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autore: Autore: Tristano Redeghieri

L’acqua immagine

Intervista a Cecilia Camellini, nuotatrice italiana, atleta non vedente.

Venerdì 17 dicembre. Ottima data per fare la mia prima intervista a un’atleta plurimedagliata. L’appuntamento è alla Palestra Komodo di Rubiera (RE) dove Cecilia si allena. Nel tragitto da casa mia al luogo dell’appuntamento mi ripeto le domande che vorrei farle, ma mi accorgo che cambiano continuamente man mano mi avvicino al luogo dell’incontro. Arrivo con ben un’ora di anticipo per non farmi cogliere impreparato ma anche per vincere una scommessa con la sua accompagnatrice, sua madre, ma questa è un’altra storia.
Eccola, è arrivata. Gli step ci fanno da sedie. Un saluto, una risata e accendo il registratore.

Descriviti. Chi sei, cosa fai, cosa non fai?
Ho 18 anni. Vado a scuola, frequento il quinto anno del Liceo Classico, quindi mi sto ammazzando di studio. Vediamo, cosa ti posso raccontare di interessante? Ah sono stata a Pechino alle Paralimpiadi e ho vinto due medaglie d’argento. Ho fatto i mondiali in Olanda e anche qui ho portato a casa un po’ di soddisfazioni: due medaglie d’oro e due d’argento.

Ok, ma descrivi il tuo carattere.
Ah ah, impresa difficile. Spesso lascio dire agli altri cosa pensano di me, alcuni dicono che sono determinata, altri invece dicono che sono dolce, ma evidentemente non mi conoscono molto bene… Quello che so di certo è che mi piace chiacchierare con le amiche di qualsiasi cosa e in genere riesco a mantenere qualche segreto.

Cosa ti piace fare?
Oltre a nuotare? Adoro leggere e ascoltare musica. Suonavo il pianoforte ma negli ultimi tempi lo sto un po’ trascurando perché ho altri impegni. E se alla domenica non ho gare, il sabato sera è dedicato agli amici.

Ora ti faccio una domanda che nessuno mai ti ha fatto, come quando a me chiedono, chiamandomi Tristano, “Ma e Isotta dov’è?”. Perché hai iniziato a nuotare?
Ho iniziato perché nuotava mio fratello e volevo conoscere l’ambiente della piscina. Mi diceva che c’era tanta acqua e si nuotava e io gli chiedevo come si faceva a nuotare. Mi ha fatto provare. Ho fatto tutto il percorso natatorio che fa ogni bambino: dalla vasca piccola con acqua calda molto invitante, alla vasca grande dove si nuotava veramente nel vero senso della parola. Poi a 11 anni ho incontrato il mio allenatore Ettore Paccini, che mi ha preso sotto le sue ali.

Mi ricordo come eri a 11 anni perché appunto ti vedevo in piscina a Reggio Emilia e Ettore già a quei tempi mi spiegava quali erano le tue qualità sportive. Perché adesso fai nuoto e non fai qualche altro sport?
Qualcuno potrebbe suggerire che lo faccio per i soldi, ma non è il mio caso! Per ora mantengo ideali puramente romantici del nuoto.

E quali sono?
A parte gli scherzi, nuotare ormai fa parte della mia vita. È una cosa sentimentale, spirituale. Nuoto due ore al giorno e senza nuotare mi sento persa e senza nulla da fare. Mi dà la possibilità di sfogarmi e essere in costante lotta con me stessa.

Quanto ti fa mettere in gioco come persona questo sport?
Dunque, vediamo… Facendo attività agonistica e andando a scuola ci si alza al mattino presto, devo studiare sottraendo tempo al nuoto. Il nuoto stesso occupa una parte della giornata. Faccio fatica a volte e vado a nuotare senza voglia. A volte è dura sopportare allenatori. Magari vorrei andare alle Hawaii ma invece devo andare in piscina. Faccio sacrifici tangibili ogni giorno.

Scusa, ma da cosa vengono ripagati questi sacrifici? Chi te lo fa fare? Dopo tutto hai 18 anni e molti tuoi coetanei vanno a ballare, o in viaggio con gli amici… E l’amore, il divertimento?
C’è chi si diverte a ballare, io mi diverto facendo le gare! È chiaro che frequentando la piscina così spesso, molti miei amici nuotano anche loro e quindi condividiamo gli stessi sacrifici e lo stesso stile di vita. Quando ci sono grandi competizioni e possibili risultati in gioco, fare qualche rinuncia in più costa fatica, ma poi porta grandi soddisfazioni. Quest’estate, ad esempio, mi alzavo presto per essere in acqua alle 8.30 per allenarmi e ammetto che sarei rimasta volentieri a poltrire a casa; ma poi in agosto sono stata ampiamente ripagata in Olanda!

Sei pagata per nuotare? Sei una professionista o ti pagano solo se vinci?
Dunque facciamo un confronto con la nazionale inglese: gli atleti inglesi sono allenati da allenatori che allenano (visto che gioco di parole!), sia la nazionale disabili che quella dei normodotati e gli atleti disabili prendono uno stipendio per allenarsi. In Italia, non per criticare, questa cosa non accade ancora in quanti i professionisti disabili per il loro allenamento giornaliero ricevono ben poco. Per fortuna, dopo Atene, si è mosso qualcosa e adesso almeno pagano le medaglie paralimpiche, perché prima di allora non si vedeva nulla nemmeno per le medaglie vinte.

Quindi potrebbe diventare il tuo lavoro?
Non me ne vogliate ma penso di no!

Ti ho vista su una pubblicità, però eri su un cartellone e non in televisione, come mai?
Diciamo che risaltavo di più in foto che in televisione [risata]. A parte gli scherzi, questa cosa non la so. Possiamo rispondere che la gente è più abituata a vedere altri sportivi che non me. Anche se io ho vinto tanto! La gente è abituata a vedere e leggere dei risultati dei normodotati e non di noi disabili. Se ci pensi, c’è solo una trasmissione che fa vedere le nostre imprese. L’immagine di altri sportivi è più appetibile, forse.

L’immagine di sportivi famosi e vincenti, sì hai ragione è più appetibile. Sono dei modelli di vita. Un’immagine vincente, di soldi, di forza e bellezza ed eleganza nel nuotare, correre, saltare. Tutte cose che non sono spesso associate all’immagine della disabilità. Però tu mi pare che sia uguale in certi aspetti a loro, come in altri sei ben diversa, perché sei forte, vincente, bella ed elegante a nuotare. L’unica differenza è che tu sei cieca?
È un problema di cultura. Non si è ancora abituati a vedere le potenzialità che i disabili hanno, ma vedono solo le difficoltà che il mio deficit mi crea. Non riescono andare oltre. Finché la gente o la maggior parte della gente la penserà così, l’immagine rimarrà sempre quella della poverina, che fa sport solo per divertirsi o per fare una “gitarella”. Invece è vero che lo faccio per divertirmi, ma anche per vincere. Per arrivare dove sono arrivata sia nel campo dello studio e che in quello sportivo mi sono impegnata e allenata molto, facendo, come ho detto prima, enormi sacrifici. E non solo io li ho fatti io, ma anche chi mi è stato vicino in questo mio percorso. Non ho mai trovato tutto pronto, anzi, abbiamo sempre dovuto creare/trovare da soli ciò di cui avevamo bisogno (allenatori, spazi acqua, ecc).

Ma la tua immagine a scuola, tra i tuoi amici è cambiata? O rimani sempre la solita cieca che vince perché magari non sanno che fai dei sacrifici per raggiungere certi risultati?
No no, a scuola mi conoscono bene, anche perché il mio professore di educazione fisica mi fa sempre ottima pubblicità. I miei compagni di classe sanno cosa si nasconde dietro ai miei risultati, anche perché conoscono l’attività agonistica.

Io tengo dei corsi di formazione, assieme ad altri miei colleghi, ai docenti che insegnano educazione motoria, e a volte facciamo una domanda molto provocatoria: “Ma lo sport integra?”. Perché secondo me, in base alla mia esperienza che ho facendo l’istruttore di motoria ai bambini, molte volte proprio il gioco esclude automaticamente il più scarso.Quindi molte volte il gioco e lo sport allontanano le persone. Ti faccio un esempio concreto: le mie capacità natatorie sono appena sufficienti, si sto a galla ma vado piano, mi prendi in squadra con te?
Dipende da che punto di vista lo guardiamo: se il gioco è costruito in base alle proprie capacità sia fisiche che mentali dove ognuno fa quello che sa fare e anche chi è più in difficoltà in qualche modo lo fa, magari adattando le regole alle sue capacità, allora penso che questa inclusione ci sia. A livello agonistico è vero che si tende a escludere chi non è portato, chi va più piano.

Quindi tu se fossi un’allenatrice mi escluderesti?
Dipende [risata]. Il povero allenatore se deve andare a fare una gara certamente non prende te, ma automaticamente chi va più veloce.

Ultima domanda (inviata via e-mail): Mentre stavo sbobinando la nostra chiacchierata mio figlio Samuele incuriosito mi ha chiesto chi eri. Gli ho detto che hai vinto delle medaglie alle Olimpiadi. Lui ha detto ‘forte’. Poi ho aggiunto che sei cieca e lui mi ha chiesto: ‘Ma come fa a non andare contro al muro quando fa la virata?’. Sai cosa mi fa venire in mente questa sua curiosità? Che la sua curiosità sia una delle tante armi vincenti a disposizione per far conoscere le varie diversità e le loro difficoltà, renderle giocose, e credo che questo aiuti a cambiare quella immagine di cui parlavamo prima favorendo l’inclusione.
Sicuramente! Mi ricordo che quando ero alle elementari abbiamo fatto dei giochi in cui tutti eravamo bendati e così anche gli altri hanno sperimentato qualcosa di nuovo. Credo che la curiosità sia un efficace strumento per potersi conoscere meglio. Non c’è niente di più semplice che qualche domanda sincera per scoprire tante cose di tanti mondi che non si conoscono, e forse conoscendosi l’immagine che si ha di una persona potrebbe cambiare.

Libertà significa anche possibilità per tutti di vivere il tempo libero

La libertà è uno dei beni fondamentali di ogni uomo.
Ma la possibilità di esprimersi, di determinare autonomamente le proprie scelte, di agire senza costrizioni non è poi così scontata. /> Anche scelte meno impegnative, come quelle legate al tempo libero, non sono per molti soggetti sinonimo di gioia, allegria, ma di costrizioni, impedimento, impossibilità.
Provate in qualsiasi motore di ricerca su internet a digitare “tempo libero”, e scoprirete centinaia e migliaia di siti.
Provate ora a digitare “giovani e tempo libero” e vi si apriranno più di trentamila opportunità.
Digitando, invece, “disabili e tempo libero” le opportunità si riducono drasticamente a qualche decina, per scomparire del tutto con “disabili psichici e tempo libero”.
È proprio questo il contenuto su cui voglio riflettere in queste poche righe: il difficile rapporto tra disabilità e tempo libero, che rappresenta sicuramente uno dei problemi più sentiti e urgenti nell’universo della disabilità.
La società civile non percepisce questa situazione; infatti in riferimento alle problematiche scolastiche, del lavoro, dell’assistenza, il dibattito è sempre stato vivo e aperto e, già da anni, si è avviata tutta una serie di interventi, sia da parte delle istituzioni (per quanto riguarda la base legislativa) sia da parte delle associazioni e cooperative del settore.
In riferimento al tempo libero, invece, sono pochissime, o quasi nulle, le iniziative. La gestione e organizzazione di tali momenti è affidata alle famiglie, soprattutto in caso di disabili adulti o ad attività comunque frequentate solo da ragazzi in situazione di handicap.
Ma il tempo libero riveste nella vita di ogni persona un’importanza fondamentale per il proprio benessere e la propria autostima.
Infatti, le attività che svolgiamo nel nostro tempo libero ci coinvolgono in maniera globale, influendo sulla nostra vita non solo ricreativa ma pure sociale, culturale, intima. Avere la libertà di… significa vivere in maniera gratificante, contribuendo alla piena realizzazione personale.
Gli incontri, le amicizie che abbiamo, la libertà di… curare nel nostro tempo libero sono spesso le maglie più gratificanti della rete di relazioni che ci costruiamo.
Non agevolare o reprimere tali possibilità, crea invece occasione di esclusione, emarginazione e solitudine.
Quante volte, uscendo la sera c’è capitato di incontrare, conoscere ragazzi disabili all’interno di un cinema o di una pizzeria?
Credo che il numero sia vicino allo zero, perché molti ragazzi disabili non escono mai con gli amici. Per una pizza, un film o per una serata in discoteca.
Le cause possono essere le più varie: le barriere architettoniche, le titubanze della famiglia, gli sguardi o gli atteggiamenti discriminanti della gente. Gli unici amici allora, diventano i genitori, i fratelli con cui si può rimanere a casa.
Il tempo libero diventa segno tangibile del fatto che l’integrazione sociale del diversabile ancora non è stata raggiunta pienamente.
Il salto di qualità che i ragazzi disabili desiderano è quello di un tempo libero dove davvero siano liberi di… fuori dalla famiglia e con una ampia gamma di possibilità.
I ragazzi con deficit chiedono di poter frequentare le persone con cui stanno bene, negli ambienti “di tutti”, durante le normali attività che chiunque svolge per divertirsi e rilassarsi.
Solo assicurando tale legittimo diritto, riescono a rapportarsi con gli altri al pari, sentendosi non più “diversi”, ma persone che, nello scambio, danno e ricevono.
Ma l’integrazione della persona disabile è possibile e fondamentale, non solo nel mondo del lavoro e della scuola, ma anche in molte attività del tempo libero.
L’integrazione attraverso il tempo libero può risultare gratificante sia per la persona con deficit, sia per la persona senza deficit.
Pur essendoci grosse difficoltà strutturali (ad esempio le barriere architettoniche) e ancora parecchie problematiche culturali, ritengo che la persona disabile abbia maggiori opportunità e maggiore capacità di “far sentire la propria voce”, anche nelle scelte legate al tempo libero.
Accanto alle esperienze “ghettizzanti” di tempo libero (in quanto rivolte solo a persone disabili) in alcune realtà territoriali si iniziano finalmente a promuovere esperienze di tempo libero integrato. Un tempo libero non creato ad hoc per il soggetto disabile, ma dove egli abbia la possibilità di essere libero di… partecipare a qualsiasi attività, insieme ai propri amici, disabili e non.
L’esperienza de “L’Ottavo Giorno” di Cavriago rappresenta una significativa esperienza di tempo libero integrato.
“L’Ottavo Giorno” (Progetto Tempo Libero) del comune di Cavriago (RE), nasce nel 1997 per rispondere ai bisogni evidenziati attraverso un’indagine conoscitiva rivolta a disabili adulti del territorio della Val d’Enza.
Da questa rilevazione emergeva che l’esigenza maggiore per i disabili adulti era quella di reperire delle opportunità, delle risorse materiali e umane, per utilizzare in modo soddisfacente il proprio tempo libero. L’Amministrazione Comunale di Cavriago in primis ha avuto la lungimiranza, il coraggio di rispondere tempestivamente a tale richiesta (aspetto sicuramente innovativo nelle politiche rivolte alla disabilità) promovendo il progetto sopracitato.
Gli obiettivi del progetto “L’Ottavo Giorno” erano volti principalmente a fornire a persone disabili adulte la possibilità di vivere il proprio tempo libero anche senza la presenza della famiglia, favorendo l’integrazione sociale; permettere a tutti i ragazzi coinvolti, disabili e volontari, di allacciare nuovi rapporti e ampliare i contatti sociali; favorire l’affermazione di una cultura capace di integrare la diversità; promuovere il volontariato.
Per raggiungere tali obiettivi, dal 1997 a oggi, sono state realizzate numerose esperienze e proposte: cene, gite, soggiorni, vacanze, formazione di un gruppo sportivo misto, creazione e rappresentazione di spettacoli teatrali e musicali (sempre misto), attività per sensibilizzare il territorio alle problematiche dell’handicap (con la presenza di disabili e non).
Le proposte vengono coordinate da tre educatori che, oltre a organizzare le attività di gruppo, elaborano progetti personalizzati su ogni disabile.
Tutto questo, ovviamente, viene reso possibile grazie ad altri giovani protagonisti presenti all’interno del gruppo: i volontari, risorsa fondamentale e indispensabile, che hanno contribuito a cambiare il concetto stesso di volontariato.
I volontari de “L’Ottavo Giorno” non assumono nel gruppo atteggiamenti assistenziali o caritativi ma si sentono semplicemente “gli amici” di Alessia, Maurizio, e viceversa sono considerati amici dei ragazzi disabili.
Si sono create insomma, nel gruppo, relazioni di amicizia e di comunione autentica; ne è la prova il fatto che gli incontri avvengano anche al di fuori delle uscite programmate.
Il gruppo di amici è divenuto una presenza non occasionale sul territorio, un’originale fonte di iniziative e divertimento.
Grazie anche alla recente collaborazione con il Centro Documentazione Handicap di Bologna e la conseguente formazione del gruppo Calamaio (che opera all’interno delle scuole di ogni ordine e grado), “L’Ottavo Giorno” sta diventando sempre più uno strumento di sensibilizzazione nei confronti dell’intera cittadinanza, una dimostrazione di come, grazie al divertimento e nel divertimento, si possa creare integrazione.
Quindi un tempo libero “integrato” non solo è possibile ma è preferibile, perché gratificante per chi lo condivide.
È pure auspicabile e perseguibile quale strumento per una maggiore diffusione della cultura della diversità, indispensabile per l’abbattimento di ogni barriera.
Perché l’essere liberi di… divertirsi, socializzare, interagire, amare, non far nulla, sbagliare, sognare… è vivere.

 

Per ulteriori informazioni potete contattarci allo 0522/57.77.40 o mandarci una e-mail: lottavogiorno@comune.cavriago.re.it

 

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