Skip to main content

autore: Autore: Stefano Gorla

F come Fumetto

Ci sono cordiali affinità tra il mondo del fumetto e quello dell’handicap, o più in generale con il mondo della diversità e della marginalità. Il fumetto è stato sempre considerato un figlio di un dio minore nel mondo dei media, una sorta di cenerentola, il parente povero di cinema e stampa. Un media sì, ma marginale. Eppure è diffuso e penetrante come sono i media. Ha un suo linguaggio originale, riproducibilità tecnica ed è in grado di rappresentare la realtà; di comunicare, cioè mettere in relazione diversi soggetti; di fornire conoscenza, esperienza del reale.
Il fumetto è il frutto di un processo che lo inserisce, almeno come medium, nel contesto culturale di fine Ottocento. L’Ottocento è il secolo in cui si verifica l’esplosione della stampa di massa. Dopo l’impulso dato da Johann Gutenberg a metà del quindicesimo secolo con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, il cammino dello stampa ha avuto il suo sconvolgimento più significativo nel Settecento, secolo delle grandi rivoluzioni. Il Settecento ha preparato il terreno, studiato formule (la periodicità), messo a fuoco contenuti.
Su questa base nacque il giornale di massa, la vera rivoluzione mediale dell’Ottocento. Sono qui le radici dell’egemonia degli strumenti d’informazione sul mondo moderno. E si coniugano con alcuni elementi che hanno reso possibile lo sviluppo. Elementi tecnologici e commerciali: l’applicazione dell’energia a vapore alle macchine da stampa da parte di Koening e Bauer, l’invenzione della fotografia grazie alle esperienze di Nicéphore Niepce e di Louis Daguerre, il telegrafo elettrico di Samuel Morse e la fondazione a Parigi di La Presse con cui Emile Girardin affronta il problema della pubblicità come strumento organico del giornale di massa.
Sul finire del secolo il giornale di massa era realtà ben strutturata sia in Europa sia negli Stati Uniti d’America. Ed è proprio all’interno dello scenario americano, e alle sue sperimentazioni, che si inizia a capire lo sviluppo del giornale di massa.
Questo lo scenario. L’offensiva in grande stile della pubblicità commerciale inizia, intorno al 1890, una vera e propria rivoluzione nella stampa americana. Joseph Pulitzer con il suo New York Times e William Randolph Hearst con il New York Journal inaugurano un nuovo capitolo della storia del giornale di massa, un capitolo di guerra. Ci si apre alla cosiddetta ‘stampa gialla’ dove si teorizza che “se le notizie non ci sono, si creano”. E così titoloni, fotografie, colore e…fumetti.
Secondo il mito di fondazione è in questo clima che nascono i comics o fumetti, coetanei dei primi sussulti dell’informazione-spettacolo, del cinema che stava nascendo in Francia con i fratelli Lumière, degli esperimenti bolognesi di Marconi intorno alla radio.
Tra l’egemonia della carta stampata, apogeo della galassia Gutenberg, e la nascita della nuova galassia audiovisiva si pongono le umili origini del medium fumetto che grazie al verificarsi di determinate condizioni culturali, tecnologiche e economiche si costituisce come apparato, sin dalla sua nascita sul finire del diciannovesimo secolo.
Nella transizione tra il ‘linguaggio Gutenberg’ e il linguaggio audiovisivo nasce il fumetto, quasi come una sorta di appendice o di elemento di congiunzione, sperimentazione e passaggio. Dalla esperienza Gutenberg si assumono la chiarezza, il carattere preciso e chiuso del termine, il progredire necessario alla trasmissione di un’idea. Dell’audiovisivo si anticipano e si preparano la forza della suggestione, il richiamo e l’allusione, lo sfumato tipico della fantasia. Ma, da subito, il fumetto è stato guardato con sospetto, considerato più nei suoi limiti che nelle sue potenzialità.
Anche se le cose si progressivamente modificate, curiosamente, per anni si è negato al linguaggio-fumetto la possibilità di esprimere cultura e si è guardato con sospetto all’autonomia di questo linguaggio, alla sua crescita, agli eccellenti risultati comunicativi e formativi. In un mondo dove ancora si divide la produzione culturale in alta e bassa (la musica è un ottimo specchio di queste distinzioni), dove il contesto culturale ha definito, in modo autoreferenziale, la superiorità della parola scritta su di altre forme di comunicazione, il fumetto con il suo verbo-iconico è visto come ancillare alla comunicazione scritta, è strumento al massimo didattico per chi si sta avvicinando al linguaggio principe, come ausilio per gli ipodotati. E di prove concrete di questi ragionamenti, non sempre dichiarati, né è pieno il mondo del fumetto. Basta pensare alle vicende del Corriere dei Piccoli e alla scomparsa dei “diseducativi” balloons sostituiti da compite filastrocche in rima. Un linguaggio depotenziato, tradito in nome di “normalità” presunta. Ma nel nostro paese a deficit si aggiunge deficit. Infatti, anche per un debito linguistico tipico della lingua italiana, un’ulteriore aurea negativa, di svantaggio, di limite ha accompagnato il fumetto (ricordiamo solo, per esempio, la solita frase sprizzante disprezzo d’illuminati critici cinematografici o letterari: “è un fumettone!…Trama da fumetto…”).
Da parte nostra sappiamo che le cose non stanno così e che il fumetto non deve affrancarsi da nessun deficit, da nessuna presunta incapacità di comunicare in modo autonomo e soddisfacente. Ma il percorso storico ha avuto anche queste tappe.
In questo percorso è curioso notare quante somiglianze e consonanze ci siano con il percorso della rappresentazione dell’handicap. In fondo il fumetto è, a tutti gli effetti, un diversabile!
Forse perché consapevole di questo percorso il linguaggio-fumetto nel suo modo di rappresentare la realtà, raramente ha escluso situazioni di svantaggio, qualunque siano. Anzi se rileggiamo la storia del fumetto troviamo che il primo personaggio a fumetti, Yellow Kid ( ), il monello giallo dalle grandi orecchie a sventola si presenta subito con i tratti del disadattato, forse con problemi di linguaggio e con una fisiognomica ambigua che corre tra l’anormalità e la normalità. Siamo lontani dalla rappresentazione dell’infanzia tipica della fine del XIX secolo. Questo tratto anticonformista, forse di denuncia, accompagna la nascita del fumetto come sistema di rappresentazione. Non c’è situazione che non venga rappresentata o che venga scartata in partenza, anche se questo non significa che le rappresentazioni della realtà siano necessariamente corrette. Una certa libertà anarchica ha sempre accompagnato questo medium anche grazie alla relativa semplicità di produzione e ai pochi passaggi che segnano la costruzione di un fumetto. Meno passaggi, minor controllo e maggior libertà d’espressione. Non solo. Come ogni linguaggio, più che specchio della realtà si pone come interpretazione della realtà palesando convincimenti e precomprensioni dell’autore. A questo indirizzo non sfugge neanche la rappresentazione dell’handicap o più in generale della diversità o dello svantaggio. Rappresentazione che troviamo maggiormente nei contesti piuttosto che coagulata in personaggi e, se di personaggi si tratta, parliamo di personaggi secondari, spalle o, più raramente, comprimari. Naturalmente, esistono luminose eccezioni, che però rimangono tali.

Personaggio creato da Richard Felton Outcault nel 1895 apparso sul settimanale umoristico domenicale del New York World di Joseph Pulitzer.

D come Diversabili

Ai nostri giorni un’attenta ascesi del linguaggio, che non si sposa semplicemente con il politicamente corretto, ha elaborato strategie comunicative e una terminologia rispettosa della diversità, del diverso approccio alla realtà, così come del limite e dell’handicap. Linguaggio che ha il suo perno nella dignità dell’essere umano.
Sociologicamente la categoria dell’handicap s’inserisce nel macro gruppo dello svantaggio inglobando tutta una sorta di devianze rispetto ad alcuni valori ampiamente apprezzati come la perfezione e l’efficienza corporea, l’autonomia e la capacità di raggiungere scopi prefissi in particolari istituzioni sociali. Si tratta, naturalmente, di devianze non responsabilizzanti, cui cioè la società non attribuisce al singolo una qualche responsabilità per la sua situazione.
Ecco una selva di superdotati, normodotati, di ipodotati, disadattati d’ogni bandiera. Sostanzialmente definizioni vuote. Punti di vista, prospettive da cui porsi per leggere la realtà, per scoprire nuove dimensioni, letture non convenzionali della realtà. Da questo punto di vista il fumetto è a tutti gli effetti un linguaggio privilegiato, radicalmente libero nell’espressione, anche grazie alle sue caratteristiche, al limitato numero di passaggi (e quindi di controlli) cui è sottoposta la produzione di un fumetto.
Il fumetto, infatti, nella sua costante ricerca di punti di vista ha riletto con risultati pregevoli il mondo della diversità in senso lato e quello dell’handicap in senso stretto. Con occhi lucidi ha letto la realtà ma ha anche provveduto ha modificarla, addirittura a ribaltarla indecorosamente. Ha saputo trasformare disadattati, psicopatici, o persone con evidenti limiti fisici in eroi o esagerando, in supereroi. Ha ribaltato situazioni in modo generalmente imbarazzante.
Matthew Murdock alias Devil nonostante, anzi, grazie a un incidente con un camion pieno di materiale radioattivo perde la vista ma potenzia tutti gli altri sensi e, addirittura si ritrova dotato di una sorta di sesto senso che gli permette evoluzioni proibitive a qualsiasi essere umano “normale”. Lo stesso vale per il timido e impacciato Peter Parker, in arte l’Uomo ragno, morso da un ragno radioattivo viene strappato a un’esistenza forse grigia, per una vita decisamente più movimentata. Oltre alle abilità fisiche, quasi sovrumane, per i nuovi eroi si incrementano relazioni sociali, successo, fama, nemici (molti nemici molto onore dicevano gli antichi!). Da scarse abilità e una personalità di basso profilo si passa all’evoluzione parossistica dei tratti personali e di diverse abilità che il soggetto acquisisce. Il fumetto mette in luce questo processo con simpatia e con arguzia. Valorizza altri lati della realtà, esagera e si permette di ironizzare, di sorridere, di colpire la sensibilità e magari di spingere alla riflessione. I diversabili esistono, sono in mezzo a noi anche se a volte divengono invisibili grazie a una categorizzazione rigida.
Giuseppe Pontiggia nel suo bel romanzo, Nati di due volte ( ), Ci narra la storia di Paolo e di suo padre. Paolo nasce aiutato dal forcipe. È celebroleso: da subito si rivelano problemi motori e si intravedono i problemi futuri di linguaggio. I disabili, dice un professore ai genitori annichiliti dalla notizia: “nascono due volte: devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda, dipende da voi, da quello che saprete dare. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita”. Il fumetto questa rinascita l’ha mostrata più volte. È patrimonio comune dei supereroi. Per alcuni di essi esiste addirittura una figura vicaria dei genitori che li aiuta a rinascere; uno su tutti il professor Xavier e le sue funzioni e attenzioni verso i suoi X-man, agli inizi adolescenti incapaci di vivere con il proprio inatteso “dono”.
Sapersi rigiocare, scoprire e valorizzare diversità e abilità, è il banco di prova, un’apertura possibilista. Notava Alessandro Bottero in un suo intervento ( ), scanzonatamente illuminante, che il concetto di diversabilità rischia di portare con sé una visione utilitaristica degli handicappati, e che per un tratto la relazione con l’handicap è passata proprio per questi concetti (i ciechi sono ottimi centralinisti, buoni manipolatori non distratti da stimoli esterni).
D’altra parte è quasi “normale” che nei fumetti i diversabili siano sostanzialmente degli eroi. Il bisogno di spettacolarizzazione di ogni momento dell’esistenza, il bisogno di narrare storie avvincenti, porta naturalmente a sviluppare in modo parossistico alcuni elementi tipici della costruzione del personaggio.
Il fumetto nella sua coniugazione di diversabilità ha saputo mostrare personaggi che sanno convivere con il proprio deficit, che anzi da quella situazione di partenza hanno sviluppato doti e abilità. Senza disdegnare i registri del comico, dell’ironico a volte del sarcastico.
In un ipotetico “quarto stato” ( ) del fumetto, freak, diversabili, mutati e “mostri” avanzano con Dylan Dog in una sorta di corteo a favore dell’alterità; avanzano con profondo rispetto per l’irriducibile dignità dell’essere umano.

NOTE
Pubblicato da Mondadori
2 Alessandro Bottero, Chi è il vero diversabile?, in (a cura di) Stefano Gorla e Paolo Guiducci, Diversabili. Figli di una nuvola minore?, Cartoon Club, Rimini 2001, pp. 109-111.
3 Una mutazione del noto quadro di Pellizza da Volpedo, pittore divisionista.

C come Carrozzelle

Sono il mezzo distintivo per eccellenza nella rappresentazione grafica dell’handicap. Strumento per supportare un deficit motorio, possibilità di movimento ma anche limite al movimento stesso. Di carrozzelle nel mondo del fumetto ne abbiamo di ogni foggia e di ogni qualità. Così come di diverse caratteristiche sono coloro che siedono sulla carrozzella, bambini, giovani, anziani, uomini e donne, un trono mobile coniugato sia nel fumetto umoristico che in quello avventuroso.
Trono mobile solo apparentemente poco nobile, è la carrozzella di Numero Uno, duce dell’allegra brigata di Alan Ford. Vecchi copertoni e una sedia di legno grezzo per lo stagionato Numero Uno ( ), mente, padre e padrone dello scalcinato gruppo creato dal prolifico duo Bunker e Magnus. Appare nel fumetto e viene apostrofato come “vecchio rincitrullito in carrozzella” definizione che il cinico vegliardo farà ben scontare agli ingenerosi “adulatori”. Anziano, e in carrozzella, lanciato a folle velocità è il personaggio che appare sulla copertina del numero 10 di Johnny Logan ( ); sguardo triste e destinazione lontana.
Sulla carrozzella troviamo anche Guido, ragazzo che grazie alla solidarietà e all’amicizia diviene Giovane Marmotta vincendo i timori della madre ( ). Timori misti a un’irrazionale vergogna come quelli che percepisce Daniela, la madre di Tommaso, in un fumetto-verità pubblicato da il Giornalino tra il marzo e l’aprile del 2001 ( ), dove il piccolo Tommaso e la sua famiglia si trovano a fare i conti con la quotidianità dell’handicap. La sua famiglia deve accettare con gradualità, oltre che la situazione, anche la carrozzella, segno visibile e testimonianza costante dell’irregolarità della situazione.
Fisso su di una carrozzella è anche l’energico e non domo Charles Xavier, il professore attorno al quale si radunano un gruppo di giovani “diversamente dotati”, dei mutati che imparano a controllare e gestire i propri poteri; un gruppo ben noto nel panorama del fumetto supereroistico: gli X-Men ( ).
Gli X-Men sono esseri umani con un codice genetico modificato che il professor Xavier, brillante scienziato, ingegnere e genetista, raccoglie intorno a se, nascondendoli a un mondo che li giudica temibili, solo perché diversi. Potente telepate, il professore, addestra i mutanti adolescenti, nel sogno di poter vedere un futuro dove mutanti e non-mutanti possano vivere in pace e armonia.
Carrozzella e quotidianità è invece il rapporto delineato da uno dei personaggi di Luca Enoch nel suo Gea ( ). Si tratta di Leonardo, batterista caparbio e per nulla incline all’autocommiserazione, batterista che ha modificato il suo strumento “ottimizzando quello che ancora funziona” nel suo corpo menomato, dice spiegando come ha collegato il pedale del bass drum ad una fascia che porta sulla testa e che aziona con il movimento della testa. Personaggio interessante perfettamente inserito nella quotidianità del gruppo di amici che gravita intorno a Gea, un ragazzo che si muove in carrozzella con assoluta naturalezza così come altri portano l’apparecchio per i denti o perdono precocemente i capelli. Caratteraccio, simpaticamente orgoglioso, Leonardo è affetto dagli stessi sbalzi d’umore tipici di ogni adolescente. Leonardo mostra una rappresentazione dell’handicap che nonostante utilizzi lo stereotipo più comune, quello della carrozzella. Lo stereotipo carrozzella viene utilizzando come chiave di volta per un messaggio indiretto lanciato attraverso il fumetto, palesando così la sensibilità dell’autore.
Anche nella quotidianità di Clara, la nota amica di Heidi ( ), è presente la carrozzella anche se il suo deficit e a metà strada tra il motorio e lo psicologico; sarà, infatti, la piccola e vitale Heidi, che con tenacia aiuterà Clara ha liberarsi della carrozzella (cosa in quel caso possibile).
Quotidianità e sarcasmo è invece il binomio che accompagnano John Cutter, simpatico comprimario della striscia americana Bloom County ( ), finito sulla sedia a rotelle grazie ai servigi resi alla patria in Vietnam. Quella del sarcasmo è anche la cifra di Altan, tra i maestri della vignetta satirica, papà di Cipputi ma anche della Pimpa, che nella veste di vignettista pubblica regolarmente su Repubblica e sull’Espresso le sue fulminanti intuizioni. Uno dei personaggi di Altan seduto su di una carrozzella superaccessoriata, scuro in viso, mentre esclama: “Maledetta tecnologia: adesso mi tocca andare da qualche parte”.
Sarcasmo, quotidianità, integrazione o segno di distinzione le carrozzelle sono ampiamente presenti nel fumetto anche se non sempre sono facile espediente per rappresentare l’handicap tout court. Spesso, soprattutto, se non si tratta di personaggi da sfondo che appaiono quasi per caso nella narrazione, i personaggi in carrozzella divengono tratto sensibile dell’autore nella rappresentazione dell’handicap, divengono occasione di confronto, spazio di solidarietà disegnata.

Note
1 Il personaggio Numero Uno appare in Alan Ford a saga già avviata nel febbraio 1970 con il numero 11.
2 n.10 gennaio 1978, A.A.A. non cercasi.
3 François Corteggiani – Giorgio Cavazzano, Le Giovani Marmotte e un ragazzo come tutti, in GM – Giovani Marmotte, The Walt Disney Company – Italia n. 9, ottobre 1995.
4 Fumetto più volte citato in questo sintetico vocabolario. Si veda anche Stefano Gorla, Il Giornalino: qualcosa di speciale, in (a cura di ) Stefano Gorla – Paolo Guiducci, Diversabili, Cartoon Club, Rimini 2001, pp. 89-92.
5 X-Men serie creata nel 1963 da Stan Lee e Jack Kirby per la Marvel.
6 Serie semestrale creata da Luca Enoch per la Sergio Bonelli Editore. Il primo numero è apparso nelle edicole nel giugno 1999.
7 Personaggio creato da Johanna Spyri.
8 Striscia creata da Garry Trudeau nel 1968 e che dal 1970 appare con regolarità su di un gran numero di quotidiani mondiali (alla fine degli anni Novanta oltre 1.400). È la prima striscia a ricevere il premio Pulitzer.

I mostri siamo noi

Non è un caso se la dylandoghiana parafrasi a fumetti del famosissimo Terzo Stato di Pelizza da Volpedo mette sulla tavola un esercito di mostri, deformi e reietti che marcia verso un’ipotetica liberazione dalle convenzioni sociali e dall’estetica comune. Perché il confronto con la diversità, congenita o procurata non fa differenza, è davvero uno dei temi portanti per il personaggio ideato da Tiziano Sclavi ormai assurto al ruolo di icona e non solo giovanile.
Esseri dalla figura repellente, ritardati, deformi, poveri uomini infelici, indifesi e soli: l’universo dylandoghiano è popolato da rifiuti della società spesso così reali da farci dimenticare che ci troviamo sulle pagine di un fumetto. In fondo, cos’ha di tanto strano un mostro che ritorna per raccontare a Dylan la tristezza e lo squallore di un’esistenza da creatura braccata? E che dire di Gnaghi, di Charlie, dei pazienti di Harlech e di tutte le altre creature reiette dal giudizio comune, che di fronte all’Investigatore dell’Incubo sono semplicemente uomini? Come hanno ben sintetizzato Mantegazza e Salvarani, "davanti alla mostruosa deformità del corpo o alla incapibile mostruosità dello spirito, la risposta è sempre la stessa: una profonda, estrema, pietas"1.
D’altra parte l’autore non ha mai fatto mistero di essere attratto, anche a causa di vicende personali, dal tema della diversità. “I personaggi che popolano le mie storie non sono persone “normali” ma devianti, “mostri” – ha scritto Sclavi in uno dei rari interventi sul tema – Il professore paralizzato di Phenomena dice: “So che cosa significa essere diverso”. Anch’io mi sono sempre sentito diverso in tutta la mia vita. Capisco che cosa vuol dire vivere nella società senza essere come tutti gli altri. Una parte di noi ha pena per la mostruosità, e una parte di noi capisce che il mostro potremmo essere noi”2.
Questa sensibilità è tradotta di peso nell’intera vicenda editoriale dell’Investigatore dell’Incubo, lui stesso un incompreso nonostante il bel faccino alla Rupert Everett, per via di quel mestiere mezzo ghostbuster mezzo Philip Marlowe dell’impossibile nell’ordine della quotidianità. I mostri gli danno da vivere e da qualsiasi angolazione li inquadri, a Dylan i mostri piacciono. Li conosce bene, ne incontra tanti, e nello spazio bianco che separa una vignetta dall’altra offre al lettore, anche al più sprovveduto e indifferente alla visione sclaviana del mondo, la possibilità di guardarli bene in faccia. E interrogarsi. Perché non sono solo streghe e zombi a riempire di incubi la città, ma sempre più spesso è l’orrore che si annida nelle pieghe della “normalità”. D’altra parte non ha detto più volte Sclavi “i mostri siamo noi”?
Basta leggere il serrato dialogo finale de “Il ritorno del mostro”3 per averne conferma. "Insieme avevano fatto una cosa orribile, dieci anni fa…e tu li chiami gente?" domanda Damien, riferendosi alla scia di "cattivi" che ha ucciso. La risposta di Dylan è secca. "Sì". "E io? Anch’io sono ‘gente’ per te?" prosegue Damien. "Sì" replica deciso l’Invest
82.194.62.227?;?cQ? ?O????????1??!Fx[SIZE=5][COLOR=darkred]?????????????????????????????????[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred]????????????????????????????????????????[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred]?? ??????[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred]????? ?? ?????????????????????????[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred]????? ??????? ??? ????????[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred]???? ????? ??? ?????[/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred][/COLOR][/SIZE]
[SIZE=5][COLOR=darkred]????:????,????[/COLOR][/SIZE]
89.148.41.233193.188.105.227g;?dQ, .JCamaro_Girl666??!F[CENTER][FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT]
[FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT]
[FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]???? ????? ? ?????? ?????? ++!@> [/COLOR][/SIZE][/FONT][/CENTER]
84.255.189.25
82.194.62.227q;?eQ? ?OCamaro_Girl666??!F%[CENTER][FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT]
[FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT]
[FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]???? ???? ??????? ??? ???????? ?????? ++!@> [/COLOR][/SIZE][/FONT][/CENTER]
84.255.189.25
82.194.62.227?;?fQ<?3Camaro_Girl666??!F?[CENTER][FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]??[/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]???? ???? ???? [/COLOR][/SIZE][/FONT][/CENTER] 84.255.189.25 82.194.62.227;?gQ)?Camaro_Girl666??!F?[CENTER][FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]444444444[/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]??? ????? ??? ??? ?????? ?????? eyebrow [/COLOR][/SIZE][/FONT][/CENTER] 84.255.189.25 82.194.62.227?;?hQ? ?O???????(p?!F????? ????? ???? ????? ???? ???? ?? ?????? ?? ???????? ?????? ?????? ??? ????? ????? ?? ?????? ????????? ??????? 82.194.49.180193.188.105.227J;?iQ?cFCamaro_Girl666q?!F?[CENTER][FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]???[/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Microsoft Sans Serif][SIZE=4][COLOR=deepskyblue]???? ???? ???? ?? ????? ?[/COLOR][/SIZE][/FONT][/CENTER] 84.255.189.25 82.194.62.227c;?jQ??,MiMil?!F[CENTER][FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][B]????[/B][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][B]???????[/B][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][B]15/4/2007[/B][/COLOR][/SIZE][/FONT] [FONT=Arial][SIZE=5][COLOR=magenta][8230; No, era il mio Frank il mostro. E la cosa più tremenda è che capiva di essere… che sapeva di essere anormale"8. Un monologo che meglio di tanti discorsi rivela l'esatta Weltanschaung di Dylan e dei suoi autori: i mostri siamo noi". Se non è del tutto vero - come invece afferma in un suo saggio Stefano Piani9 - che "I freak e i diversi nelle storie di Sclavi, anche i più ribelli e i deformi, sono sempre delle vittime", è però evidente che per l'autore la mostruosità è una condizione più mentale che fisica.10
Questa inclinazione a popolare Dylan Dog di "mostri", ha condotto l’Investigatore dell’Incubo a diventare portavoce di numerosi problemi della società, il fumetto più ricercato in qualità di testimonial in operazioni di promozione culturale, sociale e civile sparse lungo lo Stivale11. Insieme a Zagor, DD ha partecipato a "Due amici per i disabili", con il cui ricavato è stato finanziata una comunità alloggio per ragazzi insufficienti mentali. "Un impegno civile al quale abbiamo partecipato con entusiasmo – il commento di Sergio Bonelli dalle colone di una pagina della Posta – Mi fa piacere pensare che, grazie, al successo che riscuotono i nostri personaggi, possiamo far qualcosa per sensibilizzare un vasto pubblico, specie di giovani, a problematiche sociali di cui ci si dimentica troppo spesso", riferendosi alla collaborazione sancita con l’Anfass (Associazione nazionale famiglie fanciulli e adulti subnormali). Con lo stesso spirito Sergio Bonelli ha consentito la realizzazione del film Dylan Dog e la donna che visse due volte”, cortometraggio amatoriale interpretato da diciotto ragazzi disabili, ospiti dell’Istituto Educativo Assistenziale "S. Giuseppe" di Castelverde (Cremona). Il progetto è frutto di un grande lavoro di gruppo che ha coinvolto ragazzi, educatori e volontari. Il film prende lo spunto dalle avventure dell’Indagatore dell’Incubo (rivedute, corrette e traslocate dalla capitale inglese alla campagna cremonese) e racconta dell’eterna lotta tra il bene e il male, lasciando ampi spazio alle citazioni che vanno da Manzoni a Hitchcook, dai telefilm anni ’70 a X-Festival. Prima di approdare a Rimini, il film ha partecipato alla rassegna nazionale "Festival del Cinema Nuovo", aggiudicandosi il premio per la miglior sceneggiatura e la menzione speciale della giuria per il miglior attore, Angelo Pezzotta nella parte di Dylan Dog. Attualmente è in lavorazione una seconda pellicola interpreta dallo stesso gruppo di ragazzi.

1. Il quarto paragrafo del terzo capitolo, dal titolo "Amici mostri: il tema dell’Altro", è quello più importante per le tematiche prese in esame in questo volume. In R. Mantegazza – B. Salvarani, Se una notte d’inverno un indagatore… Istruzioni per l’uso di Dylan Dog, Edizioni Unicopli, Milano 1995, pp. 50-54.
2. T. Sclavi in M. Masiero, Raccontare Dylan Dog, Alessandro Distributore, Bologna 1990, pg. 52.
3. Sclavi-Piccatto, “Il ritorno del mostro”, Dylan Dog n. 8, Sergio Bonelli Editore, maggio 1987.
4. Sclavi e Marcheselli-Venturi, “Johnny Freak”, Dylan Dog n. 81, Sergio Bonelli Editore, giugno 1993.
5. T. Sclavi, in M. Masiero, Raccontare Dylan Dog, Alessandro Distribuzioni, Bolognsa 1990, pg. 52.
6. Ibidem.
7. Chiaverotti-Freghieri, "Frankestein!", Dylan Dog n. 60, pg. 93, Sergio Bonelli Editore, settembre 1991.
8. Ibidem.
9. S. Piani, "Sotto il letto di Susanna. Orrore e paura in Dylan Dog", in Dylan Dog. Indocili sentimenti, arcane paure, a cura di A. Ostini, Euresis Edizioni, Milano 1998, pg. 53.
10. "Una parte di noi ha pena per la mostruosità, e una parte di noi capisce che il mostro potremmo essere noi". T. Sclavi, in M. Masiero, Raccontare Dylan Dog, cit, pg. 52.
11. Per approfondire queste tematiche si veda il mio "Testimonial sì, ma non da incubo", in Dylan Dog ultimo romantico, Cartoon Club, Rimini 1999, pp. 24-25.

L come Letteratura disegnata (nella rappresentazione dell’handicap)

Ormai è assodato esiste una letteratura scritta e una letteratura disegnata. Sul senso da dare a questo secondo termine, si è raggiunto un sentore comune, almeno nel mondo del fumetto.
La definizione di letteratura disegnata è legata a Hugo Pratt, il papà di Corto Maltese, che amava parlare in questi termini del fumetto, sottolineandone il valore letterario e la propensione alla narrazione. Lo stesso Pratt fu un grande narratore in grado di raccontare, con incredibile fascino, usando stili grafici semplici e raffinati, in un’estrema sintesi del tratto che narra. Nonostante questo, la definizione del concetto di fumetto come forma narrativa e artistica non è stata ancora pienamente assimilata. C’è un handicap che accompagna la definizione di fumetto come letteratura disegnata, anzi qualche problema l’abbiamo già con la definizione di fumetto (si veda la lettera F di questo dizionario).
Nonostante questo aspetto, per certi versi preliminare, non deve sfuggire che la letteratura sia essa disegnata o no, ha un grande compito riguardo alla rappresentazione dell’handicap. Essa può fornire all’immaginario collettivo una visione corretta oppure distorta dell’handicap e questa visione, prima ancora della menomazione o della sua percezione soggettiva, è fonte di disagio o di sofferenza per
chi si trova in situazione di svantaggio, di deficit o diversabilità.
La conoscenza dell’handicap attraverso testi scientifici è, per certi versi, imprescindibile anche se attraverso il necessario processo di generalizzazione, di ricerca di una costante, di una media statistica, si rischia di perdere contatto con la vita vissuta, con l’individualità, con la irriducibile ricchezza della singolarità, del mistero racchiuso in ogni esperienza ed esistenza. Da questo punto di vista la letteratura può fornire straordinari strumenti d’indagine e di conoscenza, che trovano le loro radici nella narrazione, in un sapere narrativo, profondamente illuminante e certamente complementare del pur necessario sapere scientifico.
La letteratura da un contributo determinante alla conoscenza e all’indagine sull’handicap e, più in generale, sulla diversità. Crea scenari, scandaglia sensibilità, lumeggia tratti di situazioni, suggerisce percorsi, favorisce l’identificazione con il personaggio fornendo ipotesi di risposta ai problemi che si vanno via via creando. Fornisce una conoscenza vicaria, che stimola riflessione e aiuta nella crescita allargando l’ambito della conoscenza.
In questo percorso un posto principe spetta alla letteratura per l’infanzia, ai romanzi di formazione, ad alcune opere particolarmente elaborate di letteratura disegnata. Da questo punto di vista la relativa giovane età della letteratura disegnata (poco più di cento anni) riduce di un poco le possibilità del fumetto rispetto ad altre forme letterarie. La letteratura, ad un’analisi storica comparativa, risulta assumere anche uno splendido valore documentario rispetto al sentire comune, alla rappresentazione dell’handicap, all’influenza di stereotipi e pregiudizi.
Da un punto di vista storico l’Ottocento letterario mostra un qualche interesse per la rappresentazione dell’handicap, acquistando una particolare consapevolezza rispetto alla sua natura di “problema sociale”. Anche nei fumetti dei primordi si scopre qualche accenno di questo genere. La descrizione dell’handicap e dei suoi addentellati ha creato la consapevolezza della possibilità, prima, e della necessità, dopo, di prevenire la disabilità, di curare chi ne è colpito. Il disabile non è in grado di pensare, in totale autonomia, alla propria sopravvivenza; e in periodo in cui la capacità produttiva iniziava a divenire metro di giudizio, il valore di una persona rischia di essere strettamente correlato alla sua capacità produttiva ingenerando ulteriore marginalità.
Charles Dickens e Victor Hugo, assieme a Hans Christian Andersen hanno descritto questi processi, narrato storie facendo intravedere la possibilità di schierarsi dalla parte dei più deboli. Anche Collodi, con il suo Pinocchio, ha aperto qualche pista di riflessione mettendo sul piatto la rappresentazione dell’infanzia come handicap.
Se nell’Ottocento la letteratura ha svolto nei confronti dell’handicap una funzione di denunzia e al contempo di sensibilizzazione, creando e alimentando una sensibilità più articolata nei confronti della diversità, nel Novecento la letteratura si concentra sulla rappresentazione di come l’handicappato, il diverso, il non-normale si percepisce. C’è anche un filone che riflette sulle relazioni tra normalità e anormalità, giocando sul doppio, sull’ambiguità ma anche sulla ricerca di un’armonia sempre meno a portata di mano. È da queste premesse che vari generi si sono confrontati con il tema della diversità e del limite, prendendo in considerazione registri fino allora impensabili come quello comico o dell’ironia.
Nel mondo della letteratura disegnata si è passati dall’epica dell’eroe alla beatificazione dell’antieroe. Si è mostrato con libertà e sagacia, il limite, la diversità, l’handicap fisico e psichico. Si è superato prima che in altre modalità di rappresentazione dell’handicap, il bisogno di normalizzazione. Si è data visibilità al diverso per quel che è, per quel che porta, lo si è anche rappresentato con superficialità. Sarebbe disonesto negarlo. Anche la letteratura disegnata è stata incline all’uso dello stereotipo (fosse anche solo quello grafico della carrozzella) per narrare dell’handicappato. Il suo alto bisogno di spettacolarizzazione non ha disdegnato di offrire soluzioni miracolistiche per casi irreversibili. Ha, a volte, frainteso il discorso sull’handicap normalità, negando la sua diversità, in ultima analisi la sua specificità. Certo è che ha saputo narrare con perizia storie difficili come quella d’epilessia descritta da David B. in Cronache del grande male o nelle riletture de Lo strano caso del dott. Jekill e del Sig. Hide operate da Dino Battaglia e da Lorenzo Mattotti.
La letteratura disegnata ha anche accompagnato il delicato passaggio dal bisogno di normalità al concetto di diversabilità, di esistenze al plurale. Tutto sommato un contributo non indifferente.

I come Integrazione

La parabola dei mutati nelle avventure di Nathan Never rappresenta un ottimo esempio del percorso dall’esclusione all’integrazione. Un discorso articolato che argomenta ciò che in altri fumetti è solo intuizione o aspirazione.
Cronache dal futuro. 2076. “Il governo federale terrestre decide di vietare la produzione di esseri artificiali creati in laboratorio e destinati ai lavori più umili. Questi esseri nati dagli esperimenti genetici degli anni 2030, vengono chiamati Mutati e hanno la caratteristica di avere gli occhi neri e le pupille bianche. Inoltre ognuno di loro possiede arti e attributi fisici differenti, a secondo del lavoro al quale è destinato. La progenie di questi mutati continua ad avere le stesse caratteristiche dei genitori e vive con loro al primo livello della città, dove si assiepa la maggior parte dei rappresentanti di quella che a tutti gli effetti è una nova razza di derelitti” .
Le date sembrano relativamente vicine per noi proiettati nel terzo millennio anche se la data reale, calcolata con il nostro calendario, sarebbe il 2154 ovvero il 2076 del Nuovo Calendario, datazione in uso nelle avventure di Nathan Never , la fantascienza italiana a fumetti.
Cronache di un futuro quindi ancora lontano ma, come sempre accade nella migliore fantascienza, il futuro si avvicina al presente grazie alla lettura metaforica. Nel nostro futuro “bonelliano” ci attendono dosi massicce di progresso tecnologico (di cui stiamo già facendo esperienza nella realtà), stazioni orbitanti nello spazio, abitabili e abitate, inquinamento all’ennesima potenza, la sostanziale scomparsa della carta (notizia che provoca in molti contemporanei profonda tristezza) e lo strapotere mediatico.
Le città si trasformano in quelle tecnopoli molto care all’estetica del postmoderno, megalopoli tecnologiche difficili da governare dove a fianco della polizia corrotta sono cresciute agenzie private, come l’Agenzia Alfa, humus dove si muovono Nathan Never e gli altri comprimari della serie.
In questa società tra futuro e futuribile non mancano le categorie marginali, gli esclusi, nuovi handicappati tecnologici, portatori di una diversità che ben si sposa con la contemporanea definizione di diversabiltà, portatori di un’alterità biologica e sociologica: i mutati, esseri artificiali creati in laboratorio allo scopo di svolgere i compiti più pesanti e nelle condizioni climatiche più estreme, come apprendiamo nel secondo episodio della serie.
L’impatto del lettore con la categoria dei mutati è segnato dall’ambiguità. Se la descrizione fisica crea una sensazione di empatica tristezza (lo sguardo quasi perso nel vuoto, pupille bianche, le orecchie a punta quasi un futuribile elfo), il ruolo impersonato dal mutato è quello del cattivo. Anche l’approccio descrittivo è inquietante. Prima del corpo a corpo tra Nathan Never e un mutato, un losco personaggio avvisa l’agente speciale e il lettore che “i mutati non conoscono le buone maniere!” . I mutati non sono solo diversi, profondamente diversi, ma anche cattivi!
Ed è forse questo il motivo per cui vengono relegati al primo piano delle città (in quel futuro le città si estendono babelicamente verso il cielo, con l’unico inquietante risultato di creare veri e propri gironi danteschi persi nelle viscere della terra). Con queste premesse il primo livello diviene presto sinonimo (e in parte realtà) di degrado, illegalità, microcriminalità, terra dove vige la legge del più forte. Su queste basi si costruisce il pregiudizio razziale, la marginalità e contestualmente la coscienza della diversità, il bisogno e la volontà di riscatto.
Nell’evoluzione delle avventure di Nathan Never, dieci mesi dopo il primo episodio, troviamo il nostro eroe in azione nelle fondamenta della città, al primo livello, fra mutati di varia umanità e esseri umani di spietata disumanità. Inizia il gioco delle parti, così ben conosciuto nella rappresentazione dell’alterità in Dylan Dog.
E mentre il cattivo di turno, Franz Hoenzoller, politico intollerante, propone una legge che vieta e stabilisce come reato penale l’unione tra appartenenti a razze diverse , il figlio di una famiglia del sesto livello (benestanti, seppur sopra di loro esiste un settimo livello) Hans Schneider, si unisce al movimento dei mutati che chiede il riconoscimento dei diritti fondamentali per questa pseudo-razza. Di più. Innamorato di una mutata si batte per la parità dei diritti fra le due razze.
Le avventure di Nathan Never che vedono coinvolti i mutati sono metafora interrazziale con qualche debito ai discorsi sulla marginalità e sull’handicap. E questo siano i mutati buoni o cattivi, in lotta per il riconoscimento dei propri diritti o in distruttiva rivolta contro il resto del mondo, tristemente melanconici in cerca di normalità e integrazione, fieramente antagonisti o ben inseriti tra le reti di associazioni criminali. Non si disdegna uno sguardo benevolo verso i mutati che, progressivamente nella serie, assumono sempre più valenze positive, forse anche in considerazione della loro sostanziale simpatia. Può non attrarre simpatia chi nasce, suo malgrado, destinato alla schiavitù e poi diviene obsoleto per la produzione di robot sempre più resistenti e sofisticati?
Simpatia che raggiunge i mutati come singoli e come gruppo sociale. Non solo. Dopo tante avventure la parabola dei mutati sembra avere un’evoluzione definitiva nella figura di Branko, un gigantesco umanoide, il primo (resterà l’unico?) mutato che entra a far parte dell’Agenzia Alfa.
Branko fa la sua apparizione in una rischiosa azione terroristica messa in opera da un fantomatico “Gruppo di Liberazione dei Mutati” . Un dirottamento di uno shuttle in navigazione verso la luna; shuttle dove, naturalmente, è imbarcato Nathan Never.
Branko è un mutato cattivo, o incattivito dalla situazione, che viene arrestato dopo una lotta furibonda con Nathan Never. Il dirottamento compiuto dal suo gruppo si risolve in una carneficina e un paio d’anni dopo , troviamo Branko in un carcere di Luna City, un penitenziario di massima sicurezza.
Lo troviamo cambiato, più riflessivo, perplesso di fronte alla scelta della violenza per la rivendicazione dei diritti dei mutati. Perplessità che si tramuta in sfiducia e che attraverso una serie di avventure vissute fianco a fianco con Nathan Never, diviene certezza in una nuova modalità di far valere i propri diritti attraverso una solidarietà positiva e una ritrovata fiducia nella legge, impersonata dall’Agenzia Alfa. Da questo percorso Branko esce moralmente rinforzato, anche se il prezzo pagato è altissimo: compagni trucidati, la donna che ama uccisa. L’ideale, per quanto tragico, per iniziare una nuova vita: dal rinnegamento della lotta armata per la liberazione dei mutati all’integrazione paritaria, cruda e insperata vittoria della lotta per il riconoscimento dei diritti dei mutati.
Una parabola che coniugata secondo gli stilemi dell’avventura non si arena sulle sponde del dolciastro ma è accompagnata da un retrogusto amaro che si accompagna con la realtà e le fatiche della vita.
La parabola di Branko racchiude simbolicamente il percorso dei mutati nel mondo futuribile di Nathan Never. Branko, ormai cosciente che la violenza non è la via giusta per l’integrazione, approda all’Agenzia Alfa che diviene sempre più una sorta di grande famiglia allargata, tollerante e sensibile alla diversità, intesa come portatrice di diverse abilità componibili per un unico scopo.
Un percorso quello di Branko che non si compie solo in una direzione, lo stesso Nathan Never (e i lettori con lui) ha l’occasione di riflettere sull’alterità, sulla diversità e sulle degenerazioni del razzismo in ogni sua coniugazione.
“Purtroppo la razza umana non ha ancora capito che per riuscire a convivere in pace con se stessa, deve prima imparare a farlo con chi è diverso” considera amaramente Nathan Never nel corso dell’avventura in cui Branko diviene da antagonista a socio .
Un futuro, quello della serie, dove la convivenza con la diversità, anche estrema, risulta essere una chiave di lettura del reale. Un futuro dove la tecnologia crea razze, dove esistono robot e automi che hanno sviluppato una sorta di autocoscienza, dove ci sono esseri biomeccanici, con parti costituite da una sorta di metallo vivente, dove convivono homo sapiens e la loro evoluzione: i super sapiens, dove troviamo un popolo di tristi e variopinti freaks nati da mutazioni causate da virus e perverse sperimentazioni. Un mondo sempre in bilico tra egoismo e altruismo, tra integrazione pacifica e lotta per la supremazia, un mondo non molto dissimile dal nostro dove non sempre è facile districarsi tra concetti labili come normalità e devianza, un mondo sempre più al plurale.

NOTE
(a cura di) Antonio Serra, Cronache del futuro. Cronologia dell’universo di Nathan Never, supplemento a Nathan Never speciale n. 5, dicembre 1995, Sergio Bonelli Editore, Milano, dicembre 1995.
2 Serie creata da Antonio Serra, Michele Medda, Bepi Vigna per la Sergio Bonelli Editore. Il primo numero esce nel giugno 1991.
3 Antonio Serra, Michele Medda, Bepi Vigna e Germano Bonazzi, Il monolito nero, in Nathan Never n.2, Sergio Bonelli Editore, Milano, luglio 1991, pag.63.
4 Bepi Vigna – Dante Bastianoni, Inferno, in Nathan Never n.10, Sergio Bonelli Editore, Milano, marzo 1992.
5 Esistono diversi gruppi organizzati di mutati in lotta per il riconoscimento dei propri diritti; gruppi pacifici e gruppi violenti, come l’organizzazione terroristica di lotta armata contro gli homo sapiens, Pugno Mutato, incontrata nel n. 55 di Nathan Never.

6 Stefano Vietti e Giancarlo Olivares, Il mare della desolazione, in Nathan Never n. 63, Sergio Bonelli Editore, Milano, agosto 1996.
7 Stefano Vietti, Fabio Jacomelli e Maurizio Gradin, I fiumi del cielo, in Agenzia Alfa n. 3, Sergio Bonelli Editore, Milano, dicembre 1998.
8 Stefano Vietti, Fabio Jacomelli e Maurizio Gradin, I fiumi del cielo, in Agenzia Alfa n. 3, Sergio Bonelli Editore, Milano, dicembre 1998, pag.116.

H come Humor

Carmelito Battiston è il muto maggiordomo di Zorry Kid, immensa parodia di Zorro creata dal genio umoristico di Jacovitti ( ). Carmelito è un simpatico personaggio dagli inquietanti balloons bianchi e vuoti, che accompagna con la chitarra le performance di Kid Paloma, l’identità segreta di Zorry Kid, e con estro e fantasia toglie dagli impicci il debosciato ballerino di flamenco fiancheggiando abilmente le azioni del vendicatore mascherato. È muto, è simpatico, è una fonte inesauribile di gag e battute. Uno dei volti del fumetto umoristico che guarda ai limiti fisici, psichici, intellettuali e caratteriali che rientrano nel mondo della diversità/handicap.
La deformazione fisica sembra essere una delle caratteristiche fondamentali dell’umorismo disegnato e no. Il fumetto ci presenta una schiera di ciechi, storpi, paralitici. Attraverso l’umorismo, nelle sue varie coniugazioni, il fumetto ha sottolineato una dimensione fondamentale riguardo alla diversità e all’handicap: nel rapporto con l’altro, con il diverso, nella sua rappresentazione, si ride, si sorride si sghignazza, si gioca ma tutto ciò è preceduto da una sostanziale accettazione della realtà dell’altro. L’altro esiste per quel che è. È parte costitutiva del mondo, ha un suo spazio. Affermazioni che sembrano banali ma sono tutt’altro che scontate. A riprova è curioso che nei fumetti non sia mai trattato il problema della riabilitazione o dell’inserimento guidato, pensato, progettato. Ci troviamo di fronte ad una trasfigurazione della realtà dove spesso ad un’evidente menomazione fisica o psichica si accompagna una caratteristica che rende simpatico il personaggio, che fornisce allo stesso una diversa abilità. Al gigantismo di Obelix o al nanismo di Asterix, per esempio, si accompagnano tutta una serie di caratteristiche positive che sembrano controbilanciare una fisicità non proprio perfetta.
Si ride e si sghignazza senza falsi pudori, senza pietismo. La striscia di B.C. ( ) mettendo in scena il suo Quaternario spoglio e lineare si preoccupa di rileggere i nostri tempi, tic e manie, facendo agire un simpatico gruppo di uomini e donne primitive. Due personaggi spiccano: il ciecuziente Clumsy Carp e Wiley, burbero con una gamba di legno. Clumsy Carp, alias quattorocchi, alias il Goffo è il primo ittologo della storia che passa intere giornate dedite allo studi dei pesci e alla loro protezione, mentre il sarcastico Wiley, filosofo e moralista nonché allenatore della squadra di baseball, non disdegna di scrivere improbabili pamphlet filosofici con oscuri titoli.
Altro simpatico svantaggiato è il noto Pietro Gambadilegno, grosso gatto antagonista di Topolino, creato nel 1930 da Floyd Gottfredson. Un personaggio che non compensa la sua menomazione con caratteristiche positive. Menomazione per altro lieve, tanto che con la storia Topolino e il boscaiolo, pubblicata nel 1941, Gambadilegno perde la sua gamba di legno e viene disegnato con entrambe le gambe. Pare fosse disdicevole e sleale che Topolino, per quanto più piccolo e apparentemente più indifeso, si scontrasse con un mutilato. Resta il fatto ogni tanto il disegnatore invertiva la gamba di legno lasciando perplesso il lettore.
Non sempre quindi la menomazione fisica si sposa con una sorta di grandezza d’animo o con caratteristiche positive; esistono personaggi in cui la menomazione fisica assume un connotato negativo e questo rende impossibili sia semplificazioni tipo buono = sano, malvagio = deforme o malato sia lo stereotipo buonista per cui ogni menomazione è compensata da una caratteristica positiva.
Obelix e Brutus (l’antagonista di Braccio di Ferro) sono affetti ambedue da gigantismo deformante, diverso è, di norma, il segno delle loro azioni.
Raramente però a questi personaggi si accompagna la categoria della sgradevolezza in nome del loro limite o della loro diversità. Anzi si trova con maggior facilità simpatia e complice condivisione.
Anche il limite intellettuale risulta avere una buona rappresentazione che spesso però si risolve in un diverso approccio alla realtà, a volte con sorprendenti risultati. È la parabola del Pippo disneyano (Goofy in lingua originale, ovvero un secco: sciocco!) o, sempre per rimanere in ambito Disney, di Ciccio, fido aiutante di Nonna Papera. Due personaggi, ad alto tasso di simpatia, eppure diversi rispetto al resto dei personaggi, di una diversità a tratti geniale, quasi da cultori del pensiero laterale. Fu il fumettista Andrea Pazienza in una sua simpatica e breve storia a mostrare in un luce diversa, tra l’alternativo e il freakkettone, la figura di Pippo nel suo: Perché Pippo sembra uno sballato?
Nel mondo dell’umorismo disegnato spiccano per incredibile simpatia ma anche per una vena di idiozia surreale Zero, esasperante compagno d’armi dello sfaticato Beetle Bailey, personaggio di Mort Walker oppure Oscar dell’allegra brigata di Braccio di Ferro di Segar.
Tutti personaggi che creano una sorta di corte dei miracoli che il fumetto umoristico, soprattutto nelle coniugazione grottesca, coltiva con impavida sfacciataggine. Ecco i personaggi del duo Magnus & Bunker, da Numero Uno, paralitico capocombricola della serie Alan Ford o la varia umanità del regno di re Maxmagnus.
Tra il grottesco e il crudele troviamo la striscia di Altan Cico & Pippo ( ), dove Cico è un uomo cieco dalla nascita accompagnato dallo scaltro e irriverente figlioletto, Pippo. “Pippo…” dice il padre toccando sulla testa il figlioletto. “Si?”. “Non senti la mancanza della mamma?”. “No” risponde Pippo. “Strano” riprende Cico. “Non lo mai vista” replica Pippo. “Nemmeno io” chiude Cico.
Anche Leo Ortolani, il papà di Rat-man, nelle sue collezioni Le meraviglie della natura non manca di colpire i luoghi comuni con umorismo acido, a tratti persino sgradevole, seppur attraverso una buon a gestione dei tempi comici permette al lettore meno abituato di non sentirsi aggredito dalle battute. L’humor nero, a tratti sarcastici, si incontra anche nella saga di Johnny Logan ( ) con una serie di emarginati, di disadattati che cercano di sopravvivere in una società che, come spesso accade nella realtà, si mostra impietosa e spietata. Uno sguardo severo, un sorriso di denuncia arriva anche dal bel volume Andi Andi ( ) di Alberto Preda e Franco Travi dove tra giochi verbali e grafici si mostra la quotidianità del portatore di handicap. Vignette dal sottotitolo esplicativo: “duellandi” ed ecco due persone affrontarsi a colpi di stampelle. “Stravagandi” e ad una carrozzella vengono applicati palloncini permettondogli di alzarsi in volo e sci per partecipare a gare sportive. Oppure il forte “fabbricandi” dove appare un medico dal ghigno malvagio impugnando un forcipe.
Il fumetto umoristico non ha lasciato inesplorata quasi nessuna delle lande della diversità e del limite, osservando tutto con un occhio attento in grado poi di narrare la diversità da più punti di vista, uno sguardo al limite e uno sguardo alle potenzialità che nascono dalla situazione diversa. Un approccio alla realtà che ha contribuito a rendere luminosa la definizione di diversabili. Un occhio che non rifugge tristezza ma non si da per vinto, come quell’uccellino nato dalla matita di Quino ( ) che con l’ala fasciata si incammina verso sud mentre il cielo è pieno di uccelli che volano nella stessa direzione.

Note
Zorry Kid appare nel marzo del 1968 sul Corriere dei Piccoli. Cfr. Stefano Gorla, El liberador de la cosa: Zorry Kid 20 anni dopo, in Fumo di China n.67, aprile 1999.
2 B.C. (Berfore Christ) è stato creata da Johnny Hart nel 1958 negli Stati Uniti ed è tuttora pubblicata.
3 Altan, Cico & Pippo. La crudeltà fatta in casa, Edizioni Glénat Italia, Milano, 1986
Personaggio creato da Romano Garofalo e Leo Cimpellin negli anni Settanta.
4 Alberto Preda – Franco Travi, Andi Andi, C.L.A.S. editrice, Bergamo, 1984.
5 Quino, Mondo Quino, Tascabili Bompiani n.236, Milano, 1981.

S come Sesso

“Papà, cosa vuol dire handicappato?” chiede Mafalda, la bambina terribile dei fumetti creata da Quino. Il padre risponde: “Va’ a giocare, Mafalda, non sono cose per la tua età”. Mafalda se ne va brontolando: “Ho capito si tratta di sesso!”.
In un altro delizioso quadretto famigliare, il Padre di Mafalda rispondendo ad una Mafalda alquanto seccata dica: “Ma Mafalda, anche se io ti spiegassi il problema del Vietnam, tu non lo capiresti!”. E lei: “Certo perché sono scema!”. Il padre spazientito: “Non è che sei scema! È che non è una cosa per bambini!”. “Ah, no?” riprende Mafalda perplessa. “No!” gli fa eco il padre. “E se melo spieghi senza le parti pornografiche?” incalza Mafalda.
Nelle battute di Mafalda, si trova la fedele rappresentazione della comprensione della realtà di una bambina (per quanto terribile!) che ha imparato, grazie al contesto sociale e famigliare, a considerare il sesso materia imbarazzante. Se poi lo si accosta, o unisce all’handicap, l’imbarazzo è sommo. Per qualche strana ragione, forse una proprietà transitiva, il trattare del sesso o dell’handicap richiede le stesse cautele, suscitano gli stessi pudori. E siamo solo nella fase di contiguità verbale, si parla di sesso e lo si accosta imprudentemente all’handicap. Se poi si tentano di coniugare i due termini si entra nella lussureggiante giungla dei tabù.
Eppure il fumetto, con una certa dose di coraggio assieme a spregiudicatezza non ha disdegnato di cimentarsi in questo connubio dall’alto potenziale di deflagrazione sociale.
Un fumetto simpaticamente in bilico tra il grottesco e il crudele come Cico & Pippo di Altan ( ), che non teme di trattare fra le sue strisce dell’argomento sesso.
Cico & Pippo sono un’assortita coppia composta da genitore e figlio, Cico è un uomo cieco dalla nascita e Pippo il suo irriverente figlioletto, occhi vicari della cecità del padre. Le strisce, graficamente solo abbozzate, sono composte da crudeli dialoghi tra i due, dove Pippo non disdegna di colpire il padre, sia fisicamente che moralmente, facendogli pesare la cecità. In genere il babbo incassa, raramente reagisce, soggiogando comunque il figlio con la sua spossante petulanza.
Anche se Pippo fa di tutto per far pesare al cecità al padre o comunque non fa niente per alleviarne il peso, in fondo i suoi rudi interventi sono un arma di difesa verso un padre asfissiante che sembra aver fatto della cecità la sua professione. Altan mostra, senza false remore, come possa esistere il cieco noioso, capriccioso, assolutamente insopportabile senza nessuna pietistica giustificazione, al limite della crudeltà. Non solo. Altan inserisce anche un altro elemento poco presente nella rappresentazione dell’handicap: il tema della sessualità. Ecco Cico che da una parte dice di disprezzare tutto ciò che riguarda il sesso dall’altra rivela le normali pulsioni sessuali a Pippo che, approfittando di queste confidenze, non perde occasione per mettere il padre in situazioni spiacevoli che, amaramente, Cico accetta come “meglio che niente”.
Il sesso in coniugazione handicap è presente anche nel bel volume Andi Andi ( ) di Alberto Preda e Franco Travi dove tra giochi verbali e grafici si mostra la quotidianità del portatore di handicap. Volume che nasce dall’esperienza di condivisione e di emancipazione significata fin dal titolo dall’elisione della H, dove tutte le scene di vita quotidiana sono coniugate in andi. Ecco allora i titoli: “stravagandi, duellandi, affittandi, graziandi, andifurto” e la vignetta che sostiene la lettura; per “stravagandi” troveremo un equilibrista con le stampelle, per “andifurto” un uomo in carrozzella completamente avvolto da una catena con un enorme lucchetto. In questa serie troviamo anche le vignette della sottoserie “amandi” dove alle carrozzelle vengono applicati particolari e sofisticati meccanismi per permettere l’attività sessuale o il sublimato sogno di “sandi in paradiso” dove l’amico in carrozzella è accompagnato da una donna procace.
Se il sesso al tempo dell’handicap è sublimato nel sogno o rimandato nella speranza, restano le aspettative dei personaggi e il sogno si fa malinconia o sofferenza.
Ecco la sofferenza di Concrete, personaggio più volte citato in questo succinto dizionario, il gigante di pietra che sogna e desidera anche solo una lontana sollecitazione dei sensi, una carezza, un contatto pelle a pelle, che ormai può solo nostalgicamente ricordare. Lui metafora perfetta, uomo, disabile a cui è stato negato il sasso ma persino la fisicità.
Anche per Tesla, la giovane vampira comprimaria nella avventure di Dampyr ( ), la fisicità dell’amore resta un sogno, o forse solo un desiderio. Per quanto attratta da Harlan non può coronare il suo sogno. Harlan Draka, infatti, è un dampyr, un uomo dove coesistono il principio del bene e del male, un eroe non solo umano.
Il dampyr è una categoria realmente presente nel folklore slavo: è il figlio di un vampiro e di un essere umano, un mezzosangue, l’incarnazione dell’unione tra bene e male, l’esasperazione del doppio racchiuso in ognuno.
Il suo sangue è velenoso per i vampiri, unica arma con cui opporsi ai vampiri, categoria che nel fumetto non è vista con il vezzo postmoderno della simpatia. I vampiri in Dampyr sono malvagi, sono il male incarnato. Vivono e agiscono nelle zone dell’eclissi della ragione, nella violenza compiaciuta e gratuita, nella guerra e nella rappresaglia teppistica. Svuotano l’uomo della sua umanità, della sua vitalità, del suo esaltante e tragico destino del vivere e del morire. I vampiri trasformano l’uomo in non-morto e oppongono uomo ad uomo, secondo la logica efferata della violenza. Su queste coordinate si inserisce la figura atipica di Tesla, vampira rinnegata, reietta dei reietti, disadattata nel suo mondo, perennemente fuori luogo, incapace di riconoscersi nel suo stato, nella sua corporeità. Costretta a nutrirsi succhiando sangue, melanconicamente impossibilitata al contatto sessuale. Figura estrema del rapporto handicap e sesso.
Ma non tutto è perduto nelle lande dell’handicap disegnato, ogni tanto emergono tratti di speranza. Ecco allora la figura di Barbara Gordon, la prima Batwoman, per una serie di vicissitudini trasformarsi da supereroina a paraplegica. Di Barbara Gordon si ricorda un’intensa storia d’amore con Dick Grayson (Nightwing), una storia d’amore che ha sottolineato la normalità dell’amore al tempo dei paraplegici. Uno spiraglio a lumeggiare un mondo timoroso, incapace di trovare le parole per esprimere bisogni e desideri. Parole che il mondo dei comics, a volte, riesce a fornire.

NOTE
Altan, Cico & Pippo. La crudeltà fatta in casa, Edizioni Glénat Italia, Milano, 1986
2Alberto Preda – Franco Travi, Andi Andi, C.L.A.S. editrice, Bergamo, 1984.
3 Serie pubblicata dalla Sergio Bonelli Editore, creata da Mauro Boselli e Maurizio Colombo. Il primo numero è uscito nell’aprile 2000.

età”. Mafalda se ne va brontolando: “Ho capito si tratta di sesso!”.
In un altro delizioso quadretto famigliare, il Padre di Mafalda rispondendo ad una Mafalda alquanto seccata dica: “Ma Mafalda, anche se io ti spiegassi il problema del Vietnam, tu non lo capiresti!”. E lei: “Certo perché sono scema!”. Il padre spazientito: “Non è che sei scema! È che non è una cosa per bambini!”. “Ah, no?” riprende Mafalda perplessa. “No!” gli fa eco il padre. “E se melo spieghi senza le parti pornografiche?” incalza Mafalda.
Nelle battute di Mafalda, si trova la fedele rappresentazione della comprensione della realtà di una bambina (per quanto terribile!) che ha imparato, grazie al contesto sociale e famigliare, a considerare il sesso materia imbarazzante. Se poi lo si accosta, o unisce all’handicap, l’imbarazzo è sommo. Per qualche strana ragione, forse una proprietà transitiva, il trattare del sesso o dell’handicap richiede le stesse cautele, suscitano gli stessi pudori. E siamo solo nella fase di contiguità verbale, si parla di sesso e lo si accosta imprudentemente all’handicap. Se poi si tentano di coniugare i due termini si entra nella lussureggiante giungla dei tabù.
Eppure il fumetto, con una certa dose di coraggio assieme a spregiudicatezza non ha disdegnato di cimentarsi in questo connubio dall’alto potenziale di deflagrazione sociale.
Un fumetto simpaticamente in bilico tra il grottesco e il crudele come Cico & Pippo di Altan ( ), che non teme di trattare fra le sue strisce dell’argomento sesso.
Cico & Pippo sono un’assortita coppia composta da genitore e figlio, Cico è un uomo cieco dalla nascita e Pippo il suo irriverente figlioletto, occhi vicari della cecità del padre. Le strisce, graficamente solo abbozzate, sono composte da crudeli dialoghi tra i due, dove Pippo non disdegna di colpire il padre, sia fisicamente che moralmente, facendogli pesare la cecità. In genere il babbo incassa, raramente reagisce, soggiogando comunque il figlio con la sua spossante petulanza.
Anche se Pippo fa di tutto per far pesare al cecità al padre o comunque non fa niente per alleviarne il peso, in fondo i suoi rudi interventi sono un arma di difesa verso un padre asfissiante che sembra aver fatto della cecità la sua professione. Altan mostra, senza false remore, come possa esistere il cieco noioso, capriccioso, assolutamente insopportabile senza nessuna pietistica giustificazione, al limite della crudeltà. Non solo. Altan inserisce anche un altro elemento poco presente nella rappresentazione dell’handicap: il tema della sessualità. Ecco Cico che da una parte dice di disprezzare tutto ciò che riguarda il sesso dall’altra rivela le normali pulsioni sessuali a Pippo che, approfittando di queste confidenze, non perde occasione per mettere il padre in situazioni spiacevoli che, amaramente, Cico accetta come “meglio che niente”.
Il sesso in coniugazione handicap è presente anche nel bel volume Andi Andi ( ) di Alberto Preda e Franco Travi dove tra giochi verbali e grafici si mostra la quotidianità del portatore di handicap. Volume che nasce dall’esperienza di condivisione e di emancipazione significata fin dal titolo dall’elisione della H, dove tutte le scene di vita quotidiana sono coniugate in andi. Ecco allora i titoli: “stravagandi, duellandi, affittandi, graziandi, andifurto” e la vignetta che sostiene la lettura; per “stravagandi” troveremo un equilibrista con le stampelle, per “andifurto” un uomo in carrozzella completamente avvolto da una catena con un enorme lucchetto. In questa serie troviamo anche le vignette della sottoserie “amandi” dove alle carrozzelle vengono applicati particolari e sofisticati meccanismi per permettere l’attività sessuale o il sublimato sogno di “sandi in paradiso” dove l’amico in carrozzella è accompagnato da una donna procace.
Se il sesso al tempo dell’handicap è sublimato nel sogno o rimandato nella speranza, restano le aspettative dei personaggi e il sogno si fa malinconia o sofferenza.
Ecco la sofferenza di Concrete, personaggio più volte citato in questo succinto dizionario, il gigante di pietra che sogna e desidera anche solo una lontana sollecitazione dei sensi, una carezza, un contatto pelle a pelle, che ormai può solo nostalgicamente ricordare. Lui metafora perfetta, uomo, disabile a cui è stato negato il sasso ma persino la fisicità.
Anche per Tesla, la giovane vampira comprimaria nella avventure di Dampyr ( ), la fisicità dell’amore resta un sogno, o forse solo un desiderio. Per quanto attratta da Harlan non può coronare il suo sogno. Harlan Draka, infatti, è un dampyr, un uomo dove coesistono il principio del bene e del male, un eroe non solo umano.
Il dampyr è una categoria realmente presente nel folklore slavo: è il figlio di un vampiro e di un essere umano, un mezzosangue, l’incarnazione dell’unione tra bene e male, l’esasperazione del doppio racchiuso in ognuno.
Il suo sangue è velenoso per i vampiri, unica arma con cui opporsi ai vampiri, categoria che nel fumetto non è vista con il vezzo postmoderno della simpatia. I vampiri in Dampyr sono malvagi, sono il male incarnato. Vivono e agiscono nelle zone dell’eclissi della ragione, nella violenza compiaciuta e gratuita, nella guerra e nella rappresaglia teppistica. Svuotano l’uomo della sua umanità, della sua vitalità, del suo esaltante e tragico destino del vivere e del morire. I vampiri trasformano l’uomo in non-morto e oppongono uomo ad uomo, secondo la logica efferata della violenza. Su queste coordinate si inserisce la figura atipica di Tesla, vampira rinnegata, reietta dei reietti, disadattata nel suo mondo, perennemente fuori luogo, incapace di riconoscersi nel suo stato, nella sua corporeità. Costretta a nutrirsi succhiando sangue, melanconicamente impossibilitata al contatto sessuale. Figura estrema del rapporto handicap e sesso.
Ma non tutto è perduto nelle lande dell’handicap disegnato, ogni tanto emergono tratti di speranza. Ecco allora la figura di Barbara Gordon, la prima Batwoman, per una serie di vicissitudini trasformarsi da supereroina a paraplegica. Di Barbara Gordon si ricorda un’intensa storia d’amore con Dick Grayson (Nightwing), una storia d’amore che ha sottolineato la normalità dell’amore al tempo dei paraplegici. Uno spiraglio a lumeggiare un mondo timoroso, incapace di trovare le parole per esprimere bisogni e desideri. Parole che il mondo dei comics, a volte, riesce a fornire.

NOTE
Altan, Cico & Pippo. La crudeltà fatta in casa, Edizioni Glénat Italia, Milano, 1986
2Alberto Preda – Franco Travi, Andi Andi, C.L.A.S. editrice, Bergamo, 1984.
3 Serie pubblicata dalla Sergio Bonelli Editore, creata da Mauro Boselli e Maurizio Colombo. Il primo numero è uscito nell’aprile 2000.

R come Rat-man

Sfortunato. Limitato. Imbranato. Indelicato. Un topo si aggira fra le pagine del fumetto italiano e non è il noto roditore americano. Il suo nome non brilla per fantasia ma la sua parabola ha dello stupefacente. Premi, riconoscimenti, attestati di stima hanno fatto di Rat-man e di Leo Ortolani, il suo alter ego di carne, creatore e disegnatore, il fenomeno fumettistico della seconda metà degli anni Novanta. Un’idea del fenomeno è data dagli ultimi riconoscimenti avuti da Leo Ortolani. All’interno del noto Cartoon on the Bay, festival internazionale dell’animazione televisiva tenutosi a Positano (Na) nell’aprile dello scorso anno, Ortolani ha ricevuto il Pulcinella Net Award, premio per il miglior filmato d’animazione presentato per il web: un filmato di soli 3 minuti legato alla sua serie fumettistica Venerdì 12. Mentre Rat-man, il personaggio per antonomasia di Ortolani, ha vinto le elezioni del fumetto svoltesi nel gennaio 2001 nelle fumetterie di tutt’Italia. 5600 voti che hanno permesso al topo outsider di sbancare ogni pronostico surclassando personaggi quotati come Tex Willer, Lupo Alberto, e Alan Ford. A questo successo è seguita una dichiarazione che bene delinea l’orizzonte del nostro eroe: “Il successo non mi ha dato alla testa. Resto il semplice ragazzo di Betlemme che tutti conoscono”.
È la rivincita della marginalità, del disadattato, del perennemente fuori tempo e fuori luogo che s’impone come paradigma.
Rat-man è un personaggio a fumetti che utilizza tutti i registri dell’umorismo, dall’ironia al sarcasmo, dal sorriso solare allo sghignazzo più indecoroso. È un eroe da fumetto in cui è impossibile identificarsi eppure possiede una forza magnetica, capace di attrarre simpatia e attenzione, dedizione e smisurato senso di piacere.
Le origini di Rat-man, inquietante topo con la faccia da scimmia, sono narrate nella sua prima comparsa nel mondo dei fumetti: “Una misteriosa figura si aggira, senza pace per i vincoli della città…fruga tra le ombre della notte, come per trovare un significato alla sua esistenza…Mentre i ricordi tornano alla sua infanzia, segnata da un doloroso ricordo…quando perse entrambi i genitori ad una svendita in un grande magazzino” (1).
Rat-man nasce come un guastatore del mondo dei fumetti. Il suo genere preferito, sempre praticato, è quello della parodia. Assumendo questo registro appare sulla fanzine Made in U.S.A. e sul mensile Star Comix, dopo una fugace comparsa su di un supplemento de L’Eternauta. Siamo nel 1992 e il simpatico topo, nato nel 1989, viene presentato come una sorta di scimmiottatura di Batman. La parodia è un genere rischioso e difficile da gestire, Ortolani (2) riesce splendidamente nel suo intento anche grazie a una notevolissima conoscenza del mondo dei fumetti, soprattutto l’universo supereroistico americano, delle sue strategie e strutture narrative. Ortolani non si limita semplicemente a giocare con un soggetto prefissato, a mettere in ridicolo tic e manie di questo o quel personaggio o di un genere. Inserendo nel suo fumetto elementi tipici delle strutture narrative della Marvel degli anni d’oro, quella del duo Stan Lee e Jack Kirby, compie un’operazione più complessa.
Ortolani si rivela abilissimo a utilizzare stilemi, linguaggio, ritmi narrativi, enfasi dei dialoghi tipici della Marvel all’interno del suo fumetto ora ironico, ora parodistico, sempre esuberante e ad alto tasso di divertimento. Ma non solo. Ad Ortolani riesce un’operazione che gli permetterà, negli anni, di raggiungere un pubblico molto vasto. Grazie a una connaturata vena umoristica ben coniugata con quella parodistica, infarcisce le sue storie di una serie di dettagli buffi e spassosissime trovate. Questo permette diversi livelli di lettura dei suoi fumetti. La sua alchimia di elementi funziona perché riesce ad appassionare e a divertire l’impenitente lettore appassionato di fumetti superoistici americani e, contestualmente, anche colui che ne è quasi digiuno. Se ci sono sfumature che alcuni lettori possono cogliere, queste si presentano solo ad un livello d’approfondimento; resta uno strato base umoristico percepibile da tutti. È forse questa formula che ha consentito un successo così vasto della saga di Rat-man: un fumetto umoristico di grana fina, fatto di sfumature.
Rat-man comincia la sua avventura decidendo di indossare un costume e di combattere il crimine. Un inizio usuale per i supereroi anche se per quanto riguarda Rat-man non solo non conosciamo la sua identità segreta ma questa sembra non esistere; di lui non si sa nulla, neanche il nome. Nella sua esistenza tutto sembra essere in deficit, dal nome all’intelligenza, dall’arguzia alla prestanza fisica. Un fragilissimo monumento di inettitudine che si mostrerà assolutamente tenace nella sua lotta per la sopravvivenza, il diritto di esistere: sfortunato, magrolino, un po’ stupido, marginale.
Una marginalità che si sposa con la dimensione del sogno. Rat-man sogna di essere un supereroe (inconsapevole della formula dei fumetti supereroistici degli anni Sessanta: supereroi con superproblemi). In preda a questo suo sogno, quasi un delirio, non riesce neanche ad organizzare una strategia efficace di costruzione del suo sogno. Si concentra disperatamente sui dettagli. Primo fra tutti sul costume (essenza del supereroe da fumetto). Sappiamo che in questa annosa e strategica scelta un postino avrà un ruolo fondamentale nella costruzione della sua identità d’eroe. Busserà alla porta mentre il nostro è dilaniato intorno alla scelta del simbolo d’associare alla sua personale lotta contro il male: il postino gli consegnò una copia di Topolino e… il resto è storia!
Il gioco dei rimandi, fumettistici e non, nasce con Rat-man che come iniziale parodia di Batman assume i tratti tipici dell’eroe della DC Comics: vive in un lussuoso maniero con un maggiordomo, ha perso entrambi i genitori, con un costume maschera la sua identità. Un clone di Batman? Forse. Certo, nella prima avventura appare un avversario di Rat-man che è un evidente omaggio al Joker, eterno antagonista di Batman, un tragicomico personaggio dal nome: il Buffone. Personaggio che immetterà sulla scena Topin, il topo meraviglia, un’evidente analogia con Robin, ma già dalla seconda avventura gli scenari si fanno diversi. Compare il Ragno, un aracnide vero che dopo un morso radioattivo assume caratteri umani: avidità, egoismo, spietatezza. Seguono la vera storia del dottor Destino, ex-monaco perseguitato da un Rat-man in grande forma. Quindi le riletture di Wolverine o Elektra, la letale ninja. Ortolani con il tempo diviene un fiume in piena e mette a fuoco la sua poetica riuscendo ad assimilare e a riproporre personaggi e linguaggi pescando dal mondo dei fumetti, dal cinema o dalla televisione, senza scordare la letteratura. Da collante il temibile Rat-man.
Ecco allora The R-File oppure Il Grande Ratzinga. In Operazione Geode troviamo un ratto agente segreto che arriva dritto dritto dai romanzi di Jan Fleming supportati dalla versione cinematografica delle avventure di 007. Ortolani lavora con sagacia sia sui testi sia sulla grafica rendendo espliciti omaggi. Arriva a donare consapevolezza ai suoi personaggi attraverso lo sguardo in camera caro ai cartoni della Warner. Mostra il dialogo con il lettore ma anche con il disegnatore oppure un personaggio disincantato che assalito dalle domande di Rat-man replica: “Non lo so! La prossima volta fatti fare un giornalino più lungo”.
Rat-man e il suo autore, grazie alla gustosa, formula ne hanno fatta di strada. Partiti con le autoproduzioni sono approdati alla Marvel Italia, grazie alla lungimiranza di qualche redattore dotato di una buona dose di autoironia aziendale. È, infatti, nel 1995 che Ortolani lancia la testata autoprodotta Rat-man incontrando favore e fiducia prima delle Edizioni Foxtrot di Marcello Toninelli, quindi delle Edizioni Bande Dessinée e infine della Marvel, che stampa e distribuisce la testata Rat-man completamente prodotta da Ortolani. Con Rat-man collection la Marvel riunisce tutta la produzione di Ortolani aggiungendo alle esilaranti avventure di Rat-man altre serie sempre della produzione di Ortolani (3). E di ristampa in ristampa, esaurite le scorte di Rat-man collection, ecco la nuova ristampa integrale delle avventure del nostro eroe subnormale, in edicola alternandosi alle avventure inedite appare Tutto Rat-man.
Successo e fama per un topino piccolo, piccolo con un dono grande: sa far ridere di sé, delle proprie sconfitte, delle proprie disgrazie. Non è da tutti!

NOTE

1 Leo Ortolani, Tutto Rat-man n.1, Panini comics, 2002.
2 Leo Ortolani è il padre, padrone e creatore di Rat-man.
3 serie come Venerdì 12 o L’ultima Burba, striscia autobiografica dove l’autore racconta le disavventure dei militari di leva.

stupefacente. Premi, riconoscimenti, attestati di stima hanno fatto di Rat-man e di Leo Ortolani, il suo alter ego di carne, creatore e disegnatore, il fenomeno fumettistico della seconda metà degli anni Novanta. Un’idea del fenomeno è data dagli ultimi riconoscimenti avuti da Leo Ortolani. All’interno del noto Cartoon on the Bay, festival internazionale dell’animazione televisiva tenutosi a Positano (Na) nell’aprile dello scorso anno, Ortolani ha ricevuto il Pulcinella Net Award, premio per il miglior filmato d’animazione presentato per il web: un filmato di soli 3 minuti legato alla sua serie fumettistica Venerdì 12. Mentre Rat-man, il personaggio per antonomasia di Ortolani, ha vinto le elezioni del fumetto svoltesi nel gennaio 2001 nelle fumetterie di tutt’Italia. 5600 voti che hanno permesso al topo outsider di sbancare ogni pronostico surclassando personaggi quotati come Tex Willer, Lupo Alberto, e Alan Ford. A questo successo è seguita una dichiarazione che bene delinea l’orizzonte del nostro eroe: “Il successo non mi ha dato alla testa. Resto il semplice ragazzo di Betlemme che tutti conoscono”.
È la rivincita della marginalità, del disadattato, del perennemente fuori tempo e fuori luogo che s’impone come paradigma.
Rat-man è un personaggio a fumetti che utilizza tutti i registri dell’umorismo, dall’ironia al sarcasmo, dal sorriso solare allo sghignazzo più indecoroso. È un eroe da fumetto in cui è impossibile identificarsi eppure possiede una forza magnetica, capace di attrarre simpatia e attenzione, dedizione e smisurato senso di piacere.
Le origini di Rat-man, inquietante topo con la faccia da scimmia, sono narrate nella sua prima comparsa nel mondo dei fumetti: “Una misteriosa figura si aggira, senza pace per i vincoli della città…fruga tra le ombre della notte, come per trovare un significato alla sua esistenza…Mentre i ricordi tornano alla sua infanzia, segnata da un doloroso ricordo…quando perse entrambi i genitori ad una svendita in un grande magazzino” (1).
Rat-man nasce come un guastatore del mondo dei fumetti. Il suo genere preferito, sempre praticato, è quello della parodia. Assumendo questo registro appare sulla fanzine Made in U.S.A. e sul mensile Star Comix, dopo una fugace comparsa su di un supplemento de L’Eternauta. Siamo nel 1992 e il simpatico topo, nato nel 1989, viene presentato come una sorta di scimmiottatura di Batman. La parodia è un genere rischioso e difficile da gestire, Ortolani (2) riesce splendidamente nel suo intento anche grazie a una notevolissima conoscenza del mondo dei fumetti, soprattutto l’universo supereroistico americano, delle sue strategie e strutture narrative. Ortolani non si limita semplicemente a giocare con un soggetto prefissato, a mettere in ridicolo tic e manie di questo o quel personaggio o di un genere. Inserendo nel suo fumetto elementi tipici delle strutture narrative della Marvel degli anni d’oro, quella del duo Stan Lee e Jack Kirby, compie un’operazione più complessa.
Ortolani si rivela abilissimo a utilizzare stilemi, linguaggio, ritmi narrativi, enfasi dei dialoghi tipici della Marvel all’interno del suo fumetto ora ironico, ora parodistico, sempre esuberante e ad alto tasso di divertimento. Ma non solo. Ad Ortolani riesce un’operazione che gli permetterà, negli anni, di raggiungere un pubblico molto vasto. Grazie a una connaturata vena umoristica ben coniugata con quella parodistica, infarcisce le sue storie di una serie di dettagli buffi e spassosissime trovate. Questo permette diversi livelli di lettura dei suoi fumetti. La sua alchimia di elementi funziona perché riesce ad appassionare e a divertire l’impenitente lettore appassionato di fumetti superoistici americani e, contestualmente, anche colui che ne è quasi digiuno. Se ci sono sfumature che alcuni lettori possono cogliere, queste si presentano solo ad un livello d’approfondimento; resta uno strato base umoristico percepibile da tutti. È forse questa formula che ha consentito un successo così vasto della saga di Rat-man: un fumetto umoristico di grana fina, fatto di sfumature.
Rat-man comincia la sua avventura decidendo di indossare un costume e di combattere il crimine. Un inizio usuale per i supereroi anche se per quanto riguarda Rat-man non solo non conosciamo la sua identità segreta ma questa sembra non esistere; di lui non si sa nulla, neanche il nome. Nella sua esistenza tutto sembra essere in deficit, dal nome all’intelligenza, dall’arguzia alla prestanza fisica. Un fragilissimo monumento di inettitudine che si mostrerà assolutamente tenace nella sua lotta per la sopravvivenza, il diritto di esistere: sfortunato, magrolino, un po’ stupido, marginale.
Una marginalità che si sposa con la dimensione del sogno. Rat-man sogna di essere un supereroe (inconsapevole della formula dei fumetti supereroistici degli anni Sessanta: supereroi con superproblemi). In preda a questo suo sogno, quasi un delirio, non riesce neanche ad organizzare una strategia efficace di costruzione del suo sogno. Si concentra disperatamente sui dettagli. Primo fra tutti sul costume (essenza del supereroe da fumetto). Sappiamo che in questa annosa e strategica scelta un postino avrà un ruolo fondamentale nella costruzione della sua identità d’eroe. Busserà alla porta mentre il nostro è dilaniato intorno alla scelta del simbolo d’associare alla sua personale lotta contro il male: il postino gli consegnò una copia di Topolino e… il resto è storia!
Il gioco dei rimandi, fumettistici e non, nasce con Rat-man che come iniziale parodia di Batman assume i tratti tipici dell’eroe della DC Comics: vive in un lussuoso maniero con un maggiordomo, ha perso entrambi i genitori, con un costume maschera la sua identità. Un clone di Batman? Forse. Certo, nella prima avventura appare un avversario di Rat-man che è un evidente omaggio al Joker, eterno antagonista di Batman, un tragicomico personaggio dal nome: il Buffone. Personaggio che immetterà sulla scena Topin, il topo meraviglia, un’evidente analogia con Robin, ma già dalla seconda avventura gli scenari si fanno diversi. Compare il Ragno, un aracnide vero che dopo un morso radioattivo assume caratteri umani: avidità, egoismo, spietatezza. Seguono la vera storia del dottor Destino, ex-monaco perseguitato da un Rat-man in grande forma. Quindi le riletture di Wolverine o Elektra, la letale ninja. Ortolani con il tempo diviene un fiume in piena e mette a fuoco la sua poetica riuscendo ad assimilare e a riproporre personaggi e linguaggi pescando dal mondo dei fumetti, dal cinema o dalla televisione, senza scordare la letteratura. Da collante il temibile Rat-man.
Ecco allora The R-File oppure Il Grande Ratzinga. In Operazione Geode troviamo un ratto agente segreto che arriva dritto dritto dai romanzi di Jan Fleming supportati dalla versione cinematografica delle avventure di 007. Ortolani lavora con sagacia sia sui testi sia sulla grafica rendendo espliciti omaggi. Arriva a donare consapevolezza ai suoi personaggi attraverso lo sguardo in camera caro ai cartoni della Warner. Mostra il dialogo con il lettore ma anche con il disegnatore oppure un personaggio disincantato che assalito dalle domande di Rat-man replica: “Non lo so! La prossima volta fatti fare un giornalino più lungo”.
Rat-man e il suo autore, grazie alla gustosa, formula ne hanno fatta di strada. Partiti con le autoproduzioni sono approdati alla Marvel Italia, grazie alla lungimiranza di qualche redattore dotato di una buona dose di autoironia aziendale. È, infatti, nel 1995 che Ortolani lancia la testata autoprodotta Rat-man incontrando favore e fiducia prima delle Edizioni Foxtrot di Marcello Toninelli, quindi delle Edizioni Bande Dessinée e infine della Marvel, che stampa e distribuisce la testata Rat-man completamente prodotta da Ortolani. Con Rat-man collection la Marvel riunisce tutta la produzione di Ortolani aggiungendo alle esilaranti avventure di Rat-man altre serie sempre della produzione di Ortolani (3). E di ristampa in ristampa, esaurite le scorte di Rat-man collection, ecco la nuova ristampa integrale delle avventure del nostro eroe subnormale, in edicola alternandosi alle avventure inedite appare Tutto Rat-man.
Successo e fama per un topino piccolo, piccolo con un dono grande: sa far ridere di sé, delle proprie sconfitte, delle proprie disgrazie. Non è da tutti!

NOTE

1 Leo Ortolani, Tutto Rat-man n.1, Panini comics, 2002.
2 Leo Ortolani è il padre, padrone e creatore di Rat-man.
3 serie come Venerdì 12 o L’ultima Burba, striscia autobiografica dove l’autore racconta le disavventure dei militari di leva.

Q come Quore (il fumetto per l’handicap)

C’è un cuore pulsante, un cuore diverso non solo muscolo, non solo carne. Un cuore che batte nel mondo del fumetto. Una empatica vicinanza alle ragioni del cuore di pascaliana memoria. Una metafora.
È il fumetto che si mette in prima fila per rendere ragione delle sue convinzioni profonde. È il fumetto che esplicitamente si schiera, è il linguaggio-fumetto che mostra la sua efficacia e si veste da testimonial. Campagne sociali dove i personaggi a fumetti richiamano attenzione, mettono in gioco il loro physique du rôle. Ecco Dylan Dog che appare sul manifesto disegnato da Claudio Villa per sostenere una campagna di aiuto a favore degli alluvionati del Piemonte ( ) oppure ripetere da un manifesto “ne’ eroe ne’ eroina” sotto un esplicativo droga out. Martin Mystère e Lupo Alberto con l’apporto delle Giovani Marmotte disneyane si dedicano all’ambiente ( ). E poi tabacco, alcool, AIDS, diritti dei minori, diritti degli animali ( ).
Il fumetto, sempre in prima fila, mostra il suo cuore che per il mondo dei disabili non poteva che essere un cuore con la q. Campagna contro ciò che il comune sentire, che la cosiddetta normalità percepisce come una sorta d’errore.
Già nel 1955 il disegnatore statunitense Al Capp, contrazione dietro cui si celava il disegnatore Alfred Gerald Caplin, realizza un’avventura del suo celeberrimo Li’l Abner, simpatico beffeggiatore della società americana, dove si sottolineava il bisogno di un supporto psicologico e fattivo agli handicappati che tendevano ad autoescludersi dalla vita sociale (che ci metteva del suo naturalmente!). Una bella storia dove il sorriso si faceva amare e l’umorismo lieve.
Anche la Sergio Bonelli Editore ha schierato due sue personaggi di punta come testimonial per l’handicap, mentre le sue storie (da Dylan Dog a Nathan Never passando per Magico Vento e Nick Raider) non mancano di sfiorare, toccare, approfondire il tema della diversità, del limite, della rappresentazione dell’handicap. I due personaggi sono Dylan Dog e Zagor diventati, nel 1993, in una mostra “Due amici per i disabili”. Alla mostra organizzata in collaborazione con l’ANFASS (Associazione nazionale famiglie e fanciulli e adulti subnormali) era collegata la raccolta di fondi per il progetto di realizzare una comunità alloggio per ragazzi insufficienti mentali. Il manifesto della mostra realizzato da Claudio Villa è divenuto, qualche anno più tardi, anche la copertina del volume Diversabili. Figli di una nuvola Minore? editato da Cartoon Club nel 2001, in parallelo alla mostra su fumetto e handicap tenutasi a Rimini in quella stessa estate.
Interessantissima anche la riflessione del Centro emiliano problemi sociali per la trismoia 21, intorno all’utilizzo del fumetto come testimonial in campagne informative sul handicap ( ). Riflessione che ha trovato un suo sbocco anche nella creazione di un personaggio a fumetti, Colla (il cromosoma 47 responsabile della sindrome di Down), protagonista di un opuscolo ( ) che mostra la vita di un bambino con un cromosoma in più.
La rivista DM dell’Uildm (Unione Italia lotta alla distrofia muscolare) ha praticato la strada dell’umorismo per informare (e formare). Ha creato la campagna “Sorridere si può”, cui hanno aderito schiere di disegnatori umoristici da Altan a Bozzetto, Chaippori, Gianelli, Giuliano, Cavandoli, Silver, Novelli e per cui sono state recuperate vignette di Bonvi, Jacovitti, Quino, Mordillo. La sintesi fulminante di una vignetta, di una battuta per dire il mondo dell’handicap ha rappresentato un’idea vincente. Infatti, l’iniziativa ha avuto grande successo e si è articolata nella realizzazione di calendari e magliette, oltre che alla pubblicazione sulla rivista. Un invito alla riflessione fatto sorridendo.
Sempre la UILDM ha lanciato quest’anno una nuova campagna di sensibilizzazione utilizzando il cinema d’animazione, campagna dal titolo: Muscoli di cartone. Tre brevi cartoni animati (30- 40 secondi l’uno) di forte impatto, simpatici, limpidamente comprensibili nei contenuti. All’iniziativa hanno prestato la voce due noti personaggi televisivi: Fabrizio Frizzi e Claudio Bisio. Di due dei tre cartoni è stata anche realizzata una versione sonoro per le radio. Alla regia dell’operazione la fertile redazione di DM con la collaborazione di Silvio Pautasso e Giorgio Valentini, che hanno curato la realizzazione dei cartoni animati.
Un ammasso di forza e sensibilità è il personaggio Concrete creato da Paul Chadwick, che è nato con un futuro da testimonial già tracciato. Le sue storie hanno il loro perno nella diversità e nell’ecologia, e Concrete è stato il testimone della Giornata Mondiale della Terra e dell’italica Legambiente (che ha sponsorizzato anche la pubblicazione dei suoi fumetti in Italia). Concrete è un omone di sasso frutto di una tremenda esperienza. Il suo cervello è quello di Ronald Lithgow, collaboratore di un senatore americano, cervello che è stato trapiantato su di un corpo cyborg da misteriosi alienei che l’avevano rapito durante una sfortunata gita in montagna. Evoluzione delle tematiche supereroistiche, dalla trasformazione fisica ai poteri nuovi acquisita (forza, resistenza, etc.) Concrete si ritrova ad essere il classico eroe con problemi colossali. Un “eroe della nuova era”, come lumeggia il sottotitolo delle sue avventure, eroe che affronta la più assoluta quotidianità fatta di barriere architettoniche, di un mondo fuori dalla sua misura, di tutte quelle problematiche (trattate dall’autore senza la condanna di dover continuamente giustificare l’inabilità del suo personaggio, che fra l’altro non può “guarire”!) tipiche della diversità che porta con se l’handicap fisico. Un testimone eccellente ad ogni vignetta, la concretizzazione di quanto un’immagine possa valere più di mille discorsi.
Il fumetto si è mostrato in queste campagne, maturo veicolo di informazione e di sensibilizzazione. I nostri amici di carta sono apparsi influenti, autorevoli, capaci di pietas, capaci di prendersi a cuore la situazione dell’handicap mostrandone limiti e potenzialità. Un cuore necessariamente con la Q.

Note
La campagna è del 1995 e la scritta sul manifesto con un Dylan Dog immerso nel fango è: “Sfangando per gli alluvionati in Piemonte”.
2 Lupo Alberto nella sua campagna sul riciclaggio dei rifiuti ricordava: “A chi getta la bottiglia, diavolazzo se lo piglia”.
3 Per un approfondimento: Paolo Guiducci, Quando il fumetto di veste da testimonial, in Fumo di China n.57, 1998.
4 Giulio C. Cuccolini fornisce una bibliografia del caso nelle note del suo Handicap e fumetto, pubblicato in (a cura di Stefano Gorla e Paolo Guiducci, Diversabili. Figli di una nuvola minore? Cartoon Club, Rimini 2001, p. 44
5 a cura C.P.E.S Bologna, Colla: un incontro straordinario, Bologna, 1995.

U come Uomo Ragno

È probabilmente il più famoso dei personaggi della casa editrice Marvel, e forse del mondo del fumetto. Idolatrato da milioni d’adolescenti che hanno appreso tra le sue pagine l’arte dell’identificazione con l’eroe, l’Uomo Ragno è l’indiscusso capofila di una seria di supereroi che hanno mutato gusti e sogni degli adolescenti dagli anni Sessanta ai giorni nostri.
Ugualmente avvezzo al fumetto e al cartone animato o al cinema, l’Uomo Ragno è forse tra i personaggi dei fumetti più conosciuto al mondo. Tanto noto da penetrare, senza grossi problemi, anche nel mare magno dell’immaginario collettivo planetario.
L’Uomo Ragno è la maschera di Peter Parker, maschera dell’eroe dietro cui si nascondono i tratti della quotidianità di un occhialuto e complessato studente da College. Gracile e coscienziosamente studioso, Peter è continuamente snobbato dalle ragazze. Il timido e marginale Peter dopo essere stato morso da un ragno “radioattivo” acquista la forza e l’abilità di un ragno, il tutto connaturato alle sue dimensioni umane. Agilissimo, ha facoltà di aderire a quasi tutte le superfici e possiede una sorta di sesto senso premonitore che individua in anticipo il tono di ciò che succederà. Il potenziamento dei sensi e l’allenamento fisico consentono a Spiderman prestazioni fisiche straordinarie.
In lotta con il crimine, Peter Parker alias Uomo Ragno, è la personificazione della figura del doppio, dei piani della realtà che si mischiano, una sorta di schizofrenico di carta.
Nato nel 1962 grazie all’abilità e al genio di Stan Lee e Steve Ditko, l’Uomo Ragno è tra quei personaggi a fumetti degli anni Sessanta che hanno ricevuto, attraverso banali incidenti, uno o più “doni” in grado di modificargli radicalmente la vita. Doni di cui non si capisce subito il segno e il valore, doni di confine tra il vantaggio e lo svantaggio, in bilico tra l’aiuto e l’handicap.
Gli anni sessanta si aprono, da questo punto di vista, con una piccola rivoluzione accesa da una minuscola casa editrice, la Marvel.
Nel novembre 1961 viene pubblicato un albo dal presuntuoso sottotitolo: “Il miglior fumetto del mondo” era il numero 1 di Fantastic Four (Fantastici Quattro) alla cui spalle stavano i fecondi Stan Lee (Stanley Lieber) e Jack Kirby: The Man e The King (l’uomo e il re), secondo il verbo della leggenda.
È la “silver age”(1) del fumetto supereroistico quella che nasce dalla “casa delle idee (2)”: una nuova epoca per i supereroi, dopo la prima ondata degli eroi tutto d’un pezzo che hanno cavalcato la prima metà del secolo scorso.
La formula migliore che sintetizza gli anni Sessanta, dal punto di vista del fumetto americano, sta nell’intuizione di Stan Lee: “supereroi con superproblemi”. È la formula che trasformerà la Marvel in un gigante. I combattimenti e le azioni esagitate iniziano ad avere come contrappunto momenti introspettivi nei solipsismi dell’eroe o negli elementi didascalici nella narrazione.
Al primo gruppo di supereroi, i Fantastici quattro, e alle sue dinamiche “comunitarie” (un aspetto inedito per il fumetto supereroistico) seguono nel 1963, un’altra amalgama di mutanti: gli X-Men, sempre ad opera di Stan Lee e Jack Kirby.
Gli X-Men sono un gruppo che si espanderà nei decenni successivi inglobando nuovi e fantasiosi elementi. Un gruppo di individui che manifestano nel loro organismo, qualche mutazione genetica. Li raccoglie e coordina, il carismatico professor Charles Xavier, brillante scienziato dagli enormi poteri telepatici inchiodato ad una carrozzella. Il professor Xavier fonda una sorta di scuola per mutanti allo scopo di educarli ad un uso consapevole e altruistico delle proprie capacità. Intorno al professore si raduna un primo nucleo di mutanti: Angelo, Bestia, Ciclope, Marvel Girl e l’Uomo Ghiaccio. Eroi adolescenti, come i loro lettori.
Se l’Uomo Ragno, come abbiamo accennato, acquisisce i suoi poteri “grazie” al morso radioattivo di un ragno, lo scienziato Bruce Banner, investito dall’esplosione di una bomba gamma, si trasforma ne l’incredibile Hulk, il colosso verde creato nel 1962, sempre dalla coppia Lee-Kirby, che nel medesimo anno pescando nella mitologia nordeuropea, danno vita al mitico Thor, il tonante figlio di Odino.
Iron Man (1963, l’Uomo di Ferro) è una strana commistione tra uomo, robot e un pizzico di androide uscito dalla fantasia di Stan Lee, Larry Lieber e Don Heck. Nello stesso anno nasce il signore delle arti magiche Doctor Strange di Stan Lee e Steve Dikto.
Nell’anno successivo è la volta di Daredevil (1964, in Italia solo Devil) di Stan Lee e Wallace Wood. Il giovane Matt Murdock viene travolto da un camion carico di materiale radioattivo, perde la vista ma centuplica la sensibilità degli altri sensi; e diviene il difensore cieco, da supereroe e da avvocato, dei deboli e della legge.
Sono nuovi eroi con dubbi e paure, diventati – e questo è un paradosso – in qualche modo ‘umani’ grazie alle loro menomazioni. Eroi che vivono all’interno di quella quotidianità che rapisce tutti: eroi con problemi di denaro e di accettazione di sé.
Tutti possono diventare eroi, sembrano suggerire questi fumetti. Chiunque, soprattutto gli adolescenti, possono identificarsi negli amici di carta. Non è più il tempo dell’eroe senza paura, senza dubbi, senza errori. La Marvel, in un epoca di grande sviluppo economico e tecnologico, sforna eroi che da un dramma iniziale si ritrovano tra le mani superpoteri e ottime occasioni per gestirli al meglio, spesso con una particolare attenzione per l’altro: sia esso un debole o l’umanità. È il bene che si confronta anche con le proprie contraddizioni. È l’elogio del limite, dell’incarnazione dell’eroe fallibile, dell’eroe cui viene affidata una particolare abilità, una vera e propria diversabilità che crea potenzialità ma anche frustrazioni. Anche per questi giovani eroi ci sono i problemi adolescenziali, le piccole cotte, la timidezza, la scuola o il lavoro, la solitudine o l’amicizia; elementi che divengono spazio per affermare la propria individualità.
La geniale formula di “supereroi con super problemi” comparsa all’inizio degli anni Sessanta, oltre a definire un indirizzo creativo e a determinare una dichiarazione d’intenti, diviene la cifra con cui rileggere la realtà, il concetto di normalità e quello di devianza, quello di handicap e quello di diversabilità. Limiti fisici, più raramente psichici, divengono perno della narrazione. Possibilità di sviluppo narrativo, momento di riflessione e, addirittura, di educazione del lettore. Che acquisisce attraverso questi fumetti, a volte un po’ superficiali e spesso privi di ironia, alcune chiavi con cui decodificare la realtà.

NOTE
1 esiste anche una golden age del fumetto americano, identificabile con gli anni Quaranta, anni in cui nasce un gran numero di supereroi.
2 Così è generalmente definita la Marvel.