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autore: Autore: di Emanuela Marasca

14. Esprimere l’agio, la bellezza dentro noi

di Giovanna Di Pasquale e Emanuela Marasca

Intervista a Sergio Zini, presidente della Cooperativa Sociale Nazareno di Carpi che promuove e realizza il “Festival Internazionale delle Abilità Differenti” giunto ormai alla sua 11° edizione (www.nazareno-coopsociale.it).

Come è nata l’idea di questo Festival?
L’idea del Festival nasce sostanzialmente dalle esperienze che noi abbiamo fatto per produrre qualcosa di buono per noi e gli altri a partire dall’arte. Siamo partiti con il teatro avendo in mente di dare un messaggio di un certo tipo: cioè le persone con disabilità sono persone prima di tutto, poi hanno un problema che si chiama disabilità ed essendo persone come tutti hanno voglia di esprimersi, di cantare, di ballare, ecc. L’idea forte che c’è dietro è che il prodotto che offri deve essere di alta qualità, le persone devono venire al Festival perché ci sono delle cose belle da vedere e ascoltare, e non solo per una questione di solidarietà. Rispetto ad altri approcci più metodologici la cosa che più mi colpisce è che nel Festival le attività artistiche non sono le espressioni del disagio ma dell’agio, di chi in quel momento è contento. Un paio di settimane fa siamo andati a fare una lezione all’Accademia di Belle arti insieme ad alcuni dei nostri ragazzi che dipingono: una cosa che è venuta fuori è che queste persone se stanno male non dipingono, quando stanno bene sì, dipingono. L’espressione artistica allora non è una catarsi, un metodo terapeutico, ma diventa semplicemente l’espressività di chi ha voglia di creare qualcosa.
Il nostro approccio non si è mai focalizzato sull’arte-terapia o su tutto ciò che presenta il suffisso terapia; quello che si vuole proporre è un’esperienza piacevole basata sulla voglia di “fare”, di esprimersi.
Tenendo conto di questo ci si accorge che pian piano le persone sono più contente se le si lascia evolvere. È una sfida ma è anche interessante. 

Avete avuto collaborazioni esterne per la riuscita dell’evento?
È stato fondamentale cercare collaborazioni specifiche e specialistiche; se volevamo fare teatro ci serviva un regista che noi non avevamo. Mi ricordo l’approccio con il primo regista che è stato molto divertente, lui era venuto con quell’atteggiamento un po’ snob come dire “adesso vado ad aiutare questi handicappati”. La cosa che più mi ha colpito è stato che man mano che si procedeva, se qualcosa non andava come doveva, lui si arrabbiava moltissimo e questo mi ha fatto capire che cominciava realmente a essere interessato. E questo è stato così vero che  dal ’94 è ancora con noi. Per la parte musicale, che è nata alcuni anni dopo, abbiamo coinvolto alcuni musicisti; nel 1999 abbiamo coinvolto un musicista tedesco, Hubert Bergman, in un lavoro sull’improvvisazione musicale. È stata un’esperienza fantastica, molto divertente. Negli anni successivi ci siamo ulteriormente strutturati perché il gruppo continuava a esprimere interesse per l’attività musicale e aiutati da musicisti professionisti siamo andati avanti producendo anche pezzi originali. E questo ha permesso la possibilità che i nostri gruppi andassero nelle scuole a presentare questo spettacolo cercando di coinvolgere nello spettacolo anche i ragazzi, i bambini. Bellissimo vedere come dall’imbarazzo iniziale, dall’orchestra schierata in cui sono presenti anche persone con disabilità in cui è evidente la presenza dei loro problemi si passi alla fusione più totale dove è impossibile distinguere chi è lo spettatore da chi è artista.

Fra i tanti artisti presenti al Festival nelle passate edizioni, c’è qualcuno che vi è rimasto particolarmente impresso nella memoria? Una storia che vi ha compito più di altre…
Sto passando in rassegna mentalmente tutte le edizioni. Ogni edizione ha sempre avuto un suo protagonista particolare evidente non tanto all’esterno ma all’interno cioè quando stai in compagnia di questi artisti per un’intera settimana. Due persone che mi hanno particolarmente colpito: Christian Standersen, un ragazzino autistico pianista, che quest’anno tornerà al Festival per la straordinaria capacità interpretativa che ha, è come se ti facesse vedere la musica. Soprattutto mi ha colpito perché ha grosse difficoltà relazionali e suonando guardava spesso la madre, che sta vicina a lui mentre suona, e con questo suo sguardo sottolineava come tutti noi abbiamo bisogno di avere al nostro fianco qualcuno che ci sostenga. E poi Toni Melende, chitarrista che suona la chitarra senza braccia e che ha partecipato all’edizione di due anni fa. Dopo poco tempo trascorso in sua presenza non ci si accorge più della sua disabilità, te ne dimentichi al punto che allunghi la mano per stringere la sua. È evidente che la persona non è riducibile al suo stato fisico e se stai in sua compagnia ti accorgi che quello che prevale è qualcos’altro. L’aspetto della disabilità è come un aspetto secondario.

Il rapporto fra l’evento Festival e le attività e l’impegno quotidiano della cooperativa: come lo definireste? Quali caratteristiche presenta?
Il Festival è uno dei punti della cooperativa dove è possibile vedere ciò che la cooperativa stessa fa. Per questo per noi è molto importante che il Festival si realizzi, è come se desse un obiettivo alle attività che si svolgono quotidianamente. Lo spettacolo musicale che stiamo preparando adesso ha per protagonisti i personaggi secondari delle fiabe, e il risultato finale è frutto del lavoro che il gruppo fa piano piano durante tutto l’anno nell’attività  legata alla musica che si fa nel centro diurno. Sapere che ci sarà il Festival è un aiuto a tenere alto l’aspetto motivazionale perché rappresenta la finalizzazione di un lavoro artigianale; serve per dare un orizzonte alle persone che vengono in cooperativa e testimonia che il loro lavoro è utile a qualcuno.

E questo messaggio è stato recepito dal pubblico presente e anche da quello più ampio attraverso le azioni (se ci sono state) dei media?
Ormai si è creato uno zoccolo duro di pubblico affezionato al Festival che lentamente si è allargato sempre più, un progressivo coinvolgersi di persone che trasmettono ad altre persone l’idea di venire. Tutti dalle nostre parti sanno che c’è questa iniziativa, nei circuiti specialistici legati alla disabilità tutti sanno che c’è questo Festival, comunque quello che sempre convince è il passaggio di apprezzamenti con il passaparola.
Rispetto alla questione dei media abbiamo avuto dei picchi di interesse, un anno una trasmissione dedicata su Rai 3, un altro servizio su Rai 2, diciamo però che per noi i media non sono la priorità. Ci proviamo…

Le prospettive e la motivazione ad andare avanti rispetto a quella dell’inizio.
Non c’è un cedimento di motivazione neanche durante la fase organizzativa precedente che è la fase peggiore dell’anno perché ancora non si capisce bene cosa verrà fuori, cosa sarà. È il momento più ansioso, quello in cui bisogna chiudere, andare in stampa. Nonostante questo non sento ansia, sono tranquillo perché in questi anni mi sono reso conto che “comunque vada sarà un successo”, non tanto per l’esterno ma per noi. Come sempre questa è per noi un’esperienza significativa se poi c’è anche il successo esterno tanto meglio perché abbiamo anche l’obiettivo di far conoscere questa iniziativa. Ogni anno si trova una motivazione in più, quest’anno che è l’undicesima edizione siamo tranquilli perché sarà come cominciare un nuovo ciclo, possiamo pensare anche in termini più contenuti anche se poi la dimensione è sempre più o meno la stessa.
Da due anni facciamo una cosa che si chiama Open Festival: infatti non tutto purtroppo è al livello di essere rappresentato e messo in scena, per cui quello che ci interessa è anche promuovere l’idea che ogni prodotto può essere migliorato, e cosa c’è di meglio di uno spazio aperto, un luogo di incontro dove sperimentare anche la gara fra compagnie o fra artisti che in questo modo si incontrano e si confrontano?
La motivazione che ti rilancia è il pensiero della gioia sperimentata dai nostri ragazzi, io mi ricordo quella dell’anno scorso e ho ancora voglia di vedere quella di quest’anno per poi ripartire ancora. Questa è la forza del motore che ti porta avanti.

Per saperne di più:
www.nazareno-coopsociale.it

È stata una cosa bellissima vederla: “OMA”, Orchestra Multietnica Aretina

Ho cominciato a cantare prima di parlare. Mia madre mi disse che il primo giorno di scuola addirittura invece di piangere, io ero sul grembo delle ragazze più grandi in autobus che cantavo.
Emad Shuman (cantante libanese) 

L’idea originaria dell’Orchestra Multietnica nasce da un esperimento fatto in Valdarno a Montevarchi, legato al Festival oriente-occidente.
Abbiamo programmato un laboratorio sulla musica e la cultura araba ed ebraica con Enrico Fink e Jammal Ouassini che sarebbero diventati i direttori dell’orchestra.
Il laboratorio aveva uno scopo semplicemente didattico all’inizio, e vi avevano partecipato una ventina di musicisti, in quel caso tutti italiani. Durante l’attivazione di quel laboratorio è nata poi l’idea di provare a fare un’attività più permanente, di tipo formativo nella prima fase iniziale, ma che poi potesse dar vita a una produzione come è a tutti gli effetti quella dell’Orchestra Multietnica. Abbiamo coinvolto allora una trentina di persone, fra italiani e stranieri che hanno partecipato a questo secondo laboratorio molto intensivo.
Abbiamo maturato meglio l’idea, l’abbiamo proposta al comune di Arezzo, e c’è stato subito un’adesione entusiasta da parte del Comune che ha sostenuto questo progetto.
Lo spirito dell’orchestra è quello di essere un luogo di incontro. È un po’ come una filarmonica, una banda, con lo spirito di coinvolgere ragazzi stranieri e di dedicarsi alla musica delle tradizioni del paese di provenienza dei ragazzi. Insieme a questo c’è l’idea di vivere un’esperienza anche formativa.
L’obiettivo finale è mettere insieme un’orchestra musicale mista, che esegua un repertorio che inizialmente parte dalle musiche tradizionali del mondo per poi conoscere anche la teoria, la tradizione che sta dietro l’esecuzione musicale, le caratteristiche tecniche delle musiche popolari.
Non potendo contare su potenti mezzi economici e mediatici e non potendoci ovviamente accontentare dei dieci, quindici ragazzi che sono venuti al primo incontro, abbiamo iniziato a fare un lavoro nel territorio. Portando volantini stampati in italiano, arabo, indi, in lingue che non sapevo nemmeno cosa fossero, perché ci siamo fatti aiutare per tradurre questo annuncio cercasi musicisti per formare un’orchestra multietnica”. Li abbiamo portati nel call-center, nei luoghi frequentati e vissuti dagli stranieri, al centro per l’integrazione, nei posti dove pensavamo di poter incontrare persone interessate al nostro progetto.
Questo progetto è nato come un progetto formativo, culturale. Ho voluto coinvolgere per questa fase due docenti che, oltre che esperti e bravi, rappresentassero anche bene questo concetto della condivisione, della convivenza e quindi ho chiamato Enrico Fink e Jammal Ouassini, un ebreo e un arabo, per dare ancora più valore, anche politico se vogliamo, a questo progetto.
Un arabo e un ebreo che insieme creano i presupposti per la nascita dell’Orchestra Multietnica dove poi dentro ci sono palestinesi, indiani, bengalesi, messicani, albanesi, insomma un po’ tutte le etnie che presenti nella nostra città.
La scelta dei docenti quindi aveva anche questo significato culturale e politico. Jammal è esperto nella musica di matrice araba e mediterranea, Enrico per quello che riguarda la musica ebraica e dell’Est-Europa.
Abbiamo scoperto delle cose interessantissime. Per cui di un brano che pensavamo essere di origine turca, poi si scopriva che per gli ebrei dell’Est-Europa era un brano di origine ebraica. Addirittura anche i bengalesi conoscevano lo stesso brano con la stessa melodia pensando che fosse musica loro.
Il primo concerto dell’Orchestra Multietnica è stato avventuroso, come tutto il percorso che è servito per prepararlo. Nell’estate 2007 abbiamo preparato i brani del primo repertorio. Eravamo tutti pronti per fare il concerto all’anfiteatro, nel Salotto Bello della città. Ovviamente era una giornata in cui è piovuto tutto il giorno e quindi abbiamo mantenuto questa tensione che serviva. Poi lo spettacolo è stato spostato al chiuso, al Teatro Bicchieraia. Quello è stato il battesimo pubblico dell’Orchestra Multietnica. La sala era più che piena ed è stata una cosa bellissima, davvero. Un concerto che ha sorpreso noi stessi per primi, perché appunto avevamo raggiunto una qualità musicale che non ci aspettavamo. Abbiamo avuto dei momenti in cui abbiamo pensato di non riuscire a fare quel concerto, perché magari ci ritrovavamo a una prova solo in cinque, oppure la volta dopo c’erano quelli che non c’erano la volta prima. Poi invece l’esecuzione del concerto ci ha dato un grande slancio per continuare questa attività; che come progetto si chiudeva in quel momento del primo concerto, ma che poi con il coinvolgimento di tutti, l’amministrazione, i direttori dell’orchestra, abbiamo deciso di portare avanti. Abbiamo continuato a fare le prove, abbiamo ampliato il repertorio perché avevamo ottenuto da un progetto di tipo culturale, sociale e formativo, un prodotto musicale professionale.
Siamo arrivati a un momento che è una nuova tappa del percorso dell’Orchestra, che è la realizzazione del CD Animameticca e anche di un DVD, grazie al finanziamento del Cesvot.
Anche questo ha comportato un lavoro duro. Quando si mette insieme un gruppo di venti musicisti non professionisti, per quanto bravi tecnicamente, potete immaginare quello che è stato il lavoro di costruzione di questo repertorio e la registrazione di questo repertorio fatta live, mettendo insieme tutta l’orchestra a suonare, tutte registrazioni molto dirette, vere, molto reali, come se fossimo a un concerto. Quello che è uscito spero sia una documentazione di una tappa del percorso dell’Orchestra ma penso anche di una cinquantina di minuti di musica bella da ascoltare.
Questo disco contiene anche un ricordo, una dedica a Vasil, un fisarmonicista rumeno che ha collaborato con l’orchestra per sei/sette mesi e poi purtroppo è scomparso prematuramente. È stata una collaborazione che ci ha dato molto dal punto di vista musicale; Vasil non parlava molto italiano, anzi quasi per niente, però era in grado di suonare qualsiasi cosa, dopo otto battute che sentiva, lui aveva già capito l’armonia e suonava. Era un musicista eccezionale.
Il futuro dell’Orchestra Multietnica chi lo sa… Noi crediamo molto in questo progetto, io ci credo, Enrico ci crede, l’amministrazione ci crede e quindi ci crediamo. Tutti continueremo a investirci le nostre energie, la nostra passione. Come dicevo l’Orchestra Multietnica è un laboratorio aperto e permanente e costantemente aperto a nuovi inserimenti, chiunque può venire alle prove dell’Orchestra nella sala messa a disposizione dal Comune.
(Testo elaborato sul racconto di Massimo Ferri, ideatore del progetto)

Per chi desidera saperne di più e soprattutto ascoltare la trascinante musica suonata dall’OMA può consultare il sito www.orchestramultietnica.net.