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autore: Autore: Tatiana Vitali

SPORT AGEVOLI/Corpo. Cavallo. Passione!

Tatiana
Per chi mi conosce è chiara la passione che io ho per i cavalli, e per i lettori provo a raccontare come è nata questa avventura che con il tempo è diventata lo sport che pratico. Sono passati 21 anni da quando espressi il desiderio di provare a cavalcare dopo aver visto le mie amiche fare questa esperienza a una gita scolastica alle scuole superiori. Ritornata a casa decisi di iscrivermi a un maneggio che fosse in grado di accogliere persone con disabilità, perché oltre al piacere volevo anche sicurezza e professionalità. Presi contatto con “L’Associazione AIASPORT Onlus” – Attività equestre per disabili di San Lazzaro di Savena (BO) e mi iscrissi immediatamente. Forte era il desiderio di iniziare questa avventura e nello stesso tempo, data la mia situazione motoria, era anche una sfida con me stessa cercando di giocare con le mie paure. In tutti questi anni ho montato diversi cavalli e di tutti ho un bellissimo ricordo nel cuore. Altrettanto posso dire degli istruttori che nel tempo si sono succeduti al mio fianco. Per permettermi di montare l’istruttore mi prendeva in braccio, saliva la scaletta e mi posizionava sul cavallo, gli operatori mi affiancavano nel cammino. Il mio percorso di equitazione ha avuto un’evoluzione: inizialmente aveva la caratteristica riabilitativo-motoria, rinforzo dei muscoli, facilitare l’allineamento del tronco-capo per farmi acquisire equilibrio con la percezione-consapevolezza del mio corpo nello spazio. Ho dovuto interrompere l’equitazione per un anno e mezzo per motivi indipendenti dalla mia volontà e dai miei desideri. Fino ad allora ero stata affiancata solo da figure maschili, ma per un cambio di lavoro queste persone non erano più presenti. Ho vissuto quel periodo in modo molto doloroso perché mi era venuto a mancare quel momento di libertà che dedicavo tutto a me stessa nel mio tempo libero. La coordinatrice Maria Laura Tabacchi, conoscendomi e sapendo quanto io desiderassi riprendere l’attività, fece tutto il possibile per farmi tornare a cavalcare. Ricominciai affiancata dall’istruttrice Sofia Selleri con la quale entrai fin da subito in sintonia perché anche lei ha una forte passione per i cavalli, li conosce, li accudisce e sa come muoversi nel rispetto dell’animale. Sofia, essendo una donna minuta, non poteva sollevarmi e arrivai a un compromesso con me stessa accettando che mio padre fosse presente e mi prendesse in braccio per posizionarmi sul cavallo. Per fortuna, dopo alcuni anni, dalla Fondazione Dott. P. G. Rusconi Bologna è stato donato all’associazione un sollevatore e grazie all’utilizzo di questo ausilio non dipendo più dalla forza fisica delle persone. Guardando al futuro per me significa equitazione per sempre. Oggi la mia partecipazione al maneggio è di tipo ricreativo-sportiva, cioè legata al piacere di avere prima il contatto con l’animale attraverso la cura, poi montarlo. L’équipe che mi affianca è così composta: oltre a Sofia c’è Aris, un fisioterapista, e Nicolas che tiene il controllo del cavallo attraverso la longhina; durante il percorso con la loro calma mi trasmettono sicurezza, fiducia e voglia di provare cose nuove. Ultima ma non per importanza c’è Zara una bella cavalla nera molto tranquilla, con una lunga coda e una folta criniera, che in questi anni mi accompagna nei miei tragitti sia interni che esterni al maneggio. Nei percorsi interni faccio esercizi di dressage e Sofia, sempre al mio fianco, mi parla proponendomi visualizzazioni mentali che mi aiutano molto a rilassarmi, ad esempio mi dice: “immaginati forte come una quercia che non ha paura del vento”, oppure facendo aumentare il passo al cavallo mi dice: “il maneggio diventa un fiume da attraversare”. Faccio anche passeggiate all’esterno nel parco immersa nella natura, superando così i miei momenti di paura che di tanto in tanto si ripresentano. Non mancano anche i momenti di sfida con me stessa che orgogliosamente voglio riuscire a superare e quando Sofia mi propone qualcosa di nuovo spesso la mia risposta è: “Proviamo! Mi piacciono le sfide!”. E ora ho iniziato a guidare Zara senza l’operatore davanti. Questo lo posso fare perché ho più fiducia in me stessa e nel cavallo e sento di più il controllo dell’animale. Essere sul cavallo mi fa sentire libera perché sono separata dalla carrozzina e sento il mio corpo muoversi, sento un massaggio piacevole dalla testa ai piedi e non è la stessa cosa fare lo stesso percorso sulla carrozzina perché il cavallo, con il suo movimento, mi dà delle sensazioni che con la carrozzina non sento. Inoltre ho una visuale a 360°, ho un dietro, un davanti e i lati, e mi sento come sorretta e abbracciata dalla natura. Le zampe del cavallo sono le mie gambe. Il cavallo risveglia le mie fantasie personali, mi ha portato a confrontarmi con le regole e il rispetto dello stesso, è necessario avere delicatezza nel contatto con l’animale e riuscire a riconoscere le intese. L’emozione che provo quando guardo negli occhi Zara è indescrivibile, vedo in quegli occhi dolci serenità, e la rilassatezza del suo corpo rispetta la mia immobilità. L’attività equestre ha permesso a me e agli operatori che mi accompagnano di condividere la nostra passione per i cavalli e di vivere insieme un’esperienza fisica, dinamica e gioiosa.  

Sofia 

La mia passione per i cavalli è nata con me, da sempre, da quando ho ricordi, il pensiero e l’immagine dei cavalli mi risvegliano gioia, entusiasmo, amore. I miei genitori raccontano che quando ancora non parlavo dicevo “Cacao, Cacao”, mia mamma non capiva e mi chiedeva se avevo fame, se mi scappava la popò… finché io risposi, schioccando la lingua col suono che ricorda il passo del cavallo “Clop clop Cacao!”. Mia mamma mi rispose “cavallo, Sofia, vuoi dire cavallo!?” e io ero tutta contenta. Così è nata la fama che ho detto Cacao (cioè cavallo), prima di dire mamma, e questa immagine ancora non mi lascia. Il problema è che per una bimba di Milano, che abitava al settimo piano, non era per niente facile perseguire un sogno così bucolico e dispendioso, e i cavalli ho continuato a desiderarli e a giocarci solo con la fantasia per anni. Giocavo al maneggio, avevo dei cavallini che tenevo scuderizzati in piccole stalle di cartone sotto alla libreria, mentre al primo piano della libreria, sopra le scuderie, c’erano gli alloggi delle Barbie; il tappeto rettangolare era il maneggio dei cavalli. Le mie Barbie gestivano una scuderia ben attrezzata (mio padre mi aveva costruito con il legno ostacoli e calessi, e con il pellame selle e finimenti) e tutti i giorni le Barbie si occupavano di nutrire, ferrare e accudire sei cavalli, gestire lezioni con i clienti, ecc. Quando avevo più o meno 10 anni, durante le vacanze estive, mio papà mi regalò le mie prime lezioni di equitazione, in un piccolo maneggio vicino al mare. Io ero come impazzita per questa mia esperienza vera con i cavalli, aspettavo solo il momento di andare da loro, di cavalcarli, di stargli vicino, di annusarli! Quando tornavo in città, durante la scuola, guardavo le foto, facevo disegni, sniffavo i pezzetti di criniera che tenevo dentro ai porta rullini fotografici e così più o meno sono andata avanti finché, dopo la maturità, ho lasciato Milano e sono tornata nel mio luogo d’origine: la campagna bolognese. A questo punto il percorso è stato facile. Per prima cosa ho chiesto ai miei genitori di regalarmi un cavallo, poi sono andata ad abitare da sola in campagna, ho iniziato a tenere a pensione i cavalli degli amici, ho comprato un secondo cavallo e la pensione si è ingrandita, fino a diventare per me un vero e proprio lavoro senza che quasi me ne accorgessi, animata dalla forza che solo una grande passione regala. Da quando ho 24 anni, terminati gli studi in Pedagogia, gestisco, prima sola, poi con mio marito che è un cavallaio come me, una scuderia dove viviamo con una ventina di cavalli, due bimbi, galline, oche, capre, gatti e cani. Vivere con un branco di cavalli e altri animali (nonostante tenerli puliti sia pesante) mi dà tuttora gioia e benessere, senso di libertà, di appartenenza al ciclo della natura e della vita e non posso immaginare per me qualcosa di diverso. Per diversi anni ho lasciato da parte la pedagogia e la mia laurea “sull’attività equestre per disabili” nel cassetto, ero troppo presa da tutti i miei animali e a fare la mamma. All’AIASPORT avevano bisogno di un operatore e mi sono presentata perché mi rendevo conto che, anche se stavo benissimo con i miei animali, avevo però anche bisogno di relazioni, di scambio, di diversità. Il lavoro in AIASPORT mi ha offerto una crescita e tanta ricchezza personale, i cavalli possono piacere e offrire il benessere della loro calma e forte presenza a bambini piccoli e in età scolare, a ragazzi spavaldi, timidi o alla ricerca di un mestiere da imparare, ad adulti silenziosi, residenti in centri d’accoglienza da sempre, a persone in difficoltà e per le quali il diritto e la possibilità di divertirsi possono essere molto molto difficili da cogliere. Con Tatiana c’è stato da subito un gran feeling. La sua grande passione per i cavalli, l’amore per gli animali, la sua simpatia, mi hanno velocemente conquistata, io potevo capirla molto bene, so intimamente cosa Tatiana prova quando si avvicina ai cavalli, sento la sua gioia profonda, il suo entusiasmo mi contagia e mi chiedo quale e quanto sia per lei il piacere che prova nel cavalcare un animale così bello che cammina e si muove per lei e con lei, mi sforzo di immaginarlo, paragonandolo al mio piacere di cavalcare, con la certezza che a lei il movimento e la calda e forte corporeità del cavallo regalano emozioni ancora più grandi che a me. La stima che ho per Tatiana, e il mio affetto, si sono sempre più consolidati nel tempo. Apparteniamo allo stesso mondo, dice lei giustamente, ci unisce la passione, l’amicizia, la forza, la voglia di scherzare, di ridere, di capirci anche senza parole. Forse ci unisce il nostro segreto più dolce e antico, di due bambine simili che hanno tanto sognato qualcosa che pareva irraggiungibile e che anno dopo anno continua, con la stessa intensità, a regalarci piacere ed emozioni.

Per saperne di più:
www.aiasport.it

TUTTI GIU’ PER TERRA!/L’ausilio giusto è intorno a te

Ci sono risultati che, quando raggiunti, danno grandi soddisfazioni perché sono il riconoscimento di un percorso voluto e perseguito con impegno. 

Ecco, scrivere per “HP-Accaparlante”, per me, è uno di quei risultati.

Due parole per presentarmi. Mi chiamo Tatiana Vitali, sono laureata in Scienze dell’educazione e ho fatto un master universitario proposto dalla facoltà di Scienze della formazione dal titolo “Tecnologie per la qualità della vita”. Lavoro attualmente al “Progetto Calamaio” all’interno della cooperativa “Accaparlante” in qualità di animatrice disabile, da ormai sette anni. Ho una paralisi cerebrale infantile con la conseguenza di una tetraparesi spastica. Ho difficoltà di linguaggio e sono ipovedente. 

Era una mattina di novembre, quando i miei colleghi mi hanno proposto di curare una rubrica per “HP-Accaparlante” sugli ausili, mio grande interesse sia per studio che per necessità personale. Decido che il tema verrà trattato da un punto di vista generale, cercando di offrire spunti di riflessione sul significato, il valore e la varietà degli ausili. Essendo gli ausili i nostri inseparabili compagni di vita, inizierò partendo da esperienze quotidiane, intervistando persone con disabilità per comprendere come tali strumenti possano migliorare la qualità della vita, cioè in che modo rispondano al loro obiettivo primario. Quale posto migliore, da cui partire, se non il Centro Documentazione Handicap e i miei colleghi animatori.

Proviamo, come prima cosa, a definire cos’è un ausilio. In sintesi, si tratta di uno strumento che ci permette di ridurre l’handicap. Gli ausili poveri o creativi sono semplici oggetti creati e modificati con materiali di uso quotidiano. Gli ausili tecnologici sono invece strumenti realizzati utilizzando alta tecnologia, come suggerisce il nome stesso.

Ma passiamo ai fatti, alle esperienze dirette che testimoniano l’influenza positiva (o meno) degli ausili sulle nostre vite.

Stefania, una storia di ausili

“Gli ausili che ho utilizzato per la mobilità sono il passeggino, la carrozzina elettrica e la bicicletta modello triciclo, con le ruote laterali molto grandi. Da adulta invece sono passata alla carrozzina normale a spinta con cui mi muovo tutt’ora. 

Negli anni Ottanta, all’età di 11 anni, sono stata sottoposta a un intervento chirurgico alle gambe, una volta tolti i gessi, ho cominciato a usare durante la notte un paio di tutori con il piede per poi passare a un deambulatore rettangolare, un ausilio povero ma estremamente comodo. Si tratta di un grande rettangolo con un’asta divisoria tra le gambe e un sedile imbottito in gomma piuma, che mi permetteva di mettermi comodamente a sedere in completa autonomia senza dover chiedere aiuto a mio padre. Questo ausilio infatti era atto a mantenere l’equilibrio perduto durante l’intervento chirurgico così da recuperare le forze, il coordinamento nonché l’equilibrio corporeo.

Oggi, uso in modo continuativo la carrozzina manuale, il busto, la sedia comoda e il sollevatore a bandiera per la mobilità, legata cioè agli spostamenti e alle azioni quotidiane della giornata, dal vestirmi all’andare in bagno e a letto.

Al lavoro in sede, invece, usufruisco di ausili tecnologici tra cui il computer con tastierino numerico laterale con accesso facilitato (al posto del mouse) mentre come periferica uso una semplice chiavetta usb, un altrettanto semplice disco esterno per salvare tutti i miei documenti e una stampante. Quando invece partecipo ai convegni esterni porto sempre con me un mini registratore, così da non perdere nulla”.

La storia di Stefania mostra come gli ausili accompagnino ogni tappa della vita di una persona. Siano essi quelli poveri oppure quelli tecnologici, che aiutino nella mobilità oppure nella cura personale, che permettano di lavorare oppure trascorrere un piacevole tempo libero, ciò non importa.

Quello che è fondamentale è che l’utilità di un ausilio è data dalla concordanza tra la sua funzione e i bisogni specifici della persona. Tale concordanza si può raggiungere solo attraverso un percorso di conoscenza che permetta di andare oltre la disabilità, non valutando la persona solo per il proprio deficit ma vendendola nella globalità delle sue funzioni, possibilità, desideri, sogni.

Mattias usa gli ausili?

“La mia disabilità è interamente acquisita a seguito di un incidente avvenuto nel maggio del 2001, a cui è seguito un coma irreversibile della durata di sei mesi. Sulle conseguenze di questo mio avvenimento imprevisto è sorta la mia entrata nel mondo degli ausili in quanto, per un certo periodo, ho avuto come inseparabile (mi ha addirittura chiesto la mano!) compagna di vita una carrozzina.

Ora la mia disabilità si è stabilizzata e grazie a tante giornate trascorse in spiaggia e a tanta riabilitazione, cammino in modo autonomo e non necessito più della carrozzina. Permangono una certa scompostezza nella mia andatura, un leggero deficit nel linguaggio e uno visivo, nel senso che ora uso gli occhiali, un comodissimo ausilio povero. I miei occhiali mi consentono di avere una vista nitida anche durante la visione di un film, altrimenti impossibile. Con questo ausilio mi trovo bene anche perché lo trovo fine ed elegante, il che asseconda il mio desidero di darmi un tono e distinguermi dagli altri.

Un altro ausilio che è entrato (a dir la verità ha trovato l’uscio spalancato, perché ero e sono un gran svampito!) nella mia vita è stata l’agenda per gli appuntamenti, grazie alla quale non manco più (quasi) nessun impegno, e riesco a organizzare e pianificare  maggiormente ogni appuntamento”. 

Si possono chiamare ausili quelli che usa Mattias?

Certo, se l’ausilio è uno strumento che aiuta, migliorando la vita di una persona, allora anche un’agenda o gli occhiali, possono essere definiti ausili. Questa affermazione corre il rischio di portare a pensare che tutti gli oggetti siano ausili. Ciò però non è esatto. Si considera ausilio, infatti, l’oggetto che entra in relazione con il deficit. Possiamo concludere, allora, che non tutti gli oggetti sono ausili ma tutti gli oggetti possono diventarlo. La differenza la fa la nostra capacità di andare oltre e con un po’ di fantasia non attendere dall’alto ausili che risolvano i problemi, ma risolvere i problemi trovando l’ausilio giusto intorno a te. 

Il mio contributo finisce qui, è il primo di una serie attraverso cui desidero offrirvi una panoramica, non scontata, sul mondo degli ausili, raccontando esperienze, personali e non che permettano un approfondimento su un tema ancora poco conosciuto.