Chi di voi, chi di noi almeno una volta nella vita non si è sentito inutile? Inappagato dalla Vita? Inadempiente, incoerente, inconcludente? Chi di tutti noi non ha mai provato quel “non sense” su cui tanti filosofi hanno ragionato e si sono espressi, cercando e continuando a cercare ancora ai giorni nostri il significato dell’Umanità? Del nostro stare al mondo? Per chi? Per cosa? Per quanto e per dove? 

  Ebbene: c’è un gruppo molto ma molto originale di persone che hanno fatto dell’inutilità il loro leit motiv, il loro principio ispiratore, che hanno risolto ogni dilemma sull’essere e il non essere delle cose e del mondo facendo partire dalla propria condizione di inutilità il senso di tutto, come fosse l’Archè antico da cui ha origine e da cui prendono il via tutte le cose. Con un detto popolare apparentemente semplicistico, ma in realtà molto adeguato al caso, “hanno tagliato la testa al toro” e risposto a ogni dubbio e ricerca cervellotica sull’argomento, della serie: Dove sta il problema? Facciamo dell’Inutilità il senso nella nostra vita. Noi siamo inutili e non solo, ci piace riconoscere di esserlo, e non per falsa modestia o per comodità, ma perché crediamo che solo partendo dal senso della propria inutilità si può scoprire ciò che anche le cose più banali o gli atti più insignificanti in realtà possono restituire molto a noi e alla società.
Così di recente presso la galleria PIVARTE di Via Azzo Gardino 8, a Bologna, si è svolta la mostra degli inUTILI, un gruppo di artisti, un movimento d’arte e di pensiero che ha raccolto e coinvolto le figure più svariate: artisti, designer, architetti, scenografi, dj, scrittori, ma anche “persone altre”, come si sono definite loro stesse, tutti però uniti dalla consapevolezza della propria inUTILITA’ e che con approccio ironico e dissacratorio, e prima di tutto geniale, hanno voluto esprimere il loro disaccordo con quegli aspetti sociali dei nostri giorni dai quali si sentono sempre meno rappresentati: la Necessarietà, l’Urgenza, l’Indispensabilità, il Potere, l’Arrivismo, il Consumismo, l’Apparire e non l’Essere, il Fare a discapito del Vivere.     
Queste le parole più pregnanti del loro manifesto che così chiaramente esprime il loro pensiero: “Siamo inUTILI, ne siamo consapevoli. Noi inUTILI persi in un mondo di inUTILI. Noi consapevoli. La percezione della nostra inUTILITA’ ci regala un senso di leggerezza e di benessere ritrovato.
Le stressanti corse quotidiane, l’aggressività verbale, l’individualismo e i modi di essere di questi anni, non ci piacciono.
Non ci piace il consumismo a ogni costo, non ci piace la repentina mutevolezza degli stili e delle mode atta solo a far spendere e comprare. […] Ostacolare, sovvertire, trasformare, entropia. […]
In fondo siamo INUTILI… Noi siamo inUTILI, ma non impotenti e possiamo scegliere, questa è la nostra forza. Anziché azzuffarci verbalmente in sterili scontri faziosi di dichiarazioni politiche o sociali, ci rifugiamo nel bel gioco del paradosso dell’inUTILITA’, con ironia e fare dissacratore. […]
Facciamo opere d’arte, fotografie, pensieri, sculture meccaniche e non, installazioni, scriviamo racconti, dipingiamo, facciamo performance, ci esprimiamo inUTILMENTE, ma con estremo divertimento.
Vogliamo appartenere a un gruppo, il nostro: gli inUTILI, aperto a chiunque voglia riconoscere la propria inUTILITA’, insieme a noi, perché è dalla condivisione delle esperienze e delle competenze che nasce la gioia, il piacere di stare insieme divertendosi, lontani dall’utopia, consapevoli della nostra inUTILITA’.
Portiamo delle maschere, non perché abbiamo qualcosa da nascondere, ma per puro gioco, quello di non prendersi sul serio, con l’intenzione di essere sinceri in un mondo che non lo sa più essere. Almeno ci proviamo”.

Già 25 anni fa un gruppo di disabili era partito dalla propria inutilità per dire la sua sul fatto che tutti siamo inutili e utili… Tutti, disabili e non, possono essere in un modo o nell’altro. E a volte riconoscere la propria inutilità è un punto di partenza per spiccare il volo e non un luogo su cui cadere e arenarsi.
Tutto questo avveniva in un periodo storico che già 15 anni prima aveva iniziato un cambiamento culturale che sosteneva la necessità di essere efficienti, produttivi, lavoratori, veloci, potenti, belli e famosi. Avveniva e avviene perché la persona con disabilità che si mostrava e si mostra tuttora così com’è, che usciva allo scoperto (nel vero senso dell’espressione), con le sue malformazioni fisiche, con la sua difficoltà o incapacità a parlare, con la sua impossibilità a muoversi e a nutrirsi e lavarsi autonomamente, con la sua lentezza, con tutto ciò che non riusciva e non riesce a fare, riconoscendo come prima cosa imprescindibile della propria condizione tutto questo, spiazza. Ecco, una persona con disabilità che dice: “E chi nega tutto questo? Riconosco la mia inutilità e con questa inutilità divento utile agli altri perché voglio contribuire al cambiamento culturale, ma con un’inversione di tendenza, sulla scia di una rivoluzione più che di un andamento lineare rispetto alla concezione produttivistica del proprio posto nel mondo di 40 anni fa”.
Il Progetto Calamaio diceva e continua a dire tuttora: “Siamo certi che l’utilità di ognuno si misura solo concretamente sulla base della produzione personale? Siamo sicuri che se fai sei e se non fai non sei? Fare va di pari passo con essere? Produrre cultura è scrivere trattati o piuttosto dare agli altri la propria esperienza di vita che porta visibilmente nel corpo la fragilità, ma in un modo di essere diverso la propria forza e la certezza che un cambiamento culturale nel campo dell’integrazione è possibile perché il modo di pensare è diverso e con il modo di pensare il modo di vivere?”.
Molto è cambiato, dalla legge 68/99 ad oggi! Negli ultimi anni poi pure il crollo economico ci ha fatto, volenti o nolenti, rallentare i ritmi di vita: meno lavoro, meno soldi, meno corse per gli impegni e per gli acquisti! E in un’epoca di crisi finanziaria in cui la corsa al riciclo e al recupero dei materiali di scarto da cui creare cose nuove e nuove cose ricorda molto quella dei cercatori d’oro, in un’era in cui i mercatini dell’usato nascono e crescono e si riproducono come conigli nei centri delle città e in periferia, in un tempo storico in cui il “tutto torna buono” e ancor più il saggio detto popolare bolognese “tin tin che la so’ la vin” (trad. “tieni tieni che il suo momento per usarlo arriva”) sono diventati fashion, di moda, creando addirittura la corrente Vintage che altro non è che tirar fuori i vestiti della nonna tenuti nel cassettone di famiglia, forse anche l’Inutilità, il Superfluo ritrovano uno spazio, il senso della loro esistenza. Forse in fondo è tutta una contraddizione, un paradosso, una provocazione…

Ritornando ai nostri Artisti inUTILI con cui abbiamo aperto questa riflessione, concludiamo con due aforismi del geniale e molesto Oscar Wilde che già a fine dell’Ottocento disse: “Tutta l’arte è inutile” ma “viviamo in un’epoca in cui il superfluo è la nostra unica necessità”…