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autore: Autore: Gianni Selleri

Il falso e il vero mendicante

di Gianni Selleri
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 67 primo comma,del Codice penale che punisce con l’arresto fino a 3 mesi . Tuttavia la Corte siè riferita ai "mendicanti buoni", quelli che non disturbano il decoroe l’ordine pubblico, la tranquillità dei cittadini e soprattutto non ingannanoi sentimenti di solidarietà e di pietà: si tratta della .
Resta invece la pena dell’arresto da 1 a 6 mesi IF il fatto ". In questocaso la Corte afferma che occorre tutelare rilevanti "beni giuridici"fra i quali anche lo spontaneo adempimento del dovere di solidarietà, cheappare inquinata in tutte quelle ipotesi nelle quali il mendicante facciaimpiego di mezzi fraudolenti al fine di "destare l’altrui pietà". LaCorte nel dispositivo propone anche una breve (e un po’ ingenua) analisi degli"squilibri delle società più avanzate" che producono condizioni diestrema emarginazione e tendenze volte a "nascondere" la miseria e aconsiderare le persone in condizione di povertà come pericolose e colpevoli(mendicità come devianza). Non si possono certo ripristinare gli ospizi e iricoveri di mendicità ma si devono attivare – constatata l’insufficienzadell’azione dello Stato – autonome risposte affidate al volontariato e al valorecostituzionale della solidarietà.
Tutti questi ragionamenti denotano un vuoto assoluto di riferimenti allalegislazione sociale e alla sua interdipendenza con l’economia è preoccupante.Si deve comunque constatare che la sentenza della Corte Costituzionale non hasuperato la "figura criminosa della mendicità" e le corrispondentipene. Affermare ancora che la mendicità può costituire un pericolo perl’ordine pubblico e per il decoro civile significa convalidare tradizionigiuridiche e culturali veramente arcaiche e insostenibili.

il falso e il vero mendicante

Nella storia del pauperismo, i mendicanti e i vagabondi sono stati oggetto diinterventi repressivi: il marchio, la fustigazione, l’impiccagione e più tardi,a partire dal XV secolo, il ricovero in casa di lavoro coatto o nei"depositi di mendicità". Ma non è certo questo il riferimento piùimmediato della Corte Costituzionale, quanto piuttosto la saggistica del XIXsecolo che ha ispirato il Codice Zanardelli e Rocco. Questa pubblicisticaafferma che la mendicità . Le cause sono: il bisogno, la poltroneria, ivantaggi della professione di mendicante. Riguardo ai mendicanti si possono faredistinzioni (classificazioni) morali e materiali; la più attendibile è quellache distingue i mendicanti in validi, invalidi e vergognosi. Ma il problemaprincipale è quello di distinguere i "mendichi veri dai mendichifalsi". Il vero mendico "se bene se ne osservano i diportamenti, se sibenefica con qualche precauzione, che accerti la di lui condizione, si puòagevolmente riconoscere dal contegno, dagli atti e dalle parole composte anziche no. Si riconosce eziandio all’aspetto di vera miseria, al candore dellerisposte, alla docilità con cui si contenta di qualunque elemosina, eziandiovittuaria, alla sua successiva condotta quando l’ha ottenuta. Insomma unelemosiniere avveduto, con un’attenta indagine di pochi istanti sarà piùdifficilmente indotto in errore."
Il falso mendico enaro e non vitto; vi abbandona insolente, dopo essersi unmomento prima avvilito all’estremo, esclama in tono affettato; finge pratichereligiose solo esteriori, e se gli tenete dietro, corre a spendere in bagordi lamoneta che ottiene, anzich‚ portarla a quella moglie ed a que’ figli che conbugiarde parole vi diceva d’aspettarlo a casa affamati¯.
La classificazione in categorie definisce il grado di colpevolezza, in ogni casovi è l’esigenza di vietare la questua in pubblico e il rimedio, soprattutto pergli inabili al lavoro e bisognosi, è il ricovero "in pii istituti edospizi" o il ricorso alla carità privata, mentre gli altri ciplina¯.L’inquietante impressione è che la distinzione fra "mendicità noninvasiva e invasiva" e altre argomentazioni della sentenza della Corteabbiano radice in questo contesto culturale.

Riforma del collocamento obbligatorio

I primi tentativi di riforma del collocamento obbligatorio risalgono al 1972: in venticinque anni sono state presentate decine di proposte di legge e sono stati formulati cinque testi unificati che sono sempre decaduti con le varie legislature.
La nuova normativa sostituirà finalmente la ormai inadeguata e inapplicata legge n.482 del 1968.
Ricordiamo alcuni dati: gli invalidi disoccupati iscritti nelle liste sono 270 mila (ma quanti saranno “falsi” ?) dal 1982 ad oggi gli handicappati hanno perso oltre centomila posti di lavoro, le aziende private respingono l’80 per cento degli avviati agli uffici di collocamento.
Ecco perché l’approvazione del nuovo testo, che non è il migliore possibile, costituisce comunque un progresso.

Cosa dice la nuova legge

– Sono soggetti ad obbligo le aziende con almeno 15 dipendenti (attualmente si parte da 35) nelle seguenti percentuali:
da 15 a 35 1 disabile (solo in caso di nuove assunzioni)
da 36 a 50 2 disabili
oltre 50 7 per cento
– Il collocamento è mirato. Un apposito Comitato tecnico, in accordo con i servizi del territorio, valuta le reali capacità del lavoratore disabile e le caratteristiche dei posti disponibili, individuando percorsi personalizzati di inserimento, con agevolazioni per i datori di lavoro.
– Le assunzioni si effettuano nelle aziende private per chiamata nominativa nel 60 per cento dei casi. Per il restante 40 per cento la chiamata è numerica o, in alternativa, i datori di lavoro possono stipulare convenzioni per il collocamento mirato dei soggetti che presentino difficoltà di inserimento.
– Per i datori di lavoro che stipulano convenzioni per l’integrazione sono previste le seguenti agevolazioni:
esonero del pagamento degli oneri sociali per otto anni per i disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento;
esonero parziale del pagamento degli oneri sociali per cinque anni per i disabili con riduzione della capacità lavorativa tra il 67 e il 67 per cento;
rimborso della spesa nella misura del 50 per cento per l’adattamento del posto di lavoro.
– La fiscalizzazione totale degli oneri sociali per otto anni si applica sempre nei confronti di chi assume lavoratori con handicap intellettivo e psichico indipendentemente dal grado di invalidità.
– Per le agevolazioni sono stabiliti i seguenti finanziamenti: 40 miliardi per l’anno 1999 e 60 miliardi a decorrere dall’anno 2000. Le regioni inoltre istituiscono il Fondo Regionale per l’occupazione dei disabili (che viene alimentato dalle sanzioni) con lo scopo di potenziare l’inserimento lavorativo e i servizi relativi.
– La legge chiede meno ai datori di lavoro (l’aliquota passa infatti dal 15 al 7 per cento), ma è più rigorosa e, per chi non la rispetta, è prevista una sanzione di 100.000 lire al giorno per ogni posto non coperto e l’esclusione da gare d’appalto o da convenzioni con le pubbliche amministrazioni.
– Sanzioni non previste anche per i responsabili delle pubbliche amministrazioni.
– Nel pubblico impiego i disabili sono assunti sempre per chiamata numerica o per concorso o attraverso le convenzioni per il collocamento mirato.
– Tra i percorsi per il collocamento mirato è stato previsto il coinvolgimento delle cooperative sociali. Non è ammesso lo scambio: assunzione in cooperativa sociale in cambio di appalti; i datori di lavoro si impegnano comunque ad affidare commesse di lavoro. La procedura prevede l’assunzione del disabile da parte del datore di lavoro con comando a termine (due anni al massimo) a fini formativi presso la cooperativa sociale, fino al definitivo inserimento nell’azienda stessa. Prevede altresì la facoltà per le Regioni di attuare specifiche iniziative per promuovere l’inserimento anche nelle cooperative sociali.
– Il collocamento dei disabili (che verrà effettuato, in base al D.Lgs.469/97, non più dagli uffici periferici del Ministero del Lavoro ma dalle Province) deve avvenire in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio per favorire l’incontro fra la domanda e l’offerta di lavoro.

Nuovi posti di lavoro e nuove difficoltà

Si stima che con questa legge si renderanno disponibili nel giro di due anni almeno 70 mila nuovi posti di lavoro (soprattutto per l’estensione alle piccole e medie imprese). Occorre però ricordare che il testo prevede l’entrata in vigore delle norme dopo dieci mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Accanto alle valutazioni positive vi è la persistenza di alcuni dati negativi: La conservazione delle categorie giuridiche (con l’aggiunta tradizionale di orfani, vedove, profughi rimpatriati), la presenza e i privilegi delle associazioni storiche, pesantezze burocratiche applicative e normative, il rischio dell’istituzione di un mercato del lavoro protetto parallelo e sostitutivo di quello normale, alcuni ritardi culturali nella valutazione delle possibilità di inserimento dei disabili psichici e soprattutto il fatto che i disabili vengono ancora individuati “sulla base della riduzione della capacità lavorativa”.
Il testo rappresenta una soluzione di progresso e di compromesso, non facilmente gestibile.

“Un problema solo nostro”

Nell’esperienza esistenziale di una famiglia in cui vive un handicappato grave (cioè totalmente non autosufficiente rispetto alla sopravvivenza e alla comunicazione), vi è un problema, oggettivo e immaginario che progressivamente si impone ai genitori: che cosa sarà del figlio dopo la loro morte.

Dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi si tratta della questioneche viene definita come il "dopo di noi", cioè di programmare erealizzare residenze e centri per accogliere gli handicappati adulti gravi chesono assistiti direttamente dalle famiglie. La carenza di queste strutture edella conoscenza sul loro funzionamento e prestazioni, accentua l’ansia deigenitori che non hanno fiducia nei servizi pubblici e che preferisconoprospettare la costituzione di case protette private, finanziate direttamente,configurate come fondazioni nelle quali affluiscono i patrimoni delle famiglie evi siano garanzie di tutela giuridica dei figli.

Le iniziative di questo tipo finora realizzate sono molto poche e laprospettiva più concreta resta quella dello sviluppo delle residenzesocio?assistenziali analogamente a quanto avviene per gli anziani. Tuttavia nelvissuto dei genitori non sempre l’indicazione di una soluzione pratica e losforzo per costruirla o rivendicarla acquieta l’angoscia di una separazionedefinitiva dal figlio. Ciò vale soprattutto per la madre. Tra la madre e ilfiglio handicappato grave non si verifica quasi mai il normale distaccobiologico e psicologico che inizia nei primi anni di vita del bambino e sicompleta dopo l’adolescenza. Si crea invece uno stretto rapporto di simbiosi chederiva sia dal protrarsi indefinito delle cure materne (nutrire, pulire, curare,difendere), sia dalla mancanza di autonomia del figlio rispetto al comportamentoe alle relazioni. In questo senso il figlio fa parte interamente della vitabiologica e psicologica dei genitori e in questo contesto diventa quasiimpossibile l’idea o il presentimento di un abbandono dovuto alla morte. Lepreoccupazioni per il futuro del figlio dopo la morte vengono razionalizzate eattribuite alla mancanza di adeguate strutture assistenziali: il figlio finiràin un istituto, verrà dimenticato da tutti, nessuno lo capirà più, nessuno locurerà e quindi dovrà soffrire.

Una condanna perpetua

Questa idea sembra caricarsi di ulteriori e più gravi significati.
Una vita intera di fatiche, di rinunce, di umiliazioni, di difficoltà personalie sociali, dedicata giorno dopo giorno, anno dopo anno interamente edesclusivamente ad un possibile progetto di miglioramento e di cambiamento, sidimostra alla fine, per l’immodificabilità delle condizioni del figlio, unfallimento o un compito irrisolto: inoltre questa situazione ha creato unrapporto di appartenenza e di identificazione talmente forte che sembraprotrarsi oltre i limiti della vita stessa e vincolare in un unico destinol’esistenza della madre e del figlio.
Tutto ciò produce una immaginazione di sopravvivenza nella vita del figlioanche dopo la morte e poiché la realtà del figlio è considerata dolorosa enegativa, essa costituisce una specie di condanna perpetua alle sofferenze ealle fatiche già sopportate.
Non è concesso quindi di morire in pace e in diversi casi la "veramorte", intesa come termine delle fatiche, come liberazione dalle angosce edal tempo, richiederebbe la contemporanea morte del figlio handicappato: solocosì è possibile l’accettazione della propria morte.
In generale però si assiste ad una rimozione del problema: "Non vogliopensare a quando non ci sarò più"; "Il dopo di noi è un tarlo checi rode, ma non ci penso".
Ulteriori approfondimenti indicano sostanzialmente le seguenti prospettiveimmaginate dai genitori: la speranza dichiarata che il figlio "muoiaprima"; l’immaginare una soluzione di eutanasia per il figlio o diomicidio, anche violento, collegato spesso col suicidio del genitore; un’estremadifficoltà per l’ipotesi di affidare il figlio handicappato ad un fratello;un’angosciante preoccupazione che il figlio finirà in un ospizio o in unmanicomio dove sarà maltrattato e trascurato.
L’interrogativo che non trova soluzione è: a chi lo lascio?
Soltanto in pochi casi vi è una richiesta di aiuto (prima che sia troppotardi), di istituzioni assistenziali con lo scopo di garantire una vitadignitosa al figlio e di consentire qualche motivo di tranquillità ai genitori.Una madre dice: "Vorrei che venisse ricoverato insieme a me, così quandomuoio il ragazzo si è già abituato".
Sembra di poter concludere che la gestione privata dell’esistenza e dei bisognidel figlio handicappato, l’esclusivo e interminabile impegno della famiglia,abbia fatto sparire dalla coscienza stessa dei genitori l’idea di qualchepossibilità alternativa o diversa. In ogni caso il problema piuttosto che adati oggettivi (mancanza di strutture e di servizi adatti alle quali"consegnare" il figlio) fa riferimento a situazioni di grandesofferenza.

Il buio oltre la siepe

Come i genitori di disabili gravi vivono e immaginano il futuro dei figli. Una serie di testimonianze tratte da una ricerca del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna.

Cinque famiglie composte da genitori relativamente anziani e da un figliohandicappato grave. Madri e padri che con le loro testimonianze mettono a nudo,talvolta con estrema crudezza, l’inquietudine per il domani, per quando nonpotranno più prendersi cura del figlio. E la mancanza di prospettive portaanche ad elaborare soluzioni estreme.

L’altro fratello

Madre. Siamo una famiglia serena e normale. Ho il problema di dove lalascerò… Spero che il Signore ci pensi.
Domanda. Avete qualcuno a cui affidarlo in un futuro?
Madre. Nessuno. Noi ogni tanto ci pensiamo però non ci vogliamo pensare,cerchiamo di mandarlo via questo problema.
Padre. Abbiamo un altro figlio e lui dice sempre: "Non vipreoccupate".
Madre. Non vorrei lasciarlo a lui questo problema, è mio, è mio. Lui (ilfratello) ha una sua vita, perché sacrificarli tutti e due? Voglio tanto bene amio figlio, ma voglio tanto bene anche a quell’altro e non voglio lasciargliquesta disgrazia…
Non lo so, non lo so, prego solo Dio che lo faccia morire prima di me.

Non c’è nessuno a cui affidare il figlio; "lasciarlo" al fratellosignificherebbe far soffrire anche lui perché si tratta di una disgrazia, ched’altra parte appartiene esclusivamente alla madre e quindi non può e non deveessere trasferita ad altri. C’è un richiamo alla Provvidenza, ma la vera eunica soluzione consisterebbe nella morte anticipata del figlio. Intanto èmeglio non pensarci.

In mezzo ai vecchi

Madre. Dove andrà questo ragazzo quando noi non ci saremo più? Adesso piùsi va avanti con gli anni più ci pensi: come sarà la sua vita? Non si riesce anon pensarci. Tante volte dico che sono stata brava, con tutto quello che hosopportato, perché ci sono delle donne nella mia situazione che li hannoammazzati. Io non le ho mai condannate perché so che cosa mi frullava per latesta. Bisogna viverle certe cose.
Padre. Il "dopo famiglia" è un grosso problema. Mancano leistituzioni, anche di pronto soccorso. Se il padre o la madre devono andareall’ospedale, è capitato anche a noi, è terribile. Ma ci dobbiamo pensare noia fare qualcosa adesso che siamo al mondo. Conosco una ragazza, alla quale sonomorti i genitori, adesso vive in mezzo ai vecchi che si tirano addosso i piatti,si sputano. Noi dobbiamo pensare ai nostri figli, perché nessuno ci pensa.
Madre. Io non voglio pensare a quel famoso giorno che verrà, perché se nocontinuo a impazzire. Dopo che siamo morti diventano come reclusi o finiscono inmanicomio.

La tensione e l’ansia si intensificano con l’invecchiamento dei genitori.L’idea della propria morte si collega con fantasie di soppressione del figlio.Non c’è nessuna possibilità di liberazione anche dopo la separazione, un’ideache "continua a farci impazzire". Gli esempi di altri handicappatisopravvissuti ai genitori rappresentano un’anticipazione del terribile futurodel proprio figlio.

Non è stata una vita

Madre. Quello del dopo è il problema più grave, non è una cosa che sirisolve dall’oggi al domani. I genitori cominciano ad essere tutti anzianotti,questi ragazzi una volta non vivevano tanto: adesso vivono di più, questo è ilproblema.
Padre. E’ come con i vecchi: si fa vivere un malato in coma per mesi e mesi. Cisono stati dei momenti in cui sembrava (figlio) veramente alla fine invece luisi è sempre ripreso.
Madre. Non ha mai avuto problemi per la scuola, per il lavoro, ma soltantoquello della sopravvivenza. E adesso c’è quello grosso del futuro. Bisognerebbedire la solita frase: "Speriamo che il Signore se lo prenda prima dime". Non sapere a chi lasciarlo, non poter lasciarlo sulle spalle di miafiglia…
Molti genitori, almeno a livello di fantasia, pensano di uccidersi insieme alfiglio; qualche volta l’ho pensato anch’io, soprattutto quando le sue condizionipeggiorano: la tosse, il catarro che non riesce a espellere, le crisiepilettiche e poi la tachicardia e poi qui e poi là. E’ possibile? In queimomenti lì uno dice: "Se avessi il coraggio la farei finita". Poiquel coraggio non lo si ha.
Dopo molti anni un po’ di conforto l’ho trovato nella religione, sono arrivatainsomma a pensare che l’unica speranza è quella. Se io sapessi che per lui conquesta vita è finito tutto, non mi resterebbe che aprire la finestra e buttarmigiù. Perché non è; non è stata una vita. La speranza del domani è datasoltanto dalla fede; per un po’ ho creduto nelle questioni sociali, negli aiutimateriali, ma ci deve essere qualcosa di più, altrimenti…

Il desiderio che il figlio muoia prima, le fantasie di omicidio e disuicidio, l’improbabilità di un tempo futuro, oltre la vita, costringono lamadre ad un’analisi sulla gravità delle condizioni del figlio, sui sacrifici ele fatiche che comportano. La conclusione è: "non è una vitapossibile" La situazione oltrepassa i limiti della ragionevolezza e dellasopportabilità e poiché non si verifica nessuna separazione o decisioneaggressiva, tutto sembra ricomporsi nella prospettiva della fede, un’altra vitache dovrebbe compensare quella già vissuta.

Un "tombino" per mio figlio

Padre. Io conosco una ragazza che è stata messa in un ricovero dove ci sonoi vecchi. L’altro giorno sono andato a trovarla, mi ha detto: "Non hodormito perché ho la pipì e la popò addosso, ancora addosso, non hanno avutoil tempo di venirmi a cambiare". Lei non ha più né babbo, né mamma, nonha nessuno. Non vorrei vedere mio figlio così, piuttosto muore con me. E’sicuro che se io mi accorgo di morire, mio figlio muore un minuto prima, a menoche non riusciamo a organizzare qualche struttura per il dopo?famiglia.
Domanda. Voi non l’affidereste al fratello?
Madre. Non so. Il fratello lo prenderebbe … ma la moglie… lui me loprenderebbe però andrebbe contro sua moglie. Allora io non glielo chiedoneanche. Quando lui (il fratello sano) era giovane mi ha dato dei problemiperché non si voleva sposare e diceva: "Mamma, io sto con miofratello". Almeno fosse stata una femmina… Poi si è sposato con quellalì, è buona però è molto nervosa perché ha avuto un padre che le dava tantebotte. Comunque lui (il fratello) dice: "Mamma, tieni duro ancora 13-14anni, se posso andare in pensione dopo ci penso io".
Padre. Vogliamo vedere cosa fanno per questi handicappati gravi, vogliamo chevenga fuori il "dopo di noi", perché un genitore non sa dove va afinire suo figlio quando non c’è più. Se invece ho la tranquillità di direche ci sarà qualcosa, la chiamino come vogliono "casa protetta","ricovero", "istituto", basta che sia funzionale e umana.Siamo in 80 famiglie e abbiamo costituito una cooperativa per creare una casadove andranno i nostri figli dopo la nostra morte e abbiamo messo fuori deisoldi… adesso siamo più tranquilli perché come uno dice: "Vado acomprare un tombino al cimitero, così io ho cercato un tombino per mio figlioquando non ci sarò più, cioè una casa protetta".

L ‘esempio di handicappati gravi ricoverati in ospizio, gli incidentisuccessi al figlio, la difficoltà di trovare una certezza nella disponibilitàdel fratello sono tutti elementi di una realtà persecutoria che prefigurano ecostituiscono quasi una verifica e una trasformazione di dati immaginari infatti concreti
Tutto ciò provoca stati d’ansietà e fantasie di morte nel senso di morireinsieme e di togliere la vita al figlio poco prima di morire. Anche la struttura"casa protetta" per la quale si opera al fine di garantire il futuroassistenziale del figlio è immaginata in termini di fine e di lutto: come unosi preoccupa di comprarsi una tomba dove "riposare" dopo la morte,così un genitore di un handicappato grave deve pensare a un "posto"dove mettere suo figlio. Di qui scaturisce il lapsus: "io cerco un tombinoper mio figlio"

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Gli scogli a 200 metri da terra

Padre. Mi ricordo che era in periodo estivo e io ero molto stressato, la miamente cominciò a fare dei calcoli, eravamo al mare, c’erano degli scogli a 200metri da terra e dopo gli scogli l’acqua è profonda… Insomma cominciarono agirarmi delle idee per la testa: vado al di là degli scogli, butto giù lui (ilfiglio) e mia moglie… Poi torno a riva e dico: "Aiuto, aiuto" comese fosse stata una disgrazia. Però c’era anche mia figlia e pensavo che dopoquesta ragazzina sarebbe rimasta da sola. Allora bisognava buttarli giù tutti etre! E dopo mi dicevo: "Ammettiamo che la gente ci creda, che mi vadaliscia nel senso che è stata una disgrazia e dopo io sarò un fallito, unverme. Allora cominciai a pensare, concentrandomi a massimo e, sempre aiutatodai medicinali, riuscii a capire che quello che avevo calcolato era una pazzia,una follia e ancora una volta, come era successo in passato, sono riuscito auscirne fuori.
Madre. I momenti di crisi li ho avuti anch’io però non… non per vantarmi, nonmi è mai venuto in mente di sopprimere mio figlio, semmai mi sarei soppressa iostessa, però anche questa era una cosa in partenza da scartare perché miofiglio era lì, dove rimaneva? E’ naturale che questi momenti di crisi li hoavuti, avrei preferito
la morte per me e per mio figlio però li ho superati.
Domanda. E rispetto al futuro che cosa pensate?
Padre. Se sto male e crepo non ci sono problemi nel senso che lei è una donnamolto valida e se la saprebbe cavare. Io da solo cosa faccio, messo come sono,parenti non ne ho, non ho nessuno a cui potermi appoggiare, invece da parte suaci sarebbe grande disponibilità (di parenti). Comunque, per noi genitori diquesti ragazzi, è un problema grande. Se capita qualcosa, lui dove va? Dove lomettono?
Ho già fatto un’esperienza, anni fa, abbiamo fatto una prova per 15 giorni,l’abbiamo portato in un istituto, quando l’abbiamo riportato a casa era pieno dilividi, aveva la cacca secca anche su per la schiena, non gli trovavano più lescarpe; quando aveva delle crisi, gli facevano la puntura, poi lo mettevano aletto e lo legavano, come una bestia…

In questo caso le fantasie di omicidio sembrano trasformarsi in progetti verie concreti. Il confronto fra i genitori dimostra che la madre vive il figliocome una "appartenenza" e quindi, uccidendosi, risolverebbe ogniaggressività, mentre per il padre il figlio rappresenta un oggetto"cattivo "ed è significativo che l’omicidio immaginario debbacoinvolgere anche la moglie. Il futuro, dopo la morte dei genitori, vieneanalogicamente collegato con un’esperienza negativa attraverso la quale èpassato il figlio e che si ripeterebbe però in modo definitivo e irreversibile.