Lettere al direttore
- Autore: Claudio Imprudente
Gentile Claudio,
ricevere attenzione da lei è motivo di grande gioia. Da anni seguo quello che dice e scrive. Rischio una gaffe se attribuisco a lei la definizione di normodotati gravi? Non ho tempo adesso di verificare nella mia biblioteca ed è forte l’urgenza di scriverle…
Per la grande stima che nutro nei suoi confronti, per quello che le sue parole rappresentano per me e per tutte le persone che vivono l’esperienza della disabilità…
Con il disagio che si prova di fronte ai maestri, mi permetto di chiarire un punto sul quale lei stesso si è soffermato, invitandola a leggere fino all’ultima riga il brano “Farti fuori”. Il senso delle mie parole non è quello superficialmente ripreso da alcuni titoli di giornale. Non può sfuggirle che il senso di quel brano – e direi di tutto il libro – è ben diverso.
Non le chiedo di pensare, come io invece ritengo, che si tratti di un libro che parla d’amore. Però mi lasci dire, nel rispetto pieno delle sue convinzioni, che anche io, ogni giorno, sono contento che Moreno sia ancora vivo.
Le rinnovo la mia stima e ancora la ringrazio per le parole che ha voluto dedicarmi.
Un saluto cordiale.
Massimiliano Verga
Caro Massimiliano,
le sue parole mi hanno riempito di gioia e fra l’altro ieri era il mio compleanno.
La sua lettera non è arrivata a caso, la mia memoria è andata subito al rapporto che ho avuto con mio padre che mi ha lasciato quando avevo 15 anni. È stato un rapporto fondamentale nella mia vita. Era padre, fratello, amico: grazie a lui la mia fiducia è aumentata in misura enorme. Per questo oggi sento di poter affrontare a testa alta le sfide anche con i normodotati gravi!
Lei non si è sbagliato, quella definizione l’ho inventata io.
Sfogliando il suo libro Zigulì (Milano, Mondadori, 2012) ci si rende subito conto di quanto il suo sguardo nei confronti di Moreno sia volutamente crudo e spietato, come lei stesso ha dichiarato nelle varie presentazioni.
Le difficoltà che si incontrano in questi contesti familiari diventano nella sua riflessione dolorosamente evidenti e prive di ipocrisia.
Un altro particolare molto evidente è la maniera in cui scrive grazie a cui si intuisce che sono parole scritte di getto, con il cuore in mano, fondamentali in un’esperienza autobiografica.
Grazie, un abbraccio a Moreno e buona vita.
Carissimo Claudio,
ho letto la raccolta delle Lettere imprudenti sulla diversità. Conversazioni con i lettori del Messaggero di Sant’Antonio (Torino, Effatà Editrice, 2009) e sono rimasto stupito da… l’averci messo relativamente poco tempo! Come sai, uno dei più grandi handicap di cui soffro e contro cui combatto si chiama “agenda”: quella cosa che cerco quotidianamente di dilatare nel tentativo – ahimè, spesso vano – di farci entrare tutte le cose che mi piacciono e vorrei fare, e soprattutto gli amici. Ho buoni motivi per ritenere che il tempo sia la realtà più “elastica” che c’è, ma di un’elasticità ingovernabile; ti illude che si possa misurare suddividendolo in intervalli regolari, ma è sempre lui che domina la situazione, allungandosi e accorciandosi in disaccordo con le tue esigenze. E anche per scriverti questa lettera ho dovuto ritagliarmi del tempo a notte fonda: quasi l’unico tempo che riesco a prendere veramente per me.
Quella sera in cui mi hai regalato il libro ho capito che ti facesse piacere un mio riscontro, che naturalmente tenevo molto a farti sapere, e così eccomi qua.
Se ricordo giusto anche quella sera si parlava di agende e impegni (oltre che dell’esaudimento di una certa preghiera di Lollo, ma questa è un’altra cosa), e di come avrebbe potuto essere comodo possedere il dono della bilocazione, a condizione però di non farlo sapere a nessuno e utilizzarlo per stare in vacanza mandando a lavorare il proprio alter ego. Tu dicevi appunto di scrivere sul Messaggero anche per poterti ingraziare sant’Antonio – noto esperto sull’argomento – e farti spiegare come funziona il fenomeno miracoloso. Leggendo il libro ho proprio avuto l’impressione che quel dono tu l’abbia ricevuto davvero: una multilocazione che ti ha permesso di raggiungere molti e soprattutto di parlare la lingua di tutti: apparente paradosso per uno che… non parla.
E saltellando da un pensiero all’altro riflettevo sulla parola, e ho focalizzato che doveva essere proprio questo il motivo per cui Dio ha creato “dicendo”, e non “facendo” come noi avremmo intuitivamente preferito. Probabilmente per la stessa ragione Isaia profeta canta che “come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi risalgono senza aver infallibilmente fecondato la terra, altrettanto la Parola di Dio non ritorna a Lui senza prima aver prodotto l’effetto voluto”; e direi che è sempre per lo stesso motivo che Dio, fra le infinite cose che è e possiede, fa incarnare proprio il suo Verbo nell’umanità di Gesù Cristo.
A immagine e somiglianza del Verbo di Dio, anche la parola umana ha un grande potere, e se non può creare dal nulla, ha comunque un ruolo di collaborazione per perseguire l’ottenimento della salvezza. Ed è un ottimo strumento per diffondere la propria presenza e il proprio pensiero: quasi una bilocazione!
Aiutandomi con l’immagine evangelica per spiegare quello che voglio dire: alla luce di quanto fanno intendere le lettere dei tuoi lettori, con i tuoi articoli hai compiuto la stessa opera di quei quattro amici che hanno calato davanti a Gesù l’uomo paralizzato; e questa volta è notevole il fatto che sia proprio chi è paralizzato nel corpo a condurre i cuori di fronte a Gesù. Ma la parola (e credo soprattutto la Parola) ha operato il prodigio.
Il titolo del libro mi faceva ingenuamente pensare che le “lettere imprudenti” fossero i tuoi articoli (forse per via del tuo cognome), ma ho presto scoperto che i tuoi lettori/scrittori dimostrano di essere perfino più “imprudenti” di te, con lettere incisive e coinvolgenti. Vi si leggono amori e passioni, desiderio di verità, poesia e coraggio, e altro ancora: la Vita, insomma.
Ed emerge come quello scrivere sia espressione e occasione di libertà interiore; e anche qui mi sono chiesto se non sia che noi usiamo ancora la parola “penna” per indicare lo strumento per scrivere, proprio perché di penne sono composte le ali, e così in qualche modo vogliamo esprimere che lo scrivere ci libera e ci fa volare in alto.
Decisamente la “H” non è muta.
Non lo era mai stata, ma ci vogliono sempre i pionieri per svelare ciò che è così ovvio da sfuggire alla comprensione dei più.
Ti abbraccio.
A presto, tuo don Simone
Carissimo don Simone,
le tue parole sono state balsamo per me, grazie davvero.
Madre Teresa di Calcutta diceva: “Sono una matita nelle mani di Dio”. Una matita, un oggetto semplice, bello, delicato ma in grado di disegnare un mondo migliore. Io posso dire di essere una tavoletta trasparente nelle mani di Dio, certamente non in grado di disegnare questo mondo ma con la possibilità di raccontarlo e di narrarne le sue storie.
Davvero mi ha fatto un piacere immenso ricevere la tua lettera, ho apprezzato che hai centrato in pieno il mio obiettivo e questo mi ha fatto capire quanto a volte sia ancora bello e vario il nostro universo.
Ho letto diverse volte la tua lettera, sono parole che mi fanno sentire bene.
Meno male che ci siamo intrecciati in questo cammino che è la vita… un percorso che a volte ci fa sudare per la fatica ma spesso ci fa gioire e a cui, come direbbe un “filosofo” moderno della provincia di Modena, bisogna trovare un senso. Magari anche se un senso non ce l’ha.
Ti auguro una buona Resurrezione,
un abbraccio.
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