troppo spesso finisce per escludere insegnante e alunno disabile dai percorsi e dalla vita della classe, di cui finisce per fare parallelamente parte. Non è su questo principio che, negli anni Settanta, prese avvio la Legge sull’integrazione.
Gli addetti ai lavori sono più che mai divisi. Carlo Scataglini, professore dell’università dell’Aquila ed insegnante di sostegno, ha addirittura lanciato una petizione per bloccare gli effetti della riforma.
Altri esperti come Salvatore Nocera, vice presidente della FISH, e Dario Ianes, professore e fondatore del centro studi Erickson, sono invece fiduciosi sulla qualità e la forza inclusiva della direttiva.
La stessa Erickson, come ogni biennio, dall’8 al 10 novembre organizzerà a Rimini il consueto importante convegno sull’integrazione scolastica. Parteciperemo anche noi del Centro Documentazione Handicap con un workshop, e sarà l’occasione per guardarci in faccia e discutere liberamente, tra le tante, la questione BES.
In attesa della prova del nove, che avremo a settembre con l’avvio dell’anno scolastico, mi piacerebbe conoscere la vostra posizione…
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

 

Cambia l’aria in ospedale, Il messaggero di Sant’Antonio, Giugno 2013

Si sta avvicinando un periodo critico per il mondo della disabilità. Il sole e l’afa accompagnano le nostre ultime lunghe giornate di lavoro mentre, tra un sudore e l’altro, ci perdiamo a sognare un bel tuffo in acque salate… Insomma, l’estate tanto attesa è finalmente alle porte. Ma allora, vi chiederete, qual è il problema? Non sono forse le vacanze il tempo dello svago, del divertimento e del meritato riposo? Dipende. Anche in vacanza purtroppo non mancano i fattori di rischio, soprattutto quando si parla di disabilità. D’estate la logica della lentezza diventa infatti più pervasiva, e a prendersi una pausa sono spesso anche i nostri servizi, che finiscono in genere per subire un certo rallentamento. Provate a pensare che cosa succede, per esempio, quando, a ferragosto, un disabile si trova ricoverato in un ospedale cittadino o di una qualche località turistica. Di solito in questi casi si tocca ferro…

 

Dal momento che il problema è conosciuto, c’è chi ha provato a fornire una soluzione interessante. È l’ospedale Gemelli di Roma che, insieme alla Cooperativa Spes contra Spem, ha promosso un’iniziativa davvero importante. Mi riferisco alla Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale, su cui, lo avrete già letto e sentito, si è speso un vivace dibattito. Una vera e propria novità, non solo in termini legislativi ma anche culturali, a partire da un problema concreto: che rischi ci sono se il personale ospedaliero si rivela impreparato all’accoglienza della persona con disabilità? A essere coinvolte sono tutte le figure professionali, dal medico al paramedico fino agli operatori sociosanitari. Il problema esiste: lo dico per esperienza. Anche a me è capitato di entrare in ospedale per sottopormi a un intervento. Non appena mi videro, i dottori optarono per rinviare l’operazione, non essendo preparati a gestire «una simile situazione», che non era la malattia in sé, ma il mio deficit motorio e le sue probabili ripercussioni. Da lì un’interminabile serie di richieste e nuovi accertamenti.

 

Al di là delle legittime preoccupazioni, l’assunto alla base era il solito: più grave è la disabilità, più grave sarà la sofferenza. A fare la differenza è stato l’aiuto della persona che mi ha accompagnato e sostenuto durante tutto il periodo del ricovero, un prezioso tramite che mi ha permesso di comunicare direttamente con il personale ospedaliero. Solo con la sua collaborazione ho potuto rendermi conto della situazione e partecipare alle sue possibili vie d’uscita. È ciò di cui parla con chiarezza anche l’art. 12 della Carta, che concerne proprio la presenza accanto alla persona con disabilità di un familiare, oltre al diritto di ricevere un trattamento personalizzato che tenga conto delle abitudini del singolo. Un’adeguata formazione degli addetti potrà sicuramente aumentare la qualità dell’accoglienza della persona disabile in ospedale, trasformando così anche la sofferenza in un’inattesa opportunità comunicativa. Creare una Carta dei diritti è come aprire una finestra. Cambia l’aria. E voi, siete mai stati ricoverati?

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook. 

Gli urti della vita, Il messaggero di Sant’Antonio, Maggio 2013

Un ritornello celebre, quello di Luca Carboni e della sua Ci vuole un fisico bestiale. Uno di quei ritornelli da cantare sotto la doccia e che recita: «Resistere agli urti della vita». Una frase che ora ci chiama a riflettere sulla triste vicenda di Oscar Pistorius, prima protagonista di sfide olimpioniche e sociali d’esempio per tutti e ora comparsa fissa nella cronaca nera delle pagine dei principali giornali.
Non voglio in questa sede ripercorrere o entrare nel merito del gesto di cui Pistorius è accusato, mi interessa piuttosto ragionare con voi sull’eco culturale di questa storia drammatica. Tra le tante lettere che ho ricevuto, lettere di delusione e rammarico per il crollo di un mito tanto amato, ce n’è stata una in particolare che ha catturato la mia attenzione. Elena, l’autrice della lettera, invita a soffermarci su un concetto importante: la responsabilità del mito. Una responsabilità, a ben vedere, che il mito non ha scelto, ma che gli è stata attribuita dal pubblico, fomentata da immaginari collettivi in virtù, talvolta, dei propri desideri di rivalsa e riscatto.

È chiaro che di modelli c’è sempre bisogno: ci permettono di andare avanti e di accompagnare i nostri sogni e le nostre battaglie quotidiane. Ma, il caso Pistorius lo insegna, i modelli non sono infallibili. Lo scarto, continua Elena, è proprio qui. Una vicenda del genere, pur essendo tragica, si inscrive purtroppo nell’ambito della normalità. Perché di titanio, Pistorius ha solo le gambe. Le persone diversamente abili non sono per forza migliori dei normodotati, ed è giusto che sia così.
L’essere dei leader, mi chiedo a questo punto, può rivelarsi alla lunga un peso insostenibile? Se il personaggio si libera della propria facciata, di lui che cosa resta? Si potrebbe fare questo stesso discorso per molti altri, come la giovane Beatrice Vio, detta Bebe, priva dei quattro arti e osannata da tutti a prodigio della scherma, la quale, in fondo, è solo una ragazza comune che un giorno, proprio come chiunque altro, potrebbe improvvisamente e dolorosamente scoprirsi tale.

Sopportare questo ruolo non è affatto facile. Bisogna davvero, come cantava Luca Carboni, avere un fisico bestiale e imparare a dosare le forze, altrimenti si rischia di soccombere, una sensazione che, nel mio piccolo, provo anch’io in tante situazioni. Nelle attività scolastiche, nei convegni, nelle interviste, sento il «dovere» di ponderare i miei atteggiamenti, di sbagliare il meno possibile per il ruolo che rivesto. Riconosco che alcune volte fatico a gestire questa pressione.
Il rischio, con la disabilità, è sempre lo stesso: o sei uno storpio da buttare giù dalla Rupe Tarpea o sei quasi una divinità.
Lo sapevano bene i Greci, che ci hanno regalato due esempi perfetti, Edipo, zoppo e bandito dalla nascita in previsione della sua colpa incestuosa, e Tiresia, l’indovino cieco portatore della verità del Fato. L’importante, al solito, è non estremizzare. Il confine è sottile, quasi invisibile, ma c’è ed è palpabile.

E voi, vi sentite più eroi tragici o più indovini?

 

Tutta mia la città, Superabile, Aprile 2013

Come può un disabile grave divertirsi con i Lego? Io non ho mai avuto problemi. Ricordo ancora con gioia la soddisfazione immensa di costruire case, negozi, strade e rotonde piene di segnali nella mia personale piattaforma cittadina, grande due metri per due. Quanto tempo passato a immaginare e a inventare, mattone su mattone, gli edifici della mia città! Ora vi chiederete come un bambino con tetraparesi spastica potesse essere un tanto abile architetto, ingegnere e costruttore.

Basta poco con un pizzico di fantasia, sbuzzo artistico e un po’ di manovalanza! A comporre la mia impresa edile c’erano infatti le operose manine dei miei più cari amici che partecipavano al gioco, seguendo le mie direttive e aggiungendo, di volta in volta, qualcosa di proprio.

Ma perché vi sto raccontando tutto questo? Per parlarvi di un’iniziativa molto interessante, segnalata, tra gli altri, anche dal mio amico Franco Bomprezzi sul blog Gli invisibili.

Si tratta di Orsoazzuro.it, uno store on line pensato per il commercio e la vendita di giochi per bambini con disabilità. Giochi creativi e utili a tutti, dal design accattivante, adatti ai "bisogni speciali" di ognuno di noi.

All’interno anche un blog, curato da Federica Dosi, una delle ideatrici del portale, che fornisce suggerimenti e consigli a famiglie e curiosi sugli acquisti più indicati. Simpatica proposta è anche la Gift Card, un buono acquisto e una soluzione alternativa che non ci obbliga a rivolgerci necessariamente ai genitori quando vogliamo fare un regalo originale ai nostri piccoli amici.

Il gioco è fatto per essere giocato, non è né terapia né ausilio, è puro divertimento, libertà, comunicazione e sfogo creativo, oltre che un’importante occasione per fare gruppo e crescere insieme.

Poter poi accedere on line a questo bel "paese dei balocchi" rappresenta un’altra piccola ma non trascurabile novità, considerato che la maggior parte dei giochi per bambini con deficit è oggi ancora concentrata in negozi specializzati o nei sanitari. L’Orso azzurro è proprio una bella occasione, per tornare bambini, sognare e lasciarsi andare.

Per saperne di più vi consiglio di andare a visitarlo mentre io continuo a costruire la mia città.

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mio profilo di facebook.

 

Corri fratello! Superabile, Aprile 2013

Sono venuto a conoscenza dell’incredibile storia dei due fratellini statunitensi, Conner e Cayden Long solo alcuni giorni fa, grazie a un bell’articolo del mio amico Claudio Arrigoni, pubblicato sul blog Invisibili del Corriere della Sera. Ho pensato alle numerose iniziative, proposte e impegni che in questi ultimi anni abbiamo speso sul tema dei siblings, fratelli e sorelle di persone con disabilità.

Soprattutto mi è tornata in mente una vivace corrispondenza, tenuta lo scorso anno con un lettore, un insegnante di sostegno, a proposito del Team Hoyt, esperienza sportiva che molto si avvicina al Team Long, la squadra per l’appunto dei giovanissimi Conner e Cayden.

La loro storia di siblings è quasi commovente, basta guardarli nella foto che li ritrae al traguardo, per capire con quale soddisfazione e divertimento i due piccoli abbiano affrontato insieme l’impresa (il triathlon è davvero uno sport durissimo!). Una sfida nutrita dall’amore, che rende palese un rapporto empatico forte e superfluo e retorico qualsiasi altro discorso su bontà d’animo e altruismo.

Non mancano tuttavia, a mio parere, alcune piccole ambiguità…

Per questo accennavo prima al Team Hoyt e al mio vecchio trascorso "epistolare". Mi si chiedeva un parere sull’utilità di questo sport (anche in questo caso competizioni di triathlon e maratone) allora praticato con impegno dal giovane Rick, ragazzo con disabilità e da suo padre. Prima di rispondere mi informai un po’ di più e quando mi imbattei in internet nel loro video espressi delle perplessità, tanto per cominciare sul filmato stesso, costruito con un pietismo all’americana decisamente eccessivo.

Mi chiedevo allora quale fosse il compito di Rick, che, senza un’idea creativa, rischiava di rivestire un ruolo passivo, trascinato unicamente nella corsa dalla forza del padre. Solo se Rick avesse avuto la possibilità con qualche ausilio di dirigere quella corsa, risposi al mio lettore, ci saremmo davvero trovati di fronte a qualcosa di interessante, capace di andare oltre al puro atto liberatorio.

Sono questi rischi purtroppo molto diffusi, anche quando le esperienze partono da totale buona fede.

Certo è che la foto di Conner e Cayden rende difficile ogni polemica osservazione… la loro è gioia pura, è fratellanza nel senso più alto del termine. E voi cosa ne pensate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.