“Non esiste l’ingrediente segreto”.
“Non importa la tua storia… L’importante è quello che tu scegli di essere ora”.
(Kung Fu Panda 1 e 2)
Gli affezionati lettori di “HP-Accaparlante” si aspettano da Il magico Alvermann una proposta di libro, un ripescaggio nei ricordi, uno stimolo a ritrovare delle pagine che si conoscevano o delle pagine nuove da esplorare. Questa volta, concedeteci, di partire da un’altra forma di racconto, quella cinematografica. Il racconto in questione riguarda il film d’animazione Kung Fu Panda, nella versione 1 e 2. Il panda Po è in qualche modo il prescelto per diventare il guerriero Dragone, per cui nonostante la sua diversità così prorompente (un “ciccione” che pratica uno sport notoriamente per magri e agili) riesce nell’impresa, è l’eroe voluto dal destino; della serie: anche se sono goffo ce la faccio comunque perché è il mio destino. Fin qui è l’eroe per eccellenza, come in tanti noti film dove esiste un prescelto. E la sua diversità fa ridere, fa simpatia, ma tutto qui. Invece c’è molto di più. Come guerriero Dragone il panda riceve una pergamena dove dovrebbe esserci scritto il segreto per essere un vero guerriero, invincibile. Bene, la pergamena è vuota, bianca, non c’è scritto niente. All’inizio sembra una presa in giro per un essere così buffo. Invece pian piano si capisce il “trucco”. Non esiste il segreto. La pergamena è vuota apposta. Non ci sono magie per essere invincibili, basta crederci. Basta credere in se stessi, nelle proprie capacità anche quando queste capacità si devono scontrare con limiti fisici evidenti.
La questione dell’ingrediente segreto ricorre anche nel capito 2 della saga. Il panda sta cucinando per i suoi colleghi e amici di kung fu, e sta cucinando una zuppa seguendo la ricetta di suo padre. Gli amici si complimentano per la bontà, ma il panda non è soddisfatto, dice che manca un ingrediente segreto che conosce e usa solo suo padre, e che solo suo padre è in grado di cucinare la zuppa perfetta. Si scoprirà che non esiste l’ingrediente segreto, che suo padre se l’era inventato, che la zuppa viene cucinata in maniera semplice senza aggiunte magiche e che la zuppa che cucina il panda è esattamente buona come quella del padre. Ma Po pensava che quella del padre come sapore fosse migliore. Torna quindi il tema della fiducia, di crederci. La zuppa di Po non era peggiore, era uguale. Eppure lui pensava di essere inferiore.
Devo ammettere che questo concetto mi ha colpito moltissimo, forse perché ero andata al cinema pensando semplicemente di divertirmi. Invece tutto il film mi sembrava un grande Centro Documentazione Handicap. In Kung Fu Panda ho ritrovato il nostro spirito di CDH. Il tema della fiducia per noi è fondamentale. Bisogna credere anche nelle piccole capacità residue che una persona possiede, bisogna accettarsi come si è e agire per come si è. Occorre, inoltre, un contesto di fiducia in cui crescere. E il panda cresce adottato da un’oca, ma un’oca che non lo fa sentire diverso dalla sua razza, un’oca che lo integra, lo accetta e gli vuole bene per come è, e crede in lui. Un genitore che mette il figlio nella condizione di autodeterminarsi, di scegliere chi e cosa essere, in base al suo fisico, a ciò che sa fare e a quello che non sa fare.
Anche gli altri personaggi di contorno mi fanno pensare alla diversità. Nella scuola di kung fu di Po ci sono animali di tutti i tipi che praticano quella disciplina: la tigre, il leopardo delle nevi, la mantide religiosa, la vipera, la gru, la tartaruga e il panda rosso. Ognuno di loro ha trovato un suo modo di praticare il kung fu. Ognuno di loro ha sviluppato la propria creatività per adattare le mosse del kung fu alla propria predisposizione genetica. E anche questo è uno dei nostri temi ricorrenti. La capacità di inventarsi delle soluzioni per superare le difficoltà, con un modo proprio, cucito addosso a se stessi, usando degli adattamenti oppure adattando quello che c’è. La questione non è superare i propri limiti a tutti costi, ma accettare questi limiti, conviverci e riuscire a sfruttarli con un po’ di creatività. Perché l’ingrediente segreto siamo noi stessi.