II territorio ferrarese presenta la peculiarità di due Aziende Sanitarie: la prima, costituita dall’Az. Ospedaliera-Universitaria, dove è allocata l’Unità Operativa (U.O.) di Terapia Intensiva Neonatale e Neonatologia, che riceve utenza da tutto l’ambito provinciale e dai territori limitrofi.
La seconda Azienda è costituita dagli altri presidi ospedalieri e da tutti i Servizi “territoriali” della provincia, compresa l’Unità Operativa di Neuropsichiatria-Psicologia-Riabilitazione dell’Età Evolutiva.
Questa tipologia di Servizi poteva confermare l’eredità di una certa disconnessione operativa tra équipe distrettuali diverse, se non addirittura una separazione delle aree nascita ai Servizi territoriali di Riabilitazione. Nel caso specifico della Sindrome di Down, non era infrequente l’arrivo ai Servizi di Riabilitazione dei bambini in età avanzata e, su un piano operativo, anche metodologie dissimili d’approccio al fenomeno.
Dal 1992, definendo una prassi consolidata da almeno un decennio, è stato costituito un gruppo di lavoro interaziendale composto dal pediatra/neonatologo, dallo psicologo, dalla fisioterapista e dalla logopedista, con la consulenza del neuropsichiatra infantile.
Tale gruppo di lavoro, con la conseguente metodologia, ha assunto carattere di convenzione interaziendale e di progetto obiettivo; e ha il compito di accogliere e accompagnare fin dalla nascita il bambino Down e la sua famiglia, inviandoli precocemente ai Servizi territoriali di riabilitazione di competenza.
Evento Nascita
La nascita di un bambino Down è un evento che ridefinisce il progetto di vita di una coppia di genitori. La diversità del bambino atteso segna in modo indelebile il futuro che sarà irto di difficoltà e impegni. La famiglia dovrà raggiungere un nuovo equilibrio. Lo sviluppo del bambino e della famiglia diventa un lungo viaggio tra normalità e diversità, dove spesso viene cercato il “massimo” possibile senza talvolta incontrarlo.
Al di là della contraddizione che la prima comunicazione comporta è innegabile che la qualità e le modalità con la quale essa avviene rappresentano fattori fondamentali che determinano il primo legame (genitori-bambino, genitori-medico, genitori-struttura).
La comunicazione, affidata alla sensibilità del medico, impone il fornire corrette informazioni sia retrospettive (per prevenire o correggere distorsioni dei vissuti e o sensi di colpa), che prospettiche (per conoscere in tutti i suoi aspetti ciò che questa anomalia genetica può comportare e essere in grado di affrontare le problematiche che si incontreranno). Deve inoltre mirare alla costruzione di una consapevolezza dell’esistenza dei problemi (che possono essere affrontati con adeguati programmi di interventi collaborativi tra le varie competenze), consentendo alla famiglia di affrontare le inevitabili problematiche in modo relativamente più adattivo e “sereno”.
La prima comunicazione
La comunicazione della diagnosi di una malattia che colpisce lo sviluppo neuropsichico, come accade nella sindrome di Down (SD), è sempre un momento importante e molto delicato per il contenuto e per il contesto in cui avviene.
Questo momento (che viene ricordato dai genitori anche a distanza di molti anni) riveste il significato di evento traumatico e può determinare più o meno gravi distorsioni della interazione precoce dei genitori con il bambino, con conseguenti influenze negative sulla sua evoluzione.
Ancor di più oggi dove i recenti progressi dell’ostetricia e della neonatologia inducono a pensare a una “nascita senza problemi”, la nascita di un bambino Down trova i genitori (specialmente se giovani) più impreparati e disarmati, e spesso provoca uno shock emotivo particolarmente doloroso. Il medico e il personale sanitario non sono esenti da questi sentimenti d’impreparazione, d’impotenza e di rabbia. La comunicazione rischia di essere frettolosa e inadeguata con un eccessivo distacco emotivo oppure di essere delegata a altri operatori (genetista, psicologo, ecc.).
Questa comunicazione ai genitori della problematicità del loro figlio è pertanto un momento carico di conseguenze. Uno dei motivi principali è legato al fatto che i genitori confrontati con un bambino diverso da quello immaginato (“ideale”, bello, sano, intelligente), sono colpiti profondamente nel loro senso di identità e di preoccupazione per il futuro, generandosi così la cosiddetta “ferita narcisistica”.
Va ricordato che la comunicazione diagnostica relativa alla SD presenta alcuni aspetti peculiari, si tratta infatti di una diagnosi che, con l’ausilio della citogenetica, è subito certa mettendo ancora più a rischio il fattore “attaccamento”.
Pensiamo che una modalità adeguata di comunicazione debba essere caratterizzata da un sostegno immediato da parte dei curanti con disponibilità di ascolto della sofferenza espressa dai genitori, in un clima di considerazione reciproca e di fiducia, evitando ogni prognosi troppo negativa a distanza e favorire l’”alleanza terapeutica” fra genitori e curanti, senza la quale non sono possibili progetti terapeutici a medio e lungo termine.
La nostra scelta operativa
Coerentemente con quanto affermato si è provveduto a costruire una continuità di percorso che saldasse il primo momento della nascita e della prima comunicazione con il processo d’intervento in rete relativo allo sviluppo neuropsichico successivo. Il coinvolgimento immediato dei professionisti interessati nella riabilitazione territoriale e nei bilanci di salute è diventato un fattore di eccellenza e si sono create procedure formalizzate di attuazione.
È stata quindi approntata una procedura il cui scopo è quello di effettuare la comunicazione della diagnosi ai genitori nei modi e nei tempi più adeguati, tenendo in considerazione gli esiti delle indagini strumentali eseguite per escludere l’associazione di altre malformazioni congenite, al fine di essere esauriente e puntuale e coinvolgere il più precocemente possibile (fin dai primi giorni di vita del paziente con SD) le figure professionali alle quali verrà demandata la gestione coordinata del bambino e restituire ai genitori un’importante qualità partecipativa.
Un secondo obiettivo, più trasversale, viene raggiunto relativamente all’elaborazione dell’evento con i genitori che hanno la possibilità di affrontare la discussione della diagnosi a loro comunicata.
Viene dedicato loro il tempo necessario in questa fase critica permettendo di avviare un percorso sin dentro l’ospedale. In questo modo ci sembrano assicurate continuità e accoglienza tra ospedale e territorio.
Ci sembra che questa impostazione sia un’azione concreta e produca un percorso continuo e progressivo presentando le due realtà (ospedale e territorio), non in maniera dicotomica ma come momenti diversi per bisogni diversi.
Parallelamente a questi due obiettivi (prima elaborazione della diagnosi comunicata e invio precoce) il Gruppo interaziendale mantiene un mandato di monitoraggio dello sviluppo del bambino Down e della sua famiglia; infatti accanto all’invio ai Servizi Territoriali e al riferimento del pediatra di libera scelta, viene proposto di mantenere un rapporto di follow-up.
Questa impostazione tende a superare la dialettica tra Servizi-Strutture-Centri centralizzati e Servizi operativi decentrati. È indubbio però che, per un buon funzionamento, serve la condivisione di protocolli e linee guida che assicurino trasparenza e comunicazione interattiva tra le diverse istanze, garantendo anche alle famiglie la soddisfazione dei bisogni e la loro partecipazione attiva nella definizione del complessivo percorso. Per meglio gestire la salute del bambino Down si è convenuto, in armonia con le linee guida del Gruppo di Studio di Genetica Clinica della SIP, di seguire il programma di follow-up affidato ad un’équipe multidisciplinare (genetista, neonatologo, pediatra, cardiologo, neuropsichiatria infantile, psicologo, ecc.).
Le famiglie stesse diventano così consapevoli dell’esistenza di momenti critici nello sviluppo che tecnicamente vanno monitorati, e partecipi di una processualità condivisa e responsabile sia nelle scelte di salute e che di qualità della vita.
In conclusione questa scelta operativa ci sembra aver comportato alcuni risultati decisamente positivi:
– la comunicazione assume valore e significato cardine del processo curativo e riabilitativo;
– la continuità del percorso sanitario assistenziale del bambino e della sua famiglia sancisce la centralità del bisogno rispetto al luogo di erogazione dei servizi;
– la formalizzazione di un percorso condiviso tra Servizi diversi di Aziende diverse, nello specifico tra Ospedale e Territorio (un percorso funzionale che lega l’équipe ospedaliera, quella riabilitativa territoriale e i pediatri di libera scelta);
– si sono coniugate diverse esperienze tecniche culturali e professionali.
Riferimenti bibliografici
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Magnani, Benatti, Garani, Stoppa et al., “Studio policentrico di nati con Sindrome di Down: mortalità e sviluppo da 0 a 3 anni”, in ACTA Pediatrica Latina, n. 2, 1994.
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* Pediatra Neonatologo – Az. Osp. Univ. Ferrara. Sezione Terapia Intensiva, Istit. Pediatria
** Logopedista, AUSL – Ferrara, U.O. Neuropsichiatria Psicologia Riabilitazione Età Evolutiva
*** Psicologo, AUSL – Ferrara, U.O. Neuropsichiatria Psicologia Riabilitazione Età Evolutiva