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autore: Autore: Claudio Imprudente

Il soldatino che non stava in piedi, Il messaggero di Sant’Antonio, Dicembre 2012

Caro soldatino Jack, quando ti ho ricevuto in regalo con la tua truppa doveva essere l’ultimo Natale degli anni Sessanta. In quel periodo ero davvero un bambino felice. Era un anno speciale. Il ricordo del primo uomo sulla luna era ancora fresco, le parole della telecronaca di Tito Stagno potevo recitarle a memoria. Quella luna che mi era sempre apparsa così lontana ora era lì, quasi a portata di mano. Per la prima volta nella mia vita, caro soldatino Jack, imparavo che si può lottare per ottenere ciò che sembra impossibile e – a volte – ottenerlo.
Ti ricordi, Jack? Quando ho aperto la tua scatola, sotto l’albero, ero pazzo di gioia. Non ti ho riconosciuto subito, eri mischiato là in mezzo, con gli altri diciannove del tuo battaglione, tra carri armati, artiglieri, trombettieri e generali. Non ho nemmeno finito di aprire gli altri regali, tanta era la voglia di mettervi a difesa della base militare già nella mia camera, regalo del Natale precedente.
In un attimo eravate disposti, in posizione… ma notavo qualcosa di diverso in te. Cercavo di metterti in piedi, in condizione di combattere. Ma tu continuavi a cadere. Solo allora ho capito. Avevi un difetto di fabbrica e non potevi rimanere in piedi.
Proprio come me.

La prima cosa che ho pensato, caro Jack, nella mia fervida fantasia da pre-adolescente, è stata che la tua disabilità portava la pace. Tu potevi essere tante cose, ma sicuramente non saresti mai stato un eroico condottiero. Avevo due possibilità per te: potevo eliminarti, farti fare il ruolo del morto, oppure creare un contesto nel quale avresti potuto valorizzare le tue qualità.
Non sto parlando solo di voi soldatini, sto parlando dell’intero mondo della disabilità. Possiamo considerarci morti, invisibili, vegetali. Oppure possiamo collaborare per creare una realtà, un contesto dove poter esaltare le potenzialità e metterle a disposizione nostra e degli altri.
Come potevo valorizzare le tue qualità da soldatino disabile?
Da bravo marine dovevi mettere le tue capacità al servizio della squadra, e così ti ho sdraiato, con il mitragliatore che puntava un po’ alla rinfusa. Ma non era quello l’importante. Ciò che contava era cosa vedevi dalla tua prospettiva, cosa potevi sentire. Ti immaginavo, così vicino al suolo, ad ascoltare il rumore e gli odori dei «nemici», i passi degli invasori avvicinarsi alla base. Da quel punto di osservazione potevi scorgere gli spostamenti dei compagni, avere una visione ampia delle cose e tenere la situazione sotto controllo.

Siamo alle solite. Guardare il mondo da un’altra prospettiva rimane la carta vincente per costruire una cultura di pace. Cultura di pace che, in fondo, non è altro che il rispetto e la valorizzazione delle diversità, dell’alterità, poiché la disabilità è disarmante.
Caro Jack, il tuo non è un difetto di fabbrica, è un ruolo speciale che ti è stato assegnato, è una responsabilità. La morale della favola la suggerisce Roberto Vecchioni: «Mi porterò il soldatino che non rimaneva in piedi, ma che è il più bello se ci credi». Vero Jack, eri il mio preferito.
Vi auguro un buon Natale e con questa favola spero che i «difetti di fabbrica» non vi facciano più paura. Scambiamoci gli auguri su claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Alla giornata mondiale della disabilità con Re 33, Superabile, Dicembre 2012

La Giornata Mondiale della Disabilità è ormai alle porte…Che fare quest’anno? Io che sono molto sbadato me lo chiedo spesso…Finché un giorno, pensa che ti pensa, mentre riordinavo le mie scartoffie, un’idea mi è balenata nella mente…Ah! Dimenticavo! Non mi sono presentato, sono Re 33, forse qualcuno di voi mi conosce già. Da circa vent’anni abito nel regno di Yamah e le mie gesta e le mie avventure sono narrate nel libro Re 33 e i suoi 33 bottoni d’oro.Per questa giornata speciale ho deciso di farvi un regalo e di "modificare" un po’ la mia storia…perché anche le storie e i libri si possono modificare, lo sapevate?

Come ci raccontano Antonella Costantino, Mara Marini, Nora Bergamaschi, autrici di Dal libro su misura alla biblioteca di tutti. "Il libro modificato è un libro fatto a misura di quello specifico bambino, "su misura" quindi nella grafica e nelle immagini, nell’argomento, nel testo, nel modo di leggere, nei contenuti emotivi, nell’accessibilità fisica e nell’accessibilità comunicativa. E’ possibile partire da un libro già esistente e modificarlo per renderlo fruibile … Si possono anche creare libri che siano completamente ex novo e su misura per "quel" bambino. Possono riguardare esperienze significative sia piacevoli che spiacevoli (una vacanza, il compleanno, il ricovero in ospedale, il fratellino, ecc..), interessi specifici (il libro delle ruspe) o altro …".

Disegni, figure, immagini ma anche suoni, stoffe e ogni tipo di materiale, il libro modificato usa questi "trucchetti" per rivolgersi a tutti i bambini, a chi ha disabilità motorie, deficit sensoriali, dislessia, agli stranieri che conoscono ancora poco la nostra lingua… Ma state bene attenti perché non sempre adattare significa semplificare. Presto ve lo dimostrerò, non solo tra le pagine del mio libro ma anche sulla scena, a teatro, con tanto di attori e spettatori.

Il 1 dicembre vi aspetto a Granarolo dell’Emilia (BO), presso il Borgo Servizi del Comune in via San Donato 74 per assistere alla mia storia "modificata" dove incontrerete tutti i miei compagni di viaggio…l’imprevedibile giullare Sberleffo, l’austero Sovrano dei sovrani e ovviamente me, Re 33! Mentre vi chiederemo di aiutarci a portare insieme la giustizia nel regno di Yamah, dietro di noi scorreranno su uno schermo le parole "modificate" della storia, interpretata dagli animatori con disabilità e dagli educatori del Progetto Calamaio della Cooperativa Accaparlante. Così, in qualità di Re 33, darò il mio contributo alla Giornata Mondiale della Disabilità…e voi che combinerete?

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

 

La piazza è viva!, Superabile, Novembre 2012

Il popolo è ritornato in piazza. Per darle di nuovo voce. Quando accade ciò non si è mai di fronte ad un fatto banale. Spesso è l’esasperazione che porta uomini e donne a riempire le piazze, per condividere la loro indignazione, per conquistare (spesso ri-conquistare) i diritti negati.
In questi giorni i malati di SLA (sclerosi laterale amiotrofica) hanno ripreso lo sciopero della fame, a Roma, visto che le parole del ministro dell’economia sono per ora rimaste tali. I fondi per la non autosufficienza, almeno in una normale democrazia, dovrebbero essere garantiti senza se e senza ma. Evidentemente non è così. Per questo il mio appoggio a questi ragazzi è totale. Lo sciopero è un diritto, in ogni sua forma, sancito dalla costituzione. Faccio fatica a comprendere le polemiche che stanno divampando su facebook ed altri social network, circa le modalità di questo sciopero della fame: un malato debilitato dalla Sla sa benissimo che rischi corre utilizzando simili strumenti di lotta. Dunque se lo fa, è perché reputa basilare, per se e per gli altri, il mantenimento di un welfare efficace, di uno stato sociale degno di questo nome. Il “popolo” torna a farsi sentire, perché vede contesti e situazioni che non funzionano.
Anche noi nel nostro piccolo, abbiamo deciso di “scendere in piazza”. Ho già scritto in questa rubrica sulla nostra situazione attuale di lavoro, precaria, destabilizzante. Per questo abbiamo creato un comitato “Salviamo la casa delle biblioteche di Borgo Panigale” ed abbiamo organizzato una mobilitazione, nella mattinata del 24 novembre per proteggere un "bene comune" dal degrado e dall’abbandono, chiedendo un tempestivo intervento di ripristino. Un abbraccio collettivo e simbolico allo stabile di via Legnano, una struttura dove i disabili si sono dimostrati risorse attive per il quartiere, e hanno favorito la cultura dell’inclusione con la produzione di informazione sociale, locale e nazionale, e molto altro ancora.
Vi aspettiamo numerosi, per far sì che questo abbraccio sia il più caloroso possibile!
Per tutte le informazioni cliccate qui!
Altrimenti scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.
Claudio Imprudente

 

Io vagabondo, la storia continua… , Superabile, Novembre 2012

BOLOGNA – La storia continua, purtroppo. Come ormai sapete la sede che da anni ospita l’Associazione Centro Documentazione Handicap è stata dichiarata inagibile dai tecnici del settore manutenzione del comune di Bologna. La situazione è delicata, quasi insostenibile. Non tanto per chi scrive, che ormai ha i capelli brizzolati e in cinquant’anni di vita ne ha viste tante ma per tutti i giovani animatori, specie quelli con disabilità, del Progetto Calamaio. Per questo ci stiamo muovendo in tante direzioni, cercando di uscire da questa impasse che non ci permette di svolgere il lavoro come vogliamo e nega alla cittadinanza bolognese uno storico punto di riferimento del mondo del sociale ed educativo su documentazione, formazione e informazione. Vorrei condividere con voi alcuni pensieri degli animatori con disabilità del Centro, parole che testimoniano appieno il senso di smarrimento e la fatica di questi ragazzi. "Mi sono chiesto come sarà organizzata tutta la mole di lavoro in più, ma anche dove andremo, come sarà il nuovo posto, facilmente o difficilmente accessibile, sarà piccolo o grande?" mi suggerisce Mattias. "La prima settimana che sono rimasta a casa dal lavoro mi mancava l’ambiente lavorativo ed ero impaziente di poter ritornare al Cdh, perché sono affezionata al mio lavoro oltre che molto preoccupata per la mia borsa lavoro.

Sembra una sciocchezza ma in realtà se io non faccio tutte le mie ore lavorative la borsa lavoro viene meno e questo mi scoccerebbe molto, perché non potrei soddisfare le mie piccole necessità. Oltre al problema della retribuzione, a me scoccia soprattutto perché sento una grande responsabilità per questo impegno e vorrei continuare a farlo nelle migliori condizioni possibili" aggiunge Tiziana. "Non abbiamo più un posto dove stare, non abbiamo i nostri spazi che ci permettevano di fare i laboratori nei quali possiamo imparare a stare con gli altri e a relazionarci nel modo giusto e dove ci viene insegnata anche la cooperazione" mi spiega Francesca. Questa è la situazione. Ho scritto alcune righe al vice sindaco, Silvia Giannini, e ad altre figure istituzionali del comune di Bologna per informarle sulle difficoltà e sull’urgenza di trovare una soluzione. Sperando che i miei capelli siano ancora brizzolati nella nuova sede e non completamente bianchi…

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

L’uragano The sessions, “Superabile”, Novembre 2012

A volte ritornano. Vi chiederete cosa e chi. Il sesso, l’amore e la disabilità. Ne avevamo sentito parlare per la prima volta negli anni Ottanta, grazie a libri e convegni che già allora avevano contribuito ad evidenziare una questione fondamentale nella vita delle persone con deficit, a lanciare una piccola rivoluzione. Anzi, già nella prima metà degli anni Settanta, con il libro “La speranza handicappata”, Cesare Padovani aveva infranto due tabù: un disabile grave che scrive un saggio e nello stesso tempo parla di sesso e disabilità. Anche noi del Centro Documentazione Handicap abbiamo dato più volte il nostro contributo alla causa.
Bene, ora sembra che il dibattito si sia finalmente riacceso e nonostante la delicatezza della questione il fatto che se ne torni a parlare è già di per sé positivo. Generalmente si affrontano gli argomenti quando se ne sente la mancanza, la necessità. Se ci pensate nominare la parola “sessualità” vale spesso lo stesso del nominare la parola “pace”, utilizzata e quasi abusata proprio quando non ce ne è abbastanza, quando siamo in periodi di guerra.
Proprio per queste necessità e bisogni, a volte celati ma pur sempre impellenti, ritengo che ora i tempi siano più maturi per affrontare consapevolmente questo tema, non solo a livello etico ma anche legislativo, come già succede in molti paesi del nord Europa.
Pochi giorni fa è stato presentato presso la Sala Borsa di Bologna, nell’ambito del festival Gender Bender, il documentario “Sesso, amore&disabilità” che ha riscosso un forte e meritato successo. “Sesso amore&disabilità” è progetto filmato, un video che ci parla di esperienze reali, vissute, con interviste realizzate da giornalisti con disabilità in tutto lo “stivale” per capire e comprendere le diverse situazioni e i diversi approcci alla vita sessuale delle persone con deficit. Il folto pubblico presente all’anteprima del film è la dimostrazione di quanto sia forte l’esigenza di affrontare certe tematiche.
Contemporaneamente dall’altra parte dell’oceano Atlantico, a parte l’uragano Sandy, è uscito da pochi giorni nelle sale americane un film destinato a far discutere. Un altro uragano. Già premiato al Sundance 2012, “The sessions” arriverà da noi solo nel 2013 per ritornare su questi stessi importanti temi.
Chiaramente non posso commentare la pellicola, ancora non vista, ma il solo fatto che questa contribuisca ad alimentare il dibattito è cosa positiva.
La mia percezione è che oggi sia cambiato l’obiettivo. Nei decenni scorsi la discussione era incentrata sulla rivendicazione della sessualità come elemento indispensabile, ma quasi fine a se stesso, ora mi sembra si parli di uno status più complesso e integrante, calato nella nostra quotidianità.
E voi, cosa ne pensate?
Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

 

La marcia delle tartarughe ninja, Il messaggero di Sant’Antonio, Novembre 2012

Quando ho accennato ai miei colleghi l’idea di scrivere un articolo su Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello, sono stato un po’ deriso. «Claudio, sono anni che ti occupi di tantissimi argomenti, ma cosa c’entrano i grandi del Rinascimento italiano con i tuoi temi?». Vero. Amo l’arte, ma non posso improvvisarmi tuttologo. In realtà non mi avevano capito. Io volevo parlare delle tartarughe ninja, i personaggi di fantasia protagonisti di fumetti, serie tv e film.
Ammetto che fino a qualche giorno fa non conoscevo proprio nulla di queste quattro tartarughe mutanti, se non i loro nomi così affascinanti. Ma una sera, in pizzeria, seduto davanti a un bambino e a una «quattro stagioni», sono stato «costretto» ad ascoltare la storia delle tartarughe ninja e del loro maestro Splinter, un ratto. All’inizio non prestavo attenzione, poi lentamente (proprio come una tartaruga!), man mano che il bimbo raccontava le loro avventure ho iniziato a pensare, a collegare… La vita ai margini, le lotte per la giustizia, una corazza come protezione, la collaborazione.

Non è che anche questi personaggi fantastici possono darci un contributo culturale? Non sono forse una metafora delle conquiste ottenute negli ultimi cinquant’anni di battaglie per un mondo più accogliente e inclusivo? Io credo proprio di sì. Partiamo dal loro contesto, da dove provengono: le tartarughe ninja vivono nascoste, nelle fogne, nel sottosuolo della città, lontane dagli sguardi della gente. Ovviamente ho subito fatto il paragone col mondo dell’handicap. Un mondo che spaventava, dunque tenuto nascosto almeno fino alla legge sull’integrazione dei primi anni Settanta. La disabilità turbava così tanto da non dover essere nemmeno argomento di discussione. Poi è cambiata la mentalità, sia dei disabili che della collettività. L’innovazione dunque è stata legislativa, ma soprattutto culturale. Dopo tante battaglie così, la diversità non era più rintanata nel sottosuolo. Proprio come le tartarughe ninja, è uscita in superficie per mescolarsi nella società, e quest’ultima non poteva più fingere di non vedere.

Ma la metafora tartaruga ninja-disabilità offre un altro spunto interessante. La tartaruga ha una corazza con funzione protettiva che le è indispensabile per vivere, per difendersi dalle avversità. Anche un disabile «indossa» una corazza: è la sua carrozzina. Questa ha una grande funzione difensiva e di sostegno, «per resistere agli urti della vita» direbbe Luca Carboni. Un ausilio che dà sicurezza, quindi, sia dal punto di vista fisico che morale, sempre che venga interpretata non come una sfortuna o come un peso, ma come uno scudo. È quello che fanno le tartarughe ninja mentre combattono per la giustizia sotto la sapiente guida di un «coordinatore» ratto che crede nel lavoro di gruppo e che ha fiducia nei suoi collaboratori (chiaramente prendo le distanze dai loro metodi di lotta…). La squadra delle tartarughe agisce proprio come fanno le molte associazioni che in questi anni hanno contribuito ad aumentare la consapevolezza delle abilità diverse.
Metafore potremmo trovarne ancora… ma il mio spazio, per il momento, finisce qui. Salutando i miei colleghi Raffaello, Michelangelo, Donatello e Leonardo vi invito a scrivere sulla mia e-mail claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook, alla ricerca di altre metafore.

 

Il sasso nell’acqua, Superabile, Ottobre 2012

La bella stagione è andata cari ragazzi. Lo vedo nei vari meteo, soprattutto lo sento nell’aria. Fuori dalla mia finestra vedo l’autunno prendere il sopravvento, le foglie già ingiallite cadere e mescolarsi alla terra. Finisce il tempo delle passeggiate, inizia quello delle buone letture con un té caldo in mano… Ma quale libro scegliere? La scelta è davvero difficile, dal nuovo Nobel per la letteratura Mo Yan al nuovo romanzo di Ken Follett fino ai soliti indispensabili classici…Quest’autunno voglio consigliarvi un libro "diverso".

A questo proposito, vorrei parlarvi di Luca Francioso, un talentuoso chitarrista quanto un originale scrittore. Quel che si dice un’artista a tutto tondo. Il suo ultimo lavoro, "Il sasso nell’acqua", è un bellissimo romanzo, che trovate a puntate direttamente nel suo blog. L’ho letto in anteprima e ne ho scritto la prefazione con entusiasmo, spiegando in poche righe come ci siamo incontrati e ciò che ci accomuna. Eccola, vi invito a leggerla, sperando di incuriosirvi ancora un po’…

Era autunno inoltrato la nebbia stava calando all’orizzonte, finalmente un bar dove sostare e bere qualcosa prima che la serata avesse inizio, in un piccolo paese nel Veneto.

Mi si avvicina l’organizzatore che mi dice: "Claudio ci sarà un bravo musicista che intervallerà la tua chiacchierata con il pubblico, con i suoi pezzi". E’ stato così che ho avuto modo di conoscere Luca Francioso.

Trascorrono dei mesi e qualche anno, lo rivedo per un’altra bella serata di musica, all’insegna della solidarietà.

Allora non è un caso, mi dico, anche a lui piace "sporcarsi le mani", anche a lui piace mettersi in gioco e così le nostre storie si sono incontrate più e più volte, grazie anche ad un elemento importante che ci unisce: la diversità.

Come le sette note, così diverse tra loro che insieme divengono armonia, altrettanto abbiamo cercato di fare noi due con le nostre abilità, intrecciandole nei nostri contesti.

Il sasso nell’acqua è un romanzo dove l’arte, l’amore e la diversità delle storie dei protagonisti, possono scuoterti ponendo degli interrogativi anche sul perché delle cose che accadono nella tua vita.

Un amore che ti svuota dentro, come un sasso che ripetutamente noi stessi lanciamo nell’acqua, perché come ci dice l’autore l’amore cerca l’amore anche dove sa di non trovarlo, perché a volte non ci resta nient’altro che consegnarci alla Vita come un vuoto a rendere.

Buon té caldo… E buona lettura! Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

Il cerchio dell’identità, Superabile, Ottobre 2012

Chi di noi, da bambino e non solo, non ha mai giocato a Il gioco dell’oca? A me faceva arrabbiare da morire quando, dopo aver faticosamente raggiunto il novanta, i dadi e la sorte ti facevano beccare un numero troppo alto, che ti costringeva a ritornare indietro, di solito dritto dritto nella casella della prigione e le imprecazioni, ovviamente, si sprecavano… Qualche sera fa, navigando su internet, mi sono imbattuto in una bella frase del noto filosofo dell’educazione Duccio Demetrio, a proposito di un gioco da lui inventato chiamato, guarda caso, Il gioco della vita, che prende a pretesto le regole del gioco dell’oca per insegnarci a parlare più liberamente agli altri della nostra storia. Cito testualmente: "Raccontare di sé, della propria vita, dei propri ricordi, dei successi e delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli amici, degli amori, e dei luoghi che ci rappresentano…l’autobiografia è uno sforzo di attenzione/cura di sé che collega parti differenti della nostra vita fornendo un repertorio di modi di essere di sé nel tempo e nello spazio ed un senso del proprio posto nel mondo, secondo una prospettiva di continua costruzione e ri-costruzione della propria immagine identitaria".

La mia mente è volata subito al rituale mattutino che apre le giornate di lavoro del Centro Documentazione Handicap di Bologna che a noi piace scherzosamente chiamare "il cerchio della vita". Un momento di condivisione e di confronto prezioso, in cui ognuno "si racconta" all’equipe, proponendo lavori e suggestioni, spesso nati dalle esperienze del proprio vissuto personale. Questo momento tuttavia non si identifica solo con uno spazio di tempo deputato ma con un luogo fisico preciso, fatto di mura, di mattoni, finestre e colori, quelli cioè della sede del Cdh, da trent’anni punto di riferimento nazionale della cultura dell’inclusione e della diversità, recentemente dichiarata inagibile a seguito di un sopralluogo ritardato dei tecnici del Comune di Bologna. Una chiusura obbligata ma anche un’occasione per reintegrare il senso di appartenenza e di identità delle persone con il proprio luogo di lavoro, soprattutto quando, nella crisi e nella precarietà diffusa, l’impiego si è trasformato per tutti da necessità a conquista. Spazio e appartenenza sono concetti fondamentali per lo sviluppo dell’identità della persona disabile e non, su cui sicuramente torneremo a riflettere. E voi, mi raccontate quali sono stati i luoghi più significativi per la vostra identità? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook. (Claudio Imprudente)

 

Il brutto, il povero e il cattivo, Superabile, Ottobre 2012

Un tipo di duemila anni fa diceva: i poveri e gli storpi ce li avete sempre con voi… E fin qui tutto bene. Vivere e stare in questa cricca, tuttavia, può generare qualche esilarante imprevisto… Tempo fa, mentre me ne andavo a zonzo con un amico per Via Indipendenza, ho deciso a un certo punto di fermarmi ad un bar per sorseggiare qualcosa di fresco… Non ricordo più il perché ma il mio accompagnatore aveva dovuto assentarsi un attimo, così io sono rimasto qualche minuto da solo all’entrata del locale. Nel giro di un istante si è presentata di fronte a me un’anziana signora in pelliccia, la quale mi ha rivolto un bonario sorriso e mi ha piazzato sulle gambe una banconota da dieci euro…Io, attonito, non potevo purtroppo fare un granché per fermarla, per cui mi son ritrovato a ricambiarle il sorriso e a fare spallucce… Morale? Ho pagato uno spritz al mio amico.

Un altro surreale aneddoto, che risale a un po’ di anni orsono, mi ha visto protagonista a un semaforo. In questo caso non mi trovavo fuori ma dentro a una macchina con i vetri oscurati. Ad un certo punto si è avvicinato un mendicante, che voleva chiaramente dell’elemosina… Ha bussato al vetro del finestrino e quando si è abbassato ha subito infilato la mano senza badare più di tanto a chi era seduto dentro la macchina, finché non si è accorto di me. A quel punto ha ribussato al vetro e mi ha restituito l’elemosina. Morale? C’è sempre qualcuno che sta peggio di te.

Giorni fa Franco Bomprezzi ha pubblicato un bell’articolo sul blog del Corriere della Sera Invisibili, che ci regala una nitida analisi del fenomeno e delle sue contraddizioni, evidenziandone i risvolti pietistici e al contempo "violenti". Un mendicante che è persino disabile è un gran fastidio per la suddetta morale… non possiamo accusarlo o temerlo ma nemmeno giustificarlo. Da una parte c’è l’inevitabile tristezza che di fronte a lui o a lei ogni volta ci assale, dall’altra resta il sospetto che la "disgrazia" in fondo sia pur sempre un fatto strumentale. L’invalido-accattone non è pericoloso ma di sicuro è una mancanza di decoro per un paese civile come il nostro, ed è meglio starci alla larga. Gli unici ad avvicinarsi sono i vigili urbani o addirittura la polizia, come se l’impossibilità ad accedere a determinati servizi, quelli dei disabili belli e ben vestiti, sia da attribuire a ragioni di sicurezza. La disabilità non è mai innocua, figuriamoci se brutalmente esposta per le strade. Viene spontaneo ritornare al tema dello scandalo, di cui ho già tanto parlato in diversi contesti. La povertà è uno scandalo così come lo è la disabilità. Lo scandalo in teoria in questo caso dovrebbe essere doppio.

Ricordate questa mia provocazione? Le ultime di cronaca "politica" ci raccontano di bassi politicanti che spendono le nostre tasse in ostriche, champagne e macchine di lusso. Quindi rimango confuso… Lo scandalo è nella povertà di strada o nell’avarizia di gente senza scrupoli? La mia idea è chiara. E la vostra? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook! (Claudio Imprudente)

 

Caro Maurizio Crozza…, Superabile, Ottobre 2012

Non siamo mica qui a contare quanti giri fa la ruota della carrozzina di un disabile nella scuola italiana, direbbe Maurizio Crozza imitando un nostro noto leader politico. Contare i giri della ruota sarebbe effettivamente eccessivo, caro Maurizio. Buttare un occhio su numeri e dati provenienti dal mondo della scuola, tuttavia, è necessario, specialmente ora che siamo ai nastri di partenza di un nuovo anno scolastico. La crisi economica si è abbattuta inevitabilmente su tutti gli ambiti della nostra vita e la scuola, purtroppo, non fa eccezioni. I dati che sto leggendo sono tutt’altro che incoraggianti.

Il primo a balzare all’occhio è quello sulle barriere architettoniche, sull’accessibilità. Un problema antico come la disabilità. Una recente indagine Istat riporta come l’ambiente scolastico sia considerato "ancora oggi poco accessibile". L’analisi sul territorio, si legge nel rapporto, pur evidenziando differenze marcate tra le diverse regioni, "mostra come anche nelle regioni più virtuose il 30% delle scuole non abbia ancora terminato l’abbattimento delle barriere architettoniche". Ancora altri numeri. La scuola italiana registra oggi nelle sue classi la presenza record di duecentoquindici mila alunni con disabilità: una bella cifra, se non fosse che mancano all’appello circa settantamila insegnanti di sostegno. E’ sempre più difficile attribuire un numero adeguato di ore alle classi, così come accadeva alla fine degli anni Novanta, dove ogni bambino aveva un docente tutto per sé. Oggi invece, anche il rapporto uno a due sembra un miraggio e questo a svantaggio di tutti, alunni con disabilità o meno.

Dove stiamo andando a finire? L’Italia è sempre stata tra i paesi più all’avanguardia dal punto di vista dell’integrazione scolastica. Quando nel 2008 io e il Centro Documentazione Handicap di Bologna siamo stati invitati negli Stati Uniti, a Nashville per la precisione, eravamo i portabandiera del modello italiano di inclusione, stimato e studiato oltreoceano specie dopo la legge del settantasette. La mia percezione è, dati alla mano, che portare avanti questo modello (o farlo progredire, come auspicabile) sia quasi impossibile. Almeno se guardiamo la questione da un punto di vista meramente economico. Come ripeto spesso, la disabilità può essere una risorsa, quindi se non possiamo investirci soldi abbiamo almeno il dovere di "sfruttarla" per creare un modello educativo comune, basato sul rispetto della diversità. I soldi mancano ma la creatività, sarete d’accordo con me, non si basa sugli euro… Cosa ne pensate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

Claudio Imprudente

 

La quarta parete, Il messaggero di Sant’Antonio, Ottobre 2012

Ottobre è un mese che mi ha sempre affascinato. È il mese delle scuole appena ricominciate, delle castagnate, delle foglie che cadono e dei teatri che aprono nuovamente il sipario, presentando le stagioni di spettacolo che accompagneranno molte delle nostre serate invernali. A questo proposito ho recuperato nella mia libreria un testo che non leggevo da un po’: Le mie regie di Kostantin Stanislavskij, il celebre regista russo ottocentesco, autore del più noto Il lavoro dell’attore su se stesso, manuale in voga tra gli attori dell’Actor’s Studio e delle scuole di recitazione. C’è una sua definizione, in particolare, che mi ha colpito da sempre. Il nostro regista afferma che il teatro è come una scatola, con tre lati (o pareti) chiusi, il fondale e le quinte laterali. Eppure, aggiunge, c’è una quarta parete, invisibile e immaginaria, interposta tra l’attore sul palco e lo spettatore in platea. Il teatro del Novecento ha tentato più volte di «bucare» la quarta parete, con l’intento di ridurre la distanza tra attore e spettatore, rendendoci così parte di un unico atto creativo dove tutti siamo protagonisti sullo stesso piano.

Personalmente mi sono sempre chiesto se per caso ce ne fosse anche una quinta da sfondare. Di sicuro avrete già capito dove voglio andare a parare. Sono profondamente convinto che anche la disabilità sia una specie di scatola con quattro pareti chiuse. Pareti che, a partire dai disabili stessi, abbiamo tutti il compito di smantellare e di far «esplodere».
Mi riferisco a quelle scatole protettive che danno sicurezza, ma che, se non si sta attenti, possono diventare delle prigioni. Parlo del preconcetto che aleggia ancora nel pensiero di molti, anche di tante famiglie, che un disabile debba solo parlare del proprio deficit e di tutto quello che ne consegue, del fatto che una persona non possa avere una vita, amicizie e interessi propri al di là delle associazioni e delle cooperative in cui lavora o che frequenta. Ciò vale, ovviamente, anche per la vita affettiva, un problema che coinvolge prima di tutto la persona con deficit, che molte volte non può o non ha il coraggio di fare certi passaggi.

Per imparare ad affrontare il mondo bisogna uscire dalla scatola e fare in modo che siano le azioni concrete a permettere di inserirsi nello stesso. Azioni che devono partire da tutti, disabili compresi, per poter parlare effettivamente e consapevolmente di società integrata. Che cos’è allora la quinta parete? Nient’altro che tutto ciò che sta fuori dalla scatola, fuori dai pregiudizi e dalla sfiducia, l’incontro con le esperienze che la vita e la società quotidianamente ci offrono. È nell’esperienza, infatti, che può finalmente azzerarsi la distanza tra palco e realtà, proprio come canta Ligabue. Detto questo, adesso vado a farmi un bell’abbonamento a teatro, sperando che non abbia pareti troppo resistenti. E voi avete mai fatto esplodere la vostra scatola? Avete trovato una quinta parete? Raccontatelo a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.

 

Cinquant’anni A.I.A.S…Tartarughe ninja in festa!, Superabile, Settembre 2012

“Eh già… sono ancora qua”, sussurrava Vasco Rossi nelle cuffie del mio i-pod mentre navigavo su facebook e leggevo con piacere l’invito all’evento A.I.A.S., la celebrazione dei loro primi cinquant’anni. Eh già, caro Vasco, anche quella realtà è ancora qua, speriamo ancora a lungo…
Dal 1962, A.I.A.S. Bologna Onlus offre un impegno concreto a favore delle persone con disabilità e alle loro famiglie. Chapeau.
Per me sarà un onore dunque, giovedì 27 settembre, poter dare il mio contributo a questa meritata celebrazione.
Dunque riflettevo sul mio intervento… cosa dire di nuovo ad educatori, operatori e genitori che da tanti anni si relazionano quotidianamente con la disabilità?
Cercavo uno spunto originale e comunicativo, semplice ma efficace.
Così ho pensato alle tartarughe ninja. Voi direte, cosa c’entrano adesso le tartarughe ninja? Viaggiando per metafore ho immaginato la loro storia e l’ho paragonata a quella della disabilità.
La loro vita, nascosti nelle fogne, per poi uscire allo scoperto a cercare giustizia. E tante altre intriganti affinità…
Paragoni forzati forse, ma incisivi.
Così ne ho parlato agli animatori con disabilità del Progetto Calamaio, chiedendo loro di trovare altri punti di contatto tra la fantasiosa storia delle Turtles e quella più reale che loro vivono nel quotidiano.
Un lavoro divertente e pieno di spunti: Tiziana ad esempio, si paragona ad una tartaruga per la sua lentezza, Stefania mette l’accento sulla loro forza d’animo e voglia di rimettersi in gioco. Nonostante le loro diversità le tartarughe ninja si sono ritagliate un ruolo attivo nella società, diventando risorsa per la collettività.
Mattias si rivede nelle Turtles quando scrive di una società che non vuole vederci e tenta, si spera inconsciamente, di ostacolarci e a volte di nasconderci.
Tatiana fa notare come le tartarughe sono uguali e diverse da noi. Sono tartarughe ma agiscono da persone e come noi, anche se con lentezza, cercano di riappropriarsi della propria identità.
Ecco quello che da cinquant’anni ci offre l’AIAS: la costruzione di una propria identità personale.
E che dire… Muovetevi tartarughe, ci vediamo il 27 settembre!
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Claudio Imprudente

 

Lettere al direttore

Caro Claudio,
la disabilità è un argomento complesso e vasto. I bambini che nascono con patologie genetiche, metaboliche, traumi da parto, sono in forte aumento, senza dimenticare quelli che diventano disabili a causa di incidenti stradali o domestici.
La famiglia si trova da un momento all’altro a dover cambiare vita, viene travolta dai sentimenti, dai timori, dalla disperazione, dalla incredulità.
Le madri con figli disabili non hanno le stesse Pari Opportunità della altre madri.
Le donne che si trovano a vivere la realtà di un figlio disabile non vengono informate adeguatamente del sostegno previsto dalle nostre leggi che spesso sono inapplicate proprio da chi dovrebbe invece metterle in opera.
Il primo ostacolo a cui si trova di fronte una madre è la mancata e adeguata assistenza per permetterle di continuare a lavorare, sia per mantenere inalterato il livello economico del nucleo famigliare, sia per mantenere un minimo di vita di relazione, che può aiutare nel tempo a vivere un contesto sociale e non rischiare di cadere nella depressione più totale. Abbiamo esempi strazianti di madri che uccidono il figlio disabile e a volte si uccidono esse stesse…
Le patologie genetiche, gravissime in molti casi, possono coinvolgere l’apparato motorio, respiratorio, sensoriale: ci troviamo così di fronte a un bambino che per vivere ha bisogno di un respiratore, dell’inserimento della PEG (sondino per l’alimentazione inserito nello stomaco) e con la vista o l’udito compromessi. In questi casi per permettere alla mamma di tornare al lavoro dopo il periodo previsto per il congedo di maternità sarebbe necessaria un’assistenza con personale sanitario di almeno 10 ore al giorno (8 di lavoro e 2 per gli spostamenti). Così non è se non in rarissimi casi: nella maggior parte delle situazioni in tutte le Regioni italiane le madri sono costrette a scegliere se occuparsi del loro bambino, rinunciando al lavoro o scegliere il lavoro, rinunciando a vivere con il proprio figlio.
Il delitto peggiore che si possa commettere è separare un figlio dalla propria madre, e questo avviene quando questi ragazzi vengono inseriti nei centri residenziali, non inferiore come gravità a mettere di fronte a scelte sofferte, solo per motivi economici, queste stesse madri che hanno la sola colpa di appartenere a un ceto medio, o medio basso.
A quali madri di figli normodotati viene chiesto di fare questa scelta? Per loro ci sono le babysitter, i nidi, i nonni, per i figli in condizione di handicap invece le babysitter non hanno la preparazione necessaria, gli asilo-nido spesso non si attivano, visto che fanno capo al Comune le spese di gestione, i nonni, quando ci sono, sono spaventati dall’impegno “straordinario nel vigilare un bambino con disabilità grave”.
“Mancano i fondi necessari”: sono le parole che sia le ASL che i comuni tramite gli assistenti sociali ripetono fino alla nausea alle famiglie, ma allora che devono fare queste donne e madri? Quali sono le priorità di un Paese civile?
Non vedo perché non dedicare a queste madri un piccolo tributo, un piccolissimo pensiero: la celebrazione del mio 8 marzo.
Daniela Mignogna

Cara Daniela,
la tua lettera precisa e intensa, “rispolverata” dopo quasi dieci mesi dagli archivi delle missive a me indirizzate (tempi tecnici, questa è pur sempre una rubrica trimestrale…), richiama a un argomento ineludibile, soprattutto perché davvero annoso, ma mai inseritosi tra quelli considerati prioritari e degni di una discussione approfondita. Peraltro in una nazione che non perde occasione per riempirsi la bocca della parola “famiglia”, più per delimitarne i confini di legittimità (“è famiglia solo quella che…”) che per immaginare e impostare politiche attente alle istanze che emergono dall’esperienza concreta dei nuclei famigliari attuali. Dicevo che quello da te sollevato è un argomento ineludibile e annoso che mi fa pensare, ad esempio, al tragico sovraffollamento delle carceri nostrane (da quanti anni ne sentiamo parlare senza che si siano trovate politiche efficaci e non solo azioni dal respiro breve ed effettivamente inadeguate a una risoluzione definitiva e resistente nel tempo, non perennemente temporanea?). Un tema, quello che mi sottoponi, che, soprattutto in Italia, è tutto declinato al femminile, dal momento che vige, per quanto silenziosamente (nel migliore dei casi), una legge, una dinamica per la quale il “peso” di un figlio, della sua quotidianità e della gestione della stessa (passami il termine “gestione”…) debba ricadere interamente sulla figura femminile della coppia (eterosessuale, s’intende, ma non esistono solo quelle, anzi). E questo rende le cose ancor più difficili, perché, in questo più che in altri Paesi, nascere donne implica già nascere con un handicap (si veda, a questo riguardo, anche se non è il suo tema principale ed esplicito, un breve e interessante documentario di Chiara Malta, J’attends une femme, del 2010): un handicap al quale, dato che spesso il corso, la natura delle cose lo prevede, non possono che aggiungersene altri (come la disabilità di un figlio) rendendo il peso totale ingestibile senza l’intervento di attori, reti di sostegno alla persona e… alle persone: una politica efficace in favore dei soggetti disabili è, per sua stessa natura, un politica efficace anche per tutto il mondo che più o meno immediatamente ruota attorno a essi. Come tu scrivi bene, la delega ad altre figure famigliari non solo non è sempre auspicabile, ma spesso si rivela inapplicabile dal momento che, in effetti, un bambino con deficit implica una presenza (a volte un’assistenza) maggiore e comunque di diverso tipo. Il punto, quindi, è, da un lato, mettere le figure parentali di maggiore prossimità (padri e/o madri) nelle condizioni di poter vivere nel migliore dei modi e con i giusti tempi il loro “desiderio di essere genitori”; dall’altro, garantire attorno a loro quel sostegno che non deve essere previsto, quando va bene, solo alla luce della loro assenza. Andrebbe cercata un’integrazione felice tra le parti in causa, non un’esclusione reciproca e non funzionale né alla famiglia né al soggetto con disabilità, né, in definitiva, alla società nel suo complesso. Occorre un sostegno che non si attivi solo per “recuperare un danno”, ma che lavori per favorire una soluzione in positivo dei casi che si trova a gestire, un loro miglioramento.
Siamo sicuri che, anche a un livello strettamente economico, questo non si riveli più sostenibile?
Per intenderci, costa di più ricostruire un intero paese distrutto dall’esondazione di un fiume o impostare politiche di tutela del paesaggio che possano intervenire in modo puntuale e costante?
Ecco, uscire dalla logica emergenziale e abbracciarne una di tipo opposto consente, a mio avviso, una maggiore garanzia del rispetto dei diritti di tutti e di ogni tipo e la certezza che a cavarsela non saranno, come sempre più spesso accade, solo quelli che godono di un reddito maggiore. Una questione di democrazia e di uguaglianza.
Buon 8 marzo a tutte. E a tutti. Col “dovuto” anticipo…
Claudio Imprudente

Le Olimpiadi dei giornalisti, Superabile, Settembre 2012

In questi mesi ho scritto spesso, anche su questa rubrica, di piccoli e grandi eroi del mondo dello sport. L’ho fatto perché affascinato dalle spettacolari e coinvolgenti manifestazioni sportive di quest’estate.
Dopo aver visto l’inaugurazione dei giochi paralimpici di Londra, ho riflettuto di nuovo (come capita ogni quattro anni…) su come questo sia indubbiamente l’evento mediatico più importante a livello mondiale, una vetrina enorme, non mi stancherò mai di ripeterlo, di spunti e riflessioni. Proprio come i giochi Olimpici dei normodotati. Due momenti in cui un pubblico veramente ampio può partecipare delle risorse e dei limiti che ogni individuo possiede, normodotato, disabile, con delle gambe o con degli arti di carbonio…Le telecronache dell’accoppiata Lorenzo RoataClaudio Arrigoni, piene di passione, competenza e professionalità, hanno contribuito a rendere ancora più emozionanti la cerimonia di apertura e le competizioni agonistiche.
Certo qualche piccolo neo che l’articolo del mio amico Franco Bomprezzi ha anticipato…. Perché la nostra cara tv di Stato, si chiede, “mamma” Rai, non ha avuto il coraggio di trasmettere in diretta un evento planetario così raro e originale su una delle tre reti ammiraglie?
Tra le tante risposte possibili, ne è arrivata una che ha scatenato un vero e proprio putiferio…Mi riferisco ovviamente alle dichiarazioni di Paolo Villaggio, che ha puntato il dito contro le ipocrisie sottese alla grande “messa in mostra” delle Paralimpiadi, denunciandone i rischi del pietismo, della spettacolarizzazione e via dicendo…Al di là di certe frasi veramente infelici come: “Fa tristezza vedere gente che si trascina sulla sedia con arti artificiali”, l’ex Ragioner Ugo centra un nodo fondamentale. Il confine tra sport e rivalsa è molto sottile e, a mio parere, Villaggio va a inciampare proprio lì, dando voce, del resto, a un pregiudizio diffuso: un disabile deve combattere, con sofferenza, per superare la propria sfiga, il suo è un atto glorioso di cui rendere partecipe l’intera comunità. Benissimo, ma andiamo oltre. Uno come Alvise De Vidi o Alex Zanardi, secondo voi, è uno sventurato che ce la può ancora fare o un atleta a tutti gli effetti?
Concordo con Lorenzo Roata, quando afferma nella manifestazione di chiusura che per noi giornalisti queste Olimpiadi sono state una palestra di formazione, dalla quale non potremo più tornare indietro. Così, mentre anche le Paralimpiadi giungono al termine, il dibattito sui linguaggi rimane aperto…
Ecco perché io mi sto già allenando per Rio e non vedo l’ora di partire…Secondo voi in che disciplina andrò a gareggiare?
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Claudio Imprudente

 

 

 

 

Una calamita per sorella, Superabile, Settembre 2012

“Appeso al frigorifero in cucina c’è una calamita con su scritto: sorelle per caso, amiche per scelta. È proprio quello che penso, alcune volte ci riusciamo, altre un po’ meno…”. Così mi ha raccontato un giorno la mia giovane collega disabile Francesca, da poco “arruolata” nel Gruppo Calamaio del Centro Documentazione Handicap di Bologna, a proposito di sua sorella gemella Federica.
A parte il fatto che io vado matto per le calamite e che ne ho il frigo letteralmente tappezzato, tante quante i miei avventurosi viaggi in giro per il mondo, questa frase mi ha colpito perché sintesi perfetta delle contraddizioni e dei contenuti più delicati di un tema così affascinante e importante come il rapporto tra fratelli e sorelle.
Il rapporto simbiotico infatti che quasi sempre si viene a creare, nonostante ci si trovi, come sottolinea la nostra Francesca, ad essere uniti un po’ per caso, spesso rischia di degenerare in gelosia da entrambe le parti. Amore e odio, iperprotezione e indifferenza in questi casi sono spesso faccia della stessa medaglia proprio come il nord e il sud dei magneti. Come poli magnetici cioè, ci si attrae e ci si respinge costantemente.
“La sensazione che ricevo da lei- continua Francesca- è di continuo controllo, difficilmente mi lascia fare le cose da sola e invece credo che per alcune ne sarei capace. È ovvio e certo che io abbia più bisogno di aiuto, ma ciò non significa che anch’io non possa migliorare”. E allo stesso tempo aggiunge: “A volte creiamo insieme delle alleanze per combattere i nostri genitori, in due otteniamo risultati migliori, oppure ci diamo una mano a vicenda nella scelta dei regali per i rispettivi fidanzati. Ci capita anche di andare a passeggiare e chiacchierare”.
Il limite tra complicità e conflitto è talmente labile e sottile che, come ci insegna la calamita di queste gemelle, diventa una questione di scelta, con cui imparare a misurarsi insieme giorno per giorno.
Come diceva Riccardo Cocciante è una questione di feeling…
E voi, sul vostro frigo, che calamita avete?

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Claudio Imprudente